Archive for the ‘Società’ Category

UNA CASA DELLE ASSOCIAZIONI

Società | Posted by usmionline
set 20 2010

A Roma la solidarietà non basta mai, e sempre nuove esigenze richiedono nuove risposte per far crescere le potenzialità di tutti coloro che hanno scelto di vivere la carità, associazioni comprese.

Prendiamo ad esempio, il problema del caro affitti. La capitale è la città più cara d’Italia per quanto riguarda gli affitti, seguita a ruota da Milano. Nella classifica mondiale è al 29esimo posto, in quella europea è all’ottavo, grazie al costo medio di 2.300 euro al mese per un appartamento in centro. La cosa strana è che i prezzi sono saliti anche durante gli ultimi due anni, segnati dalla crisi economica. Del resto, il trend di crescita dura da oltre dieci anni: Il Sunia ha infatti calcolato che tra il 1999 e il 2008 i canoni delle abitazioni sono aumentati del 145%.

Il perché non è facile da spiegare. Si può dire che, nonostante la crisi, la capitale attira molte persone che hanno bisogno di soluzioni abitative in affitto, basti pensare agli studenti, a chi lavora negli organismi governativi o internazionali o nelle ambasciate. Si può dire anche che probabilmente proprio la crisi finanziaria ha risvegliato l’interesse per il mattone in chi aveva fondi da investire, e questo ha contribuito a tenere alti i prezzi.

Fatto che sta che questo è un problema per molti: le famiglie, e soprattutto le giovani coppie, spesso costrette a cercare soluzioni nelle città-satellite o nelle campagne attorno alla città; gli studenti, che devono affrontare una spesa media per una stanza di 440 euro; gli stranieri, costretti a coabitazioni forzate in costruzioni spesso fatiscenti; gli artigiani e i titolari di negozi, che chiudono a uno a uno lasciando il campo ai supermercati.

Ma questo è un problema enorme anche per i gruppi di volontariato, per le associazioni, per tutte le realtà di terzo settore di dimensioni medio-piccole. Proprio queste realtà, però, costituiscono una risorsa preziosa che sul territorio costruisce tessuto sociale, oltre a rispondere a bisogni, povertà e solitudini cui nessun altro saprebbe dare ascolto. In Italia esistono 20mila piccole organizzazioni di volontariato, i cui membri si impegnano gratuitamente, l’80% delle quali ha bilanci di meno di 10mila euro l’anno: basano tutto sulla gratuità dell’impegno e sulle risorse che i volontari stessi possono mettere in campo. Per loro, pagare un affitto a prezzi di mercato è impossibile. Ma, senza di essi, il nostro Paese sarebbe sicuramente peggiore di quello che è.

Servirebbe, allora, una “Casa delle Associazioni”. Esperienze di questo tipo esistono già, in varie città di Italia, in genere al Nord. Spesso sono le amministrazioni locali, più raramente qualche fondazione o ente non profit, che mettono a disposizione una struttura. Ad ogni associazione viene assegnata una o due stanze, mentre altri spazi (ad esempio per le riunioni) e servizi (telefono, internet, fotocopiatrici, eccetera) sono comuni. Si può chiedere un affitto contenuto, o un contributo alle spese.

La richiesta di una sede può sembrare un lusso, ed in effetti ci sono molti gruppi che fissano come sede legale la casa del presidente e si riuniscono dove possono, magari in parrocchia. Ma avere un punto di riferimento stabile è importante sia dal punto di vista dell’organizzazione, sia da quello dell’identità del gruppo. La carità, purtroppo, non si realizza solo con la buona volontà: servono anche strumenti di gestione, computer, telefoni, luoghi di riunione, lavoro di segreteria. E anche un minimo di privacy, visto che nei computer delle associazioni ci sono, in genere, dati sensibili degli utenti, oltre che dei volontari stessi.

A questo progetto sta lavorando, a Roma, la fondazione Talenti, che cerca quindi un ordine religioso disposto a mettere a disposizione spazi adeguati. La “Casa delle Associazioni”, opportunamente regolamentata, potrebbe poi essere gestita dall’ordine stesso, oppure da una cooperativa che si assuma gli oneri organizzativi e gestionali.

Roma ha bisogno di solidarietà, ma per offrirla servono mezzi: questo è uno dei più importanti, proprio perché farebbe crescere le potenzialità delle associazioni.

