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Diversità: una sfida, che è scuola e profezia

Senza categoria | Posted by usmionline
lug 26 2012

La profonda consapevolezza di essere intimamente amati così come si è dona il coraggio di non lasciarsi governare dalla paura; rende capaci di rivedere le proprie immagini interiori della realtà in favore di un maggiore ascolto della Totalità; apre il proprio agire e pensiero verso orizzonti imprevedibili, totalmente Altri.

Stranieri fra noi …

Un dato di fatto: il fenomeno migratorio caratterizza in maniera massiccia il nostro tempo portando persone fino a ieri estranee a vivere quotidianamente accanto.

Diverso per provenienza etnica e geografica, per ceto, modo di pensare, valori di riferimento, storia, errori commessi…, lo straniero è oggi una realtà consistente fra noi. Eppure su di lui, il più delle volte, il nostro sguardo continua ad oscillare tra indifferenza, disturbo e inimicizia. Può essere accolto, ma solo a determinate condizioni, normalmente di subalternità e di ‘interesse’, come forza-lavoro da sfruttare, pronti a convertirlo in superfluo da buttare quando le condizioni di mercato lo richiedono. Ogni incontro imprevisto o comportamento inatteso, ogni persona sconosciuta, in genere suscita in noi angoscia o inquietudine… L’esclusione del ‘diverso’ insomma sembra essere la ‘soluzione’ più comoda e più comune.

…e dentro di noi

Ma esiste un’altra esperienza di estraneità che è comune a tutti  e che può condurre alle stesse conclusioni. È lo scorrere del tempo che lascia rughe sulla pelle obbligando a ripensare il rapporto con il proprio corpo; è il figlio che entrando nell’adolescenza costringe a ripensarsi come genitori e come persone; è l’ammalarsi, il diventare improvvisamente poveri o ricchi, l’innamorarsi o il ritrovarsi traditi da qualcuno/qualcosa in cui avevi  realmente creduto. È vero che nel fazzoletto di terra che abita, ciascuno è chiamato in gioiosa fatica a dare il suo contributo, la sua nota unica in vista di un bene che sia veramente comune, di tutti…chiamati a esserci a vantaggio del diverso, insomma! Facile a dirsi. Intanto c’è chi continua a vivere relazioni nelle quali l’altro è semplicemente un suddito e su tale via non riesce ad incontrare né se stesso né l’altro; c’è chi ritiene di essere la sintesi del meglio di ciò che esiste in circolazione ma si avvicina solo a coloro che gli danno sempre ragione…

Tutti in realtà possiamo continuare a ‘vivere’ rimanendo stranieri a noi stessi, alla vita e alla verità, perché lo straniero è uno sconosciuto dentro di noi e la distanza che ci separa da lui è la stessa che ci separa da noi stessi (Jabés). 

La sfida

Come lasciar parlare la vita per quello che è e non per quello che noi pensiamo che sia? È  possibile riuscirvi? O siamo forse destinati a rimanere stranieri a noi stessi e alla verità? Lungo il cammino della vita tutto ciò che provoca a un ripensamento, allargando i nostri schemi mentali, che purifica eventualmente le definizioni raggiunte, è spinta profetica. E allora: che cosa posso imparare da te? Che cosa ti posso insegnare io? E soprattutto: dove possiamo andare insieme? Perché se la terra è un passaggio e un dono, il nostro abitarla è un camminare insieme. Ma questo può essere compreso solo quando ci si arrende alla logica del discepolo che ha da imparare; quando si permette alla novità e al mistero dell’altro e di noi stessi di rimettere in causa i modelli mentali già sviluppati nell’esperienza anteriore.

Il vero problema è questo aprirsi  – in gioiosa fatica, nel fazzoletto di terra che ognuno abita e al di là delle prime e istintive reazioni emotive – ad un coinvolgimento esistenziale con chi ci vive accanto; per intuire di lui quello che non si vede e quello che lui non dice; per scoprire il possibile specifico apporto che la vita richiede a noi stessi e a tutti e viverlo insieme. Sapendo però che questo richiede di liberare il proprio cuore da un’eccessiva attenzione a se stessi, di portarsi ‘oltre’ e lasciarsi sempre più ‘guardare’ dalla vita per riconoscersi nella verità di quello che si è, ben al di là di tutte le apparenze. Quante volte ci ritroviamo – come un deserto in attesa di pioggia – a farci domande che vengono dalla paura di noi stessi, del passato, del futuro; che scaturiscono dalla paura degli altri e del loro giudizio sul nostro dire e  operare… “Che ci sto a fare qui?”, “Ho già provato tante volte, so che sbaglio…”, “Cosa diranno, come giudicheranno quello che dico e che faccio…”, “Saprò resistere, essere fedele, sarò all’altezza?…”. Domande da cui viene la conferma che il contrario dell’amore in questa vita non è l’odio, ma la paura.

Quando la tenerezza guarda, tocca e risana

La verità di Dio e dell’uomo abitano dentro di noi, ma sono verità di cui nessuno può sentirsi padrone. Le scelte affidateci sono necessarie sì, ma anche impossibili: necessarie se vogliamo raggiungere la piena realizzazione, ma impossibili con i soli mezzi umani.

Necessario perciò è:

- ‘ridiscendere’ quotidianamente nei dati biblici – radice e fondamento del Senso per ogni cristiano – e farlo ogni volta come fosse la prima volta. Accogliere così la Parola di luce che rende veggenti e capaci di accogliere anche il ‘diverso’ nella simpatia-empatia, in un ascolto/dialogo critico che va oltre ogni pregiudizio e oltre ogni buonismo qualunquista.

- un esodo, un’uscita mentale, cordiale e pratica dalla paura dello straniero che è in noi e fuori di noi.

Cosa mai importa lo sguardo degli altri ai cui occhi rischia di sfuggire l’essenziale e il più vero della nostra vita? Meglio è lasciarsi guardare e penetrare dallo sguardo di Dio, che conosce la verità del cuore di ogni sua creatura sapendone portare tutto il peso d’amore. Perché il fine della nostra vita non è di esistere agli occhi degli altri, ma di stare serenamente al cospetto di Dio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Viaggiatori nel tempo della vita

Senza categoria | Posted by usmionline
lug 16 2012

Noi uomini in viaggio sui sentieri dell’Eterno. Vivere e morire: due classi della stessa Scuola, ma nella società occidentale, dominata dal sentimento della morte, sembra proibito parlare e perfino pensare alla morte, se non per cercare di esorcizzarla spettacolarizzandola.

Stralci da una lettera

Carissima F.,

la settimana scorsa il figlio di un mio caro amico, al padre che stava morendo fra tante sofferenze a causa di un tumore, mentre in tanti eravamo lì intorno al suo letto (…aveva voluto anche la ‘monaca’ – come mi chiamava lui!), ha chiesto: “Dimmi, papà, se c’è qualcosa che posso fare per te…”. Il padre, pienamente cosciente fino alla fine, con un filo di voce e uno sguardo pieno d’amore gli ha risposto: ”Guarda e impara!”.

Certo non è dato a tanti di morire così e non ogni morte porta con sé la stessa forza di istruzione e rivelazione. Ma è altrettanto certo che dove c’è amore, è compiuto tutto il significato della vita. Tutto il resto diventa completamente indifferente.

