LETTERA APERTA

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giu 08 2012

Comunità Rut

Spazio di accoglienza

per una cultura di giustizia e di pace

 

                                                                    Al Presidente della Repubblica

                                                                            Giorgio NAPOLITANO

                                                         Al  Presidente del Consiglio dei Ministri  

                                                                                   Mario MONTI

 

 Cari Presidenti, 

non sono nuova, insieme alle mie consorelle, a dare voce a quanto vibra dentro il mio e nostro cuore attraverso la modalità di una Lettera aperta che per noi, come cittadine  e religiose, assume un significato di sincera partecipazione e di vera democrazia.

Viviamo in uno scenario “triste e oscuro”, usando le parole del Santo Padre, Benedetto XVI; un tempo di grave crisi che sta soffocando le speranze nel cuore di troppi giovani, che sta calpestando diritti e dignità nella vita di tante persone, di tante famiglie, di tanti bambini, di anziani e in particolare di tutte quelle realtà che avrebbero necessariamente bisogno di un sostegno e di una vicinanza per continuare a vivere con dignità.  

Ma guai a noi vivere questo triste e oscuro tempo in maniera passiva, da rassegnati e tanto meno nell’indifferenza o ancor peggio lasciandoci vincere da imperanti e devastanti egoismi che rischiano di alimentare forme deprecabili di aggressività e di violenza.

Guai a noi se in questo tempo non sappiamo esserci e lasciare la nostra impronta che porta con sé i lineamenti della giustizia, i calli della vita e il vigore della speranza.

Oggi, all’indomani della grande festa di Pentecoste, una Parola ha squarciato il mio cuore: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio… ma nulla è impossibile a Dio” (Mc 10, 17 ss.).  Parole queste, dette da Gesù a un giovane ricco, impeccabile nell’osservanza religiosa e nell’obbedienza alla legge. “Quanto è difficile….”

Spontanea in me la trasposizione di quel “quanto è difficile…” a quella ‘innumerevole’ schiera  di persone che hanno oggi ruoli istituzionali di potere, a vari livelli, che garantiscono loro ricchezze e privilegi, e questo non per sollevare unicamente critiche, né per decretare giudizi o condanne, ma perché sento unicamente la forza di verità in quella Parola di Gesù.

Cari Presidenti, grazie all’attività di Casa Rut (accoglienza di giovani donne migranti, spesso con figli, vittime di tratta) e al nostro servizio svolto con sempre rinnovata passione, ho la possibilità di girare l’Italia per incontri, convegni, tavole rotonde e di incontrare così studenti, giovani, cittadini, associazioni, religiose e religiosi e in tutti colgo un grande disagio e una viva sofferenza, ma spesso anche una palpitante rabbia nei confronti di queste persone, sempre troppe, che si sono arricchite e che continuano ad arricchirsi in nome di un servizio svolto per il bene della collettività.  E non vogliamo qui giudicare lo stile e la qualità del servizio da loro svolto e ‘non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio’, anche se è sotto gli occhi di tutti che il più delle volte è un servizio ripiegato a coltivare unicamente gli interessi personali. Di fronte a questo grande senso collettivo di smarrimento e di indignazione diventano allora inaccettabili, vergognose e offensive nei riguardi della moltitudine di cittadine e cittadini e in particolare dei più disagiati, certi stipendi, certe indennità, certe pensioni e i loro tanti privilegi.  

Cari Presidenti, se non si trova il coraggio di tagliare con decisone quei stipendi e altro, se non si ha l’ardire di fare una rigorosa pulizia di certi privilegi che si diramano come le catene di S. Antonio, se non si osa anche la restituzione di beni e di ricchezze accumulate ingiustamente (come si fa per i beni confiscati alle mafie), difficilmente l’azione di Governo, pur encomiabile nel suo sforzo e impegno, diventa credibile e capace di dare nuovo senso e vigore all’unità nazionale unica strada percorribile per dare, oggi, risultati positivi. Solo insieme, nella giusta solidarietà, si può attraversare questo tempo “triste e oscuro”.