Paola Springhetti

Fondazione Talenti – Roma

Legalità e nuove generazioni

Società | Posted by usmionline
lug 27 2010

La passione civile, che molti oggi credono nascosta, scomparsa, o comunque ai margini della nostra società, si risveglia nei giovani di 20/25 anni quando con loro si toccano seriamente i temi della legalità.

Tante le storie difficili e i ritratti dei giovani di oggi: dai nuovi drammi nascosti dell’anoressia e della bulimia, ai mondi dimenticati del carcere e della disabilità. Ma in mezzo ci sono esperienze di grande impegno a favore della pace e della lotta alle mafie.

Eppure se i riflettori oggi si accendono sui giovani, ne viene un quadro in cui qualcuno è messo lì come richiamo di successo e prestigio; gli altri sono raccontati con i peggiori aggettivi: giovani maledetti, protagonisti di bullismo, abuso di alcool, stragi del sabato sera, fascino per la vita facile proposta dalla malavita organizzata.

La partita della legalità e della pace si gioca su una linea sottile, ma decisiva, dove credenti e uomini di buona volontà non possono non trovarsi uniti.

Se il buon protagonismo di tanti, che pure esiste e andrebbe assecondato e raccontato, rimane in ombra e non fa notizia, ogni tanto però qualche fatto supera gli steccati del silenzio. Per esempio l’idea bizzarra e geniale dei ragazzi di Gela di tappezzare tutti i negozi di Palermo -città malata- con migliaia di adesivi che recano lo stesso messaggio: Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. Un’idea nata in loro semplicemente ascoltando le parole della moglie di Libero Grasso, ucciso sì dalla mafia, ma anche dalla solitudine. Così, con l’episodio degli adesivi, i giovani mostrano la collettiva responsabilità per una rassegnazione antica, ma sempre nuova.

E ancora. I giovani cercano risposte al loro smarrimento interiore e non rimangono indifferenti per esempio alle storie di solitudine e abbandono raccontate dalla mostra fotografica Ali bruciate. I bambini di Scampia (Questa mostra sui bambini soldato della camorra rimarrà aperta a Roma -Casa della Memoria e della Storia- fino al 22 ottobre 2010): guardano quell’inferno e colgono il calvario di tanti innocenti. Con loro ravvivano la propria voglia di guardare oltre le vele e di solcare altri mari.

Tutto questo ci ricorda che Sperare è possibile. Anche quando il mondo ti crolla addosso, anche quando tutto sembra congiurare contro di te, sperare è possibile (Gemma Calabresi). E la speranza, che è una energia anche fisica, passa oggi soprattutto attraverso il dialogo interculturale e la conoscenza reciproca fra adulti e giovani. Allora percorsi di rinascita sorgono anche là dove il baratro sembra non lasciare speranza.

Don Daniele Simonazzi, per esempio, sperimenta da anni questa strada offrendo ascolto, sostegno e voce agli internati dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Con la sua diaconia punta a smuovere le comuni coscienze di fronte a una realtà poco esplorata, ma fatta di persone con voglia di raccontare, di costruire legami, sentirsi parte di un’unica società; persone che non hanno alcun merito per essere rispettate, tranne quello di essere povera gente.

Molti oggi s’impegnano a fare squadra e mettono insieme le proprie ragioni contro l’illegalità, la violenza e la mafia. Si fanno carico di ciò che non funziona dentro la società. Invitano i giovani e li coinvolgono, magari semplicemente a partire dalle riflessioni e dai confronti realizzati e vissuti in Campi Scuola estivi, in progetti sociali concreti.

Imparare insieme

È quello che, nella provincia di Arezzo, s’impegna a realizzare il Gruppo Rondine, nato intorno ad un’idea forte e originale: far convivere, in luogo e contesto neutrali, giovani provenienti da Paesi in conflitto e che nelle loro terre sarebbero potenziali nemici. La sfida è che, condividendo spazi, tempo, studio, attività quotidiane, relazioni e valori, si realizzi, attraverso una crescita personale e comunitaria, un’unica famiglia. I problemi veri infatti spesso sfuggono a coloro che non li vivono direttamente e insieme.

Quelli citati sono solo esempi di movimenti misti di adulti e giovani, di persone che hanno scelto di non rinunciare al bene anche quando le strade per viverlo sono faticose.

Ma come far emergere questi percorsi nella nostra società? Quali prospettive hanno oggi le nuove generazioni? E la scuola risponde davvero alle esigenze della società di oggi?