La lotta contro la morte inizia dalla nascita e riempie la vita. È vero che felicità e orologio si escludono perché in un certo senso la morte sta nascosta negli orologi. Ed è anche vero che noi per illuderci di possedere il tempo cerchiamo in tanti modi (inutilmente!!) di riempirlo. Ma credere in fondo non significa avere risposte già pronte… forse è solo la possibilità di vivere la pace di sapersi infinitamente amati da Dio e contagiarla. Ti confesso, cara F., che anch’io proprio di fronte alla morte dei miei genitori, ho visto più chiaramente – e ancora solo fugacemente – che cosa sia la vita in realtà. È stata per me la fine di un mondo unico. Sono debitrice al mio papà e alla mia mamma che ho visto perdere forza e varcare il tratto di strada che da qui vediamo e che a me ha tolto volti di cui vivevo. Mi è rimasta di loro (e anche di tanti che ho conosciuto) la speranza, la certezza nella fede che nulla va perduto della nostra vita: nessun frammento di bontà e di bellezza, nessun sacrificio per quanto nascosto e ignorato, nessuna lacrima e nessuna amicizia vera… “Insegnaci a contare i nostri giorni per arrivare alla sapienza del cuore”, preghiamo col salmo 89. E io me lo ripeto nel cuore ogni giorno, potrei dire: ogni momento.  

Rimane però il fatto che il mistero circonda e quasi opprime la vita: un argomento ad alta tensione che tocca tutti, anche inconsciamente. Non ha torto il sociologo Bauman nel sottolineare che l’unica e la sola cosa che non possiamo e non potremo mai raffigurarci è un mondo che non contenga noi che ce lo raffiguriamo. La morte in realtà è la personificazione dell’ignoto. E qualsiasi cosa abbiamo fatto per prepararci ad essa, probabilmente ci troverà comunque impreparati… Ma prima di essere chiamati ad uscire di scena, arriva per ognuno – ne sono convinta – un momento in cui sentiamo di dover mettere con coraggio e onestà le carte in tavola per capire su quale fede davvero stiamo basando la nostra vita, senza lasciarci  condizionare dalla paura di doverla riconoscere povera, spoglia, drammatica o nuda. Credere non significa semplicemente pensare che Dio esiste. È invece fidarsi di Qualcuno e “assentire alla chiamata dello Straniero che invita”. È certezza che nessuno è un numero davanti all’Eterno, è – spiega Bruno Forte – rimettere la propria vita incondizionatamente nelle mani di un Altro.

Giustamente Benedetto XVI ha parlato, a proposito del nostro oggi, di “stanchezza del credere”. Più che mancanza di volontà, all’uomo occidentale sembra mancare proprio la capacità di rischiare su qualcosa di assoluto. Così egli si guarda allo specchio e parla solo di se stesso, incapace di preghiera e anche di rivolta. Tutto finisce per lui per essere ‘uguale’ purché ‘conveniente’. E il ‘senso’ non lo trova se non è… immediato, pratico, individuale.

In realtà ci identifichiamo con il nostro corpo, con gli oggetti e gli affetti che sono esterni a noi; diamo molto peso alle cose materiali. Pensiamo che con la morte perdiamo tutto questo, e in effetti è così visto che “l’ultimo vestito che indosseremo è senza tasche”.

E mentre sentiamo la morte come la perdita di tutto, ci lasciamo prendere dal breve giro degli affanni e dei tornaconti immediati che prima o poi conducono nell’angoscia di un buco senza fondo.

Ma la casa, l’auto, i parenti, il lavoro… non siamo noi. La morte non sigilla nel nulla tutto quello che abbiamo vissuto e sentito. Ciò che è stato con noi fin dal momento della nascita ci accompagnerà anche nella morte. Non è necessario nemmeno avere “fede” per comprendere queste cose.

Eppure chissà perché continuiamo a credere che tutti gli uomini siano mortali, tranne noi stessi! E così, come dice Pascal, non avendo nessun rimedio contro morte, miseria e ignoranza, gli uomini hanno stabilito, per essere felici, di non pensarci mai.

Tu hai ragione, F.: la morte dovrebbe essere la cosa più bella, se noi amassimo veramente Dio. Questo perché non siamo fatti solo per misurarci e compierci in un soffio di anni. Ho meno dubbi sull’esistenza di Dio che sulla mia stessa esistenza. Sì, non veniamo da noi stessi e non abbiamo base in noi. Siamo fatti invece per confrontarci con il grande mare dell’Eterno, che si apre dietro a quella ‘porta’.

Nei giorni che ci sono dati, la vita riserva ad ognuno la possibilità di accogliere e riconoscere l’esistenza di un orizzonte più ampio in cui cercare Dio e sentire di essere cercati da Lui. Ma riuscirvi richiede l’impegno a relativizzare se stessi disponendosi alla ‘morte’ quotidiana che questo comporta. Allora in noi e intorno a noi crescono fiducia, meraviglia, accoglienza, perdono… tutto ciò che in una parola il cristiano chiama dono della conversione

Camminiamo in cordata, mia cara F.

Contando sulla fedeltà di Dio che non ci manca mai perché Egli ci ama sempre e comunque, riusciamo a connetterci con le domande della storia e a mettere il nostro agire sui sentieri del ‘senso’. E se la vita e le situazioni cambiano, sempre però ci è dato di riconoscerci e vivere tutti come fratelli uguali nella dignità, nei diritti e nei doveri; di nutrire interesse per l’altro e per quello che accade nel mondo; di pregare per spostare quelle montagne di odio e ingiustizia che con le nostre sole mani a volte non riusciamo nemmeno a toccare.

“Tra voi non sia così…”. Gesù esorta quelli che scelgono di seguirLo a fare quanto è nelle proprie possibilità per lottare contro la povertà e l’ingiustizia…

Su questa strada anche lo spirito moderno, nato all’insegna di ‘felicità-più felicità, sempre più felicità’, potrà conoscere la gioia autentica della vita camminando sì nella notte, ma imparando anche ad aprire gli occhi alla luce della bellezza, che la fede in Cristo dischiude alla nostra fede.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il buio e il cielo

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lug 02 2012

Dolori e sofferenze richiamano l’uomo a non vivere contro la verità di se stessi. Ma ci è affidata una realtà che non sempre riusciamo a cogliere e decifrare. Il Vangelo ci permette di intravvedere, intessuta nel quotidiano, la trama dell’infinito, che è insito nell’essere umano.

Speranza oltre la crisi 
Tragico e apparentemente irriducibile, il male esiste. E il dolore è in ogni dove. Benedetto XVI, parlando di sé e del mondo di oggi, ricorda il ‘mistero della nostra provvisorietà’ su questa terra, la dipendenza da circostanze e decisioni che non ci appartengono, delle quali a volte non riusciamo a scorgere neppure l’origine e la finalità. E invita a non lasciarsi avvolgere dal pessimismo, dalla tristezza, dalla rabbia ‘che una cultura odierna vuole metterci nel cuore’, mentre tanti ‘avvenimenti negativi, tante cattiverie – propagandati con abbondanza e spesso anche con morbosità dai mezzi di comunicazione - concorrono a disorientarci’.

Vogliamo rispondere seriamente a questo invito.

La trasparenza in politica e nella vita sociale è un valore fondamentale e irrinunciabile. Altrettanto irrinunciabile – ne siamo convinti – è che i cittadini entrino nel discorso pubblico con una informazione consapevole sui grandi temi della vicenda contemporanea dominata dalla crisi; una informazione che sia il più possibile completa e soprattutto corretta. Indignarsi non basta. È urgente che uomini e donne dal cuore puro e sinceramente desiderosi di impegnarsi per il bene di tutti abitino quello ‘spazio’ che rimane a ognuno e a tutti per pensare e capire; per cercare il fondamento di una nuova speranza e re-immaginare un futuro diverso e possibile; per attuare cioè quella ‘rivoluzione morale’ senza la quale nessun cambiamento è concretamente realizzabile. Troppo grandi e complessi sono i problemi oggi perché possano essere risolti solo da “qualcuno” (Stato, Mercato, Noprofit…). Il cambiamento passa obbligatoriamente dal lavorare insieme; dal mischiare i diversi punti di forza allineandoli alle opportunità; dall’immaginare – come qualcuno già sta facendo – vecchi strumenti spesso dannosi, come la finanza, utilizzati in nuovi modi utili; o strumenti asserviti ai poteri forti, come oggi la maggior parte dei media, tornati ad essere anche luoghi di educazione.

