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Nel dopo ‘vacanze’ più pronti per ricominciare insieme?

Senza categoria | Posted by usmionline
ago 18 2010

Non si diventa “uomini completi” da soli,
ma unicamente assieme agli altri…
(D. Bonhoeffer)

Le relazioni che caratterizzano l’epoca in cui viviamo sono divenute tanto fragili e inaffidabili che il grande sociologo Zygmunt Bauman le può paragonare ad una zattera di carta assorbente.

Forse di questo noi stessi abbiamo fatto esperienza anche nei giorni dell’estate che si sta concludendo. Forse in questo tempo qualcuno ha potuto collaborare con la pastorale giovanile in qualche Estate ragazzi, o Campo Scuola, o Grest. Altri saranno stati tra gli animatori di centri per bambini, o per anziani, disabili, profughi. Forse la mia avventura estiva è stata di incarnarmi più a fondo nel mondo dei giovani, di immergermi nelle loro storie per cercarvi il senso, sapendo che da solo l’uomo non può arrivare a coglierlo e che è necessario riaprire la cortina del cielo per trovarlo.

Nei giovani in realtà è forte la voglia di capire se stessi e di trovare una comprensione del proprio destino, del proprio ruolo e importanza. Desiderano infatti percepire qualcosa di più grande di quello che il mondo fa apparire della loro vita.

Forse il nostro compito con i giovani è stato di far emergere in loro le domande di significato che permettono di declinare la fede nella vita concreta. Avremo allora fatto questo amandoli, perché amare in realtà fa cambiare. La sapienza del Vangelo infatti è colorata della vita di chi crede in esso e lo testimonia nell’amore. Risposte facili, preconfezionate e precotte invece non servono.

In tutto questo, anche nel tempo dell’estate quante persone posso dire di avere incontrato, che vivono in sé il disagio di non essere capiti e di non capire?…Coppie che non sanno affrontare nel modo giusto i propri conflitti né gestire quelli con i figli; ragazzi che rifiutano il rapporto con i coetanei perché ne temono il giudizio; giovani che non sanno decidersi a lasciare la propria famiglia di origine per sposarsi; anziani ormai emarginati e tristi nel proprio mondo; adulti sempre più schiacciati dall’incertezza del futuro: tutti disagi sociali e mentali che rivelano una profonda difficoltà a relazionarsi, a comunicare e quindi a gestire il rapporto che lega agli altri.

Dall’orizzonte relazionale l’alba di una “umanità nuova”

Chi, per salvare la propria vita e conseguire quel benessere di cui tutti abbiamo una fame disperata, si affiderebbe ad una zattera di carta assorbente? Cambiamenti sociali e culturali ci incalzano ogni giorno: sono sotto i nostri occhi e spesso non riusciamo a coglierne il senso e la direzione; non riusciamo quindi a gestirli.

Eppure è dalle relazioni e dalla loro qualità che dipende la maturazione della persona, la sua salute mentale e, in definitiva, la sua felicità o disperazione. Certo Dio invita me come tutti a riconoscere le ragioni del disagio di vivere e della mancanza di felicità nella paura di amare che ci portiamo dentro, nel sospetto di non essere amati, nella diffidenza di fronte a ogni atteggiamento di amore gratuito.

Per mettersi in grado di affrontare la realtà e potersi così adattare creativamente ad essa, ad ognuno è necessario riconoscere il materiale di cui è fatta la propria zattera relazionale, per poterlo eventualmente sostituire o rafforzare. Il tempo della ‘vacanza’, in fondo, serve soprattutto a questo.  

Leggerezza di un cammino che continua nella fedeltà

Il compito, che anche a conclusione del tempo di ‘vacanza’ attende comunque ognuno, è di impegnarsi a riconoscere nel proprio cammino le occasioni utili a coltivare in sé la paziente attitudine all’ascolto, la capacità di mettersi nei panni dell’altro, la disponibilità a condividere e ad essere solidali.

In realtà queste sono le competenze che rompono il deserto della solitudine, danno significato e sostegno ai propri passi e in definitiva permettono la produzione di quel bene prezioso e raro che è il bene relazionale.

Con questo bene, forse rafforzato nel tempo delle vacanze, mentre si continua ad elaborare interiormente ciò che si vive di fuori, certamente si è più pronti a tornare al quotidiano senza rischiare di essere intontiti dalla ripetitività, o di essere travolti dai suoi ritmi esasperati; più pronti a passare attraverso avvenimenti e uomini non come il turista, ma restando all’interno della realtà, come il lievito che fa gonfiare la pasta e come il sale che si confonde con gli avvenimenti. E così in ogni momento ad ognuno è possibile riconoscere il Kairòs e dire quell’eccomi che ravviva la quotidianità e le impedisce di diventare professione. Buon ricominciamento, allora, del viaggio insieme!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

«Contro la crisi di vocazioni la suora ‘recluta’ sul blog»

Senza categoria | Posted by usmionline
ago 13 2010

Il ‘caso’, raccontato da La Repubblica e rimbalzato poi su diversi quotidiani: suor Elvira de Witt, nativa di Amsterdam e con un passato da cantante lirica, ha scelto il web come strumento per combattere il costante calo di vocazioni che affligge la Chiesa cattolica, soprattutto in occidente. Ha realizzato un blog che è diventato un vero e proprio punto di riferimento per chi ha dei dubbi sulla possibilità di abbracciare una vita dedicata a Dio. Tante ragazze le scrivono e, fra queste, almeno due ogni anno entrano in convento.

In tutto questo il fatto vero è che, anche in mezzo allo sgomento per gli scandali che conosciamo, la forza sorgiva del messaggio cristiano non si esaurisce. Semplicemente trova nuove strade per aprire spazi di dibattito e di confronto con il mondo tumultuoso di oggi. È sicuramente faticoso situarsi nel nostro mondo e cercare di vivere umanamente, in pienezza, al suo interno. Condividere con tutti questa esperienza, superando la posizione di chi ha tutto da insegnare e nulla da imparare, ha conseguenze radicali sul modo e sullo stile con cui presentare l’annuncio della Buona Notizia.

Il fenomeno più preoccupante dei nostri giorni è la crescente difficoltà a leggere nelle cose e nella nostra vita una parola su di noi, un appello. E questo non perché la realtà abbia cessato di parlare: siamo noi che forse abbiamo perso il codice e la voglia di ascoltare.

La storia ci dice che quando si naviga in acque agitate, sono le donne per prime a conoscere e decidere come entrare in azione. Sr Elvira ha scelto di passare per un lungo ascolto delle persone, fatto di ore e ore davanti al computer.