Cari Presidenti osate la giustizia, perché non c’è vera giustizia se si ‘divide la torta amara dei sacrifici, in parti uguali tra diseguali’ (don Milani). Chi oggi ha ricchezze e beni, spesso non per suo merito, ha il grave e responsabile dovere di contribuire largamente e secondo giustizia al risanamento e al rilancio del nostro Paese.  “Ma quanto è difficile… “

La solidarietà, la ricerca e l’amore al bene comune e la giustizia vanno osate, organizzate e, quando serve, promulgate in Leggi, anche se queste possono essere scomode. Solo così possiamo trasmettere e consegnare ai giovani una vera testimonianza di unità, di dignità e di vera umanità  che affonda le sue radici e riceve linfa dai grandi valori, sempre nuovi e attuali, enunciati nella nostra Carta Costituzionale e, per un cristiano, anche e soprattutto nella continua novità che è il Vangelo di Gesù Cristo.

 Il grande S. Agostino diceva che “la speranza ha due bei figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose e il coraggio di intravedere come potrebbero andare”.

Se è così e solo così, cari Presidenti, possiamo e vogliamo essere con voi per osare e dare un volto concreto e di luce alla speranza e ‘insieme aiutare Dio a rendere possibile l’impossibile’.   

E Dio sa quanta sete di speranza c’è oggi in tutti noi e nella nostra Italia, anche a partire dagli  ultimi drammatici avvenimenti accaduti che attendono risposte di vita e non solo promesse.  

Un cordiale saluto.                                                           Suor Rita Giaretta

                                                                                             e sorelle Comunità Rut

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Comunità Rut – Suore Orsoline scm  ∙ Corso Trieste, 192  ∙ 81100 Caserta ∙ Tel/Fax 0823/278078∙  e-mail: rut@orsolinescm.it

Amicizie di ‘plastica’ oggi?

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mag 28 2012

Fra PC, cellulari, messaggini et similia, anche oggi cerchiamo “qualcosa che vada oltre la banalità di quanto si fa, si parla e si vede ogni giorno(J. Ratzinger).

Amicizia e amicizie
Amicizia oggi è un ‘tetto sotto cui ci ripariamo quando si scatena un temporale’. Un po’ poco per il cuore umano. Eppure, secondo il sociologo Bauman, quel ‘tetto’ evoca in noi tutto ciò di cui sentiamo il bisogno. Se ci manca, facciamo fatica a ritrovarci fiduciosi, tranquilli, sicuri di noi. Ma davvero oggi quell’amicizia, che Agostino definiva ‘il dolce nodo’, è solo fare esperienza di un ‘tetto’, un rifugio? Certamente essa è ben più di un sentimento, di una simpatia. Lo testimonia il fatto che possiamo dire di trarre le soddisfazioni più durature, non dal lavoro o dal successo, ma dalla vita di relazione e dalle persone che abbiamo amato e ci hanno amato.

Inquieti cercatori …
Fare amicizia sembra diventato oggi molto facile. Con un clic raggiungi centinaia di nuovi amici. Basta uno ‘schermo’ per ‘chattare’ e si può ‘comunicare’ anche con persone che non si sono mai viste e che forse non si conosceranno mai. Lo si può fare quando ci si sente tristi, senza nemmeno il bisogno di uscire e di incontrarsi per ‘parlare’. ‘Chattare’ in fondo non richiede di dire ciò che realmente si pensa e si sente. Conseguenza inevitabile è che le parole usate come per gioco facciano nascere ‘amicizie’ che sono solo di ‘plastica’. Così sotto il segno di presenze amiche fragili, tra difficoltà economiche e la speranza di essere ascoltati, molti rimangono schiacciati dalla sensazione di inutilità della propria vita o dalla vergogna di una sconfitta. La lista dei suicidi per ‘crisi’, che tragicamente ogni giorno si allunga, lo conferma!