Viaggio in un altro mondo possibile
Il vero mistero è nell’ordinario, nella vita quotidiana. Nonostante tutte le cose che ci fanno dubitare sull’esito positivo della storia, vince il bene, vince l’amore e non l’odio. Il senso diffuso  di scoraggiamento e di frustrazione, che colpisce specialmente chi ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, potrebbe però diventare soprattutto nei nostri ragazzi la tentazione pericolosa di cedere a illusioni violente, o l’altra, ugualmente grave, di pensare che vivere rettamente sia inutile. E’  necessario perciò puntare sulle regole e sulle opportunità per i giovani. Nel contesto attuale sono i giovani che possono esprimere la più convincente forma di resistenza e di lotta per un altro mondo possibile. Ma perché intorno non si continui a galleggiare tranquillamente sopra la propria autoreferenzialità magari difesi dal generale malcostume contro chiunque ponga la questione della coerenza, la via per tutti ci sembra essere una sola: studiare, leggere, informarsi, farsi un’idea di ciò che è avvenuto e sta avvenendo, individuarne le cause e cercare di vaccinarsi il più possibile nei confronti degli errori che sono alla base delle difficoltà attuali.

La vita interiore che ognuno riesce a coltivare si gioca tutta e interamente nel qui e ora, nel presente eterno della propria coscienza e nella propria capacità di costruire relazioni autentiche e trasparenti. È la relazione con l’altro infatti il luogo in cui si radicano e sviluppano la vita e la verità. Persuaso che nessuno possiede la verità, il cristiano si rallegra  della parte di verità che gli altri portano in loro e gli rivelano.

Questione morale in Italia
La menzogna che aveva indotto molti a ritenere equivalenti l’economia reale e quella virtuale dei giochi finanziari – scrive Bruno Forte – ha prodotto conseguenze devastanti in Paesi, la cui stabilità era finora ritenuta immune da rischi. Così i signori del denaro e dell’alta finanza (e cioè le nuove oligarchie economiche!) spadroneggiano in Europa e nel mondo. E tutte le “terapie ultraliberiste” intraprese finora per affrontare il problema non hanno risolto, ma caso mai provocato la crisi. Ma è davvero realistico aspettarsi che il capitalismo – il quale privilegia competizione, individualismo e dominio dei forti sui deboli – offra reali opzioni di vita? I governi europei hanno preteso e pretendono sacrifici sempre maggiori dai lavoratori e nello stesso tempo temono addirittura il rischio di un crollo “catastrofico” dell’euro. Ma ha senso la minaccia di un default per i proletari, o per i lavoratori precari a vita, che non hanno nulla da perdere? Nella sua radice più profonda, in verità, la crisi è di ordine morale. Egoismi e cecità colpevoli hanno permesso che alcuni si avvantaggiassero a scapito di molti altri, i più deboli. E l’Italia, nonostante la vivacità del suo tessuto imprenditoriale e manifatturiero e la qualità dei suoi lavoratori, non è stata meno colpita dalla tempesta etica ed economica che ha investito il ‘villaggio globale’.  

Come vincere l’ingiustizia dominante?
Il problema è che, sociale o religioso che sia, il potere non può essere ricercato o accettato che per servire e non per il prestigio o per i vantaggi tangibili che l’accompagnano. Non è la scarsità di beni che ha creato l’ineguaglianza e l’ingiustizia. Costruire una società più giusta e più fraterna richiede un atteggiamento risolutamente combattivo sul piano sociale. Sopprimere la sete di ricchezza e di potere inoltre certamente comporta una profonda conversione interiore, chiamata a tradursi nell’adesione a un’etica della misura se non della frugalità; ad esigere una solidarietà effettiva con gli esclusi. In tutto è necessario un ritorno senza riserve all’umano e alle urgenze dell’umanità.

Il bene è più forte del male
Alla nostra Italia ora più che mai occorre stima reciproca tra persone oneste e competenti. L’autenticità del singolo individuo e nei rapporti interpersonali è valore da promuovere perché solo su di esso si può costruire qualcosa sul piano personale e su quello sociale.

Liberarsi dalle maschere e dalle paure, essere se stessi in ogni situazione è possibile perché c’è qualcosa, anzi Qualcuno più forte che veglia sempre su di noi. La comunità cristiana è chiamata a non scandalizzarsi quando scopre anche nel suo seno il tradimento e il peccato: è un’esperienza che Gesù stesso ha vissuto e che ha previsto per la sua Chiesa amata. Nello stesso tempo però è invitata a non cullarsi nella falsa sicurezza e a non presumere di sé: il peccato è sempre possibile ed è male fidarsi delle proprie forze.

In una generale perdita di autenticità e di trasparenza nei rapporti interumani a tutti i livelli che contraddistingue questo nostro tempo, l’aiuto di Dio, cercato attraverso la preghiera e sperimentato nell’esercizio dell’amore al prossimo, è la grande forza di cui tutti abbiamo bisogno per un nuovo inizio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Fra libertà e solitudine

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giu 18 2012

Comprendere la propria solitudine è strada sicura per diventare liberi; per capire quello che ci si aspetta dagli altri e dal nostro rapporto con loro; per prendere coscienza del ‘sé più autentico’…Una prospettiva nuova da cui guardare se stessi e ciò che ci circonda.

Creati per la logica dell’incontro…
Il mistero circonda e quasi opprime la vita. Ci affascina e insieme ci angoscia. In mezzo a un mondo che continuamente e forsennatamente si muove, siamo alla ricerca di un punto fermo dentro di noi su cui appoggiarci e stare fermi come la casa costruita sulla roccia.

“Come rispondere con sapienza evangelica alle domande poste oggi dall’inquietudine del cuore umano?” (Vita Consecrata 81). Ce lo chiediamo drammaticamente di fronte a chi pensa di poter esprimere la propria libertà facendo l’iconoclasta, o addirittura azionando bombe davanti a una scuola con volontà ‘stragista’. Ce lo chiediamo con angoscia quando ci lasciamo raggiungere dalle notizie, per esempio, provenienti dai CIE che sono in Italia – quei centri di identificazione ed espulsione prima denominati centri di permanenza temporanea – dove fra suicidi, risse, fughe e sofferenze infinite, gli stessi agenti denunciano: ‘siamo allo stremo’. Ce lo chiediamo più semplicemente (per non soffermarci ancora a citare i fatti tragici che segnano l’attualità) nel nostro quotidiano più ‘normale’ e banale, ma non per questo percepito a volte come poco faticoso… Forse la sensazione di vivere insieme senza “essere” insieme è oggi la più terribile solitudine. Facilmente dipendiamo dal controllo degli altri o – all’opposto – dal controllo sugli altri, lasciandoci dominare forse dall’illusione di essere ‘tutto’ per qualcuno. Altrettanto facilmente confondiamo i rapporti autentici – dentro i quali trovano sviluppo sentimenti veri – con i rapporti ‘falsi’ nei quali ci si confronta solo attraverso ‘maschere’ sociali e meccanismi di difesa, per vivere da estranei e soli anche se “insieme”. In un rapporto di qualità debole – ci domandiamo – se e quando è possibile essere sicuri di agire con libertà, con quella libertà di ‘essere ciò che si è’, o, più realisticamente, con ‘ciò che si pensa di essere’?