Legalità e nuovi percorsi educativi

Non c’è legalità senza una percezione di senso (Marco Guzzi). Forse la legalità è semplicemente l’effetto di una situazione sociale. E forse la corruzione sociale e l’illegalità sono l’effetto di un corpo sociale, culturale e, ancor prima spirituale, morto. Un corpo morto, si sa, si corrompe, si rompe.

Come diventare compagni di viaggio di chi si trova a vivere in un corpo morto, ad avere a volte come unica scelta quella dell’illegalità?

Un interessante incontro, per riflettere su questo tema della legalità e sull’urgenza di proporre nuovi percorsi educativi, si è tenuto il 14 luglio scorso a Roma, sempre alla Casa della Memoria e della Storia. All’iniziativa, promossa fra gli altri dalle Edizioni Paoline, hanno partecipato il filosofo Marco Guzzi e il giornalista di Avvenire Diego Motta.

Educare a pensare

Abbiamo bisogno di gente che pensa e che sappia guidare i giovani a pensare e sentire, abbandonando -tutti- la passività mentale dello spettatore televisivo. I giovani spesso dicono cose che non sentono perché sono scissi…, ma solo loro?

I soggetti della relazione educativa (educatore e anche educando!), particolarmente oggi, sono chiamati insieme a fare esperienza autentica di attenzione e interesse del cuore donati e ricevuti; a far crescere e scambiarsi la propria capacità di ascolto sui reciproci vissuti.

Soprattutto i giovani hanno bisogno di scoprire che il pensiero ha a che fare con la verità e che non ci sono solo le opinioni.  Per questo è necessario imparare a discutere con il giovane, dimenticando per lui tutto il proprio sapere e con lui scoprire le cose, le relazioni. Soprattutto imparare ad ascoltare davvero: se non riusciamo a sentire quel che il giovane dice e non comprendiamo perché lo dice, allora sarà davvero difficile aiutarlo a costruirsi nuove esperienze che lo aiutino eventualmente ad annullare gli errori commessi.

Molti oggi sono impegnati con intelligenza e senza risparmiarsi a fare questa cultura; a sperimentare e insegnare la libertà vera, il gioco relazionale liberamente vissuto nel dono.

Ma è certo che l’avventura dell’educare appartiene a ciascuno. Come è di tutti la responsabilità di consegnare alle nuove generazioni il faticoso e appassionante mestiere di vivere.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

2010-2020: passione educativa in azione

Società | Posted by usmionline
lug 01 2010

Risvegliamo la passione educativa…La sete che i giovani portano nel cuore è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. (Benedetto XVI ai vescovi)

Due anni sono passati da quando Benedetto XVI denunciò la profondità dell’emergenza educativa. In una modernità fatta di linguaggi non sempre riconducibili ai vocabolari è un mondo nuovo -del virtuale e dei media- che si modifica a velocità impressionante coinvolgendo le nostre vite. Tutto oggi rende incerta qualsiasi opera educativa: profondi cambiamenti familiari con la loro incidenza sul vissuto esistenziale e sul processo di crescita; precarietà e diversità di riferimenti culturali; luoghi ed esperienze di vita che non sono più in grado di attivare relazioni interpersonali significative; isolamento e solitudine in aumento. In tale mondo l’educazione effettivamente va ripensata con passione e intelligenza pedagogica, perché per sua natura educare comporta creatività e innovazione.

La lezione audace di Benedetto XVI

Nel suo discorso ai vescovi, riuniti il 28 maggio scorso per la loro 61ma Assemblea generale, Benedetto XVI denuncia una crisi culturale e spirituale altrettanto seria come quella economica.

E la Cei, come chi, davanti a una casa instabile, decida di mettere mano alle fondamenta, mette l’educazione al centro della pastorale della Chiesa italiana dei prossimi dieci anni.

Gli Orientamenti pastorali, approvati dai vescovi per il decennio 2010-2020, saranno resi noti nei prossimi mesi.

Educare non è altro che rispondere alla domanda di senso che nasce da un incontro con la realtà. È coltivare il desiderio che spinge ognuno verso il reale, oggi sempre più multiculturale, per cui l’educazione o sarà interculturale o non sarà affatto. È, in fondo, un contagio di passione per l’uomo. Quella passione che il Papa chiede di risvegliare nelle nostre comunità e che non si risolve solo in una didattica.