In Italia inoltre il termine ‘amicizia’ ha assunto addirittura un significato negativo, di privilegio e raccomandazione: il mezzo per passare davanti agli altri nella ricerca di un posto di lavoro, o per fare carriera eludendo criteri di merito e norme. Tale si rivela spesso l’‘amicizia’ dei soci in affari, quella dei politici, di chi è arrivista…Dura finché dura l’utile da salvaguardare.

Se si vuole riassumere: la prima impressione che si ricava da tale situazione è di deriva individualistica e catastrofica, da cui scaturisce la ricerca istintiva di un porto sicuro dove riportare paure, incertezze e dolori.

Così arriviamo a chiederci se l’Amicizia non sia diventata davvero una sopravvivenza del passato. In fondo un tempo nelle famiglie – che avevano meno ma erano più numerose – si imparava a convivere e condividere. E si faceva più vita sociale. 

…con il cuore nella speranza
L’esperienza ci dice che essere Amici è pace interiore, infinita, stabile; gioia profonda di chi sa di essere amato e chiamato ad amare; parola umana dell’Amore di Dio, l’unico gratuito, totale e incondizionato. Essere Amici è custodire l’Amore, del quale non si può pensare nulla di più grande nella vita; è rinnovarsi ogni giorno per rimanere in quell’Amore e tradurlo nella costruzione concreta e quotidiana dei propri rapporti; è ‘spendere’ l’Amore ricevuto non come uno che deve conquistare qualcosa o ingraziarsi qualcuno, ma appunto come persona amata…

L’iniziativa delle Olimpiadi dell’Amicizia 2012, promossa dall’Unicef e dalla provincia di Lecce, è uno dei numerosi segnali positivi presenti e attivi nel nostro tempo. Ha coinvolto, anche quest’anno nel corso di diverse settimane, studenti di scuola elementare e media inferiore provenienti da 38 Comuni del Salento. Si concluderà il 5 giugno. L’obiettivo: promuovere sani momenti di partecipazione attiva e creativa, alimentando in ogni partecipante il sentimento dell’amicizia. Un grande gioco che incarna il sogno di quell’Amicizia sicura che è nel cuore di tutti. Scuola e Famiglie, insieme, cercano di aiutare i più piccoli a costruirla.

Qualcosa non quadra fra gli amici di oggi?
Forse la gente soprattutto oggi non sa più stare da sola, e allora cerca gli altri per la necessità di colmare la propria solitudine, che invece richiede di essere affrontata e consapevolizzata. Avviene così che quelli che spesso per brevità definiamo amici, altro non sono che “compagni di viaggio”: vicini, colleghi, conoscenti, persone che riteniamo simpatiche… Sappiamo che cosa pensano e i problemi che hanno, ma non raccontiamo loro le nostre ansie più segrete. Se però non ci accontentiamo di mezze misure o di brutte copie dell’Amicizia, allora avvertiamo l’esigenza di ripartire ogni giorno dal darci da fare prima dentro noi stessi! Come in tutte le cose del resto! Impareremo così a verificare, per esempio, con chi e quando quello che diciamo corrisponde realmente a ciò che pensiamo e sentiamo. E non sarà difficile allora comprendere se ci stiamo solo illudendo di essere e di avere amici.   

Tacere e ingoiare ciò che non si tollera, per esempio, può illudere l’altro sulla propria comprensione, ma esprime un egoismo che il più delle volte nasce proprio dalla voglia di superarlo e di sentirsi migliore di lui. I peggiori “amici” a volte sono, purtroppo, anche i migliori attori.

Il cammino lento dell’Amicizia
L’amicizia autentica non diventa se stessa con una rivelazione unica iniziale, ma attraverso una serie di incontri e di approfondimenti successivi. Può essere piccola, solo un moto dell’animo, oppure grande, grandissima. Sempre però muove verso il di più.