L’animazione vocazionale passa sul blog

Donna energica e dal sorriso contagioso, comincia con il ridurre la sua distanza dal mondo, riconoscendo con umiltà che la Chiesa non è al di fuori o sopra, ma dentro la società. Si pone così in ascolto delle ragazze che le scrivono per conoscerle nelle loro ricchezze e contraddizioni. Molto spesso si tratta di giovani che non hanno alcun punto di riferimento familiare. Fragili, con una adolescenza più lunga rispetto a quella delle altre generazioni, hanno bisogno di essere accompagnate per acquisire la chiara identità di sé. Ad ognuna sr Elvira offre l’opportunità e i criteri per esprimere e leggere le domande profonde che ogni persona si porta nel cuore. Poi, attraverso un cammino di discernimento sulla propria vita, le invita ad aderire a un’esperienza che dà senso all’esistenza: aprirsi alla Parola e all’esperienza di Dio. Si fa sempre più fatica oggi a percepire la parola che è il nostro corpo, mentre la prima ed ultima parola su di esso si presume di trovarla nelle creme e nelle pillole, nelle palestre e nel bisturi, nel silicone e nei chips. Si finisce così per pensare che il senso sia sempre e solo prodotto da noi.

La caratteristica principale della vocazione invece è di irrompere nella vita di una persona da fuori: non è produzione propria, ma grazia. Non una parola che pronunciamo noi, ma parola pronunciata su di noi, che si può quindi solo ricevere in dono. E’ un appello che chiede risposta.

L’uomo contemporaneo cerca la vocazione perduta

Un convegno internazionale riservato alle religiose ha riunito a Roma, dal 19 al 24 luglio 2010, nell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, religiose provenienti da ogni parte del mondo per studiare le caratteristiche che deve avere un’animatrice vocazionale dei nostri giorni: una settimana di preghiera, ascolto, dialogo e condivisione di esperienze internazionali. Tra i temi trattati nel corso: Internet al convento; promotori vocazionali tra i cosmetici e i pub; qualità essenziali dell’animatrice vocazionale; capire la ragazza dei nostri giorni; ridare la speranza; natura, finalità e ostacoli nella pastorale vocazionale; la direzione spirituale; i sacramenti e la preghiera. Suor Elvira vi ha tenuto una lezione per raccontare l’esperienza che lei fa e che nasce a colpi di clic.

 ”La proposta di organizzare un Incontro internazionale di animazione vocazionale – spiegano gli organizzatori – nasce dal grande senso di fiducia che abbiamo in Dio. E’ Lui il padrone della messe. Tuttavia è necessario pregare e lavorare bene. L’opera della pastorale vocazionale dev’essere svolta dalle congregazioni religiose con cura minuziosa, in particolare nelle situazioni odierne, in cui lo scoraggiamento ha fatto strada e la sfiducia ha sostituito la speranza. Si deve soltanto avere fiducia nel padrone della messe e, quindi, alzare lo sguardo, poiché il campo è già pronto per la mietitura”.

Il primo fondamentale servizio della vita religiosa rimane, comunque, quello della testimonianza. I veri testimoni non hanno bisogno di esortare; essi non hanno che da esistere: la loro esistenza è un richiamo. Non ci si fa religiosi per “fare qualcosa”, ma principalmente per essere, con la propria vita, testimoni dell’eternità e cooperare con la propria santità a una incarnazione sempre più profonda della grazia divina nel mondo.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

MISSIONARI/E E IMMIGRATI: NON POSSIAMO TACERE

Comunicazioni Sociali, Senza categoria | Posted by usmionline
lug 14 2010

Il documento del CIMI (Istituti Missionari e Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato) che segue è un lungo e analitico atto di accusa contro lo sfruttamento dei nuovi poveri. Nello stesso tempo è un’assunzione di responsabilità da parte dei missionari, i quali dichiarano apertamente di stare dalla parte degli immigrati, mentre affermano anche che oggi è insufficiente fermarsi alla denuncia. La CIMI inoltre sollecita la Commissione episcopale a redigere un documento che, oltre la denuncia della deriva culturale rispetto al tema migratorio, offra gli opportuni orientamenti alle comunità cristiane.

Il documento è da leggere e da studiare attentamente per lasciarsene illuminare nelle scelte concrete.

 

Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI)

Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato della CIMI

missionari/e e immigrati

NON POSSIAMO TACERE

Firenze, 30 giugno 2010

 “Oggi la forma di povertà più vistosa e drammatica in Italia – ha scritto il coraggioso vescovo emerito di Caserta, R. Nogaro – è quella degli immigrati e dei rom. In nome di una fantomatica ‘sicurezza sociale’ si sta costruendo, soprattutto nel nostro paese, la fabbrica della paura verso tutto ciò che può ledere la tranquillità del cittadino. Per questa prospettiva inquietante l’incriminato di dovere è l’immigrato ed è il rom, considerati quasi naturalmente soggetti di reato.”

In poche lapidarie parole Mons. Nogaro, che ben conosce i problemi degli immigrati di Caserta e di Castelvolturno, ci ha messo davanti agli occhi il dramma di questi fratelli e sorelle immigrati nel nostro paese.

Il contesto europeo

Viviamo nell’epoca della più grande mobilità della storia conosciuta. Oltre 214 milioni di migranti internazionali, vi sono circa 740 milioni di sfollati, in parte sfollati interni. Ciò significa che una persona su sette nel mondo è un migrante (Peter Schatzer, Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cura Pastorale dei Migranti, Roma, maggio 2010).

Nei 27 Paesi dell’UE si calcolano 24 milioni di migranti, per la più parte provenienti dagli stessi Paesi dell’Unione. Secondo valutazioni recenti i migranti ‘irregolari’ sarebbero fra i 4.5 e gli 8 milioni, con un aumento stimato fra i 350 e i 500 mila all’anno.

Di fatto, l’Europa,sentendosi ‘fortezza’ assediata, affronta sulla difensiva il fenomeno della mobilità. La ‘governance’ delle migrazioni e la lotta contro l’immigrazione irregolare sono prospettate come la soluzione principale per dare sicurezza alle società europee, inserendo il controllo dell’immigrazione nell’ottica della lotta al terrorismo…viene, così, proposta e ribadita la trilogia inaccettabile: ‘immigrazione – criminalità e terrorismo – insicurezza’. Per tale ragione, la politica migratoria dell’Europa afferma la chiusura delle frontiere alle persone, ma la libertà di circolazione alle informazioni, ai beni ed ai capitali. Si va diffondendo un atteggiamento politico di rifiuto degli immigrati, mentre le economie continuano a richiederne l’assunzione. Probabilmente vedremo presto calare nuove cortine di ferro, con serrati pattugliamenti alle frontiere e nuove misure di difesa delle coste.

 C’è chi si azzarda ad affermare che il rafforzamento delle frontiere non serve solo ed in primo luogo a fermare i movimenti migratori -i quali di fatto continuano- ma a definire come irregolari i migranti che le attraversano, dando loro un’identità che li pone in una posizione di inferiorità e di mancanza di diritti: un esercito di invisibili ricattabile e sfruttabile (Mons. Antonio M. Vegliò, VIII congresso Eu, Màlaga, aprile-maggio 2010).

Il contesto italiano

Xenofobia montante

Noi missionari che siamo stati a lungo ospiti dei popoli africani, sudamericani, asiatici assistiamo ora in patria ad un accanimento senza precedenti nei confronti degli immigrati in mezzo a noi. Stiamo assistendo a una massiccia e crescente violazione dei diritti umani nei loro confronti. E questo avviene nell’indifferenza da parte dei cittadini italiani, immemori di quanto i nostri migranti avevano sofferto. Non stiamo forse ripetendo sugli immigrati in mezzo a noi quello che i nostri nonni hanno subito quando anche loro emigravano?