A volte sembriamo vivere una strana resistenza a trasmettere ciò che abbiamo di buono e prima di tutto il senso del vivere. Come se l’anello fra le generazioni si fosse incrinato. Cosa è stato a infrangere una trasmissione antica, di padre in figlio, così che i padri balbettano e i figli sembrano spesso incapaci di continuarne la storia? Radice culturale di questo male oscuro, sottolinea a braccio il Papa, è una falsa idea di autonomia dell’uomo, come di un io completo in se stesso. L’uomo invece è creato per il dialogo e solo l’incontro con il Tu e il noi apre l’io a se stesso. Educare è suscitare la passione dell’io per ciò che lo circonda: per l’altro, per gli uomini, per il creato, per Dio. Se abbandonassimo questo a favore della neutralità staremmo fondamentalmente abbandonando l’educazione: abbandoneremmo cioè ciò che è necessario per essere pienamente umani. E i figli disorientati, in questo humus ereditato continuerebbero a cercare una direzione e degli argini senza trovarli, come un fiume smarritosi sulla strada del mare.

Educare non si risolve in una tecnica

Educare oggi richiede la capacità di comprendere che c’è una sfida in atto che è da raccogliere per poter divenire anelli di raccordo tra presente e futuro evitando così che si creino voragini tra generazioni. La sfida è coniugare i valori  basilari della convivenza, frutto della nostra storia, con la modernità fatta appunto di velocità ben diverse da quelle attribuite alla storia.

Educare è un atto di amore nel quale l’educatore offre tutto se stesso nella testimonianza di quella verità che egli già vive e che presenta alla libertà dell’educando. Se l’educazione non è incontro di libertà inevitabilmente essa si trasforma in fondamentalismo. Il migliore antidoto al fondamentalismo è l’educazione… non qualsiasi educazione, ma che sappia tenere insieme verità e libertà. (card. Scola)

La proposta cristiana quindi passa attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia. Richiede un rapporto che riconosca il valore dell’altro e dove l’altro non diventi schiavo delle proprie idee, ma sia persona che l’educatore accompagna al suo destino. Non si tratta di adeguare il vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente di trovare in ogni tempo le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza.

Il primo problema di tutti oggi è quello di identificarsi, di interpretare se stessi e in un certo senso fissarsi. Ma la stabilità è una dimensione soprattutto interiore e soggettiva. Forse è semplicemente la capacità di tenere fede ad alcuni principi fondamentali: rispettare se stessi e gli altri, comunicare in maniera onesta, limitare la propria libertà individuale in nome di un bene collettivo superiore, sviluppare una tolleranza reciproca, esprimere in libertà le proprie opinioni…

In questo senso la famiglia, le scuole, gli oratori, le parrocchie sono luoghi ideali in cui è possibile imparare davvero a conoscere se stessi e gli altri, convivere con loro e, puntando su valori comuni, affrontare nel modo giusto il mondo liquido in cui viviamo.

Qualche orizzonte per l’oggi

I giovani hanno bisogno di una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili (Benedetto XVI). È necessario quindi aprire la possibilità di

-         un dialogo con i giovani, che sia anche progettuale, che li consideri veri soggetti di relazione autonoma: con il Signore, con la vita e quindi con la propria scelta di essere educati. Un dialogo che duri nel tempo, che non sia fragile e che sia credibile.

-         un dialogo permanente tra le generazioni, che permetta a entrambe di esprimere il proprio sentimento (o ri-sentimento), esplicitando quindi anche le proprie aree di esasperazione. È implicito che dare voce implica desiderare di ascoltare la voce altrui.

-         tendere sempre a condividere le differenze come esperienza della ricchezza umana nella reciprocità delle differenze.

E muoversi  così insieme verso il prossimo decennio: sapendo che il processo educativo non è un fenomeno vistoso; utilizzando strumenti che forse non fanno notizia e senza mai perdere la fiducia nei giovani. Ma pronti anche a mettersi e rimettersi in gioco, impegnati  a lasciarsi guidare dallo Spirito verso ciò che siamo: amore verso tutti e verso tutto, a somiglianza del Padre, al quale Gesù ha chiesto di farci perfetti, perduti nell’unità (Gv 17, 23).

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

Stolti o solidali. Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno. Documento dell’Episcopato italiano invita la società nazionale.

Società | Posted by usmionline
mar 11 2010

Bisogna scegliere: vivere da stupidi, indifferenti alla sofferenza e ai problemi degli altri, lasciando che i ricchi vivano a spese dei poveri e i potenti opprimano i deboli. Oppure imparare a pensare insieme e gli uni per gli altri. Il ricco stolto della parabola del Vangelo (Lc 12,16-20) non godrà dei suoi beni, morirà nel sonno quella notte stessa: la stoltezza distrugge i più deboli e non dà sicurezza ai potenti.

