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E se si pensasse plurale?

Senza categoria | Posted by usmionline
feb 04 2014

Parole pesanti lasciate in libertà per insultare?!… Ma se l’uomo non vive di incontri veri e se  per comunicare non usa il suo vero potere che è la fraternità, allora la sua vita semplicemente NON È!

Quando il Parlamento diventa un… ring
downlo 1adCi sono parole per fingere e per fare rumore, per vendere e comprare, parole per piangere e per ferire (S. Endrigo). Ma una comunicazione basata sullo scontro è vera comunicazione? La rinuncia a con­frontarsi – ce lo dice l’esperienza – può produrre solo forme di antagonismo più o meno violento e steri­lità, umana e politica. Allo stesso modo una opposizione condotta senza alcuna strategia costruttiva porta semplicemente a sperimentare un forte senso d’inutilità, oppure a comportamenti eversivi, che nessun tipo di dissenso può legittimare. Qualcosa di simile ultimamente è sempre più presente nelle aule del Parlamento, dove il fatto civilissimo di non essere d’accordo con qualcuno, troppo spesso viene espresso non in termini di dibattito civile, ma, quando va bene, con ‘sparate’ ad effetto condite da espressioni che non escono certo dal vocabolario della Crusca. Lo scontro  rischia di diventare modalità dominante, mentre un clima da guerra civile permanente arriva sotto i riflettori dei media, si riversa sul web e, inevitabilmente, nel quotidiano di tutti.
È per crearsi un’immagine che si alza la voce? Per dimostrarsi dalla parte del ‘popolo’ e avere consensi, che ci si compiace di essere volgari? Per coprire la pochezza delle proprie proposte che si cerca di catalizzare la rabbia degli altri attorno a un obiettivo, qualunque esso sia, purché simbolico?                 

Un nuovo vizio a dominare lo scenario sociale?
In certi ambienti il turpiloquio in realtà appare sdoganato. Ma davvero questa pseudo-cultura che imperversa attraverso i media, riscuote successo fra la gente comune? Sicuramente nel profondo di ognuno c’è la difficoltà a riconoscere il limite e a superare il bisogno tutto egocentrico di considerarsi perfetti. E c’è in molti la convinzione narcisistica che ognuno ha diritto ai suoi minuti di celebrità, o almeno alle … 140 battute di fama! In tale sistema di valori e di cultura, è facile anche per alcuni ritenersi ‘speciali’ così da poter essere capiti solo da persone (o istituzioni) altrettanto ‘speciali’; individui che parlano ed esibiscono comportamenti arroganti come se tutto sia loro dovuto! Forse molti nel quotidiano dedicano tante, troppe energie alla ricerca di piccole affermazioni e competizioni, e forse lo si fa senza volerlo davvero. Ma certamente si fa anche l’esperienza che non sono i piccoli successi di una battuta ben assestata o la dimostrazione di saperla più lunga, o il far finta di saperla più lunga che faranno ottenere la sicurezza e la pace interiore che si cerca. Non è lì il ‘nuovo’ che appaga. La Verità che non tradisce è nelle parole di Gesù: “Ciascuno con la sua bocca esprime quel che ha nel cuore”(Luca 6,45). Allora il problema vero per tutti e per ognuno è verificare la situazione del proprio cuore e come si vive il NOI. E riscoprire così la capacità e il coraggio di cambiare radicalmente l’orizzonte comune della comunicazione.

La Buona novità di Francesco e la cultura dell’incontro
selfieNella nostra epoca in realtà si avverte profondamente la carenza di una comunicazione vera. In controluce lo rivela la popolarità di Papa Francesco – con la sua capacità di comunicazione così intonata ai tempi e così efficace – verso il quale credenti e lontani provano quel sentimento che si ha verso una persona di cui si sentiva il bisogno. È necessario il coraggio di andare controcorrente - egli esorta ripetutamente nei suoi messaggi – per non contribuire a creare una società dove tutto è indifferente, mentre si viola la dignità umana; e forse lo si fa anche convinti di agire bene. E ancora: Abbiamo bisogno di comporre le differenze attraverso forme di dialogo che ci permettano di crescere nella comprensione e nel rispetto. La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri.

Nella nostra società sono state accettate espressioni aggressive, violente, stupide che prima non c’erano. Certamente la violenza esiste, nelle parole e nei fatti. E i cretini pure. Quello che però ognuno può fare per muoversi con la vita verso la Verità e comunicarla, è ‘esserci dentro’ e impegnarsi seriamente perché non sia distrutto il sistema condiviso di ciò che è buono e di ciò che è cattivo. Il che non significa però semplice annessione o cancellazione delle differenze, ma  saper correre il rischio e la lezione dell’incontro. Chi, per esempio, impreca ogni volta che qualcosa va storto, dimostra di essere convinto che debba sempre andare tutto come dice lui (J. V. O’Connor). Per incontrarsi occorre sapersi mettere in discussione, esporsi a quella che è la posizione dell’altro; rendersi disponibili a capire le sue ragioni, accettarne le motivazioni, comprendere che le sue obiezioni hanno un fondamento e farsene in qualche modo carico… Creare tali condizioni di prossimità risveglia le grandi domande sul senso dell’esistenza, dove c’è veramente spazio per tutti. E se non si vive per comunicare, si può però comunicare quello che si vive. La ricchezza della comunicazione è sempre proporzionale all’esperienza che una persona fa. Di papa Francesco è stato osservato: più egli è nuovo, più affonda nell’antico del Vangelo”.

Chi comunica si fa prossimo
Per noi discepoli del Signore, che cosa significa incontrare una persona secondo il Vangelo? “Andiamo a cercare insieme le parole per pensare, parlare, amare”, cantava Sergicomunicazione-autenticao Endrigo. Il compito primo per tutti – credenti e non – è la convinzione che demolisce l’indifferenza nella quale non si pensa; poi l’aggressività della mitezza, che ama la vita… Ma le persone e le situazioni prendono davvero uno spessore diverso solo quando coloro che accettano di farsi discepoli di Cristo cominciano a gustare lo stare con Lui, a scaldarsi il cuore con Lui… Allora si conosce che non ci sono problemi da risolvere, ma solo persone e situazioni concrete da amare. Modi diversi per essere uomini e abitare con convinzione la terra. Cuori certamente incompiuti come è naturale, di cui nessuno forse si accorge e che non finiranno nei libri di storia… Ma cuori che in segreto seminano giustizia e pace intorno a sé, e per questo sono i veri legislatori nel tempo. Con nel cuore l’energia che viene da Dio su tale strada si sarà testimoni della Sua carità in un mondo forse ostile, ma bisognoso di Lui e del suo amore.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Dalla Terra fertile del silenzio…

Senza categoria | Posted by usmionline
gen 23 2014

Rivestirsi di silenzio e udire, oltre gli agitati ambiti quotidiani, la Voce interiore. Lasciarsene abitare e ritrovare se stessi. Sentirsi “a casa” con tutti e camminare insieme verso grandi orizzonti che evocano l’Infinito.

Ho conosciuto…
voce_interiore…il silenzio delle stelle e del mare, dei boschi prima che sorga il vento di primavera, … di un grande amore, … di una profonda pace dell’anima, dei vecchi carichi di saggezza,e il silenzio dei morti. Se noi che siamo vivi non sappiamo parlare di profonde esperienze, perché vi stupite che i morti non vi parlino della morte? Quando li avremo raggiunti, il loro silenzio avrà spiegazione(Edgar Lee Masters).  