Non possiamo accettare che il capo del Governo italiano affermi che: “Una riduzione degli extra comunitari significa meno forze che vanno ad ingrossare la criminalità”. E’ un’affermazione molto grave. Il segretario della CEI, mons. Crociata ha ribattuto giustamente: “Gli immigrati delinquono tanto quanto gli italiani. Non è vero che riducendo gli immigrati clandestini si riduce anche la criminalità”. Una menzogna, ma rilanciata con forza da una stampa nazionale che fomenta la paura “dell’altro”. In questo paese stiamo assistendo a un crescendo di dichiarazioni, di leggi, di normative che non fanno altro che attizzare un crescente razzismo e una forte xenofobia.

Da parte di ogni schieramento politico

E questo non solo da oggi, ma da quasi 20 anni. A cominciare dalla legge Turco-Napolitano (1998) che è alla base del Testo unico per l’immigrazione e ha dato inizio ai Centri di Permanenza Temporanea (CPT) che si sono poi rivelati dei veri e propri lager. Seguita nel 2002 dalla legge Bossi-Fini che ha modificato il Testo unico. Questa legge introduce il contratto di lavoro, cui è subordinato il rilascio del permesso di soggiorno, prevede l’espulsione con decreto motivato, disposto dal questore e decreta sanzioni (fino al carcere) per la disobbedienza all’ordine del pubblico ufficiale.

Noi riteniamo immorale e non-costituzionale la Bossi-Fini, perché non riconosce gli immigrati come soggetti di diritto, ma li riconosce come forza-lavoro, pagata a basso prezzo e da rispedire al mittente, quando non ci serve più. La Bossi-Fini costituisce un fatto gravissimo in chiave giuridica (vari giudici l’hanno dichiarata non costituzionale!), ma soprattutto in chiave etica.

Il Pacchetto Sicurezza (Legge 94-2009) introduce nell’ordinamento italiano l’aggravante della pena per clandestinità dell’immigrato, pene reclusive fino a tre anni per chi ceda un immobile a un clandestino, trasforma i CPT in centri di Identificazione e Espulsione (CIE), vieta a una clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il bimbo come suo, impone una tassa sul permesso di soggiorno e norme restrittive sui ricongiungimenti familiari. In questo modo, per la prima volta, il clandestino diventa un criminale!

In questo quadro si inseriscono anche le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri, che decretano lo stato di emergenza per le comunità nomadi-rom del Lazio, Campania e Lombardia e impongono il vergognoso atto della schedatura di rom e sinti attraverso la raccolta forzosa delle impronte digitali per l’identificazione e il censimento degli abitanti dei campi.

Concordiamo con Famiglia Cristiana quando ha definito il Pacchetto Sicurezza la “cattiveria trasformata in legge”.

 Razzismo istituzionale

Questa legislazione comporta un aggravio molto pesante sulle spalle degli immigrati: i versamenti di contributi onerosi per ottenere permessi di soggiorno e di cittadinanza, l’obbligo di presentare un documento che attesti la regolarità del soggiorno per la celebrazione del matrimonio, la verifica da parte del Comune delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile e le pesanti sanzioni previste per la mancata esibizione dei documenti.

Se a tutto questo si aggiungono l’aggravante di clandestinità che comporta l’aumento di un terzo della pena, le decine di ordinanze per il ‘decoro urbano’ di enti locali (dal divieto di trasportare borsoni a quelle contro i lavavetri!) che creano un “diritto speciale” riservato alle aree di povertà urbane o dell’immigrazione, abbiamo davvero l’impressione di essere di fronte a leggi che riflettono “un razzismo istituzionale, come afferma il filosofo L. Ferrajoli, che vale a fomentare gli umori xenofobi e il razzismo endemico presenti nell’elettorato dei paesi ricchi.” 

A quanto detto bisogna aggiungere le due ultime novità: una pagella a punti perché un immigrato possa ottenere la cittadinanza italiana (approvata una bozza di regolamento a maggio 2010) e poi la decisione dell’11/03/2010 della Corte di Cassazione che gli immigrati irregolari vanno espulsi, anche se hanno figli minorenni che frequentano la scuola. Incredibile ma vero: la legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori.

Da tutto questo ne esce compromessa la nostra stessa democrazia. “Oggi la novità della criminalizzazione degli immigrati – ha detto il filosofo L.Ferrajoli all’incontro tenutosi nel settembre 2009 a Lampedusa , sul tema: La frontiera dei diritti . Il diritto alla frontiera – compromette radicalmente l’identità democratica del nostro paese. Giacché essa ha creato una nuova figura:quella della persona illegale, fuorilegge solo perché tale, non-persona perché priva di diritto e perciò esposta a qualunque tipo di vessazione: destinata dunque a generare un nuovo proletariato discriminato giuridicamente, e non più solo, come i vecchi immigrati, economicamente e socialmente”. E’ lo stesso Ferrajoli a tirarne le conclusioni: ”Queste norme e queste pratiche rivelano insomma un vero e proprio razzismo istituzionale… Esse esprimono l’immagine dell’immigrato come ‘cosa’, come non-persona, il cui solo valore è quello di mano d’opera a basso prezzo per lavori faticosi o pericolosi o umilianti: tutto, fuorché un essere umano, titolare di diritti al pari dei cittadini”.

E allo stesso convegno di Lampedusa , il noto magistrato Livio Pepino ha aggiunto: “Il diritto penale, a sua volta, assume una nuova curvatura: non contro il migrante che delinque, ma contro il migrante in quanto tale. Infatti con l’introduzione del reato di ‘immigrazione irregolare’ si prosegue nella impostazione di punire non un fatto, ma una condizione personale: è il migrante che diventa reato”.

Noi riteniamo infatti che tutta questa legislazione è il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e incarna una cultura xenofoba e razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e del rifiuto dell’”altro”, specie del musulmano. 

I nuovi lager

 Altro capitolo dolente dell’attuale ordinamento giuridico nei confronti degli immigrati sono i Centri che prima si chiamavano Centri di Permanenza Temporanea (CPT) e che la nuova legislazione chiama Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) dove gli immigrati sono rinchiusi per sei mesi (prima era di sessanta giorni).

La situazione dei CIE è ancora peggiore di quella dei CPT. Da fonti sicure sappiamo che nei CIE si moltiplicano le violenze e i soprusi, mentre si susseguono le rivolte sempre represse con violenti pestaggi.

“Questi centri sono veri luoghi di detenzione – scrive sempre L. Ferrajoli – una detenzione per altro ancora più grave e penosa di quella carceraria, dato che è sottratta a tutte le garanzie previste per i detenuti, a cominciare dal ruolo di controllo svolto dalla magistratura di sorveglianza. Sono stati creati così dei campi di concentramento in cui vengono recluse “persone che non hanno fatto nulla di male, ma che vengono private di qualunque diritto, e sottoposte ad un trattamento punitivo, senza neppure i diritti e le garanzie che accompagnano la stessa pena della reclusione”.