A vent’anni dalla pubblicazione di Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e mezzogiorno,  mentre la forbice Nord-Sud in Italia si allarga e l’emergenza si fa più grave, i nostri vescovi offrono a tutti gli italiani indipendentemente dalle appartenenze religiose, un’importante pagina di discernimento comunitario: Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno. È, questo, un documento politico-sociale-economico e religioso. Analitico sulle cause e sull’evoluzione reale delle vicende meridionali. Preciso e appassionato. Indica una via da seguire e trasmettere fede e speranza.

Federalismo e ruolo dello Stato

Il federalismo costituirebbe «una sconfitta per tutti, se accentuasse la distanza tra le diverse parti d’Italia. Potrebbe invece rappresentare un passo verso la democrazia sostanziale se riuscisse a contemperare il riconoscimento al merito di chi opera con dedizione e correttezza all’interno di un gioco di squadra».

Certo il problema meridionale perdura e anzi si aggrava a causa della «travagliata fase economica», che ha trasformato il Mezzogiorno in un «collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo». Gran parte del Sud è tuttora condizionato dalla vecchia logica clientelare, legata alle sovvenzioni pubbliche, al lavoro nero, ad attività un po’ lecite e un po’ illecite, su cui prosperano la cultura della illegalità e le mafie, vero cancro per la vita sociale. Problemi drammatici -denunciano i Vescovi italiani- aggravati dalla crisi economica e dall’egoismo individuale e corporativo cresciuto in tutto il Paese. È necessario coniugare sussidiarietà e solidarietà, per evitare sia il particolarismo sociale che l’assistenzialismo; e recuperare la legalità, insieme ai grandi valori morali dell’esistenza.

Un appello accorato, quindi, quello dei vescovi all’intera comunità nazionale nel contesto dell’Europa e nella nuova economia globalizzata; e nello stesso tempo un monito per i meridionali a fare con decisione la propria parte.  

Volto del nuovo Sud

Non è del male l’ultima parola. Scrivono i vescovi: «Sono molteplici le potenzialità delle regioni meridionali che hanno contribuito allo sviluppo del Nord e che rappresentano uno dei bacini più promettenti per la crescita del proprio Paese». Esistono energie, valori e soprattutto uomini e donne nuovi che si espongono in prima persona e lavorano con rinnovata forza morale al riscatto della propria terra. La rivolta popolare di Locri oggi – come ieri quella di Palermo dopo l’assassinio di Falcone e Borsellino – rivela un cambiamento di cultura e di mentalità nel Sud.

Persone oneste e coraggiose, che vivono in una condizione umana e professionale difficile, sanno reagire alla pseudocultura della rassegnazione e all’omertà, di cui la mafia si serve per soggiogare la popolazione. Un volto nuovo particolarmente significativo perché presente in un contesto sociale in cui essere onesti è un’anomalia e la libera concorrenza e il libero esercizio d’impresa divengono comportamenti eroici.

«Il Mezzogiorno può divenire un laboratorio in cui esercitare un modo di pensare diverso rispetto ai modelli che i processi di modernizzazione spesso hanno prodotto». E questo per un nuovo volto dell’Italia. A questo fine sono indispensabili il coraggio della speranza e una nuova proposta educativa, nella fiducia che «i cambiamenti sono possibili» proprio a partire da tutte quelle persone che rifiutano di considerare favori, da chiedere o da ricambiare, quelli che in realtà sono diritti da esigere e doveri da adempiere.

Il documento, dunque, esprime un grido di dolore, sferza e incoraggia, indica, offre possibili soluzioni, rivela un cambiamento di cultura e di mentalità soprattutto nei giovani e nelle donne. Invoca un sano federalismo e un Paese solidale, unito da Nord a Sud, cosciente e responsabile. La Chiesa locale nel Sud ha mostrato che, quando si è vicini ai poveri e agli ultimi e si condividono i problemi della gente, non nascono dubbi sul modo corretto di intendere i rapporti tra Chiesa e laicità dello Stato.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

Suore migranti con i migranti

Società | Posted by usmionline
feb 08 2010

La società opulenta, anche e soprattutto in questo nostro tempo di crisi, porta all’estremo la tentazione che abbiamo di essere persone “auto”: io, io. E di creare relazioni esclusive tra le persone “auto”, che difendono i loro diritti e, prima ancora, i loro privilegi. Le suore invece da sempre nella storia scelgono di stare dalla parte degli ultimi, come il Signore e Maestro chiede a chi accetta di seguirLo. Scelgono di aprirsi ai principi che Gesù annuncia nel Discorso della montagna intorno al primato degli ultimi. Principi non attuali.