…e chiamati ad incontrarci per quello che siamo
Il punto è che la responsabilità di ogni scelta rimane – sempre, comunque e per ogni persona – connessa al rischio di sbagliare. La fatica della ricerca non può perciò essere risparmiata a nessuno. O per lo meno: non può esserlo se si vuole rimanere fedeli alla natura dell’uomo che ha un profondo bisogno di capirsi, di conoscere chi è e come è fatto; non può esserlo se davvero si cerca di porsi con sapienza evangelica di fronte alla realtà che ci è affidata. Se non smettiamo mai di ‘correre’ ed evitiamo di guardarci dentro, forse – come già sosteneva Pascal – lo facciamo proprio nella vana speranza di sfuggire a un incontro faccia a faccia con la nostra condizione umana e anche con la nostra totale irrilevanza di fronte all’infinito dell’universo. Evitare di pensare però rafforza solo l’ansia, certo non l’allontana. Il problema allora è riuscire ad essere fedeli a ciò che nel cuore dell’uomo risuona come più genuinamente umano, perché solo questo permette di crescere nel diventare liberi, credenti e fedeli all’Eterno.

Prendere le misure della propria solitudine…
La solitudine è parola cardine sulla quale gira tutta la problematica dei rapporti umani contemporanei: un malessere molto «democratico», che non risparmia nessun gruppo sociale e nessuna età. I più semplicemente cercano di annullarla nel quotidiano negandola in diversi modi: tenendo il cellulare sempre a portata di …orecchio; vivendo con la televisione perennemente accesa; inventandosi una vita virtuale con il chattare continuamente in internet… Leggerla in sé con coraggio e decifrare le sofferenze che ci provoca può aiutare a capire ciò che davvero si desidera o ci si aspetta dagli altri. Può offrire una prospettiva nuova per guardare alla realtà intorno.

In questo cammino per incontrare se stessi, diventare liberi e stare meglio con gli altri, due forse sono le insidie più pericolose, che alienano la persona dall’umano autentico e da cui perciò è necessario imparare a mantenere la giusta distanza:

- l’istinto, che è in tutti, a cercare l’approvazione e la rassicurazione di qualcuno come fosse garanzia che ciò che si fa o si dice è giusto, mentre è solo un abdicare infantile alla responsabilità delle proprie azioni.

- la pretesa di affrettare la realizzazione di se stessi e il compimento di ciò che si è, che invece non dipende dai nostri sforzi, ma rimane puro dono che ci viene secondo i ritmi e i tempi del Donatore. A noi è dato solo di attenderlo e accoglierlo.

…e conoscerla per conoscersi
Mai come nella nostra epoca la persona ha preso coscienza della propria solitudine come incapacità di comunicare con gli altri. Eppure l’importanza di riconoscerla in sé e di esserne consapevole per stare bene con se stessi e con gli altri è quasi sempre sottovalutata. La solitudine in realtà è ciò che permette a ognuno di essere diverso dagli altri. Negarla è come negare se stessi e tentare di fuggirla conduce ad una profonda alienazione che a volte porta a situazioni-limite e drammatiche come la droga, la prostituzione, l’eutanasia, la depressione…

La conoscenza dei propri punti di forza invece e soprattutto la scoperta che una Sapienza amorosa ci abita rimettono in ‘viaggio’ la persona. Ed è finalmente un nuovo, stupendo inizio: la possibilità di scoprire il gusto del silenzio e la gioia di una solitudine positiva e costruttiva; il desiderio e la capacità di fare i conti con i propri limiti e debolezze. È aprirsi a quella preziosa esperienza di colloquio interiore, da cui emergono nella persona gli stati d’animo più profondi - a volte malinconici o ansiosi – ma che permettono di confrontarsi con i propri segreti, con i ricordi che si vorrebbero cancellare e che invece ritornano, con la qualità delle relazioni instaurate nel tempo con gli altri. È insomma la possibilità di rimettere ordine nelle emozioni senza lasciarsene travolgere.

Il bello è diventare liberi
Siamo capaci di essere liberi e di amare. Solo dobbiamo scoprirlo aderendo alla vita buona e giusta, approdando al porto dell’amore e ricominciando in ogni caso ad amare di più, ad amare meglio. Siamo stati creati per la logica dell’incontro…non ha senso rassegnarsi ad una società fondata sulla ricerca del successo ad ogni costo, della sessualità senza l’ideale dell’amore, della sopraffazione e dell’efficienza di fronte all’altro considerato come concorrente, antagonista, straniero.

Con la certezza nel cuore che “non c’è grido umano che non sia ascoltato da Dio” (Ben. XVI); che Lui è e rimane lì dove noi siamo, costi quel che costi; allora tutto ritrova il calore di un senso e in ogni situazione, provocata o solo subita dall’uomo, possiamo riconoscere che ancheil silenzio di Dio è lo spazio della nostra libertà” .

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

LETTERA APERTA

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giu 08 2012

Comunità Rut

Spazio di accoglienza

per una cultura di giustizia e di pace

 

                                                                    Al Presidente della Repubblica

                                                                            Giorgio NAPOLITANO

                                                         Al  Presidente del Consiglio dei Ministri  

                                                                                   Mario MONTI

 

 Cari Presidenti, 

non sono nuova, insieme alle mie consorelle, a dare voce a quanto vibra dentro il mio e nostro cuore attraverso la modalità di una Lettera aperta che per noi, come cittadine  e religiose, assume un significato di sincera partecipazione e di vera democrazia.

Viviamo in uno scenario “triste e oscuro”, usando le parole del Santo Padre, Benedetto XVI; un tempo di grave crisi che sta soffocando le speranze nel cuore di troppi giovani, che sta calpestando diritti e dignità nella vita di tante persone, di tante famiglie, di tanti bambini, di anziani e in particolare di tutte quelle realtà che avrebbero necessariamente bisogno di un sostegno e di una vicinanza per continuare a vivere con dignità.  

Ma guai a noi vivere questo triste e oscuro tempo in maniera passiva, da rassegnati e tanto meno nell’indifferenza o ancor peggio lasciandoci vincere da imperanti e devastanti egoismi che rischiano di alimentare forme deprecabili di aggressività e di violenza.

Guai a noi se in questo tempo non sappiamo esserci e lasciare la nostra impronta che porta con sé i lineamenti della giustizia, i calli della vita e il vigore della speranza.

Oggi, all’indomani della grande festa di Pentecoste, una Parola ha squarciato il mio cuore: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio… ma nulla è impossibile a Dio” (Mc 10, 17 ss.).  Parole queste, dette da Gesù a un giovane ricco, impeccabile nell’osservanza religiosa e nell’obbedienza alla legge. “Quanto è difficile….”

Spontanea in me la trasposizione di quel “quanto è difficile…” a quella ‘innumerevole’ schiera  di persone che hanno oggi ruoli istituzionali di potere, a vari livelli, che garantiscono loro ricchezze e privilegi, e questo non per sollevare unicamente critiche, né per decretare giudizi o condanne, ma perché sento unicamente la forza di verità in quella Parola di Gesù.