Gli amici si cercano per stare bene insieme, perché sanno ascoltare e non solo sentire ciò che racconti. A volte riescono perfino a sentire quello che non dici; vedono i tuoi errori e ti avvertono. Soffrono con te se hai un problema; non ti aiutano a essere un altro, ma solo a rimanere te stesso. Simpatizzano con il tuo successo e condividono in qualche modo l’immagine che hai di te o, perlomeno, non se ne allontanano troppo. Certo non ti adulano.

Un proverbio arabo recita: “Non è tuo amico chi non ti fa mai versare lacrime, ma chi, dopo averle provocate, si siede sulla sabbia con te e impiega il suo tempo ad asciugarle”.

Il Signore Gesù poi chiede ai suoi discepoli di non limitare simpatia e benevolenza agli amici “veri”. E non consiglia certo di fare l’esame del sangue a coloro con i quali desideriamo fraternizzare, perché ci vuole fratelli “tutti” e non amici “pochi”. 

La terra è bella perché ci sono persone che sanno fidarsi l’una dell’altra. Conoscono che la storia è fatta di cose piccole e spendono energie per inventare spazi nuovi là dove incontrarsi davvero. Hanno il gusto di camminare e di stare insieme. Sentono i profondi dettagli che fanno crescere, e riescono ad offrire spazio di comunione a chiunque intorno si senta in qualche modo in margine o abbandonato.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it 

Problemi dell’educazione in una società che sembra volerli ignorare

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mag 18 2012

Alcune sfide intorno a cui si gioca oggi la partita scolastica e le qualità umane necessarie per un’educazione autentica, “in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone”

Da tempo in Italia si è scelto di non investire più sulla scuola, quasi fosse un ambito di scarsa importanza. Diminuiscono le risorse e aumentano i problemi e le sfide da affrontare. L’abbandono scolastico cresce, il sostegno agli alunni portatori di handicap diminuisce insieme alle compresenze orarie dei docenti. Gli effetti dei continui tagli a tutto il personale risultano pesanti nell’organizzazione delle classi. Le riforme degli ultimi anni si rivelano semplici tentativi di restaurazione economica che mira più al risparmio che alla qualità. A pagare sono i ragazzi, i disabili, gli stranieri, le fasce più deboli… la qualità, insomma, della Scuola.

E dentro la scuola i suoi protagonisti ‘come’ stanno?
-         I ragazzi, sempre meno disposti a fare fatica per nulla, anche se non ne sono consapevoli, stanno male: tendono ad adeguarsi o a ritirarsi nella speranza di proteggersi; a volte si lanciano in forme di comportamento violento, ‘cercano i divertimenti perché non sanno gioire’ (Galimberti). Hanno bisogno di imparare a fare domande e di una Scuola che lo insegni.

-         Gli insegnanti/educatori, mortificati da un ruolo socialmente svalutato e da stipendi inadeguati e incongrui, spesso faticano in classe per opporre alla noia del facile la passione del difficile, per trovare parole convincenti da dire e soprattutto esempi da offrire.

-         I genitori, per formazione, per stanchezza, a volte per senso di colpa appaiono incapaci di interpretare con disinvoltura le regole della disciplina e del rigore. Spesso distratti e stanchi (soprattutto – loro malgrado – le mamme) dal doppio impegno dentro e fuori casa.

-         I Dirigenti scolastici si danno da fare, ma raramente sono in grado di orientare con autorevolezza agli obiettivi. Spesso manca loro la necessaria sensibilità di ascolto nei confronti dei bisogni degli utenti e degli operatori, e un profondo rispetto per le emozioni di tutti e di ognuno.

-         Da molte parti (a cominciare dalle indicazioni europee) si dà largo credito ai meccanismi della valutazione e autovalutazione, quasi fossero, di per sé, garanzia per una buona qualità culturale ed educativa della scuola stessa. Vengono moltiplicate e continuamente perfezionate procedure diverse per valutare, spesso con notevole dispendio di energie e di tempo e con frutti decisamente scarsi. Per una buona scuola non basta infatti ‘misurare’.