La cultura moderna tende a persuaderci di poter tutto sapere e tutto dominare. Ma la nostra è una società che non sa come riposare o rilassarsi. O forse, più semplicemente, non sa come ‘essere’. Solo il silenzio custodisce il mistero del cammino che l’uomo compie nel tempo. Il Signore – suggerisce a noi, e invoca da Dio, Papa Francesco – ci dia la grazia di amare il silenzio, di cercarlo e avere un cuore custodito dalla sua nube.

108312075_4L’uomo è una unità che si cerca fra tanti suoi ’io’, dei quali però nessuno è disposto a tacere e tanto meno ad arrendersi. Fra loro la persona si ritrova come straniera a se stessa e sperimenta quanto il convivere con sconosciuti possa lacerare dentro. Senza il silenzio non può raggiungere né conservare l’unità in sé, soprattutto nel mondo competitivo e conflittuale in cui viviamo oggi, dove ognuno sembra intento più o meno consapevolmente a una lotta estenuante per dimostrare il proprio valore ed essere ‘qualcuno’. Così si è ininterrottamente indaffarati, più di quanto lo si sia mai stati in passato.

E si è immersi nell’inflazione della parola
…che facilmente porta ad alzare il volume quando si parla. E si parla sempre più spesso in modo volgare, con parole che risultano molto più vuote degli spazi che le separano e che, comunque, rivelano se stessi – e nello stesso tempo rendono gli altri – incapaci di ascolto. Su tale via la civiltà così detta della comunicazione, rischia di tornare ad essere una babelica società della confusione, mentre gran parte dell’umanità, nella mancanza di silenzio e nella superattività, si ritrova con i nervi a pezzi. Segno che impazienza e rumore non portano frutti sani. Persino le virtù già acquisite perdono la loro bellezza e diventano scadenti. Ma rimane inalterato il bisogno che ognuno si porta nel cuore di comunicare davvero, di ascoltare ciò che non è immediatamente esplicito o appena affacciato alla superficie del dire proprio e altrui. Per vivere e parlare con libertà e coscienza, è davvero necessario sapersi educare al silenzio. Forse anzi è la cosa più importante che si può insegnare e imparare per la vita in questo nostro tempo.

Ogni costruzione umana significativa…
…ha bisogno di tempo e di silenzio, nei quali è “insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione e di concentrazione sulle cose essenziali” (D. Bonhoeffer). La w-eugene-smith-two-kids-back-turned-the-walk-to-paradise-garden-1946-300x336terra del silenzio è fertile perché in essa tutto avviene secondo un ritmo più profondo di vita, che permette di recuperare se stessi e di crescere in umanità. Certo al primo impatto il silenzio può far paura perché sembra parlare di morte. Ma se si ha il coraggio di sceglierlo per sé con regolarità quotidiana, si rivela compagno discreto cui attingere per trovare le risposte che spesso si cercano invece all’esterno, negli avvenimenti della vita. Educa infatti alla vigilanza, rafforza l’attenzione a quei dettagli del vissuto che rivelano la novità del proprio quotidiano, mai banale, anche se spesso banalizzato da una diffusa superficialità. Soprattutto predispone all’ascolto profondo di se stessi, del prossimo e di Dio. Quando poi è di casa nella propria vita, allora lo si porta con sé sempre. Con lui si è meno esposti al rischio delle banalità e si è in grado di offrirlo con spontaneità… Non è più insomma solo assenza di parola: è diventato uno spazio interiore.

Così avviene che
390441_527705927244232_63056671_n…tutte le decisioni – quelle piccole e quotidiane, come pure le scelte coraggiose e radicali che cambiano il proprio orientamento di fondo – avvengono nel silenzio e parlano nel modo del silenzio. In tale terra fertile le preoccupazioni e le difficoltà nel cammino di ogni giorno diventano attesa paziente; la fatica si fa passione; e il lavoro, vissuto come missione, fa sperimentare la gioia autentica della vita.

Coglie nel segno Simone Weil quando afferma: noi da soli, non possiamo fare passi verso il cielo. Ma se guardiamo a lungo il cielo, Dio discende e ci rapisce facilmente, perché i beni più preziosi in realtà prima ancora che cercati vanno attesi.

Quando il silenzio è ‘abitazione’
Preghiera+579+R++336651_291747847521814_106043342758933_1068296_2104662824_oIl Padre ha detto in un eterno silenzio una sola parola: suo Figlio… e preferisce a tutte le parole il silenzio dell’amore (Giovanni della Croce). L’ombra e il silenzio sono i “luoghi” in cui Dio ha scelto di manifestarsi all’uomo nella storia della salvezza. È bello il silenzio quando è vissuto come spazio abitato; quando tacciono tutti gli altri rumori e si percepisce il mormorio leggero di una Presenza. Per entrare nel mistero di questa Presenza, sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in Lui (Salmo 37,7). Gandhi insegnava che “può pregare con sincerità solo colui che è convinto di avere Dio dentro di sé”. E aggiungeva: “più passa il tempo, più mi accorgo che non riesco ad essere felice senza silenzio, senza preghiera… La preghiera mi ha salvato la vita. Senza di essa sarei pazzo da molto tempo”. Con il silenzio e la preghiera si trova il centro della propria energia per andare dove il cuore dell’uomo soffre ed essere testimoni della Parola che non passa e della vera Bellezza della vita.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Indignati… e poi?

Senza categoria | Posted by usmionline
gen 10 2014

“Servizio” –  generato dal mistero e animato da una contemplazione mai paga della realtà – è il nome nuovo della civiltà e del futuro, perché è lo stile di Dio. 

Si fa presto a dire “indignati”
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Un’opinione pubblica per molti aspetti spaventata e sbandata da una crisi di cui avverte profondità e gravità. Forze sociali un po’ sperdute e un po’ opportuniste che s’infilano nelle contraddizioni in corso, quasi giocando a fare la parte dello “scarico di responsabilità” come se ognuno non ne avesse, più o meno, di proprie! E su tutto risuona l’“Indignatevi, gente!” – richiamo continuo a un ruolo libero, indirizzato a chi non si arrende al declino. È la calda raccomandazione di Hessel, uno che ha fatto la storia invece di subire gli eventi e che è diventato poi una sorta di santo laico dei diritti civili, quelli che si conquistano con le idee e l’esempio. Certamente non con la violenza. Il suo appello alle giovani generazioni “a rivoltarsi e a impegnarsi” – pubblicato nel 2010, uscito in circa 100 nazioni e venduto in oltre 4 milioni di copie – ha dato il via alle proteste di piazza in ogni angolo nel mondo: da Atene a Istanbul e Madrid passando per Roma. Il 2013 non è stato da meno: Turchia, Brasile, Egitto, Bulgaria e ancora Roma. Dappertutto giornate cariche di protesta democratica e voglia di farsi sentire. Tanti sono nel mondo i fatti che offendono il senso di umanità e di giustizia. Ci si indigna soprattutto perché si chiedono sacrifici ai deboli e sono aggrediti i più elementari diritti sociali; perché lo sfruttamento nel lavoro (e non solo!) è penetrato nella vita quotidiana anche in occidente e troppo spesso nemmeno è riconosciuto…