Ancora più drammatica la situazione degli immigrati nei campi libici, che sono degli autentici campi di concentramento.

Ha ragione la prof.ssa L.Melillo dell’Orientale di Napoli in un recente volume A distanza d’offesa (a cura di A. Esposito e L. Melillo) a scrivere: “Sembra palesarsi il rischio di una deriva razzista che fa del corpo dello straniero il capro espiatorio delle crisi della nostra società”.

I luoghi della vergogna

Inumano è infine il trattamento che gli immigrati braccianti ed operai subiscono nel Paese, sia sul lavoro sia nelle abitazioni. Luoghi come Castelvolturno (Caserta), S. Nicola a Varco (Salerno), Rosarno (Reggio Calabria), Cassibile (Siracusa) sono ormai entrati nell’immaginario collettivo italiano. Questi sono i luoghi della vergogna dove vivono i braccianti agricoli che raccolgono i nostri pomodori, le arance, le patate…

Il più noto è certamente Castelvolturno nel casertano con una popolazione di 15.000 abitanti dei quali almeno 5.000 sono immigrati che lavorano nelle campagne del casertano e del napoletano. Le loro condizioni di vita, di abitazione, di lavoro sono davvero degradanti. Come missionari/e ne abbiamo spesso denunciato la situazione, che è poi esplosa il 18 Settembre 2008 quando sei ghaneani sono stati brutalmente uccisi dalla camorra. Gli africani di Castelvolturno sono scesi per strada ribellandosi a quel massacro.

Castelvolturno proprio per come gli immigrati sono trattati, è una polveriera che potrebbe esplodere ad ogni momento. Com’è esplosa Rosarno dove vivevano oltre mille braccianti che lavoravano nella Piana di Gioia Tauro. Abbiamo spesso potuto visitare le baraccopoli dove erano costretti a vivere quegli immigrati, luoghi di uno squallore unico. Gli stessi immigrati, fuggiti poi da Rosarno, hanno scritto: “Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né elettricità. Il nostro lavoro era sottopagato. Lasciavamo i luoghi dove dormivamo alle 6 per rientrarci solo a sera alle ore 20:00, per 25 € che non finivano tutti nelle nostre tasche. A volte non riuscivamo nemmeno, dopo una giornata di duro lavoro, a farci pagare. Eravamo bastonati, minacciati, braccati come bestie…”.

Parole dure, scritte all’indomani della tragica storia di Rosarno (7-9 Gennaio 2010) quando alcuni “bravi ragazzi” hanno sparato contro gli africani, i quali, stanchi di tanti soprusi, si sono ribellati. Ne è nata una vera e propria rivolta (basta vedere le immagini nel DVD Le arance di Rosarno).

“Ci hanno sparato addosso per gioco o per l’interesse di qualcuno – hanno scritto -. Non ne potevamo più. Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti nella loro dignità umana, nel loro orgoglio di esseri umani… Siamo invisibili per le autorità di questo paese”.

Ci sembra doveroso in questo contesto ricordare padre Carlo D’Antoni, parroco di Bosco Minniti (vicino a Cassibile), che accoglieva nella sua parrocchia i migranti: è stato arrestato perché accusato di aver firmato attestati di ospitalità che consentono ai braccianti di avere un tetto. E ora lo attende il processo!

Stessa situazione nella baraccopoli di S. Nicola a Varco, comune di Eboli (Salerno), dove un migliaio di braccianti maghrebini vivevano in una situazione di grande degrado umano. Il 19 Novembre 2009 questi immigrati, impegnati in lavori agricoli nella Valle del Sele, sono stati cacciati e la baraccopoli demolita perché dichiarata non idonea (ed è vero!), ma senza offrire loro un altro posto dove andare a dormire. Inutili le proteste che abbiamo fatto al Prefetto ed al Questore di Salerno. Oggi non c’è più una baraccopoli a S.Nicola a Varco, ma abbiamo centinaia di braccianti che dormono dove possono nella valle del Sele.

Tutti questi braccianti sono forza lavoro, pagata a basso prezzo, alla mercé dei caporali che fanno poi da tramite alle mafie. E questo ci porta al dolente capitolo delle condizioni di lavoro.

Tra caporali e mafie

Il 26 aprile del 2010 ci sono stati, a Rosarno, una trentina di arresti, venti aziende agricole sequestrate e sigilli a duecento appezzamenti di terreno per un valore di dieci milioni di euro. E questo per l’inchiesta della Procura di Palmi (RC), nata in seguito alla rivolta di Rosarno .

Finiscono così in manette caporali e proprietari di agrumeti della Piana di Gioia Tauro, accusati di associazione a delinquere per lo sfruttamento della mano d’opera ed induzione all’immigrazione clandestina. Profittatori della disperazione dei braccianti stranieri, costretti a lavorare per pochi euro al giorno .

E’ l’Italia dei caporali, i boss del neoschiavismo che impongono la loro legge e fanno affari d’oro alle spalle di 60 – 70 mila immigrati braccianti che vivono in condizioni di degrado simili a quelle riscontrate a Rosarno.

Seconda la Flai Cgil, gli immigrati irregolari impiegati in agricoltura nel meridione sfiorano il 90%. Lavorano anche dieci ore al giorno e a volte la paga non arriva a 15 €. Le percentuali migliorano al centro (50%) e al Nord (30%).

Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, nei “luoghi della vergogna”, il 40% dei braccianti stranieri vive in edifici abbandonati e fatiscenti, oltre il 50% senza acqua potabile, il 30% senza elettricità, il 43% senza servizi igienici. I raccoglitori di verdura a cottimo hanno tra i 16 ed i 34 anni. L’80% non ha mai visto un medico.

Una nota a parte merita la provincia di Foggia, dove la raccolta dei pomodori è nelle mani del racket che paga gli immigrati 10 € al giorno.

Al Nord è l’edilizia l’altro terreno di conquista dei caporali. Qui un lavoratore su quattro lavora nel sommerso: 700.000 gli immigrati irregolari impiegati nelle imprese (in questo siamo al primo posto in Europa). Li troviamo all’alba a Milano a Piazzale Lotto o a Lambrate che chiedono una giornata in cantiere. Un manovale regolare costa 21 € all’ora, se c’è di mezzo l’intermediario è meno di metà. Il resto va al caporale. E al Nord i caporali sono sempre più egiziani, marocchini, rumeni o anche cinesi che gestiscono i loro connazionali sul lavoro e nella vita. Un altro capitolo vergognoso!

Respingimenti

Non sono bastate le leggi razziste, si sono aggiunti i respingimenti in mare nel corso dei quali migliaia di persone sono state rigettate, a rischio della loro vita, nei campi libici o nei loro paesi di provenienza, dove li attende un altro calvario.