-         I nostri politici intanto sembrano rimanere a guardare, distratti e indifferenti.

Che cosa assicura la qualità scolastica?
Non certo i fattori strutturali e organizzativi da soli. Determinante è il fattore umano e tutto ciò che ad esso è legato. Le famiglie riconoscono questo come problema prioritario e lo dimostrano quando, preoccupate di scegliere la scuola migliore per i propri figli, abbinano la scelta al giudizio sul corpo docente di una classe o di una scuola. Disposte anche ad essere economicamente penalizzate quando decidono di usufruire dell’offerta formativa della Scuola paritaria, il cui contributo formativo deriva dalla sua specifica identità. Lo Stato, in Italia, nell’attuale situazione di crisi risparmia ben cinque miliardi di euro dal fatto che ci siano scuole paritarie, che gli consentono di utilizzare quelle risorse per la scuola statale. Eppure secondo la Costituzione, ogni cittadino è uguale davanti alla legge e il diritto allo studio è sancito come universale e rivolto a tutti, senza alcuna discriminazione. La scuola paritaria invece, pur facendo un servizio pubblico essendo rivolta a tutti quelli che intendono usufruirne, con gli stessi doveri e diritti di ogni altra scuola, in Italia di fatto è ancora un ‘di più’, un privilegio per pochi eletti.

In primo piano la vita ‘comunitaria’
Educare è, in primo luogo, una questione di rapporti umani. Ma se è così, allora nella nostra società ‘liquida’ educarsi ed educare è sfida possibile? È possibile riattivare climi di appartenenza, di intesa profonda, di condivisione nella scuola, fra scuola e famiglia, fra scuola e società? Quando gli incontri e il ritrovarsi insieme costruiscono davvero vita comunitaria?  

Per esperienza sappiamo che ci si realizza veramente se ci si supera, uscendo da una logica difensiva e narcisistica, e ci si dona a ‘qualcosa’ di più grande. Quando ognuno è accolto con i suoi limiti e anche con le sue capacità, quando si scopre di essere accettati e amati da qualcuno per quello che si è, allora diventa quasi naturale sviluppare una visione condivisa in cui i punti di vista individuali si trasformano in visioni collettive e in cui ciascuno si riconosce almeno in parte. Educare, in fondo, è accompagnare nella crescita chi ci sta a cuore perché possa scoprire che questo è modo umano di vivere.

Relazione educativa e formazione della coscienza
Fine di ogni azione educativa è formare la coscienza: viaggio il più importante della vita, via per addestrarsi – più che a obbedire – ad orientarsi autonomamente e spontaneamente in tutte le situazioni. In vista di tale obiettivo è importante imparare, per poterlo anche insegnare, ad entrare nel punto di vista dell’altro; capire l’approccio che questi ha con la vita e con le singole situazioni prima di giudicare. Immedesimarsi così nel punto di vista dei nostri ragazzi può portare magari a scoprire che questa operazione, oltre che a capire loro, serve a guardare onestamente dentro di noi. Sì, perché oggi noi adulti viviamo la stessa crisi, anche se non sempre la lasciamo trasparire con la stessa immediatezza dei giovani.

Educarsi ed educare insomma è imparare (e insegnare) a valorizzare  – mettendosi di fronte alla storia comunitaria e all’esistenza personale di ognuno – ogni traccia di Verità e di Bene, anche quando è minima, tentando di trattenere la positività che offre. Tutto questo richiede pazienza, costanza, umiltà, rinunzia alle proprie gratificazioni e molte altre ‘cose’… Ma permette di sperimentare l’incontro con la verità e di maturare così un punto di vista personale sulla realtà.

