Vecchiaia: zona rimozione forzata?

Posted by usmionline
giu 24 2011

L’Italia, con il precariato in aumento e i ‘cervelli in fuga’, non si presenta certo al mondo come un paese per giovani. Lo è almeno per vecchi? E se il vecchio è una donna?… Nel panorama politico e mediatico italiano l’unica donna ‘bella’ sembra essere quella giovane e la sola strada, perché una donna si senta socialmente accettata, è restare giovane e bella a dispetto del tempo.

Banalità corali…

“Anziano sarai tu”: è un’espressione apparsa su manifesti affissi dal Comune a Torino, con l’obiettivo di invogliare i vecchi ad impegnarsi in un servizio di volontariato civico. Indirizzata a persone anziane ancora attive, si accompagna al disprezzo per chi dimostra la sua età reale e suona come un insulto alla condizione di anzianità, che vede su di sé i segni della lenta morte rappresentata dal trascorrere del tempo. Se una pubblica amministrazione tranquillamente sponsorizza tale idea di vecchiaia, ci si può stupire che sia prioritario per tanti (e più ancora per tante!) mantenere il più a lungo possibile un aspetto giovanile?

Ma la vecchiaia non è solo un tempo naturale della vita (che nessuno per altro è sicuro di raggiungere!)? E l’autorevolezza, la saggezza, che pure derivano dall’esperienza, che fine hanno fatto?

…ed elogio della vecchiaia

In un discorso ai milanesi il politico Nichi Vendola qualche settimana fa diceva:“La vecchiaia una malattia? Rilassatevi. Siamo vecchi! E godetevi la vecchiaia che è una cosa bella…Diventiamo tutti fragili. La fragilità è la cosa più bella della condizione umana perché ci rende fratelli e sorelle nel mondo. La bellezza?… è nell’impegno, è nel cuore. E non è nelle curve o nell’ombelico! Ma spegnete quella TV volgare! Aprite il cuore alla conoscenza del mondo! Questo dobbiamo fare”.

Corpo senza difetti e senza età

È vero ciò che questo parlare lascia sottinteso: oggi ‘pochi sanno essere vecchi’. Ma è certo anche che non è facile invecchiare serenamente nel nostro mondo (anche quello religioso?!?) in cui -dalla televisione, e non solo; a tutti, e soprattutto alle donne- vengono proposti modelli sociali di giovinezza a tutti i costi. Modelli in cui un’immagine di perfezione fisica, tirannica e irreale, condiziona pesantemente la vita, in primo luogo delle donne, ad ogni età; in cui la giovinezza è considerata una ‘fortuna’ non ancora dissipata dal tempo; e il diventare vecchi una sconfitta da ritardare il più possibile, e comunque da nascondere; vissuta dai più come una condizione di cui doversi vergognare pubblicamente. Quasi la ratifica, insomma, di uno stato sociale decaduto, equivalente di inutile.

Ma provare a nascondere il corpo mortale e ad esaltare il corpo bello e vitale non serve a niente: senza l’uno non si dà l’altro. Il corpo va accolto nella sua “doppiezza”, nella sua ambiguità, nel dubbio e nella prova che porta in sé.

Le sfide dell’invecchiamento

Certo è necessario conoscere le limitazioni imposte dalla vecchiaia, come è altrettanto indispensabile imparare ad accettarle, mettendo a frutto quanto si è appreso durante tutta la vita. Nei vecchi, per esempio, la paura della morte è più grave e più insistente. A volte è un’idea fissa, che getta ombre nere sopra ogni ora della vita e ne accompagna i pensieri. Per moltissimi è il maggior tormento dell’ultima età, perché se i giovani possono morire, i vecchi devono morire. Occorre non ignorare, ma esplorare questi aspetti che terrorizzano tanti… Discendere nel dolore muto dei propri giorni può, infatti, condurre alla scoperta di tesori inattesi. Permette comunque di raccogliere un prezioso messaggio che è luce e senso per la vita: la vecchiaia e la morte sono passaggi dell’avventura umana da vivere in pienezza e da mettere a frutto per se stessi e per le persone che ci stanno intorno; una fecondità manifestata nella tenerezza e nella dolcezza, nell’equilibrio e nella serenità…Invecchiare consapevolmente è la strada per riuscirvi, la grande occasione per operare la sintesi di una vita.

Radici di un’idolatria da portare allo scoperto

La pubblicità -lo sappiamo- vende valori e immagini; vende concetti di amore e di sessualità, di romanticismo e di successo personale. Soprattutto vende un concetto di ‘normalità’. Dice, in un certo senso, chi siamo e chi dovremmo essere.

Della donna suggerisce che la cosa più importante è come appare. Così abitua a considerare ‘normale’ che il suo corpo, finché è bello e giovane, venga mercificato; che diverse sue parti siano manipolate in funzione di una bellezza artefatta a sfondo sessuale; persino che sia “concesso” per poter ottenere un lavoro facile e ben retribuito…

Le donne vecchie nella pubblicità

Parallelamente le donne vecchie nella pubblicità sembrano vivere solo l’angoscia di addentare una mela senza lasciarvi attaccata la dentiera, o di tenere sotto controllo la vescica debole. A loro la pubblicità affida il compito di verificare -come suocere immarcescibili- il bucato della nuora o l’anticalcare sui sanitari dei figli…

La buona vecchiaia

Il tutto certo suscita grande sconcerto. Ma fa anche riflettere. Come abbiamo potuto lasciare che potere, denaro, adulazione e sesso -usati per catturare l’attenzione del consumatore- si insinuassero nella mente di tanti, portassero sempre più donne a ‘rifarsi’ con la chirurgia estetica per sentirsi meno ‘fuori posto’;  per cercare di essere più piacenti attraverso una manutenzione esteriore. Come se la bruttezza fosse una colpa e la vecchiaia una malattia.

Come è stato possibile arrivare a questo? Noi dove eravamo? E, personalmente, quale idea e quale esperienza abbiamo della vecchiaia?

Se il mercato consumista di ‘cose’ e di idee, quasi insensibilmente, rende le persone sempre più passive e più schiave, il tempo invece dedicato alla socializzazione, alla lettura, alla riflessione, al pensiero critico è la via più diretta per recuperare in sé la ‘libertà’ più vera; per vivere i giorni maturi della propria vita come tempo di una contemplazione più acuta che apre alla saggezza; per strapparci dal cuore quell’immagine interiore brutta e incompleta per cui non riusciamo a credere  che, se qualcuno ci conoscesse davvero come siamo, ci potrebbe amare.

Solo Dio ci conosce veramente. Solo il suo giudizio conta davvero. Questa certezza interiore accompagna un invecchiare sereno che ispira autorevolezza.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

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