 Come missionari/e siamo testimoni che questa spinta migratoria, proveniente dall’Africa, che tenta di attraversare il Mediterraneo, è dovuta alla tormentata situazione del continente nero, in particolare dell’Africa Orientale e Centrale. La situazione di miseria, i regimi oppressivi, le guerre in atto dell’Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ciad sospingono migliaia di persone a fuggire attraverso il deserto per arrivare in Tunisia e in Libia , dove sono sfruttati come schiavi. Buona parte di questi immigrati sono rifugiati politici ed hanno diritto all’asilo politico, fra l’altro ricordato due volte nella nostra Costituzione. E qual è la risposta del governo? Chiudere le frontiere e bloccare questa ’invasione’. E per questo il governo Berlusconi ha stipulato accordi con la Libia e con la Tunisia. Il 5 gennaio 2009 il Senato italiano ha approvato il Trattato col governo libico di Gheddafi per impedire che le cosiddette ‘carrette’ del mare arrivino fino a Lampedusa o sulle coste italiane. Sono migliaia gli immigrati morti nel Mare Nostrum. Secondo uno studio di G.Visetti, giornalista di La Repubblica,dal 2002 al 2008 sono morti 42mila persone, trenta immigrati al giorno, ingoiati dal mare davanti alla fortezza Europa. (Senza dimenticare le migliaia di migranti che muoiono attraversando il deserto del Sahara)

Davanti a tali orrori, come si fa a firmare un Trattato con la Libia di Gheddafi, un vero dittatore, che tratta in maniera così vergognosa gli immigrati che vi arrivano? Come si fa ad armare con motovedette e tante armi (nel 2009 abbiamo venduto materiale bellico per un valore di 111 milioni di euro!), un paese che le usa contro gli immigrati? Lo stesso vale per la Tunisia, a cui nel 2009 abbiamo venduto armi per oltre 3 milioni di euro. Il 27 gennaio 2009 il ministro Maroni, si è incontrato con il suo omonimo tunisino per la stessa ragione, cioè il respingimento dei migranti.

L’Italia sta ora pagando voli aerei che partono dal nostro Sud, ma anche da Malta o dalla Libia e che riportano gli immigrati nel loro paese. Vuol dire portarli alla tortura o alla morte. Basta vedersi il filmato del giornalista dell’Espresso F. Gatti, “L’amico Isaia” e “Eritrea: Voices of torture” per rendersi conto di quanto tragica sia la situazione e quanto poco cristiano ed evangelico sia il comportamento del governo italiano.

Giustamente Famiglia Cristiana ha paragonato questi respingimenti alla Shoah.

A tal proposito il prof. Antonio Esposito dell’Orientale di Napoli, nel libro A distanza d’offesa, così si esprime: “Così finiscono gli uomini e le donne che non sbarcano più a Lampedusa. Bloccati in Libia dall’accordo Roma –Tripoli e riconsegnati al deserto. Abbandonati sulla sabbia , appena oltre il confine. A volte sono obbligati a proseguire a piedi. Altre volte si perdono. Cadono a faccia in giù, sfiniti, affamati, assetati senza che nessuno trovi più i loro cadaveri (come riporta F. Gatti nell’Espresso). L’Italia, come l’Europa, prova a costruire la sua fortezza. Le immateriali mura di recinzione sono erette con le carte che fanno le leggi, sono tenute insieme dai sentimenti di indifferenza, falso disdegno e disprezzo, propri del senso comune. Restano fuori donne, uomini, vecchi, bambini, partiti inseguendo un orizzonte di dignità”.

 Negazione dei diritti umani

E questi respingimenti avvengono non solo a largo delle nostre coste, ma anche nei nostri porti più importanti. Sappiamo di sicuro che nei porti di Ancona, Brindisi e Napoli sono migliaia gli immigrati che vengono respinti ogni anno. Ne abbiamo fatta esperienza diretta con i nove immigrati della nave ‘Vera D’, che ha attraccato a Napoli il 7 aprile 2010. L’ordine del ministro Maroni era perentorio: dovevano essere respinti!

“Questi respingimenti – ha detto Luigi Ferrajoli – all’incontro tenutosi nel 2009 a Lampedusa – sono illegali sotto più aspetti. Hanno violato, anzi tutto, il diritto di asilo stabilito dall’articolo 10 (comma 3) della Costituzione per lo ‘straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche’, giacché le navi italiane con cui gli immigrati vengono riportati in Libia sono territorio italiano, siano esse in acque territoriali o in acque extraterritoriali. E lo hanno violato doppiamente, giacché questi disperati vengono respinti in quei lager che sono i campi libici, dove sono destinati a rimanere senza limiti di tempo e in violazione dei più elementari diritti umani.

Hanno violato, in secondo luogo, la garanzia dell’Habeas Corpus, stabilita dall’articolo 13 (Comma 3) della Costituzione: questi respingimenti si sono infatti risolti in accompagnamenti coattivi, non sottoposti a nessuna convalida giudiziaria…

Infine sono state violate le convenzioni internazionali che l’Italia, nell’articolo 10 della Costituzione, si è impegnata a rispettare: l’articolo 13 della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani sulla libertà di emigrare; l’articolo 14 della stessa dichiarazione sul diritto di asilo; l’articolo 4 del Protocollo 4 della Convenzione Europea sui Diritti Umani che vieta le espulsioni collettive”.

Con questi respingimenti siamo davanti ad una massiccia violazione dei diritti umani da parte del governo italiano.

La Navi Pellay, Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU , incontrando al Viminale il nostro Ministro degli Interni Maroni ha detto: “Gli immigrati non sono rifiuti tossici, vanno salvati e tutelati. E’ un obbligo per le autorità preposte salvare vite umane in pericolo”.

Ed ha poi aggiunto: “Gli immigrati non devono essere stigmatizzati né criminalizzati. Piuttosto vanno creati meccanismi in grado di stimolarne l’integrazione e l’inserimento nella società. I migranti non possono venir percepiti come una minaccia alla sicurezza perché questo non fa che incrementare le paure dei cittadini”.

Anche il rapporto 2010 di Amnesty International stigmatizza l’Italia come razzista.

La tratta

Un altro aspetto dell’immigrazione in Italia è la tratta delle donne per la prostituzione. Secondo stime attendibili, sulle strade abbiamo dalle 30 alle 50 mila ragazze nigeriane, vittime di questo traffico nel nostro paese. Senza parlare delle altre donne albanesi, romene, latino-americane…, che costellano le nostre strade per i nove milioni di italiani (il 70% di questi è sposato!) che comprano sesso per strada. E’ chiaro che questa tratta è il frutto di racket internazionali e mafie italiane che aggiungono sfruttamento a sfruttamento.

E anche vi sono delle responsabilità politiche ben precise .

“Come fermarli? – si chiede un missionario, padre Franco Nascimbene, che ha lavorato a lungo a Castelvolturno – è una situazione complessa, fatta da connivenze e corruzioni che solo le istituzioni, i governi e le polizie potrebbero affrontare efficacemente. Esistono già leggi che colpiscono coloro che sfruttano la prostituzione, tuttavia si ha l’impressione che manchi una decisa volontà politica di fermare la macchina infernale che produce schiavitù e distrugge il futuro di migliaia di ragazze.