Il clima culturale contemporaneo è ricco di ‘domande inespresse’, di risorse e potenzialità nascoste. Nello scenario di una scuola che apprende ad essere migliore c’è spazio per l’impegno di tutti. E il contributo di tutti ne farà il cuore culturale di ogni comunità. Uomini si diventa anche a scuola e non si finisce mai di imparare ad esserlo.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Dove siamo? Chi siamo?

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mag 07 2012

Il buio della notte si può vincere
In quale ‘casa’ vogliamo abitare? Sfida è la qualità del nostro credere, da cui ci viene la giusta intelligenza di ciò che la vita richiede. E che ci richiede di fare ‘insieme’.

Ritrovare motivazioni forti. Insieme
La crisi è figlia degli errori del passato. Come l’iniqua distribuzione del reddito. Le ombre della miseria si dilatano ormai anche sul così detto Occidente e l’urgenza dei tempi che stiamo vivendo stimola proprio tutti a riconoscerci e muoverci finalmente in un “insieme”, a svolgere ognuno la propria parte guardando con coerenza e fedeltà al tutto. Tale scelta non è altruismo, beneficenza o bontà. È saggezza di vita, perché l’uomo in primo luogo è e rimane “un essere di relazione e non di produzione”. E tutti in qualche misura possiamo testimoniare che l’affanno di possedere fa diventare schiavi delle cose a scapito dei rapporti con le persone e del bene ‘comune’.

Ma questa purtroppo è la situazione del nostro tempo: di decadenza. Che non è l’abbandono dei valori, o la rinuncia a vivere ‘qualcosa’ per cui comunque si pensa che valga la pena di vivere. Più sottilmente decadenza oggi è ciò che priva l’uomo della passione per la verità, gli toglie il gusto di combattere e vivere per ragioni più alte, lo spoglia di ogni motivazione forte. Ci chiediamo: il Vangelo – unica e vera parola di libertà – è tale anche per l’uomo di oggi? Lo può essere, senza la mediazione di qualcuno o di tanti? E il compito dei consacrati – in questo tempo storico – quale sarà? quale potrà essere?…

Intelligenza del concreto  
Crescono gli “scoraggiati”. In Italia quasi tre milioni di inattivi secondo l’Istat: il livello più alto degli  ultimi otto anni, tre volte superiore a quello medio europeo. Alla regione Veneto – per anni considerata un’isola felice dello sviluppo – il triste primato di nove piccoli imprenditori che hanno deciso di togliersi la vita davanti alle crescenti difficoltà persino a ottenere il pagamento di crediti. Rastrellamenti fiscali mettono a dura prova la sopravvivenza dei pensionati e la consistenza dei redditi delle famiglie. Qualcuno definisce il tutto ‘macelleria sociale’. Certo un fiume sempre più pieno di poveri quotidianamente bussa alle porte dei nostri Istituti e case, e chi era già povero si trova ora a competere nella miseria con i nuovi arrivati, in cerca di quell’essenziale per vivere che, per natura, è diritto di tutti. E quando i poveri, immersi nella loro solitaria disperazione, tentano una qualche legittima ribellione e resistenza, capita che maliziosamente siano stoppati dai mass media.

Intanto corruzione e disprezzo delle regole del codice nel nostro Paese sembrano regnare sovrani, addirittura indisturbati. Come pure l’arroganza con cui sempre più spesso se ne esibisce la trasgressione nel vivere civile. Più inquietante ancora è il fatto che le regole sono disprezzate per un semplice, terribile motivo: è molto diffusa fra noi la consapevolezza che la trasgressione non comporta quasi nessuna punizione e non occorrerà mai risarcire niente di niente, né vergognarsi. Così si moltiplica l’abitudine fra gli ‘umani’ a dichiarare giusto ciò che conviene. Sembriamo insomma paurosamente inadeguati alla radicale trasformazione storica che stiamo attraversando e impreparati all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, necessaria per affrontarla. E dire che a inventare il cittadino responsabile siamo stati noi italiani nel Rinascimento!