All’inizio di una rivoluzione globale…
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Guardarsi intorno alla luce dei diritti universali dell’uomo è, per gli abitanti della terra che non intendono arrendersi, il punto di partenza. Gli ‘indignati’ credono sia ancora possibile rimettere al centro il lavoro, lo stato sociale, la cultura, l’istruzione, i beni comuni, la sostenibilità ambientale. Su tali temi il filo rosso della indignazione pubblica e della protesta a ondate riprende e continua. Nelle diverse piazze del mondo le anime sono separate e c’è assenza di “leader” tradizionali. Nessun coordinamento, ma slogan simili. Ruoli diversi ma parole d’ordine comuni. Eterogenesi dei fini ma stessa sensibilità … Le decisioni sono prese da una sorta di ”assemblea comune” e comunicate attraverso i social network, soprattutto Facebook, blog e Twitter. Quando poi tutta l’indignazione per le ingiustizie muove concretamente a partecipare e a stare dentro le cose per poterle cambiare, allora comincia a rendere esseri umani. Ma è sotto gli occhi di tutti quanto la complessità, nel nostro mondo globalizzato, rende difficile ai singoli individuare gli ‘oggetti’ della propria indignazione. È più facile nascondersi dietro pensieri come “ma che ci posso fare io”, “le cose vanno così”, “sono più grandi di me”… E continuare a trascinarsi a suon di lamentele e rassegnazione… Tirando insomma a campare, fra l’indifferenza dei più e il mantenimento dello status quo di pochi. Eppure l’indignazione rivela il primo passo per un vero risveglio delle coscienze. C. M. Martini con sapienza lo aveva già intuito: siamo ad una svolta della civiltà occidentale e di quella mondiale. L’avvenire sarà nella chiarezza delle coscienze.

… e di una nuova svolta nella storia
Tutto ciò che migliora l’uomo in forma permanente, in realtà passa per la convinzione interiore e per la coscienza, che si propaga per ‘contagio’. Per questo si può affermare La+terra+promessa+3821che il futuro del mondo è nella interiorità. Sempre più affidato alle informazioni e alla buona gestione delle informazioni.

Un tempo si poteva pensare di guidare le masse con slogan generici; si riusciva anche a tenerle sottomesse con imposizioni esteriori di figure ‘divine’ o con il paternalismo spesso dispotico di governi a cui si finiva per delegare ogni decisione… Ma la gente, in situazioni al limite fra disastri e possibilità, disposta finalmente a pagare di persona, si è ribellata a ciò che veniva imposto. E sistemi politici, che pure duravano da decenni, sono crollati.

Oggi si tratta di costruire una massa critica, che sia soggetto pensante di una faticosa democrazia, in cui il conflitto non sia lo scontro di fazioni opposte, ma la dialogante contrapposizione di idee e di proposte diverse. Il cittadino è indignato di fronte ad uno Stato forte con i deboli e debole con i forti. Ma indignarsi non basta. Obiettivo primario è promuovere una democrazia partecipativa che restituisca dignità e valore all’azione politica; che metta il cittadino, e non l’economia, al centro del dibattito. Lungo tale cammino e nel superamento di gravi contraddizioni fra alti e bassi della storia, nasce e si realizza quel pensiero positivo, che fa emergere società migliori

Nei meandri del cuore umano
Oggi la vita civile, sociale e politica del nostro Paese sembra stagnare in acque basse … Ma l’odio non serve, porta a vie senza uscite, perché chi vive solo per sé muore DSC01797(Ronchi). Riusciranno gli indignati presenti a ondate nella storia di questo nostro tempo – pur con le loro mancanze, ritardi, limiti, peccati… – a provocare, scuotere, rimettere in cammino la nostra società divisa e frammentata, caratterizzata da relazioni fragili, conflittuali, competitive, consumistiche? Soprattutto sapranno rendere visibile nel mondo una comunità coerente con il messaggio che annuncia, concretamente orientata a costruire una rete di relazioni gratuite e disinteressate, capace di perdono, accoglienza, reciproca accettazione? Tale disponibilità richiede di voler tornare quotidianamente alla verità di se stessi, mai acquisita in modo definitivo; chiede di rinunciare a farsi misura di tutto. Saremo capaci di riconoscere che ognuno è nato per andare oltre i limiti delle proprie comodità e imparare ad amare di più? Ne sarà segno sicuro il desiderio di condividere, quel bisogno maturo che sa di scambio, reciprocità e parità e che è profumo di rapporti autentici.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

In cerca dell’essenziale

Senza categoria | Posted by usmionline
dic 27 2013

Comune a tutti gli uomini è vivere percorrendo il solco profondo della ricerca di un TU, in cui riconoscersi amati e amabili, capaci di un incontro vero che faccia fiorire tutto l’essere.

Tra le trappole della transizione…
sostanza-e-accidenti_p_300x399Cambiamenti vorticosi caratterizzano il nostro tempo: avviati e certamente non ancora  compiuti, tanti e così importanti come forse mai ce ne sono stati in uno stesso periodo storico. Non è facile, vivendoli sulla propria pelle, individuarne la direzione e separare il polverone che sollevano intorno, dall’essenziale che resterà nel tempo.

Dall’insieme certamente si ricava che il consumismo dell’occidente sta conoscendo una crisi che non è passeggera. La domanda inquietante, che rimane aperta e reclama il coinvolgimento di tutti a rispondere in modo adeguato, riguarda il punto di arrivo di tale crisi: sarà una maggiore sobrietà per tutti, o un consumo più sfrenato solo per pochi? Un dato comunque può essere considerato già acquisito: pur in una eterogeneità di problematiche, cresce a dismisura il numero dei tanti anonimi sconfitti della storia, quelli che non hanno voce e che sono facilmente riconoscibili dai loro sguardi arruffati e fatti profondi dalla sofferenza; tante sono le cadute nel girone dei più deboli e sempre di meno le vie d’uscita. In realtà dalla disoccupazione alla strada il passo oggi è sempre più breve. Soltanto una questione di tempo?

… e molte domande!
marta-e-lillo-300x283“Si sa che la gente dà buoni consigli/ se non può più dare il cattivo esempio”, cantava pessimisticamente Fabrizio de Andrè in “Bocca di rosa”. Ma il piccolo-grande miracolo delle sue storie è ancora nel fatto che esse rovesciano la prospettiva dei cosiddetti ‘normali’ che le ascoltano e fanno invece sentire ‘vicini’ – nei loro errori e nei loro drammi – i protagonisti di quelle canzoni. Immersi nelle contraddizioni del vivere che sono di tutti, si muovono in una realtà precaria e anche infelice. Sono ‘antieroi’, scampoli di umanità respinti che vivono ai margini… Eppure, pur sbagliando, cercano di “mettere l’amore sopra ogni cosa” e vivono quasi in pellegrinaggio verso l’utopia di una realtà fatta di convivenza e di comprensione.

È possibile – e in che modo – distinguere ciò che davvero conta per un cammino nel segno di un’autenticità umana a sigillo della propria esistenza? Per tutti – ne facciamo esperienza ogni giorno - è troppo facile sentenziare a priori sugli errori degli altri, farsi scudo delle regole violate da ‘quegli’ altri e chiudersi in un guscio vuoto che impedisce di fatto di vedere e riconoscere la propria povertà umana. Rimane allora al singolo altra possibilità al di fuori del riconoscersi impotenti di fronte alla miseria propria e all’ingiustizia di questo mondo?