Cari Presidenti, grazie all’attività di Casa Rut (accoglienza di giovani donne migranti, spesso con figli, vittime di tratta) e al nostro servizio svolto con sempre rinnovata passione, ho la possibilità di girare l’Italia per incontri, convegni, tavole rotonde e di incontrare così studenti, giovani, cittadini, associazioni, religiose e religiosi e in tutti colgo un grande disagio e una viva sofferenza, ma spesso anche una palpitante rabbia nei confronti di queste persone, sempre troppe, che si sono arricchite e che continuano ad arricchirsi in nome di un servizio svolto per il bene della collettività.  E non vogliamo qui giudicare lo stile e la qualità del servizio da loro svolto e ‘non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio’, anche se è sotto gli occhi di tutti che il più delle volte è un servizio ripiegato a coltivare unicamente gli interessi personali. Di fronte a questo grande senso collettivo di smarrimento e di indignazione diventano allora inaccettabili, vergognose e offensive nei riguardi della moltitudine di cittadine e cittadini e in particolare dei più disagiati, certi stipendi, certe indennità, certe pensioni e i loro tanti privilegi.  

Cari Presidenti, se non si trova il coraggio di tagliare con decisone quei stipendi e altro, se non si ha l’ardire di fare una rigorosa pulizia di certi privilegi che si diramano come le catene di S. Antonio, se non si osa anche la restituzione di beni e di ricchezze accumulate ingiustamente (come si fa per i beni confiscati alle mafie), difficilmente l’azione di Governo, pur encomiabile nel suo sforzo e impegno, diventa credibile e capace di dare nuovo senso e vigore all’unità nazionale unica strada percorribile per dare, oggi, risultati positivi. Solo insieme, nella giusta solidarietà, si può attraversare questo tempo “triste e oscuro”.

Cari Presidenti osate la giustizia, perché non c’è vera giustizia se si ‘divide la torta amara dei sacrifici, in parti uguali tra diseguali’ (don Milani). Chi oggi ha ricchezze e beni, spesso non per suo merito, ha il grave e responsabile dovere di contribuire largamente e secondo giustizia al risanamento e al rilancio del nostro Paese.  “Ma quanto è difficile… “

La solidarietà, la ricerca e l’amore al bene comune e la giustizia vanno osate, organizzate e, quando serve, promulgate in Leggi, anche se queste possono essere scomode. Solo così possiamo trasmettere e consegnare ai giovani una vera testimonianza di unità, di dignità e di vera umanità  che affonda le sue radici e riceve linfa dai grandi valori, sempre nuovi e attuali, enunciati nella nostra Carta Costituzionale e, per un cristiano, anche e soprattutto nella continua novità che è il Vangelo di Gesù Cristo.

 Il grande S. Agostino diceva che “la speranza ha due bei figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose e il coraggio di intravedere come potrebbero andare”.

Se è così e solo così, cari Presidenti, possiamo e vogliamo essere con voi per osare e dare un volto concreto e di luce alla speranza e ‘insieme aiutare Dio a rendere possibile l’impossibile’.   

E Dio sa quanta sete di speranza c’è oggi in tutti noi e nella nostra Italia, anche a partire dagli  ultimi drammatici avvenimenti accaduti che attendono risposte di vita e non solo promesse.  

Un cordiale saluto.                                                           Suor Rita Giaretta

                                                                                             e sorelle Comunità Rut

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Comunità Rut – Suore Orsoline scm  ∙ Corso Trieste, 192  ∙ 81100 Caserta ∙ Tel/Fax 0823/278078∙  e-mail: rut@orsolinescm.it

Amicizie di ‘plastica’ oggi?

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mag 28 2012

Fra PC, cellulari, messaggini et similia, anche oggi cerchiamo “qualcosa che vada oltre la banalità di quanto si fa, si parla e si vede ogni giorno(J. Ratzinger).

Amicizia e amicizie
Amicizia oggi è un ‘tetto sotto cui ci ripariamo quando si scatena un temporale’. Un po’ poco per il cuore umano. Eppure, secondo il sociologo Bauman, quel ‘tetto’ evoca in noi tutto ciò di cui sentiamo il bisogno. Se ci manca, facciamo fatica a ritrovarci fiduciosi, tranquilli, sicuri di noi. Ma davvero oggi quell’amicizia, che Agostino definiva ‘il dolce nodo’, è solo fare esperienza di un ‘tetto’, un rifugio? Certamente essa è ben più di un sentimento, di una simpatia. Lo testimonia il fatto che possiamo dire di trarre le soddisfazioni più durature, non dal lavoro o dal successo, ma dalla vita di relazione e dalle persone che abbiamo amato e ci hanno amato.

Inquieti cercatori …
Fare amicizia sembra diventato oggi molto facile. Con un clic raggiungi centinaia di nuovi amici. Basta uno ‘schermo’ per ‘chattare’ e si può ‘comunicare’ anche con persone che non si sono mai viste e che forse non si conosceranno mai. Lo si può fare quando ci si sente tristi, senza nemmeno il bisogno di uscire e di incontrarsi per ‘parlare’. ‘Chattare’ in fondo non richiede di dire ciò che realmente si pensa e si sente. Conseguenza inevitabile è che le parole usate come per gioco facciano nascere ‘amicizie’ che sono solo di ‘plastica’. Così sotto il segno di presenze amiche fragili, tra difficoltà economiche e la speranza di essere ascoltati, molti rimangono schiacciati dalla sensazione di inutilità della propria vita o dalla vergogna di una sconfitta. La lista dei suicidi per ‘crisi’, che tragicamente ogni giorno si allunga, lo conferma!

In Italia inoltre il termine ‘amicizia’ ha assunto addirittura un significato negativo, di privilegio e raccomandazione: il mezzo per passare davanti agli altri nella ricerca di un posto di lavoro, o per fare carriera eludendo criteri di merito e norme. Tale si rivela spesso l’‘amicizia’ dei soci in affari, quella dei politici, di chi è arrivista…Dura finché dura l’utile da salvaguardare.

Se si vuole riassumere: la prima impressione che si ricava da tale situazione è di deriva individualistica e catastrofica, da cui scaturisce la ricerca istintiva di un porto sicuro dove riportare paure, incertezze e dolori.

Così arriviamo a chiederci se l’Amicizia non sia diventata davvero una sopravvivenza del passato. In fondo un tempo nelle famiglie – che avevano meno ma erano più numerose – si imparava a convivere e condividere. E si faceva più vita sociale. 

…con il cuore nella speranza
L’esperienza ci dice che essere Amici è pace interiore, infinita, stabile; gioia profonda di chi sa di essere amato e chiamato ad amare; parola umana dell’Amore di Dio, l’unico gratuito, totale e incondizionato. Essere Amici è custodire l’Amore, del quale non si può pensare nulla di più grande nella vita; è rinnovarsi ogni giorno per rimanere in quell’Amore e tradurlo nella costruzione concreta e quotidiana dei propri rapporti; è ‘spendere’ l’Amore ricevuto non come uno che deve conquistare qualcosa o ingraziarsi qualcuno, ma appunto come persona amata…

L’iniziativa delle Olimpiadi dell’Amicizia 2012, promossa dall’Unicef e dalla provincia di Lecce, è uno dei numerosi segnali positivi presenti e attivi nel nostro tempo. Ha coinvolto, anche quest’anno nel corso di diverse settimane, studenti di scuola elementare e media inferiore provenienti da 38 Comuni del Salento. Si concluderà il 5 giugno. L’obiettivo: promuovere sani momenti di partecipazione attiva e creativa, alimentando in ogni partecipante il sentimento dell’amicizia. Un grande gioco che incarna il sogno di quell’Amicizia sicura che è nel cuore di tutti. Scuola e Famiglie, insieme, cercano di aiutare i più piccoli a costruirla.