  • - Se le istituzioni investissero maggiormente nell’attività investigativa, impiegando più uomini a pedinare madames. Sfruttatori, camorristi e mafiosi,
  • - se creassero più legami con le polizie di origine delle ragazze,
  • - se controllassero i flussi di denaro provenienti dalla prostituzione che escono dall’Italia attraverso la Western Union e altre agenzie ( come è stato fatto in altri campi, là dove c’era la volontà politica di fermare certe espressioni della criminalità), si potrebbe fermare o perlomeno rallentare la tratta di donne a scopo di prostituzione.

 Carceri

Per quanto riguarda il tema carcerario ci preme dire che il 37.1 % della popolazione carceraria è di origine straniera (24.922 su 67.452, al 21 aprile 2010) e sottolineare alcune problematiche specifiche connesse alla vita detentiva degli stranieri…per esempio difficoltà linguistiche, condizioni economiche disagiate anche a causa della lontananza delle famiglie di origine, l’assenza di una rete familiare e amicale… (Antigone,1(2009),25).

Pensiamo che, come missionari/e, incontriamo qui, in carcere, parte della realtà che abbiamo avuto modo di condividere altrove. Crediamo di poter offrire un contributo estremamente prezioso ed un possibile punto di riferimento dal punto di vista umano e spirituale ai/alle detenuti/e ed al personale penitenziario.

La voce profetica delle Chiese d’Africa

Ci conforta, come missionari/e, il fatto che i vescovi dell’Africa riuniti a Roma per il II Sinodo Africano (4-25 Ottobre 2009) abbiano avuto il coraggio di parlarne nei loro interventi in aula. Hanno affrontato questo argomento i vescovi: G. Martinelli (Tripoli, Libia), B. D. Souraphiel (Addis Abeba, Etiopia), W. Avenya (Makurdi, Nigeria), G. C. Palmer – Buckle (Accra, Ghana), G. ‘Leke Abegunrin (Osogbo, Nigeria) ed infine il Cardinal T. A. Sarr (Dakar, Senegal) (vedi Per un’Africa riconciliata – Memoria del II Sinodo Africano a cura di Anna Pozzi).

“Gli africani continueranno a venire in Europa – ha detto il vescovo W. Avenya – con tutti i mezzi, anche al prezzo di morire nel deserto o per mare, finché l’equilibrio economico ed ambientale tra Africa e resto del mondo non verrà ristabilito da chi ne è responsabile e cioè dall’Occidente!”.

Non meno esplicito l’arcivescovo di Addis Abeba, Souraphiel: “Spero che questo Sinodo per l’Africa sondi le cause che sono alla base del traffico di esseri umani, delle persone sfollate, dei lavoratori domestici sfruttati, dei rifugiati, dei migranti, specialmente degli africani che giungono nei barconi e dei richiedenti asilo e che sortisca posizioni e proposte concrete per mostrare al mondo che la vita degli africani è sacra e non priva di valore come invece sembra essere presentata e vista da molti media”.

Non meno pesante l’intervento del vescovo Abegunrin di Osogbo (Nigeria): “La voce profetica della Chiesa a favore dei poveri e degli oppressi non deve mai essere compromessa o sacrificata sull’altare di un’amicizia religiosa o di un tornaconto materiale”. Ed egli applica subito questo alla questione degli immigrati: “Una delle maggiori sfide che questo Sinodo dovrebbe affrontare è il destino di un gran numero di immigrati africani presenti in tutti i paesi dell’Occidente. Dall’inizio di questa crisi economica, molti paesi occidentali hanno elaborato leggi e strutture difensive a sostegno delle proprie economie. Purtroppo a questo scopo sono state varate leggi che si avvicinano molto a negare perfino i diritti umani degli immigrati. Soprattutto in Italia, l’immigrazione clandestina è diventata un reato!”.

E’ toccato poi all’arcivescovo di Dakar, il cardinal Sarr analizzare in profondità il fenomeno degli immigrati: “Vorrei sottolineare il carattere rivelatore del fenomeno della migrazione clandestina. L’avventura così rischiosa dei migranti clandestini è un vero e proprio grido di disperazione, che proclama di fronte al mondo la gravità delle loro frustrazioni ed il loro desiderio ardente di maggiore benessere.

Percepiamo noi questo grido di disperazione e lo lasciamo penetrare nel nostro cuore tanto da cercare di capirne il senso e la portata?”. E il cardinale conclude: “Sappiamo bene, infatti, che non sono le barriere della polizia, per quanto possono essere invalicabili, ad arrestare la migrazione clandestina, bensì la riduzione effettiva della povertà otterremo la promozione di uno sviluppo economico e sociale che si estenda alle masse popolari del nostro paese”.

E’ stato infine l’arcivescovo di Accra, Palmer – Buckle, a esprimere in un intervento pesante il “sentire” dei vescovi africani al Sinodo attaccando le tendenze xenofobe presenti in Europa che “considerano gli africani come se non avessero diritti”.

E con molta ironia ha concluso: “ Come fate voi europei a parlare di diritti umani universali?”

Ci impegniamo

Anche nell’ambito del fenomeno migratorio noi missionari/e ci proponiamo una lettura piena di fede e di speranza perché, al di là dei risvolti drammatici che spesso accompagnano le storie dei migranti, i loro volti e le loro vicende portano il sigillo della storia di salvezza e della teologia dei ‘segni dei tempi’.

La Chiesa difatti intende affermare la cultura del rispetto, dell’uguaglianza e della valorizzazione delle diversità, capace di vedere i migranti come portatori di valori e di risorse. Essa invita a rivedere politiche e norme che compromettono la tutela dei diritti fondamentali…esprime inoltre un forte dissenso rispetto alla prassi sempre più restrittiva in merito alla concessione dello ‘status’ di rifugiato e al ricorso sempre più frequente alla detenzione e all’espulsione dei migranti.

La presenza dei migranti in mezzo a noi ci ricorda che, dal punto di vista biblico, libertà e benessere sono doni e come tali possono essere mantenuti solo se condivisi con chi ne è privo. I fondamenti del rispetto e dell’accoglienza dei migranti sono contenuti, per noi credenti, nella Parola di Dio (Vegliò, oc.).

Per questo

  •  Invitati dai documenti del magistero vogliamo imparare a leggere le Migrazioni come ‘un segno dei tempi’ per la Chiesa e la Società.
  • Facciamo nostre le affermazioni dei Vescovi africani del II Sinodo dell’Africa (Roma 5-24 ottobre 2009).
  • Stiamo dalla parte degli immigrati, la nostra è una scelta di campo: la scelta degli ultimi.
  • Crediamo che non sia sufficiente denunciare. Come Istituti Missionari, inseriti nelle Chiese locali, siamo chiamati ad agire mettendo a disposizione personale adatto ed il supporto di strutture adeguate per un lavoro con gli immigrati, privilegiando il lavoro congiunto con la commissione Migrantes a livello nazionale e locale.
  • Sollecitiamo la CEI a redigere un documento che, oltre la denuncia della deriva culturale rispetto al tema migratorio, offra gli opportuni orientamenti alle comunità cristiane.