Il vizio della normalità…
Tra i normali ‘giusti’ e ‘retti’ c’è tanto risentimento … tanta facilità a giudicare e condannare… tanti pregiudizi …, faceva riflettere H.J. M. Nouwen qualche anno fa. Nello stesso tempo egli rilevava quanto fosse difficile individuare e accettare in sé questo smarrimento pieno di rabbia repressa. Difficile perché strettamente legato al proprio impegno per evitare il ‘peccato’ ed essere ‘buoni’. Così la condanna degli altri e il rifiuto di ciò che realmente si è si rafforzano a vicenda in un circolo sempre più vizioso. In tale situazione diventa inevitabile perdersi nel labirinto interiore dei propri lamenti, fino a sentirsi la persona più incompresa, trascurata e poco amata del mondo. Lamentarsi infatti è qualcosa che si autoperpetua e il risultato è sempre l’opposto di ciò che si cercava. In realtà l’imperfezione è la vera realtà che ci accomuna tutti e non c’è crimine che non abbia il suo seme nel cuore dell’uomo. Percepire questo e ammetterlo fa nascere la compassione e il patire insieme.

… in un’ottica radicalmente diversa
“Quando seguo una catastrofe solo in televisione o sul giornale, mi sento sopraffatto e impotente. Quando invece aiuto qualcuno, sento la mia forza. Stare a guardare deprime, aiutare sorprende con l’esperienza di poter  salvare una vita, contare sull’aiuto e sulla potenza di Dio”. Sono parole del cardinale C. M. Martini. Raccontano con chiarezza il cammino che egli ha pienamente compiuto nel tempo. Ma quando tali parole sono accolte dentro la propria vita in tutta la loro forza profetica, allora si fanno sentieri sicuri nel viaggio di ritorno verso la dignità, che rimane la parte più vera dell’uomo di ogni tempo e fondamento sicuro di una speranza che non tradisce. Ai politici l’esperienza di un’ottica sulla realtà così radicalmente diversa potrebbe indicare i sentieri giusti per riuscire ad ascoltare e raccogliere, in questo tempo di transizione, la voce dell’Italia contro la corruzione; per assumere GMM2006 - particolarefinalmente forme migliori di rappresentanza e mettere in contatto bisogni e problemi concreti con il cittadino comune. Le istituzioni sociali e di beneficenza ne riceverebbero un’ulteriore spinta a sviluppare l’arte e l’ingegno che consentono a tutti gli uomini di buona volontà di rendersi utili. E tutti potrebbero riconoscersi il diritto a sentirsi finalmente forti aiutando qualcuno e unendosi per combattere contro le ingiustizie.

… e con le energie della verità vivente…
Per soccorrere il dubbio che tormenta e lacera l’animo umano è necessario un aiuto dall’alto. Lo vede con chiarezza il pensatore russo P. A. Florenskij, l’Agostino dei nostri tempi: “Esistono due mondi - egli scriveOrigine-della-vita - e questo nostro mondo si cruccia nelle contraddizioni se non vive delle energie dell’altro mondo”. Trovare un cuore, un incontro, persino un libro, che aiutino a guardare più lontano, permette di orientarsi e di poggiare in qualche modo la fatica e la speranza. Ma la vita diventerà ‘buona’ se si lascerà incontrare dal mistero di un Dio che ha voluto sporcarsi i piedi con la polvere di questa terra per dirci che questa vita può essere vissuta in modo diverso e più bello, smettendo di farsi gli affari propri e cominciando a prendersi cura anche degli altri, a cominciare da quelli di cui nessuno si cura. L’amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto (Mt 25,40). Ma una vita centrata sui ‘piccoli’ ha bisogno – oggi più che mai – di qualcuno che la riporti a quell’essenziale, che è l’interiorità: la dimora che tutti condividiamo, anche quando non abbiamo dimora.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

IL NOSTRO NATALE

Senza categoria | Posted by usmionline
dic 18 2013

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“Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e untitleddona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Salvatore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita”.

Con queste parole, della liturgia dell’Ufficio delle Letture di Natale, S. Leone Magno ci invita alla gioia per la nascita del nostro Salvatore, portatrice di salvezza, definitiva e universale.  Salvezza che, in Cristo,  ha già raggiunto l’umanità intera e che la festa del Natale celebra, rinnovandone in noi la consapevolezza e mantenendone viva la memoria.

Queste stesse parole sembrano trovare una particolare sintonia con quelle di Papa Francesco, tematizzate nell’Esortazione Apostolica e in molteplici udienze e omelie. “Dio, ricco di misericordia” (Ef 2,5)  “torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia.” (EG,3).

E’ il Signore, la sua venuta apportatrice di redenzione, la ragione della nostra esultanza. La gioia e il gaudio sono dono e frutto della sua presenza, del suo venire, del suo chinarsi sull’umanità che “giace nelle tenebre e nell’ombra di morte” (Lc 1,78), del suo farsi così vicino da essere il  “Dio con noi”.

“Vieni Signore Gesù”, invoca la liturgia durante tutto il tempo dell’Avvento.

E il Natale canta: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore”. E’ venuto e abita la nostra storia, segnata dal peccato e dalla morte e la trasfigura in realtà di vita, vivificata dallo Spirito. E’ entrato nella storia, facendosi “il più piccolo” (Mt 11,11) per innalzarci alla dignità di figli. “Nell’atto supremo dell’incarnazione -cioè la croce-, l’amore si rivela come il nome proprio di Dio, nella sua totale “espropriazione” (O. Clément, Riflessioni sul Natale, p.44, Lipa). E’ il Figlio che “pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…” (Fil 2,6-7).

Nella notte delle fatiche, dei disorientamenti, delle incertezze delle nostre comunità, delle Congregazioni, della Chiesa, dell’umanità sofferente e disorientata è entrato un germe di vita così potente da sconfiggere la morte e ridare la speranza: in Cristo la Vita  è entrata nella storia ed è accessibile a tutti. “A Natale, è come se Dio e l’uomo avessero scambiato la loro vita. Un germe divino, la potenza dell’ultima metamorfosi, sono entrate nel mondo. La divinoumanità realizzata in Cristo, proposta agli uomini, finalizza tutto: potenza dell’amore sacrificale, crocifisso, vittorioso per l’offerta illimitata della croce” (O.Clément). “Quando entra senza ritorno in una tragica storia d’amore… che cosa fa Dio? Si fa un piccolo bambino al cuore stesso delle tenebre, perché la sua forza impercettibile e tuttavia invincibile divenga la nostra, perché noi facciamo crescere in lui, con lui, questo germe del regno in cui, dice l’Apocalisse, Dio stesso ‘asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate’” (O. Clément).

Celebrare il Natale è quindi celebrare il compiersi dell’amore di Dio nel Figlio che dà pienezza alle promesse di Dio. Pastore buono cerca l’uomo perché diventi il suo interlocutore privilegiato, dentro un’alleanza sponsale: “sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia…” (Is 62,4).

Celebrare il Natale è anche lasciare che lo Spirito ridoni al nostro cuore la capacità di cercare il Signore e di accoglierlo come l’unico nostro Salvatore.

All’annuncio degli angeli i pastori andarono e adorarono il Bambino; al segno della stella i Magi si misero in cammino e cercarono il luogo dove si trovava il bambino.

Anche noi, le nostre comunità, le nostre Famiglie religiose possiamo rimetterci continuamente in cammino e nello Spirito essere e divenire donne vigilanti, in ascolto della sua Parola, attente ai suoi segni di bontà, donne “visionarie”, capaci di vedere non solo il farsi della sua opera di salvezza nel mondo, ma anche il compimento definitivo di questa opera. Vedere nella piazza d’oro dell’Apocalisse il trono di Dio e dell’Agnello e i suoi servi.

Anche a noi religiose gli angeli annunciano, anche sul nostro orizzonte c’è una stella: la Parola che scende dal cielo e che feconda la terra (Is 55), la Provvidenza che, nella mediazione di tanti fratelli e sorelle di fede, illumina la nostra strada perché la vita religiosa diviene sempre più segno di eternità.