Eterni. E in essi cercano l’inquadratura mentale e la sensibilità con cui affrontare i problemi connessi con le necessità dei fratelli che versano in condizioni di particolare vulnerabilità.

Immigrazione: la ‘signora’ in nero
Un’inarrestabile pressione migratoria dai Paesi poveri verso quelli a sviluppo avanzato è in atto oggi nel mondo. Emigrazione della disperazione. Esodo, che non è frutto di libera scelta, ma di una necessità grave e spesso estrema. “Strutture di peccato” e “meccanismi perversi” (Sollicitudo rei socialis) sono alla base di tale drammatica situazione.
La storia ci racconta che i religiosi, in tutte le aree del mondo, si sono fatti migranti al fianco dei migranti che fuggono da miserie e persecuzioni, per difenderne la dignità. Scelgono la povertà non come virtù, ma come impegno per gli ultimi. E si mettono al loro servizio in sinergia con le istituzioni governative e con le associazioni impegnate in tale ambito là dove è possibile; o in supplenza quando è in atto una grave omissione del principio di solidarietà. Povertà e ignoranza ma anche mancanza di lavoro favoriscono, in Italia e nel mondo, il traffico, l’abuso e la vendita di giovani donne e minori extracomunitari. Per questo negli ultimi anni l’UISG (Unione internazionale delle superiore maggiori) per combattere il traffico di ragazze destinate allo sfruttamento sessuale, ha creato una rete internazionale della vita consacrata contro la tratta degli esseri umani (vedi, nel nostro sito, le straordinarie testimonianze di sr Eugenia Bonetti, responsabile del settore tratta dell’USMI).
L’immigrazione e i media: solo paure
I media in Italia hanno scelto di ingrandire ed esaltare l’aspetto nero e tenebroso, presente in ogni fenomeno umano, quello legato al linguaggio del delitto, alle emozioni del dolore, alle paure dell’invasione e del degrado (cfr “Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani). L’informazione sull’immigrazione appare infatti ancorata alle stesse modalità, notizie, stili narrativi e, a volte, agli stessi stereotipi. Per esempio, le persone straniere compaiono nei news media, quando protagonisti di fatti criminali, più facilmente di quelle italiane.
L’immigrazione raramente viene trattata come tema da approfondire e, anche quando ciò avviene, è accomunata alla dimensione della criminalità e della sicurezza.
Nel dibattito che si sviluppa nei media sul fenomeno migratorio, inoltre, la presenza dei politici è quasi totale e totalizzante, nettamente sproporzionata rispetto alla presenza di altri soggetti, pure interessati al dibattito, come i rappresentanti delle forze dell’ordine, della magistratura, delle comunità straniere.
Gesù ha tanto amato l’ultimo posto che nessuno ha potuto sottrarglielo (C. De Foucauld). E anche Lui è stato un migrante (Benedetto XVI). Motivo per cui nella Chiesa non ci può essere spazio per atteggiamenti di rifiuto e di disprezzo nei confronti degli extracomunitari.
Ma che cosa ci raccontano i fatti delle ultime settimane intorno al tema delle migrazioni in Italia?
Riportiamo dall’Agenzia giornalistica quotidiana Redattore Sociale su disagio ed emarginazione sociale:
- Chi non è regolare lavora di più e guadagna meno
Per gli stranieri non in regola è più facile trovare lavoro, ma nel 68% dei casi è in nero. Il 40% guadagna meno di 5 euro l’ora, ma fa turni più pesanti. Sono i primi risultati dell’indagine “Sicurezza, lavoro nero, immigrazione” condotta da Tito Boeri
- In Italia è boom di ricongiungimenti
Dal 1998 al 2008 sono aumentati del 216%, a fronte di una crescita dell’88% dei permessi per lavoro. Picchi nelle Marche (+434,7%) e in Lombardia (+305,5%). Ambrosini (sociologo): “Segnale di immigrazione matura”
- D’alia: “Ddl per contrasto del lavoro nero degli extracomunitari”
“Abbiamo presentato un disegno di legge con cui si da’ piena attuazione alla normativa comunitaria in materia di contrasto allo sfruttamento del lavoro nero extracomunitario. Si tratta della stessa disposizione contenuta nella legge comunitaria…
- Dove nascono le mille Rosarno del mondo
Oggi e domani a Torino appuntamento del Coordinamento europeo della Via Campesina. L’obiettivo: discutere i danni prodotti in Europa dalla miscela di politiche agricole, sfruttamento del lavoro migrante, razzismo
- Lo spettro della schiavitù nella Piana di Sibari
Un’area sconfinata, costellata di agrumeti e vigneti, racchiusa tra il Massiccio del Pollino, la Sila e il Mar Jonio. Anche qui come a Rosarno lavorano, vivendo ammassati in alloggi di fortuna, migranti per lo più irregolari, dediti al lavoro agricolo e vittime del racket della ‘ndrangheta. Approdano in Calabria come stagionali, oppure giungono dal nord Italia, spinti dalla chiusura delle fabbriche. Guadagnano 20-25 euro al giorno, lavorando anche 12 ore, a volte pagando fino a 6 mila euro, per rientrare in un sistema gestito da cooperative senza scrupoli. Un centro d’accoglienza e sportelli di orientamento aiutano i migranti contro lo sfruttamento.
- Anche l’Europa censura i termini ‘illegalità’ e ‘clandestinità.

