La settimana di preghiere per l’unità dei cristiani ha luogo, come tradizione, nei giorni che precedono la festa della Conversione di Paolo di Tarso: 18-25 gennaio.
È la “Chiesa Madre” di Gerusalemme, quest’anno 2011, ad offrire alla Chiesa universale il tema per la riflessione:
«Essi ascoltavano con assiduità l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme» (At 2, 42).
Un invito e un’esortazione a:
- rinnovare e ritornare a ciò che nella fede è essenziale
- ricordare il tempo in cui la Chiesa era ancora una
- meditare su quella prima grande attività missionaria, il cui cuore non si rivelò nell‘andare fuori dei discepoli, ma nel riunirsi dentro
- verificare quanto ancora separa i cristiani da una fedeltà più radicale alla preghiera/testamento di Gesù perché “tutti siano una cosa sola”
- ripartire da questa vocazione dei cristiani piuttosto che dai problemi e dalle situazioni difficili.
Contesto della Chiesa madre di Gerusalemme
I cristiani della Terra Santa duemila anni fa dall’effusione dello Spirito Santo furono uniti insieme e, pur provenendo da culture e tradizioni diverse, divennero un solo corpo di Cristo e comunità di credenti. Oggi i cristiani di Gerusalemme si trovano a testimoniare Gesù vivendo ancora divisioni al loro interno e sperimentando ingiustizie e disuguaglianze in mezzo a drammatiche tensioni politiche e militari. Quali stili di dialogo le diverse Chiese hanno con le società in cui si trovano?
Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese di Gerusalemme ha dichiarato: L’unità che cerchiamo non è una mera astrazione per i cristiani di Gerusalemme. Questa unità comporta preghiera e riflessione in un contesto di sofferenza e disperazione.
Confronto nel quotidiano frutto della fede
L’unità è un imperativo urgente e anche esistenziale. A Gerusalemme lo dimostrano -se ce ne fosse bisogno- anche le colluttazioni che si verificano nella basilica del Santo Sepolcro, di volta in volta, tra i monaci greco-ortodossi e quelli armeno-ortodossi e che sono fonte ricorrente di scandalo in tutto il mondo. In questo contesto i cristiani di Gerusalemme ci offrono una visione di che cosa significhi lottare per vincere la tentazione di ripiegarsi su se stessi e sulle proprie certezze confessionali; per accogliere la fatica che si sperimenta nel trasformare i problemi e le difficoltà proprie e degli altri in opportunità per crescere nella fede e nella comunione; per gustare la gioia che nasce dalla condivisione di una ricerca evangelica. Rappresentano, insomma, per tutti l’esempio di una sofferta comunità sinfonica. Quale miglior laboratorio per il dialogo ecumenico e interreligioso?
Fortificati dalla preghiera
Per muoversi verso l’unità ci vuole una fede rinnovata che il Maestro e Signore in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare (Ef 3, 20). Da sole le creature non hanno risorse sufficienti, ma quando diventano consapevoli della propria condizione di ‘debolezza’ e si aprono all’azione divina, riescono a far fiorire energie straordinarie. Una pace seria e duratura, là dove persistono ragioni gravi di conflitto, ha sempre un po’ del miracoloso e del “dono dall’alto”. Chi crede perciò la invoca dal fondo della sua coscienza, disposto anche a sacrificare qualcosa di proprio per questo grande bene, e non solo a livello personale, ma anche a livello di gruppo, di popolo e di nazione. Così facendo, ognuno sarà trasformato e, a mano a mano, ciò per cui prega si realizzerà nel suo stesso essere. Rafforzati da questa preghiera, insieme saremo mossi ad incarnare la pace che sgorga dalla fede. Nella diversità dei singoli e dei gruppi nasce così una sinfonia che viene dall’unico Spirito, il quale potrà continuare a comporre la partitura della lode a Dio attraverso la nostra vita.
Vivere l’unità nella diversità: un impegno per tutto l’anno
Le nostre chiese anche oggi partecipano, tutte, a volte malgrado le apparenze, al mistero dell’unità. E’ necessario trovare, in tutto l’arco dell’anno, opportunità e tempi per esprimere il grado di comunione già raggiunto, pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo, e abitare con vitalità lo spazio concreto in cui ognuno è chiamato nel suo presente a vivere. Alimentare così la comunione è vocazione e servizio alla Chiesa intera.
L’esperienza di ritrovarci minoranza oggi nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo è parte della nostra identità fin dalle origini. Ci ricorda che non siamo né esistiamo per noi stessi, ma per entrare in relazione con quanti ci incontrano. Ci orienta a diventare capaci di quel dialogo che non è solo scambio di idee, ma dono di sé all’altro, compiuto in maniera reciproca come atto esistenziale. Ad accogliere e testimoniare, nel cammino insieme, sempre incompiuto, di sequela di Gesù, quell’unità che parla profeticamente in un mondo di divisioni.
Luciagnese Cedrone
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