Che siamo in crisi nessuno osa più negarlo. Intanto la crisi continua e si accanisce sui giovani. Questa la fotografia scattata a marzo e resa pubblica alcuni giorni fa dall’ISTAT.
I problemi che i giovani sentono e si pongono per il futuro –ammonisce il Presidente G. Napolitano- sono gli stessi che si pongono per il futuro dell’Italia. Quella che stiamo vivendo è una crisi economica, culturale, spirituale, etica. Tocca i fondamenti della nostra civiltà.
Disoccupazione è precarietà
In un mercato del lavoro in continuo mutamento, la maggior parte di chi è formalmente disoccupato svolge in realtà lavori saltuari, poco remunerati, nella totale assenza dei più elementari diritti dei lavoratori e con contratti a brevissimo termine. Per non parlare del lavoro nero, sommerso, il quale finisce semplicemente con il sommergere l’individuo. Disoccupazione oggi è precarietà. Ma che cosa diventa precario?… le condizioni di lavoro o l’esistenza del lavoratore? E qual è la soglia di sostenibilità di una vita precaria?
Effetti devastanti della disoccupazione
- L’impossibilità di accedere in tempi ragionevoli a un lavoro stabile porta con sé ambiti di incertezza e una perdita di autostima persistente nel tempo… al punto che la precarietà finisce col diventare un vero e proprio stile di vita. Porta a scoraggiamento, a soffrire per disturbi d’ansia e anche a un calo di motivazione nella ricerca di un impiego futuro. Porta un ritardo sempre più accentuato del passaggio da eterni figli a genitori. Passaggio che mette a rischio un equilibrio sociale ed economico già abbastanza fragile.
- Costretti a fare affidamento sul portafoglio dei genitori, anche i giovani che vogliono laurearsi dovrebbero potersi scegliere i genitori con relativo studio ben avviato, dato che ancora oggi il mestiere si trasmette per via ereditaria. Oppure possono scegliere di studiare bene un paio di lingue straniere e di tenere il passaporto pronto. Ma quando la cosiddetta fuga dei cervelli all’estero diventa frequente come negli ultimi anni, allora un’enorme quantità di capitale umano rischia di andare tristemente sprecato. Ci perdono i nostri ragazzi, che saranno sempre meno capaci di contribuire alla crescita del Paese. Ma non solo loro. Ci perdiamo tutti.
Politiche giovanili e del lavoro
A fronte di questa crisi che non molla, è difficile immaginare un’inversione di tendenza. Si tratta di una vera e propria questione nazionale e va affrontata come tale. Non basta certo che tanti si sforzino di ricostruire i fatti che riguardano i giovani assecondando mentalità e senso comune, fino a considerarli viziati, bamboccioni, persone con aspettative irrealistiche… Fino ad attribuire loro la colpa della propria disoccupazione: troppo istruiti -si dice- gli under 30 non si adatterebbero più a fare gli umili e sani lavori di una volta.
Ma questo dato è in contraddizione con il fatto che in Italia il livello di istruzione negli ultimi anni si è alzato meno che in tutti gli altri Paesi europei. Bisognerebbe invece pensare seriamente a rendere più competitivo il sistema produttivo italiano. Il che significa decidere di investire di più su innovazione e ricerca, evitando di far ricadere in gran parte la competizione -come purtroppo è ora- sul costo della forza lavoro e sulle famiglie.
L’indifferenza non paga
Sembriamo essere privi della sintassi del bene comune, la sola che possa spingere a decidere di muoversi verso l’innovazione dei processi, di puntare su istruzione e ricerca, scommettendo sul potenziale delle nuove generazioni. Ma non si può subire passivamente la realtà che ci circonda, né distruggerla o fuggire. Non si può nemmeno soggiacere a una cultura disumanizzante o all’indifferenza.
I giovani sono la parte sana che può dare nuova vita alla parte adulta e inquinata dell’umanità. Essi vivono il tempo come ‘nascente’, e questo può ridare slancio agli ideali.
A questa nostra società che si sta corrompendo e disgregando serve un’iniezione di amore. E se non è nelle nostre possibilità cambiare il mondo, è però nelle nostre possibilità cambiare il nostro cuore. È urgente perciò varare un patto sociale condiviso e mettere in atto strategie coraggiose di indirizzo.
Produttori di bene comune
Sarà il cuore a farci capaci di riportare nel mondo del lavoro il primato della persona; a farci operare per rendere dignità, umanità, capacità critica e di sogno alle persone.
Scrivere il futuro in fondo significa semplicemente creare le condizioni per vivere nuove libertà: dal bisogno, dall’imbarbarimento mediatico, dalla mercificazione del lavoro, dal globalismo commerciale e finanziario. Per questo è necessario che ognuno di noi -e insieme- ogni giorno scegliamo da che parte stare e da quale prospettiva guardare il mondo, ricordando che “Il cristiano è un produttore di bene: e di bene sociale. Sta nella società per questo: per fare il bene”: lo diceva Igino Giordani, ma è un messaggio più che mai attuale.
Luciagnese Cedrone
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