La criminalizzazione dei migranti ha fatto irruzione anche nel linguaggio delle più alte sfere politiche europee. Lo rileva un rapporto presentato a Bruxelles dal commissario ai Diritti umani del Consiglio d’Europa

- “Tetto” per le scuole dell’infanzia: Roma si adegua
In classe non più di 5 “bambini dello stesso gruppo linguistico”, sia nati in Italia che fuori. L’assessore Marsilio spiega i motivi della circolare inviata alle scuole dell’infanzia per regolarizzare le nuove iscrizioni, previste entro il 12 febbraio: “Niente di nuovo, stiamo applicando un regolamento vigente del 1996, in linea con le indicazioni ministeriali”. In linea con le nuove direttive alcuni istituti, per altri difficile l’applicazione. I dubbi delle insegnanti. Ziaco (scuola Deledda): “Ma i bambini dove vanno?”. Cernuto (scuola Angelici): “Chi nasce in Italia non dovrebbe essere considerato straniero”. Sono 8.748 i bambini stranieri che, nello scorso anno, erano iscritti alle scuole dell’infanzia della provincia, l’8,1% del totale.
- Salute, irregolari come gli italiani
Un’indagine del Naga ha messo a confronto 974 diagnosi effettuate nel mese di ottobre 2009 ai cittadini stranieri curati presso l’ambulatorio del Naga con 981 diagnosi effettuate a pazienti italiani che si sono rivolti ad ambulatori di medicina generale di Monza. Malattie ginecologiche, cardiovascolari, metaboliche ed endocrine incidono allo stesso modo. Dalla Valle, direttore sanitario Naga: “Confermata la teoria del migrante sano”.
- Da 3 anni nei containers, ma non sono terremotati

Ventidue famiglie, che da 3 anni vivono in condizioni estremamente difficili in un campo della periferia palermitana, male attrezzato e con i servizi “a singhiozzo”, non ce la fanno più a sostenere la loro situazione. Sono finite lì tre anni fa perché senza casa. La maggior parte non ha un lavoro. E ora si appellano alla cittadinanza: “Servono carne e uova per i nostri figli”. In deroga all’attuale regolamento e alla graduatoria relativa all’emergenza abitativa, intanto, il comune promette di impegnarsi per assegnare entro 15 giorni le case confiscate alla mafia.

- Rosarno, parlano gli immigrati dal Cie e dal Cara di Bari

Una delegazione di MigrEurop ha ascoltato alcuni degli africani trasferiti dalla cittadina calabra. Denunciano il clima di violenza, sfruttamento e intimidazione al quale sono stati sottoposti prima del 7 gennaio: “La paura era una costante: i migranti sono stati le vittime, non i responsabili delle violenze”. Parlamentari e associazioni chiedono per loro un permesso di soggiorno come vittime di sfruttamento e che la magistratura li ascolti nell’ambito delle inchieste contro le aziende agricole e la mafia locale. Nel Cie ancora detenuto un migrante rimasto ferito negli scontri.

Sono fatti che abbiamo voluto ricordare, fra i tanti, perché ci aiutino ad essere coscienza vigile e critica della società. Come credenti infatti sappiamo di essere chiamati a scegliere sempre ciò che più piace a Dio; ad essere pronti alla denuncia di quanto offende o manipola la dignità dell’essere umano; a promuovere, insieme a tutti, tutto l’uomo in ogni persona umana.