Qualcosa non quadra fra gli amici di oggi?
Forse la gente soprattutto oggi non sa più stare da sola, e allora cerca gli altri per la necessità di colmare la propria solitudine, che invece richiede di essere affrontata e consapevolizzata. Avviene così che quelli che spesso per brevità definiamo amici, altro non sono che “compagni di viaggio”: vicini, colleghi, conoscenti, persone che riteniamo simpatiche… Sappiamo che cosa pensano e i problemi che hanno, ma non raccontiamo loro le nostre ansie più segrete. Se però non ci accontentiamo di mezze misure o di brutte copie dell’Amicizia, allora avvertiamo l’esigenza di ripartire ogni giorno dal darci da fare prima dentro noi stessi! Come in tutte le cose del resto! Impareremo così a verificare, per esempio, con chi e quando quello che diciamo corrisponde realmente a ciò che pensiamo e sentiamo. E non sarà difficile allora comprendere se ci stiamo solo illudendo di essere e di avere amici.   

Tacere e ingoiare ciò che non si tollera, per esempio, può illudere l’altro sulla propria comprensione, ma esprime un egoismo che il più delle volte nasce proprio dalla voglia di superarlo e di sentirsi migliore di lui. I peggiori “amici” a volte sono, purtroppo, anche i migliori attori.

Il cammino lento dell’Amicizia
L’amicizia autentica non diventa se stessa con una rivelazione unica iniziale, ma attraverso una serie di incontri e di approfondimenti successivi. Può essere piccola, solo un moto dell’animo, oppure grande, grandissima. Sempre però muove verso il di più.

Gli amici si cercano per stare bene insieme, perché sanno ascoltare e non solo sentire ciò che racconti. A volte riescono perfino a sentire quello che non dici; vedono i tuoi errori e ti avvertono. Soffrono con te se hai un problema; non ti aiutano a essere un altro, ma solo a rimanere te stesso. Simpatizzano con il tuo successo e condividono in qualche modo l’immagine che hai di te o, perlomeno, non se ne allontanano troppo. Certo non ti adulano.

Un proverbio arabo recita: “Non è tuo amico chi non ti fa mai versare lacrime, ma chi, dopo averle provocate, si siede sulla sabbia con te e impiega il suo tempo ad asciugarle”.

Il Signore Gesù poi chiede ai suoi discepoli di non limitare simpatia e benevolenza agli amici “veri”. E non consiglia certo di fare l’esame del sangue a coloro con i quali desideriamo fraternizzare, perché ci vuole fratelli “tutti” e non amici “pochi”. 

La terra è bella perché ci sono persone che sanno fidarsi l’una dell’altra. Conoscono che la storia è fatta di cose piccole e spendono energie per inventare spazi nuovi là dove incontrarsi davvero. Hanno il gusto di camminare e di stare insieme. Sentono i profondi dettagli che fanno crescere, e riescono ad offrire spazio di comunione a chiunque intorno si senta in qualche modo in margine o abbandonato.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it 

Problemi dell’educazione in una società che sembra volerli ignorare

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mag 18 2012

Alcune sfide intorno a cui si gioca oggi la partita scolastica e le qualità umane necessarie per un’educazione autentica, “in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone”

Da tempo in Italia si è scelto di non investire più sulla scuola, quasi fosse un ambito di scarsa importanza. Diminuiscono le risorse e aumentano i problemi e le sfide da affrontare. L’abbandono scolastico cresce, il sostegno agli alunni portatori di handicap diminuisce insieme alle compresenze orarie dei docenti. Gli effetti dei continui tagli a tutto il personale risultano pesanti nell’organizzazione delle classi. Le riforme degli ultimi anni si rivelano semplici tentativi di restaurazione economica che mira più al risparmio che alla qualità. A pagare sono i ragazzi, i disabili, gli stranieri, le fasce più deboli… la qualità, insomma, della Scuola.

E dentro la scuola i suoi protagonisti ‘come’ stanno?
-         I ragazzi, sempre meno disposti a fare fatica per nulla, anche se non ne sono consapevoli, stanno male: tendono ad adeguarsi o a ritirarsi nella speranza di proteggersi; a volte si lanciano in forme di comportamento violento, ‘cercano i divertimenti perché non sanno gioire’ (Galimberti). Hanno bisogno di imparare a fare domande e di una Scuola che lo insegni.

-         Gli insegnanti/educatori, mortificati da un ruolo socialmente svalutato e da stipendi inadeguati e incongrui, spesso faticano in classe per opporre alla noia del facile la passione del difficile, per trovare parole convincenti da dire e soprattutto esempi da offrire.

-         I genitori, per formazione, per stanchezza, a volte per senso di colpa appaiono incapaci di interpretare con disinvoltura le regole della disciplina e del rigore. Spesso distratti e stanchi (soprattutto – loro malgrado – le mamme) dal doppio impegno dentro e fuori casa.

-         I Dirigenti scolastici si danno da fare, ma raramente sono in grado di orientare con autorevolezza agli obiettivi. Spesso manca loro la necessaria sensibilità di ascolto nei confronti dei bisogni degli utenti e degli operatori, e un profondo rispetto per le emozioni di tutti e di ognuno.

-         Da molte parti (a cominciare dalle indicazioni europee) si dà largo credito ai meccanismi della valutazione e autovalutazione, quasi fossero, di per sé, garanzia per una buona qualità culturale ed educativa della scuola stessa. Vengono moltiplicate e continuamente perfezionate procedure diverse per valutare, spesso con notevole dispendio di energie e di tempo e con frutti decisamente scarsi. Per una buona scuola non basta infatti ‘misurare’.

-         I nostri politici intanto sembrano rimanere a guardare, distratti e indifferenti.

Che cosa assicura la qualità scolastica?
Non certo i fattori strutturali e organizzativi da soli. Determinante è il fattore umano e tutto ciò che ad esso è legato. Le famiglie riconoscono questo come problema prioritario e lo dimostrano quando, preoccupate di scegliere la scuola migliore per i propri figli, abbinano la scelta al giudizio sul corpo docente di una classe o di una scuola. Disposte anche ad essere economicamente penalizzate quando decidono di usufruire dell’offerta formativa della Scuola paritaria, il cui contributo formativo deriva dalla sua specifica identità. Lo Stato, in Italia, nell’attuale situazione di crisi risparmia ben cinque miliardi di euro dal fatto che ci siano scuole paritarie, che gli consentono di utilizzare quelle risorse per la scuola statale. Eppure secondo la Costituzione, ogni cittadino è uguale davanti alla legge e il diritto allo studio è sancito come universale e rivolto a tutti, senza alcuna discriminazione. La scuola paritaria invece, pur facendo un servizio pubblico essendo rivolta a tutti quelli che intendono usufruirne, con gli stessi doveri e diritti di ogni altra scuola, in Italia di fatto è ancora un ‘di più’, un privilegio per pochi eletti.

In primo piano la vita ‘comunitaria’
Educare è, in primo luogo, una questione di rapporti umani. Ma se è così, allora nella nostra società ‘liquida’ educarsi ed educare è sfida possibile? È possibile riattivare climi di appartenenza, di intesa profonda, di condivisione nella scuola, fra scuola e famiglia, fra scuola e società? Quando gli incontri e il ritrovarsi insieme costruiscono davvero vita comunitaria?  

Per esperienza sappiamo che ci si realizza veramente se ci si supera, uscendo da una logica difensiva e narcisistica, e ci si dona a ‘qualcosa’ di più grande. Quando ognuno è accolto con i suoi limiti e anche con le sue capacità, quando si scopre di essere accettati e amati da qualcuno per quello che si è, allora diventa quasi naturale sviluppare una visione condivisa in cui i punti di vista individuali si trasformano in visioni collettive e in cui ciascuno si riconosce almeno in parte. Educare, in fondo, è accompagnare nella crescita chi ci sta a cuore perché possa scoprire che questo è modo umano di vivere.