Sr Maria Pierina Scarmignan ofmi
Consigliera USMI nazionale
mariapierina@orsolineverona.it

Doni e sentimenti in circolo

Senza categoria | Posted by usmionline
dic 09 2013

Anche una semplice esperienza come il presentarsi a un compleanno senza un regalo, o scoprire di averne ricevuto uno più prezioso di quello chetopic
si è fatto, ci dice che il dono è molto più di ciò che ci si scambia… 

Dare, ricevere e… obbligo di ricambiare
Davvero i legami sociali e i rapporti interpersonali, in una società come la nostra segnata da individualismo e con tratti accentuati di narcisismo, si spiegano solo in termini di modello mercantile, calcolo e interessi reciproci? Se è così, l’usanza tanto comune (e altrettanto simpatica!) di scambiarsi doni fra natale e fine anno e di porli ai piedi dell’albero di natale, è una faccenda… molto seria. Come pure l’usanza antica dell’abete sempre verde che, nel pieno della stagione invernale, viene addobbato e si fa, per tanti, segno della vita che non muore. Di quella vita – faceva riflettere Giovanni Paolo II – che resta «sempre verde» se si fa dono non tanto di cose materiali, ma di se stessi: nell’amicizia e nell’affetto sincero, nell’aiuto fraterno e nel perdono, nel tempo condiviso e nell’ascolto reciproco.

Il dono in realtà fonda e rifonda le civiltà e la vita, non solo nel senso che nessun uomo sopravviverebbe alla nascita se qualcuno non gli donasse attenzione, cura e amore… ma perché nessuna comunità umana e nessuna istituzione nasce e rinasce nel tempo senza doni. Doni quindi come autentici atti di umanizzazione! Ma questa consapevolezza abita davvero nella persona che dona? Come si concilia la pratica del dono con la logica del do ut des – motto latino il cui senso è “dare per ricevere” – che pure da decenni, di fatto, continua a ispirare le scelte dei più nella nostra società occidentale? Forse la ‘faida’ dei regali che ‘chiedono’ altri regali, così ben praticata da tanti nostri politici, non ci è poi così estranea come vorremmo credere. E forse non è nemmeno un caso che la parola gift significhi in inglese ‘dono’ e in tedesco ‘veleno’…

Ambiguità…
“Nulla si fa per nulla” è un proverbio terribilmente reale e terribilmente antico. Si pratica l’atto del dono, più o meno consapevolmente, per affetto sincero, per
gift_3non essere dimenticati, per riconfermare un’amicizia…; ma anche per semplice consuetudine, per obbligo, convenienza…. E può essere ricevuto senza destare gratitudine, o con egoistica soddisfazione, con sopportazione e imbarazzo… Può essere anche rifiutato nell’indifferenza distratta, o sperperato e perfino pervertito e trasformato in strumento di pressione sul destinatario, per controllare e incatenare la sua libertà invece di suscitarla.

Oggi però siamo anche soliti dire “ci sono cose che non hanno prezzo. E la soddisfazione che deriva dall’aver donato qualcosa a una persona cara, pur appagandoci, è una di queste”, afferma Marcel Mauss nel suo famoso saggio sul dono. Il dono insomma di per sé è ‘pericoloso’, in quanto comporta una risposta personale alla domanda non retorica: Perché mi vuoi aiutare anche se non ti do nulla in cambio? Un ‘esame’ che permette di scoprire le passioni e i sentimenti che realmente muovono nel proprio quotidiano dare: ricerca dell’onore, del prestigio, una più bella immagine di sé?… Sta di fatto che tanta parte di ciò che dà senso (buono o…malato che sia!) ai rapporti interpersonali è proprio nelle passioni che sono dentro l’uomo e lo muovono e indirizzano nelle scelte. E spesso finiscono per rendere difficile quella prospettiva di speranza, oggi necessaria più che mai.

… ed essenza del dono
Il dono è una faccenda di gratuità, un atto dove il bene principale non è l’oggetto donato ma la relazione tra chi dona e chi riceve. Il dono non è previsto, a volte è atteso, ma non è legato al merito. Sorprende sempre. E non lo si compra in un pomeriggio di shopping. Servono monete speciali per procurarselo: energia-pulitaattenzione, cura, fatica, tempo investito gratuitamente e soprattutto di saper rischiare anche l’ingratitudine. Oggi è facile per tutti con un sms ‘donare’ qualche euro a quei ‘lontani’ che i mass media indicano come soggetti per i quali vale la pena provare emozioni… Ma, mettendo in circolo solo qualche briciola, non si depotenzia proprio quella che viene comunque chiamata ‘carità’? Donare certo è sempre stata un’arte difficile, ma l’essere umano ne è capace in quanto è capace di rapporto con l’altro… Perché di questo si tratta: di dare ciò che si è insieme e attraverso ciò che si ha. Il dono all’altro – sia esso fatto di parola, o di gesto, dedizione, cura, presenza, ‘cose’ … – è possibile solo quando si decide la prossimità. Se ci si fa vicini all’altro e ci si coinvolge nella sua vita, se si vuole assumere una relazione con lui, allora ciò che era quasi impossibile, difficile e faticoso, diviene quasi naturale. La capacità del bene nelle profondità della persona è risvegliata, se non generata, proprio dalla prossimità, con la quale cessano l’astrazione e la distanza, e nasce la relazione. E si sperimenta la verità di quella parola di Gesù riferita negli Atti degli apostoli: C’è più gioia nel donare che nel ricevere.

Che cosa ‘circola’ tra noi?
La grandezza della dignità della persona umana è dunque nel saper dare se stessi e nel farlo in piena libertà! “Non abbiate alcun debito verso gli altri se non quello dell’amore reciproco” (Rm 13,8). È il debito ‘buono’ dell’amore che fa la communitas e muove all’esperienza di alzarsi in fretta per mettersi in cammino verso l’altro. In sintesi: regge imagesCA8RXPRHquella logica donativa, che non può essere sottoposta alla speranza della restituzione, o di un obbligo. Solo lancia una chiamata, desta una responsabilità, ispira il legame sociale. L’arte di concretizzare il dono è ancora nella parola di Gesù: Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra (Mt 6,3). Lungo tale via il dono si fa strumento fondamentale – se non indispensabile – per curare, riconciliarsi, ricominciare. E fa circolare il perdono, quel perdono che è credere di nuovo in una relazione ferita, non il semplice togliersi un peso dimenticando il male ricevuto. In realtà non c’è perdono senza dono, né dono senza perdono. Un per-dono che evidentemente ha bisogno della gratuità e dell’agape, senza i quali la vita personale e sociale non funziona, non genera, non è felice. Un atto donato e percepito come speranza di comunione. La vita quotidiana ci dice che non c’è vera gioia senza gli altri, come non c’è speranza se non sperando insieme. E la speranza – è acquisito – è frutto del dono, della condivisione e della solidarietà.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

L’AVVENTO CHIAMA…

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nov 27 2013

 

 

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Sr Marta Finotelli sjbp
Vice-presidente USMI Nazionale 

È tempo ormai di svegliarci dal sonno
perché il regno di Dio è vicino;
il Signore sta alla porta e bussa;
ascoltiamo la sua voce e apriamogli
(Inno di Avvento della Liturgia di Bose)

La Chiesa apre l’anno liturgico con il tempo di Avvento, tempo privilegiato per
01dino+alberoLOW7vivere nell’attesa
.