Luciagnese Cedrone
Biblioteca USMI Nazionale

UNA BUSSOLA PER IL SOCIALE

Società | Posted by usmionline
gen 18 2010

Una bussola per capire la società: così può essere definita la Guida 2010 sull’informazione sociale, realizzata dall’Agenzia giornalistica quotidiana Redattore Sociale e presentata a Roma presso la Federazione della Stampa, il 17 dicembre 2009.

Dopo l’apertura di don Vinicio Albanese, l’assessore  Raffaele Tangorra (ministero Welfare) esprime il suo apprezzamento per questo lavoro strutturato su macro-voci, che egli definisce una cassetta degli attrezzi per chi si occupa di sociale. Per la prossima edizione della Guida dà due indicazioni: più attenzione al divario tra nord e sud rispetto alle politiche nel sociale e approfondimento della Social Card.

La presentazione è quindi introdotta dal direttore di Radio Tre Marino Sinisbaldi  e poi completata da Walter Dondi e da molti altri interventi. In sala sono presenti Laura Badaracchi, che si è occupata della revisione dei testi, e molti altri collaboratori.

Il volume è un prezioso strumento di studio e di conoscenza alla sua sesta edizione dal 1994, frutto di raccolta di dati -a partire dal lavoro quotidiano dell’Agenzia- e di lavoro da utilizzare per creare un contesto culturale debitamente e correttamente informato. Le sue pagine non sono solo informazione sul “disagio”, ma costituiscono un aiuto per chiunque ha a cuore la situazione dei più deboli e per tutti coloro che hanno a che fare con il mondo della povertà, dell’emarginazione e del bisogno; un compendio utilissimo per chiunque si proponga di intervenire e di operare su questi problemi e sulle situazioni che essi determinano sulle persone.  Il libro inoltre è un «sussidio a cui ricorrere ogni qualvolta si affrontano in cronaca o in commenti i temi riguardanti la problematica sociale», ha scritto don Vinicio Albanesi nella presentazione. «Si ha così la certezza di non dover citare a memoria o peggio ancora di riferire secondo sensazioni o sentito dire». Con una ricerca esclusiva sulla criminalità degli immigrati realizzata per Redattore Sociale dal Dossier Caritas-Migrantes, che smonta con dati e comparazioni inattaccabili molte delle più diffuse convinzioni sull’argomento.

Per l’informazione ufficiale, questa guida testimonia che nella società italiana la realtà non è solo quella che viene proposta dai Media; costituisce un potente richiamo alla realtà di un Paese alle prese con problematiche di natura economica, sociale ed esistenziale, espunte spesso dalla cronaca dei mezzi di comunicazione a vantaggio della quotidianità più drammatica. Da noi infatti il sociale fa notizia solo se è drammatico o gossip. E spesso le realtà sono presentate in maniera strumentale per un ritorno di consenso o di interesse.

D’altra parte l’aggravarsi della crisi e delle difficoltà accentua anche gli egoismi. La concentrazione di articoli drammatici legati a choc mediatici alimenta e produce nella gente una richiesta di essere sollevati. 

Il metodo scelto dai curatori del volume offre sì dati storici nella loro drammaticità, ma non li isola: li confronta invece con i dati di altre realtà e Paesi. Contestualizzando così i fatti, il volume offre il senso della realtà. Orienta, perciò, nell’individuare le piccole crepe destinate a diventare fratture e illumina potentemente le trasformazioni sociali.

P. Giovanni Lamanna chiarisce l’obiettivo a cui deve essere finalizzata l’informazione: raggiungere le coscienze. «Poiché viviamo un clima di paura –egli sottolinea- quando si scrive si deve mirare a svegliare le coscienze e aiutare a capire la realtà che stiamo vivendo».

Stare nelle situazioni, lavorare con le persone in difficoltà, condividere quotidianamente la sorte e i problemi dei poveri, essere impegnati attivamente a difendere la causa degli emarginati e degli esclusi: tutto questo dà l’autorevolezza che permette di raggiungere le coscienze. È il messaggio affidato a tutti i giornalisti che hanno partecipato alla presentazione del libro, a quanti sceglieranno di consultarlo e di studiarlo e a tutti coloro che si preoccupano della qualità e della libertà dell’informazione in Italia.

Luciagnese Cedrone, smc
Biblioteca USMI Nazionale