Relazione educativa e formazione della coscienza
Fine di ogni azione educativa è formare la coscienza: viaggio il più importante della vita, via per addestrarsi – più che a obbedire – ad orientarsi autonomamente e spontaneamente in tutte le situazioni. In vista di tale obiettivo è importante imparare, per poterlo anche insegnare, ad entrare nel punto di vista dell’altro; capire l’approccio che questi ha con la vita e con le singole situazioni prima di giudicare. Immedesimarsi così nel punto di vista dei nostri ragazzi può portare magari a scoprire che questa operazione, oltre che a capire loro, serve a guardare onestamente dentro di noi. Sì, perché oggi noi adulti viviamo la stessa crisi, anche se non sempre la lasciamo trasparire con la stessa immediatezza dei giovani.

Educarsi ed educare insomma è imparare (e insegnare) a valorizzare  – mettendosi di fronte alla storia comunitaria e all’esistenza personale di ognuno – ogni traccia di Verità e di Bene, anche quando è minima, tentando di trattenere la positività che offre. Tutto questo richiede pazienza, costanza, umiltà, rinunzia alle proprie gratificazioni e molte altre ‘cose’… Ma permette di sperimentare l’incontro con la verità e di maturare così un punto di vista personale sulla realtà.

Il clima culturale contemporaneo è ricco di ‘domande inespresse’, di risorse e potenzialità nascoste. Nello scenario di una scuola che apprende ad essere migliore c’è spazio per l’impegno di tutti. E il contributo di tutti ne farà il cuore culturale di ogni comunità. Uomini si diventa anche a scuola e non si finisce mai di imparare ad esserlo.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Dove siamo? Chi siamo?

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mag 07 2012

Il buio della notte si può vincere
In quale ‘casa’ vogliamo abitare? Sfida è la qualità del nostro credere, da cui ci viene la giusta intelligenza di ciò che la vita richiede. E che ci richiede di fare ‘insieme’.

Ritrovare motivazioni forti. Insieme
La crisi è figlia degli errori del passato. Come l’iniqua distribuzione del reddito. Le ombre della miseria si dilatano ormai anche sul così detto Occidente e l’urgenza dei tempi che stiamo vivendo stimola proprio tutti a riconoscerci e muoverci finalmente in un “insieme”, a svolgere ognuno la propria parte guardando con coerenza e fedeltà al tutto. Tale scelta non è altruismo, beneficenza o bontà. È saggezza di vita, perché l’uomo in primo luogo è e rimane “un essere di relazione e non di produzione”. E tutti in qualche misura possiamo testimoniare che l’affanno di possedere fa diventare schiavi delle cose a scapito dei rapporti con le persone e del bene ‘comune’.

Ma questa purtroppo è la situazione del nostro tempo: di decadenza. Che non è l’abbandono dei valori, o la rinuncia a vivere ‘qualcosa’ per cui comunque si pensa che valga la pena di vivere. Più sottilmente decadenza oggi è ciò che priva l’uomo della passione per la verità, gli toglie il gusto di combattere e vivere per ragioni più alte, lo spoglia di ogni motivazione forte. Ci chiediamo: il Vangelo – unica e vera parola di libertà – è tale anche per l’uomo di oggi? Lo può essere, senza la mediazione di qualcuno o di tanti? E il compito dei consacrati – in questo tempo storico – quale sarà? quale potrà essere?…

Intelligenza del concreto  
Crescono gli “scoraggiati”. In Italia quasi tre milioni di inattivi secondo l’Istat: il livello più alto degli  ultimi otto anni, tre volte superiore a quello medio europeo. Alla regione Veneto – per anni considerata un’isola felice dello sviluppo – il triste primato di nove piccoli imprenditori che hanno deciso di togliersi la vita davanti alle crescenti difficoltà persino a ottenere il pagamento di crediti. Rastrellamenti fiscali mettono a dura prova la sopravvivenza dei pensionati e la consistenza dei redditi delle famiglie. Qualcuno definisce il tutto ‘macelleria sociale’. Certo un fiume sempre più pieno di poveri quotidianamente bussa alle porte dei nostri Istituti e case, e chi era già povero si trova ora a competere nella miseria con i nuovi arrivati, in cerca di quell’essenziale per vivere che, per natura, è diritto di tutti. E quando i poveri, immersi nella loro solitaria disperazione, tentano una qualche legittima ribellione e resistenza, capita che maliziosamente siano stoppati dai mass media.

Intanto corruzione e disprezzo delle regole del codice nel nostro Paese sembrano regnare sovrani, addirittura indisturbati. Come pure l’arroganza con cui sempre più spesso se ne esibisce la trasgressione nel vivere civile. Più inquietante ancora è il fatto che le regole sono disprezzate per un semplice, terribile motivo: è molto diffusa fra noi la consapevolezza che la trasgressione non comporta quasi nessuna punizione e non occorrerà mai risarcire niente di niente, né vergognarsi. Così si moltiplica l’abitudine fra gli ‘umani’ a dichiarare giusto ciò che conviene. Sembriamo insomma paurosamente inadeguati alla radicale trasformazione storica che stiamo attraversando e impreparati all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, necessaria per affrontarla. E dire che a inventare il cittadino responsabile siamo stati noi italiani nel Rinascimento!

La politica oggi è invisa. Ma ai partiti per primi e alla classe dirigente spetta apprendere dai propri errori, e non mancare – per indolenza e autoconservazione – l’appuntamento con la verità. Questo perché la corruzione ha radici proprio nelle menti e in memorie striminzite. Lunga è la lista  dei mali occultati e spesso dimenticati. Denunciare e temere l’antipolitica non basta. È necessario comprendere in tempo l’essenziale raccogliendo davvero e con i fatti il messaggio che viene a tutti dalle battaglie dell’Italia migliore (antimafia, anticorruzione). Su questa strada è possibile rigenerarsi, ricostruire le comunità, ricomporre il mondo frantumato e cominciare una nuova Storia.

Un altro modo è possibile
Un altro mondo, e anche un altro modo di vivere, è possibile. Perché sempre è possibile mettersi alla ricerca di stili di vita personali che, cambiando noi stessi, possano cambiare anche il mondo intorno a noi; è possibile impegnarsi a conoscere la realtà non per dominarla e piegarla alle proprie vedute, ma per riconoscere l’altro – ogni ‘altro’ – e dargli parola rispettandone i diritti. Senza ‘insieme’ non c’è crescita e non c’è solidarietà: né economica, né politica, né sociale. E nemmeno affettiva e sentimentale. La stessa economia di mercato è compatibile con intenzioni di solidarietà se è regolata davvero secondo i dettami della Costituzione italiana che, nella forma e nello spirito, sposa il lavoro per tanti piuttosto che la ricchezza per pochi, mira al “pieno sviluppo della persona e all’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori”. Il mercato crolla quando lo si sfrutta mirando solo al proprio tornaconto e lo Stato si impoverisce se non si sta alle regole della solidarietà tributaria. Nell’economia di Dio e nella logica della sua aritmetica – in cui Lui ci chiede di entrare – per moltiplicare è necessario imparare a dividere e condividere. Per questo ci ha consegnato il mondo affidandoci gli uni agli altri, reciprocamente.