Ma cosa significa oggi, vivere nell’attesa? Chi o cosa attendiamo veramente? E noi Consacrate nella vita religiosa come viviamo questa attesa? La nostra attesa ha ancora la sua radice nell’espressione che ogni giorno, nella Celebrazione dell’Eucarestia, dichiariamo: “Signore proclamiamo la Tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”? La nostra attesa parte dallo sguardo sul futuro di Dio, mentre siamo immerse negli eventi della storia umana per infondere fiducia nei nostri contemporanei? Attendiamo veramente la venuta di Cristo nella gloria, il compimento delle sue promesse, il Regno che viene?

Aiutiamoci a non eludere questi interrogativi!

Noi che abbiamo giocato la nostra vita su Cristo e il suo Vangelo, siamo particolarmente interpellate a mantenere desto lo spirito dell’attesa, in noi e attorno a noi.

Questo tempo di Avvento ci chiama ad infondere speranza nelle persone affidate al nostro ministero, e non solo a parole ma attraverso la nostra vita sempre più impregnata della Parola di Dio, l’unica che ci sveglia dal sonno, indotto nel cuore umano da quella sottile mentalità mondana che si infiltra e … che va intorbidendo la relazione con Dio e con le sorelle e fratelli.

Là dove ormai il cuore è spento e deluso, dove nessuno sa più attendere, noi Consacrate, immerse nel discernimento e nella preghiera, vigiliamo, perché la nostra attesa dell’incontro con il Signore si trasformi in sostegno verso i nostri contemporanei… e nel camminare con loro risvegli il desiderio di Lui.

Là dove la gente dispera di fronte ad avvenimenti e situazioni che spingono a pensare che “tutto sta andando alla deriva e le forze del male imperversano ormai inesorabilmente”; noi Consacrate, sintonizzate sul cuore di Colui che attendiamo, viviamo nella pazienza ed infondiamo nelle persone affidate alle nostre cure, il coraggio di dire ogni giorno: OGGI COMINCIO!

Là dove spesso si cerca il proprio tornaconto e dove l’ingiustizia si fa sempre più palese verso i piccoli, i poveri, gli emarginati, gli sfruttasti, noi Consacrate, riempiamo la nostra attesa col Suo stesso Amore esprimendo solidarietà, comunione, sobrietà e condivisione, come anticipazione di quel cielo nuovo e terra nuova che il nostro sguardo già intravede.

Così la nostra attesa del Signore che è venuto, che viene e che verrà, allarga il cuore oltre gli angusti confini dell’io e lo prepara a quell’incontro definitivo con l’Agnello-Pastore che sta in mezzo al trono, e ci guiderà alle fonti delle acque della vita. E tergerà ogni lacrima dai nostri occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate (cf. Ap 7,17 e 21,4) e ne sono nate di nuove!

Con gli occhi aperti sulla Novità di Dio vi auguro un fecondo cammino verso il Natale!

 

Inquietudine e ricerca

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nov 18 2013

Può la creatura umana nei suoi giorni imparare almeno un po’ a morire? Prendere il coraggio nel cuore della propria notte? Uscire da sé con passo libero, avviarsi per sentieri nel sole e sentire la propria vita rotolare armoniosamente nelle mani di Dio?

bolle-di-silenziosaponeOltre il duro calle
Nei giorni del mese di novembre, ogni anno riprende forza nella storia personale di tanti (se non proprio di tutti!) il tema più reietto della civiltà di questo tempo, che è però il tratto costitutivo della condizione umana: quello della morte, l’assurda contraddizione originaria dell’esistenza, secondo la definizione di Karl Rahner. Vivere -anche quando ci si volesse illudere che non è così- è convivere con l’idea che tutto prima o poi finirà. C. M. Martini in uno dei suoi pensieri disseminati negli scritti degli ultimi anni riflette: “…la morte è come una sentinella che fa da guardia al mistero. E’ la roccia che ci impedisce di affondare nella superficialità. E’ un segnale che ci costringe a cercare una meta per cui valga la pena vivere”. Eppure la prospettiva di dover passare prima o poi per questo ‘duro calle’ ed essere ridotti in vana cenere, spaventa tutti senza eccezioni. A volte, soprattutto quando è troppo viva e dolorosa nella propria carne l’esperienza di un lutto, anche solo richiamarla alla memoria risveglia con forza la paura di non essere amati e di non saper amare. E getta nella depressione. Allora si cerca di vivere senza fermarsi a pensare. Ma come evitare l’angoscia se tutte le gioie e tutti i dolori della propria vita si perdono in terra con il corpo e le ossa mortali? Se è così a che servono? È logico pensarli inutili, come anche sentire tutto inutile. E, più o meno consapevolmente, prende il via nella persona quella lotta con il tempo che non concede di illudersi. Lotta impari. Apparentemente. La persona sperimenta la sua totale impotenza di fronte alla morte che incombe e si fa sempre più imminente; che è nel lento deteriorarsi della mente e del corpo; nel perdere il controllo dei propri movimenti, nel diventare un peso per gli amici… Intanto ognuno continua a sentire che la sua vita gli appartiene, ma gli è tolta ogni possibilità di controllare il proprio destino.

…liberi dalla paura
Sono tanti allora i modi di riempire il tempo per illudersi di possederlo, tanti gli espedienti per esorcizzare l’angoscia di ciò che sfugge dalle mani: frenesia di fare, divertirsi e cogliere ogni attimo; ostentazione di sicurezza, accumulo di potere, ricchezza… Quando poi non si può proprio tacere, facilmente si trasforma la morte in spettacolo per esorcizzarne il pungolo doloroso. Così trionfa la maschera che, a scapito della verità, fa scomparire i segni del lutto. Ma la paura -radicata profondamente nella possibilità di non essere amati affatto e di non appartenere a nulla che duri- rimane nascosta sotto la superficie dell’autocontrollo, o dello stordirsi nel piacere.

 “Dire” la morte…
spiaggiaCome sarà il mio tramonto?
 -chiede Papa Francesco- Lo guardo con speranza? Vivere è una grande lotta per la resa completa di sé. E davvero “forte è colui che sa di essere debole” e si lascia educare da questa consapevolezza.
Il cardinal C. M. Martini, che non amava i discorsi facilmente consolatori e trovava sempre il modo di parlare al credente e al non credente che è in ogni persona, ci ha insegnato ad amare la morte come passaggio necessario per trovare la luce. “Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”. E se l’oscurità fa comunque e sempre un po’ paura, ciò che ci attende dopo la morte è un Mistero il quale richiede un affidamento totale che conduce alla Vita. Non si tratta di un’operazione soltanto emotiva, ma di una battaglia sempre più reale nello sforzo di ritrovare il senso al di là del naufragio. Il compito più importante della vita, insomma, almeno quando si crede che la morte non sia la dissoluzione totale della propria identità.

…ripartendo da Dio
Dio è la Vita e la Risurrezione, perché con il suo amore crocifisso ha vinto la morte, ricorda papa Francesco. L’annuncio è paradossale: Dio ha fatto sua la 42478877morte per dare a noi la vita, aprendoci la possibilità di trovare la luce attraverso la fede. “Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore” (1 Cor 15, 36) e non si dà vita senza morte, che diventa perciò un passaggio necessario. L’invito di Paolo è a considerare e vivere ogni attimo come un tempo di semina e un seme d’eternità. Il che può significare tante cose. Per esempio imparare nel proprio concreto quotidiano a non cullarsi nella presunzione di sapere già ciò che è e rimane avvolto nel Mistero; sbloccare in sé il coraggio di porsi le domande ultime, senza presumere di risolverle pienamente in se stessi; ritrovare la passione per le cose che si vedono, leggendole nella prospettiva di quelle che non si vedono; superare la non giustificata esaltazione dell’io che caratterizza il nostro tempo e contrapporvi un esodo dell’io, molto più significativo dal momento che la verità non si possiede mai, ma è la Verità a possedere la persona che le si apre. Dio parla al cuore di chi è aperto a vivere la vita come santa inquietudine e ricerca.