Noi missionari/e crediamo fermamente, come diceva il grande vescovo-martire di Oran (Algeria) Pierre Claverie, che non c’è umanità se non al plurale.

Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI)

Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato della CIMI.

Per adesioni, scrivi a

fernando.zolli@gmail.com

Apre il “Cortile dei gentili”- Invito ad entrare

Comunicazioni Sociali, Senza categoria | Posted by usmionline
lug 08 2010

L’iniziativa di proporre luoghi di dialogo fra credenti e non credenti ha il nome di ‘Cortile dei gentili’: un’immagine suggestiva proposta alla riflessione collettiva. L’idea e la formula sono di Benedetto XVI, che qualche giorno prima dello scorso Natale si rivolgeva alla curia romana con le seguenti parole:

Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di ‘Cortile dei gentili’ dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto.

 Il cortile al quale il papa si riferisce si trovava nel tempio di Gerusalemme, riadornato da Erode e terminato pochi anni prima che Tito lo distruggesse. In quella maestosa struttura, dopo le porte e i portici, c’era l’Atrio dei gentili: uno spazio al quale potevano accedere i pagani in visita a Gerusalemme, dove stavano quei venditori e cambiavalute che Gesù scaccia. Oltre una balaustra che delimitava l’Atrio era il cuore del tempio con i luoghi destinati al culto e al sacrificio.

Il primo effetto concreto prodotto dalle parole del Papa è la fondazione denominata appunto Cortile dei gentili a cui il Pontificio consiglio della cultura, presieduto dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, ha dato vita per aprire un dialogo serio e rispettoso tra credenti e non credenti, che tenga anche conto dei diversi ateismi, non riducibili, oggi, a un unico modello.

L’idea non è del tutto nuova. Dopo il Concilio Vaticano II infatti era stato creato, ed era durato qualche anno, un segretariato per i non credenti affidato allora al cardinale austriaco Franz Kỡnig. Il cardinale Martini poi, a Milano, aveva indagato sullo spazio della spiritualità dei senza Dio con la ‘cattedra dei non credenti’.

Ora l’iniziativa rispunta nella forma più solida di un Consiglio pontificio. Così, proprio mentre la magistratura italiana fruga negli affari della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli negli anni in cui ne era prefetto il cardinale Crescenzio Sepe, in Vaticano nasce un nuovo, più sobrio ufficio dedicato a un altro tipo di evangelizzazione: non nelle terre di missione, ma nei paesi di antica cristianità in cui la fede si è più affievolita o è scomparsa.

Rapporto fra comunità credente e umanità in ricerca

Il dramma dell’epoca moderna non è la mancanza di Dio, ma il fatto che gli uomini non soffrano più di questa mancanza, e perciò non avvertano più il bisogno di superare l’infinito dolore della morte. In gran parte dell’Occidente sembra esserci oggi un’indifferenza assoluta, ben sintetizzata da Charles Taylor quando afferma che se Dio venisse oggi in una nostra città, l’unica cosa che succederebbe e che gli chiederebbero sono i documenti.

Ma l’uomo è abitato da una fame e da una sete forse sconosciute a se stesso: è fame di verità, di libertà profonda, di amore gratuito. Base del confronto nel cortile dei gentili, ha spiegato Ravasi, sarà perciò una visione complessiva dell’uomo, con l’obiettivo di scoprire consonanze e armonie. Senza attesa naturalmente di conversioni o inversione di cammini esistenziali. Certo è necessario deporre i linguaggi solo autoreferenziali e allora, insieme ad un’umanità spesso troppo curva solo sull’immediato, sulla superficialità e sull’insignificanza, alzare insieme lo sguardo verso l’Essere nella sua pienezza.

L’incrocio tra voci diverse può avvenire attorno a temi comuni (anche se affrontati e risolti con esiti eterogenei!): bene e male, amore e dolore, verità e menzogna, pace e natura, trascendenza e immanenza. E ancora: etica, antropologia, spiritualità, domande ultime su vita e morte. Per questa via si può giungere alla domanda sul Dio ignoto, di cui Paolo parlava nell’Areopago di Atene. Un po’ come suggeriva padre David Maria Turoldo: Fratello ateo, nobilmente pensoso, alla ricerca di un Dio che io non so darti, attraversiamo insieme il deserto…

La Chiesa rilancia la nuova evangelizzazione nei Paesi di antica fede 

Il primo cortile di credenti e atei aprirà a Parigi. La data dell’inaugurazione è già fissata per il 24 e 25 marzo 2011 con un convegno internazionale in tre sedi volutamente slegate da ogni appartenenza religiosa: la Sorbona, l’UNESCO e l’Académie Française. La fondazione ha in programma di organizzare ogni anno un grande evento per affrontare, di volta in volta, un tema incentrato sulla religione in rapporto a società, pace e natura.

A guida di questo dicastero per una nuova evangelizzazione delle Chiese di antica fondazione, il papa nomina come Presidente l’arcivescovo Rino Fisichella. Quella del papa è una sfida che viene da lontano: dall’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI fino alla nuova evangelizzazione evocata per la prima volta da Wojtyla a Nowa Huta, la città operaia polacca che sembrava essere stata costruita per escludere la presenza di Dio fra gli uomini.

Con la fede in Dio nulla è impossibile

È la sfida per i cristiani a concepire se stessi come una minoranza creativa che riporti all’Occidente la sua eredità. La strada del dialogo e del reciproco scambio certo è lunga, ma il dialogo e lo scambio sono possibili e sono già anche una realtà.

Ne viene per i cristiani l’impegno a rinvigorire quella fedeltà incarnata che sa incrociare il cammino di vita dell’altro, accettando di diventare compagni di strada, disposti a dividere e condividere il pane della propria avventura umana per darsi – reciprocamente – una possibilità di umanità. Ed essere così catapultati nella logica del regno di Dio, che viene in mezzo a noi per rivoluzionare il nostro modo di intendere la vita.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

Emergenza lettura

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giu 03 2010

Si è tenuta da poco la Prima Giornata Nazionale della Lettura, un’iniziativa di cui il nostro Paese ha un grande bisogno, visto che -alla luce dei tristi dati Istat 2009- ci è stato confermato che metà della popolazione non legge neanche un libro all’anno! Qualche anno fa sembrava che i ragazzi cominciassero a leggere un po’ di più degli adulti, ora anche i consumi di libri tra chi sta nella fascia d’età 6-14 sono in calo.

Come contrastare la disaffezione alla lettura? Come recuperare un po’ di tempo nel caos che è la nostra vita di tutti i giorni per destinarlo ad affrontare il conflitto eterno tra cervello e cuore, che è racchiuso in ogni uomo e in ogni libro?

Una convinzione ci muove a trattare l’argomento: pensare ai libri, alle biblioteche, alla lettura come cibo per la mente e per il cuore -in una situazione di emergenza come quella che ci troviamo a vivere- è dimostrare una lungimiranza invidiabile.