Qualità del nostro credere in un mondo di cui Dio – nonostante tutto – non si è pentito…

Per muoverci in tale direzione il Padre ci chiede l’ascolto credente della Sua Parola incarnata e rivelata nel Figlio. Ascolto credente possibile solo nella fedeltà alle domande vere di questo nostro mondo e all’uomo reale, al quale Cristo Gesù si è fatto fedele fino all’abisso della croce. Sconvolgente questo Dio che si fa uomo, si incarna; che non è rifugio dalla crisi (qualunque crisi!), e neppure alternativa al naufragio. Ma lungo la strada della passione per il Vangelo invita tutti a esplorare se stessi per provare la meraviglia di essere stati creati e amati da Dio: esperienza che apre la strada a risposte coraggiose nel tempo.

…è il ‘farsi poveri’ per costruire il Regno
La povertà materiale, il farsi evangelicamente poveri consente poi di scoprire che non abbiamo null’altro da dare che noi stessi: il mio tempo, la mia presenza, il mio sguardo, i gesti della mia vita… Consente di essere come i veri poveri: “feriti dalla ferita degli altri”. E si conosce l’audacia del percorrere vie nuove, che conducono a ritrovare se stessi e la propria dignità; a farsi lucidi interpreti del presente in forza della Parola che ci è stata consegnata. Diventare capaci di dire la fede dentro e fuori la Chiesa e perciò audaci costruttori del futuro. Liberi finalmente e aperti al soffio dello Spirito, ci si muove davvero verso orizzonti nuovi. Il proprio cammino nella storia diventa così un segno del Regno…Ed è la meraviglia della Verità nella povertà: il Signore è l’unica ricchezza che vale davvero, l’unico assoluto amore, l’unico progetto che conta.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it 

 

Famiglia: un ‘noi in relazione’

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apr 23 2012

Progettarsi e realizzarsi come un ‘noi in relazione’ oggi è più difficile che mai. Ma l’amore -come tutte le cose – si rivela davvero alla coscienza in tutto il suo valore solo quando va in malora e provoca frustrazione. La saggezza che se ne può acquisire…

Amore oggi: sentimento liquido…,
La storia genera sempre interrogativi in chi sa ascoltare e offre temi su cui riflettere e decidere. Un semplice dato: le coppie – che in Italia oggi mantengono e rinnovano il loro progetto di vita in comune, puntano sulla stabilità e sui figli e sentono il valore sociale della famiglia – si restringono di numero. La coppia postmoderna, invece – liquida, fragile, destrutturata, riflesso di una cultura frammentata che non sa diventare “noi”- si moltiplica ed è sfida per la stessa famiglia. Le famiglie si privatizzano sempre di più e vedono diminuire il loro valore pubblico, sociale e istituzionale.

accompagnato da ‘emergenza omicidi di relazione’,
Intanto nell’individualismo rampante di oggi, le relazioni vacillano continuamente tra un dolce sogno e un orribile incubo quando esse vanno in malora e tradiscono le aspettative. Gli ultimi dati parlano addirittura di omicidi in aumento tra le mura di casa, specie in Italia. Quarantasei donne uccise dall’inizio dell’anno, vittime dell’uomo che avevano accanto. E’ il numero che spicca, il dato che inquieta. E, secondo l’Eurispes, continuerà a crescere nei prossimi anni. Eppure la strage passa più o meno sotto silenzio… quasi ci si stesse abituando ad assistere a tali fatti di cronaca, o forse perché ci si lascia dominare da un senso di impotenza. Il vero problema (ma questo è di tutti i tempi!) è che senza umiltà e coraggio non c’è amore; e perversione è già il voler cambiare gli altri intorno a noi, l’avere opinioni nette e precise su come fare le cose e su come dovrebbero essere gli altri…

In sintesi: per tutti certamente progettarsi come un noi in relazione è oggi più difficile che mai.

…o pietra angolare?
Certo il vangelo illumina, indica direzioni: non dà risposte prefabbricate. E nemmeno la legge basta. Per fermare l’attuale terribile escalation di individualismo narcisistico e violento serve una nuova cultura, una rivoluzione socio-culturale. Per questo sono necessari più che mai testimoni credibili.

Il fallimento di una relazione (in una coppia, ma anche in una qualsiasi vita comunitaria) in realtà è quasi sempre un fallimento nella comunicazione del proprio disagio all’altro. La rabbia, la lamentela, l’esasperazione, il rimprovero, infatti, non sono un “parlare” serenamente e coscientemente di tutto quello che non va nella vita insieme, ma solo il sintomo di una tensione crescente. Spesso poi si cade nell’errore di porre tanto impegno nella relazione, tante energie per influenzare il proprio partner e costringerlo a cambiare il suo atteggiamento nei propri confronti… Ma ‘delitto’ sono già la violenza psicologica, le minacce, i ricatti.

‘Sbandamenti umani’ della famiglia (Benedetto XVI)
Per parlarci chiaro: le tensioni familiari esistono, perché dove c’è una relazione o una comunione di vita è quasi impossibile azzerare i conflitti, che sono una parte naturale di qualunque relazione basata sul confronto aperto tra due diverse mentalità, visioni del mondo o modi di sentire.

Ma non si ammazza il coniuge da un giorno all’altro, non si massacra in un’esplosione di follia improvvisa.

Il delitto insomma è solo la fase finale di un percorso fatto di silenzi, risentimenti anche pesanti, gelosie e quant’altro. Mentre l’affetto non si acquista, non si elemosina, non si pretende. Può solo essere donato….Anzi se pretendo di amare e di farmi amare, alla fine odio e semplicemente mi faccio odiare.

 Su questa linea allora può essere utile chiedere a se stessi:
Dove sto cercando le mie soddisfazioni, le mie gioie? Quanto e come mi spendo perché si realizzi  la comunione nella mia famiglia, nella mia comunità? So ascoltare il mio interlocutore e sottolineare tutto ciò con cui sono d’accordo, anche per stimolarlo a fare altrettanto? So riconoscere i miei errori, scusarmene, evitare di difendere errori passati per permettere al mio interlocutore di vedere la sua situazione da un nuovo punto di vista? So inserire nel dialogo formule come “forse non è colpa tua”?...

In realtà è solo incominciando ad amare per primi, che troviamo consistenza personale e decidiamo davvero di noi stessi. Se poi riusciamo ad amare in perdita, allora guadagniamo almeno la certezza di amare e questo è sufficiente per sentirsi liberi e forti

Si può ‘guarire’
La fine di un rapporto rappresenta per molti un lutto di difficile sopportazione ed elaborazione perché coincide con un senso di fallimento interiore e di ingiustizia subita. Ma vivere il proprio “amore” in maniera troppo intensa e con l’ansia di non essere corrisposti, non è compatibile con l’amore autentico, perché fin dall’inizio tende solo a colmare i propri bisogni e carenze. Certo si può guarire da tale amore ‘patologico’, ma solo se si prende coscienza del problema e si ha il coraggio di condividere i propri vissuti ed esperienze.

Secondo John Gottman c’è un sistema aritmetico molto efficace per riconoscere le coppie destinate al naufragio. Se nei primi dieci anni di matrimonio, su cento commenti a proposito del partner, meno di cinque sono negativi, la coppia è destinata alla stabilità. Se invece i commenti negativi sono più di dieci, l’unione è destinata a finire in tempi tanto più ravvicinati quanto crescono i numeri. Non potrebbe, questo criterio, riferirsi anche alla vita comune di una comunità che nasce per testimoniare l’amore totale e incondizionato di Cristo?

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Assemblea Nazionale 2012 – online

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apr 14 2012

»Saluto di M. Viviana Ballarin

»Sintesi di M. Giuseppina Alberghina

»Saluto al Card. Joao Braz

»Relazione di Mario Aldegani

»Relazione di Grazia Papola

»Relazione finale di L. Prezzi

»Conclusione di M. Viviana Ballarin

» Audio mp3:  Grazia Papola Cettina Militello Marco Guzzi Canto

»Foto