Nell’orizzonte della vita…
Su tale via facilmente si scopre che il “tu” del prossimo e quello di Dio, che si affaccia a noi nel volto degli altri, sono l’unica ragione vera di vita. È l’amore, infatti, che, se procura molta sofferenza e fa presentire in modo totale l’assurdità della morte, è però più forte della stessa morte e rende liberi di vivere nella speranza. Fare amicizia con la propria morte, riconoscendola pienamente come parte integrante della propria umanità sembra essere la base di tutte le altre possibilità di fare amicizia. Ma anche se è entrata a far parte della vita fin dalla nascita, la morte rimane nel corso dell’esistenza grande sconosciuta e nemica. Rassicura il fatto che lo stesso Gesù, sperimentando con noi l’intera assurdità della morte, non l’ha affrontata come un bene desiderabile: “Tutto è possibile per te. Allontana da me questo calice” (Mc 14,36).

…come una promessa!
Dio è più grande del cuore dell’uomo e sta oltre la notte.
È nel silenzio che turba davanti alla morte e alla fine di ogni grandezza umana; è nel bisogno di giustizia e di amore che ognuno si porta dentro. È il presentimento e la nostalgia di un Altro che accolga e faccia sentire amati. In fondo morire è lasciarsi prendere per mano per essere riportati nell’Amore da cui si era partiti. Riaprire gli occhi dentro la Sorgente limpida che ci ha generati e riconoscere in essa le lacrime – che non sono perdute – della propria vita mortale. Incontrare un Cuore al quale rimettere tutto ciò che si è e un Volto a cui guardare senza timore. Con questo Amore nel cuore, la vita può essere vissuta come una promessa sicura.

 Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il ‘Sacro GRA’ e le periferie dell’esistenza

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nov 08 2013

La vita non è ciò che si dice della vita, ma ciò che si vive della vita. E tutta la vita è provarci e poi provarci ancora. Perché non si nasce già capaci di relazionarsi e di amare: lo si diventa.

Monumento involontario
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Grande raccordo anulare di Roma, croce e delizia di ogni romano al volante: striscia di asfalto, mai considerata luogo in sé. Solo un rullo momentaneo per arrivare altrove. Un balcone che dà sul mondo esterno, perciò: orizzonte, viaggio, fuga dalla metropoli. All’inizio racchiudeva la città di Roma. Ora si trova, a sua volta, circondato da giganteschi e spesso disordinati quartieri. A suo modo circolare lo è, ma certo non unisce.

“Il vostro GRA vince il Leone d’Oro”
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Sul GRA arriva un giorno il regista Gianfranco Rosi che scherza con l’acronimo di questo spazio e lo chiama “sacro”. Egli non è alla ricerca della bellezza – grande o piccola che sia – ma del fascinoso vissuto che si raccoglie intorno a quello spazio, oltre il muro di un frastuono continuo. Sceglie di affidarsi all’evidenza della realtà, indugia su squarci sconosciuti e scopre in quello spazio magico esistenze che meritano attenzione. Sono figure che vivono quasi tra parentesi, come non-persone. Il regista vede, ascolta, attende che quei protagonisti della vita quotidiana si rivelino e che
l’incontro
avvenga. Poi con i loro occhi egli guarda dal basso le grandi trasformazioni collettive avvenute a margine di un universo in espansione. E con la sua capacità poetica le racconta. Nasce così “Sacro GRA”, il suo film, che – presentato alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – dopo tanti anni regala all’Italia il Leone d’oro.

Invito al viaggio …
Il regista Rosi sembra sollecitare nello spettatore del suo film un desiderio: raccogliere l’invito a compiere nel proprio mondo quotidiano un percorso simile. E muoversi perciò con tutte le proprie capacità verso le periferie della esistenza: unico ‘viaggio’ ancora e sempre possibile a tutti. Si realizza all’interno della relazione che unisce ogni luogo ai suoi abitanti e al proprio cuore; e favorisce l’incontro con tutto ciò che è sempre sotto i propri occhi ma appare scontato, semplicemente perché è lì, estraneo al cuore per propria disattenzione.

… nelle periferie del cuore
260506-509Le periferie dell’esistenza non si trovano soltanto oltre il ‘raccordo’. Per nessuno infatti è semplice integrare il proprio mondo con quello di chi gli vive accanto; e se amare se stessi è un dato di partenza (… fra l’altro da riconquistare più e più volte!), riuscire ad amare gli altri è una conquista decisamente coraggiosa. Si nasce individui infatti e solo dopo una lunga serie di passaggi e di ‘lutti’, che via via restituiscono la persona all’essenziale, si diventa – se davvero lo si vuole – sociali. Si scopre così che il segreto della vita è oltre se stessi e che … uno solo è come ‘i 99’ del Vangelo. Proprio come tutti! Si fa anche esperienza di quella libertà che permette alla parte più vera di sé di manifestarsi e di agire come realmente si sente e si pensa. Ed è la magia dell’incontro con quel vissuto che ogni persona nasconde e che è in grado di stupire, commuovere, far riflettere…! Si scopre insomma nell’altro ciò che non si trova in sé! Ed è questa esperienza che mantiene la persona in umiltà e la muove all’impegno di fare unità con tutti senza distinzione.

 “Barbonismo domestico”
 “L’uomo è quello che sono le sue relazioni” (Jack Dalrymple) e in realtà la persona esiste solo come centro di rapporti. Eppure ovunque intorno e in mezzo a noi si aggirano frammenti di umanità solitaria e un’atmosfera di assenza di umanità. Per fare un esempio, pensiamo anche solo a quel fenomeno che gli operatori sociali hanno definito “barbonismo domestico” e che nella sola città di Roma (senza distinzione fra periferie e centro), è in aumento continuo. Si tratta soprattutto di anziani, a volte con disagio mentale, ma non necessariamente poveri. Vivono in casa, ma è come fossero per strada. Hanno perso i contatti con parenti e amici. Sono soprattutto italiani quelli che si trovano a vivere questa condizione di marginalità. Senza legami, sperimentano l’abbandono nella propria abitazione. A far emergere il fenomeno, sono le segnalazioni dei vicini.

Perché la storia non si smarrisca
Non si comprende la realtà se non si è dentro le situazioni. Lo racconta l’esperienza quotidiana e sofferta di tanti. E lo ricorda Papa Francesco quando ripetutamente invita a uscire da se stessi per procedere senza esitazioni in un viaggio che dal centro delle proprie sicurezze porta dentro le periferie della vita. L’invito chiama in causa un impegno che investe e interroga la totalità della persona orientandola ad aprirsi all’altro, comunque e dovunque. E chiede un movimento che va fatto dentro se stessi per avvicinarsi alle persone. Ne risulta un richiamo a svegliare la capacità del cuore di guardarsi intorno e di amare gli altri per quello che sono. Su questa strada si trova il coraggio della fedeltà all’oggi degli uomini concreti perché divenga l’oggi di Dio. Perché è vero: “Siamo un mosaico di volti, ha detto qualcuno: i volti di coloro che incontriamo, dal vivo o nei loro scritti o nelle loro opere (…) E nei mille volti cerchiamo un Volto, con i frammenti di tanti volti” (Stella Morra).