Qualcuno ha paragonato la lettura ad un unguento miracoloso che spalmato sui mali dell’anima è in grado di curarli. Certamente essa alimenta quel bisogno intelligente di dialogo interiore da condividere poi con altri. In una lettura intelligente sempre si trova, infatti, una frase illuminante, un concetto che ci appartiene, un’idea che apre nuovi orizzonti, un’affermazione da contestare… E’ come se l’irreale e la luce in un certo senso irrompessero nel reale, nella vita di tutti i giorni. Un libro (lo dico per esperienza personale) è perfino un ottimo ansiolitico. A volte riesce con semplicità a regalarci un sorriso intelligente. Leggere, in questo modo, non solo impegna piacevolmente cuore e mente e accresce il benessere generale della persona, ma si rivela una vera e propria cura che vale per tutti. Nel dialogo sempre intimo e silenzioso che è la lettura passano così molte risposte ai nostri reali bisogni  e a quelli di tanti giovani, religiosi e non.

Tutto questo impegna gli addetti ai lavori nei diversi ambienti di vita (famiglia, scuola, gruppi di formazione, di catechesi, camere d’ospedale…) ad una reale valorizzazione della lettura, da realizzarsi attraverso piani concreti riferiti ad una situazione di emergenza. Chiamati ad affrontare problemi e sfide della nostra società multimediale e multiculturale, riuscire a sottrarre bambini e giovani (ma anche adulti!!) ai salotti della TV per crescere facendo esperienza di nuovi modi di leggere…

Per tale motivo vi raccontiamo brevemente di noi e del nostro mondo ‘libro’ e vi invitiamo a conoscere e far conoscere la Biblioteca USMI nei suoi relativi servizi. I suoi scaffali, infatti, come quelli delle librerie delle nostre case e città sono luoghi affollati di parole che attendono di essere liberate da un numero sempre più grande di persone per insegnare ad ognuno a sentire, a vedere, a volere. E a pensare con la propria testa. Che la pigrizia mentale la quale sembra caratterizzare tanti in questo nostro tempo sia data proprio da un improvviso timore di…pensare?

Stiamo cercando di potenziare in tanti modi la nostra Biblioteca USMI:

  • arricchendone continuamente il patrimonio bibliografico esistente -composto di libri, periodici, raccolte (documenti ufficiali), collane e riviste (anche in lingua inglese, francese, spagnola…)- con nuove, significative pubblicazioni e con audiovisivi (DVD, VHS e CD).
  • offrendo agli studenti, abituali e non, maggiori opportunità di accesso concreto al suo patrimonio culturale -per esempio con il prestito a casa per due settimane- diversamente poco raggiungibile, eppure indubitabile garanzia di formazione
  • migliorando le risorse umane del personale che vi fa servizio: nel numero, nelle competenze, nella passione e nella  professionalità  
  • riconfigurando anche in qualche modo i locali che la ospitano per renderli sempre più idonei al servizio richiesto.

In conclusione vogliamo solo aggiungere:            PASSAPAROLA!!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Vai al fotoalbum della Biblioteca Usmi

LA NOSTRA PENTECOSTE

Senza categoria | Posted by usmionline
mag 21 2010

“Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù”. (Atti 1,14)

 

Gli eventi della Pasqua hanno sconvolto la vita degli apostoli e dei discepoli di Gesù: la tomba vuota; le apparizioni nel cenacolo a porte chiuse o sulla sponda del lago o sulla barca di Pietro; la promessa di un Consolatore; il saluto e la sua scomparsa tra le nubi nel cielo; il mandato di andare in tutto il mondo ad annunciare quello che avevano visto e udito.

La mente umana è troppo piccola per comprendere, soprattutto quando è così logico pensare che con la morte tutto è finito per Gesù, che probabilmente non è lui il liberatore tanto atteso.

Questi fatti sono così assurdi e fuori dal normale! Tutto pare smentire la fiducia e la speranza in lui.

Nella comunità che si era raccolta attorno al Maestro serpeggia un clima di smarrimento e un senso di fallimento. «Credevamo che fosse lui il liberatore, ma ormai tutto ci dice che non è così».

 

Non viviamo forse anche oggi una situazione simile a quella degli apostoli?

 

Le situazioni pesanti e complesse, a volte molto oscure, che affliggono la  società e la Chiesa dei nostri giorni, ci sembrano davvero troppe. Tali situazioni potrebbero rafforzare anche in noi un lancinante senso di frustrazione, di disistima e di sospetto e trasformarsi, poi, in lamento o accuse per quel naturale atteggiamento polemico e proiettivo che a volte si scatena nella persona.

I discepoli, sgomenti dopo l’ascensione, salgono al piano superiore della casa, vivono insieme;  Maria e le altre donne sono là con loro: questa è la splendida testimonianza di Luca.

In un momento terribilmente difficile per la Chiesa delle origini, Maria e le altre donne sono là, insieme, assidue e concordi nella preghiera.

Assidue:  la loro presenza non è dunque saltuaria, ma costante.

Concordi nella preghiera: la loro è una presenza che favorisce l’armonia e l’unità nella piccola famiglia: armonia e unità intessute delle Parole di Gesù: di fede dunque e sicuramente di speranza.

E’ in questo ritmo e stile di vita che lo Spirito Santo irrompe con forza, penetra fin nelle fibre più intime di una comunità timorosa e spaurita e la trasforma in una coraggiosa chiesa abitata dalla carità e capace così di lanciarsi fino ai confini della terra, dove il maestro aveva promesso che sarebbe stato presente, accanto a lei, fino alla fine.

La paura lascia il posto alla certezza della presenza del Risorto là dove la chiesa è presente. E questo per sempre.

Maria e le altre donne stavano là

Ecco la nostra Pentecoste: essere presenti là dove la Chiesa è lanciata dalla potenza dello Spirito; essere là in silenzio forse, ma gridando con la forza della fedeltà e della speranza perché sappiamo che il Signore è risorto, è vivo ed abita in mezzo a noi.

Essere presenti nonostante tutto, senza lasciarci condizionare neppure dai peccati della chiesa; esserci perché il nostro Sposo è presente, perché si è fatto uno con tutti noi e noi vogliamo essere il suo prolungamento di amore casto là dove nessuno più crede che questo sia possibile; del suo amore obbediente là dove chi è mite è disprezzato; del suo amore povero là dove l’onestà e la trasparenza sono calpestate o non riconosciute.

La donna per la sua vocazione costitutiva è chiamata in ogni tempo ad essere presenza di sorella e madre, di fiducia e speranza soprattutto quando la fede dei fratelli vacilla; presenza di fedeltà contenta quando attorno a lei viene meno il senso di un impegno preso per Cristo; presenza di conforto e perdono quando il male ricevuto indurisce il cuore; presenza di pace e benedizione quando si crede con fatica che l’amore di Dio per noi è più grande del nostro peccato.

Anche oggi la Chiesa ha bisogno della  presenza di donne consacrate che abbiano il coraggio di essere assidue e concordi nella preghiera per favorire la pentecoste in mezzo ai fratelli, testimoni perseveranti della Pasqua del Signore e canali liberi perché l’acqua che scaturisce continuamente dalla Fonte possa correre limpida e abbondante anche se è notte. (cfr. Plenaria UISG 2010).

 

      M. Viviana Ballarin, op

Presidente USMI nazionale