… ripartire dal Mistero della Vita
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Ogni uomo “è troppo grande per bastare a se stesso” (Pascal) e per realizzarsi gli è necessario tenersi aperto al Mistero … Ma anche se l’uomo è fatto per questo, tante sono le sue resistenze ad aprirsi a ciò che è più grande di sé. Ripartire da Dio è la via per riuscirvi. E richiede un grande coraggio, che si traduce in gioia: quello di ritrovare la passione per le cose che si vedono, leggendole nella prospettiva del Mistero e delle cose che non si vedono. Questo in fondo è lasciarsi restituire alla verità e semplicità delle relazioni senza cullarsi nella presunzione di sapere già ciò che invece è perennemente avvolto nel Mistero. Insomma: santa inquietudine e ricerca!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Profumo di scuola

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ott 28 2013

Nei luoghi della quotidianità come è la scuola, c’è chi – semplicemente e in continuità – impegna tutte le proprie risorse per costruire un significato condiviso. La parola chiave del loro agire è: INSIEME. L’obiettivo: indirizzare la libertà individuale e collettiva verso la giustizia e la solidarietà.  

I sogni che diventano responsabilità
felicità1Se il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera, il ragazzo impara a sognare. Poi, crescendo, ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti. Il messaggio è di don Milani. Noi italiani avevamo la migliore scuola d’Europa, con i migliori programmi e la migliore didattica. Oggi abbiamo forse gli insegnanti più coraggiosi d’Europa in una scuola chiamata ad operare interventi di pronto soccorso dinanzi alle continue emergenze sociali, a porre delle ‘pezze’ e a rimediare alla “latitanza” di altri. Eppure in essa non ci si muove soltanto su un orizzonte segnato dalle risorse che mancano e dalle scadenze, fra problemi e legittime rivendicazioni. Esiste una scuola positiva che non ha perso di vista la sua missione originaria, nella quale è ben viva una normalità felice di cui si parla tanto poco, chissà perché! In essa non ci si ferma al lamento. Si conosce per esperienza che “ciascuno cresce solo se sognato” (D. Dolci); e che accompagnare un ragazzo nel suo crescere, aiutarlo a pensare e a credere in sé, a conoscere, conoscersi e sapersi relazionare con gli altri… è quanto di più bello ci sia! Tanti insegnanti in Italia si sono rimboccati le maniche e, nelle circostanze più o meno difficili in cui si trovano ad operare, mettono in campo iniziative e progetti, non modellati caparbiamente sulle proprie vedute, ma unicamente orientati ad un’autentica e comune crescita umana. Ogni giorno perciò nella concreta vita di classe, si lasciano sorprendere e guidare dai sentimenti che via via avvertono in sé. Così le loro parole (quelle dette e anche quelle solo pensate), nel bene (e purtroppo anche nel male!), non si rivelano solo come ‘parole’. Sono ‘cose’ che fanno storia nella vita dei ragazzi. E magari anche a distanza di anni!

La battaglia dell’educazione
mani-attorno-al-tavolo-290x290Il nostro è un tempo insieme ‘magnifico e drammatico’ - secondo le parole del testamento di Paolo VI. Il suo “caso serio”, in ogni ambiente, è e rimane la vita comunitaria, minacciata da pericolose convinzioni che serpeggiano e si diffondono anche fra i più giovani: la “furbizia è sempre premiata”… “il fai da te” contro le regole in fondo è legittimo… comportamenti illegali sono normali perché “lo fanno tutti”…

Ma se è vero (come è vero) che la storia di oggi e di domani sono tutti gli uomini, chi è dentro la scuola ha un potere tutto speciale per trasformarla. Papa Francesco torna a dirlo con chiarezza e semplicità profetica e agli educatori addita l’obiettivo da perseguire: “non solo formare individui utili alla società, ma educare persone che la possano trasformare!”. Un obiettivo arduo per chi si pone su tale cammino dal momento che è noto quanto sia “più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere” (A. Hurtado). Il che, per esempio, significa – nel concreto quotidiano -  sapersi riconoscere a qualsiasi età persone in cerca di affermazione e affetto; persone alle quali riesce difficile e anche impossibile amare sempre senza chiedere e aspettarsi qualcosa in miracoli
cambio. Significa accettare serenamente di trovarsi a sperimentare il vuoto intorno, spazio terribile e fertile dove non c’è più niente da perdere. E sapere che lì si può scegliere di accogliere chiunque con i suoi pesi, senza più alcun bisogno di valutare o classificare. Significa insomma scegliere per sé la fatica di imparare il linguaggio dei rapporti umani, che in ogni vita comune sono “il” fondamento della giustizia che fa crescere l’autentica fraternità. Quella che si traduce in gioia di vivere.

Solo a partire da tale impegno personale si può capire e anche insegnare ai più giovani il linguaggio delle “regole”, che scioglie a poco a poco ogni diffidenza fino a diventare fraternità. Nello stesso tempo però è necessario che i discorsi sui valori della legalità e della vera democrazia non siano cancellati appena fuori dal portone delle scuole da una realtà che contraddice e avvilisce ogni speranza di giustizia. Di fronte alle contraddizioni in cui siamo immersi, non servono certo le fughe, l’indifferenza o la rassegnazione. Una chiara e responsabile presa di posizione, concretizzata in proposte fiduciose, permetterà invece di muoversi insieme verso una società più giusta e più umana. A partire dalla vita in famiglia e nella scuola.

Il volto necessario del “noi
Nella quotidianità – e in ogni ambiente – solo parole e sguardi che nascono da cuori adulti fanno innamorare della vita e in classe fanno respirare l’inconfondibile profumo di scuola. I ragazzi sono assetati di tale maternità e paternità spirituale, più di quanto possa sembrare all’occhio distratto di chi li guarda con superficialità. Insieme è perciò ‘la’ parola chiave da imparare se si vuole crescere e aiutare a crescere, perché solo sul terreno di una comune diversità riconosciuta e spesso anche sofferta, ci si può educare. Insieme allora si stabiliscono le regole e ci si assume le responsabilità necessarie per assicurare ad ognuno il diritto e lo spazio di poter essere liberamente se stesso senza nuocere agli altri. La “legge” certamente ha il volto severo e anche distante dello stare insieme ed è dell’adulto il compito di rispettarla per primo e farla rispettare. Ma tale stile di vita ha il potere di trasformare la realtà quotidiana e permette di vivere nel presente la scommessa di cose grandi e belle per il futuro; di conoscere e sperimentare sulla propria pelle, insieme alle difficoltà dell’impegno quotidiano, la bellezza della vita e la gioia delle conquiste.

finLa scuola, quando vive così, fa crescere fiduciosi e dà la sveglia alle coscienze. Si pone perciò come luogo privilegiato per la formazione del cittadino. I ragazzi, nella libera espressione della propria diversità, vi incontrano per la prima volta lo Stato e imparano ad impegnare la propria libertà per un fine più alto dell’io. La scuola, fosse anche solo per questo, va riconosciuta in tutti i sensi come un bene grande e necessario in ogni tempo e soprattutto oggi. Sui banchi di scuola i ragazzi imparano più facilmente di ogni adulto a superare il timore dell’estraneo che è in ognuno e la paura del ‘diverso’ che è sempre l’altro. Sviluppano la capacità di assumere e integrare tutte le proprie fragilità e le limitazioni che la vita non risparmia a nessuno senza cedere alla tentazione di perdere il cielo. E quando l’uomo diventa fratello al fratello, è pronto anche ad accogliere il mistero di Dio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it