La politica oggi è invisa. Ma ai partiti per primi e alla classe dirigente spetta apprendere dai propri errori, e non mancare – per indolenza e autoconservazione – l’appuntamento con la verità. Questo perché la corruzione ha radici proprio nelle menti e in memorie striminzite. Lunga è la lista  dei mali occultati e spesso dimenticati. Denunciare e temere l’antipolitica non basta. È necessario comprendere in tempo l’essenziale raccogliendo davvero e con i fatti il messaggio che viene a tutti dalle battaglie dell’Italia migliore (antimafia, anticorruzione). Su questa strada è possibile rigenerarsi, ricostruire le comunità, ricomporre il mondo frantumato e cominciare una nuova Storia.

Un altro modo è possibile
Un altro mondo, e anche un altro modo di vivere, è possibile. Perché sempre è possibile mettersi alla ricerca di stili di vita personali che, cambiando noi stessi, possano cambiare anche il mondo intorno a noi; è possibile impegnarsi a conoscere la realtà non per dominarla e piegarla alle proprie vedute, ma per riconoscere l’altro – ogni ‘altro’ – e dargli parola rispettandone i diritti. Senza ‘insieme’ non c’è crescita e non c’è solidarietà: né economica, né politica, né sociale. E nemmeno affettiva e sentimentale. La stessa economia di mercato è compatibile con intenzioni di solidarietà se è regolata davvero secondo i dettami della Costituzione italiana che, nella forma e nello spirito, sposa il lavoro per tanti piuttosto che la ricchezza per pochi, mira al “pieno sviluppo della persona e all’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori”. Il mercato crolla quando lo si sfrutta mirando solo al proprio tornaconto e lo Stato si impoverisce se non si sta alle regole della solidarietà tributaria. Nell’economia di Dio e nella logica della sua aritmetica – in cui Lui ci chiede di entrare – per moltiplicare è necessario imparare a dividere e condividere. Per questo ci ha consegnato il mondo affidandoci gli uni agli altri, reciprocamente.

Qualità del nostro credere in un mondo di cui Dio – nonostante tutto – non si è pentito…

Per muoverci in tale direzione il Padre ci chiede l’ascolto credente della Sua Parola incarnata e rivelata nel Figlio. Ascolto credente possibile solo nella fedeltà alle domande vere di questo nostro mondo e all’uomo reale, al quale Cristo Gesù si è fatto fedele fino all’abisso della croce. Sconvolgente questo Dio che si fa uomo, si incarna; che non è rifugio dalla crisi (qualunque crisi!), e neppure alternativa al naufragio. Ma lungo la strada della passione per il Vangelo invita tutti a esplorare se stessi per provare la meraviglia di essere stati creati e amati da Dio: esperienza che apre la strada a risposte coraggiose nel tempo.

…è il ‘farsi poveri’ per costruire il Regno
La povertà materiale, il farsi evangelicamente poveri consente poi di scoprire che non abbiamo null’altro da dare che noi stessi: il mio tempo, la mia presenza, il mio sguardo, i gesti della mia vita… Consente di essere come i veri poveri: “feriti dalla ferita degli altri”. E si conosce l’audacia del percorrere vie nuove, che conducono a ritrovare se stessi e la propria dignità; a farsi lucidi interpreti del presente in forza della Parola che ci è stata consegnata. Diventare capaci di dire la fede dentro e fuori la Chiesa e perciò audaci costruttori del futuro. Liberi finalmente e aperti al soffio dello Spirito, ci si muove davvero verso orizzonti nuovi. Il proprio cammino nella storia diventa così un segno del Regno…Ed è la meraviglia della Verità nella povertà: il Signore è l’unica ricchezza che vale davvero, l’unico assoluto amore, l’unico progetto che conta.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it 

 

Famiglia: un ‘noi in relazione’

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apr 23 2012

Progettarsi e realizzarsi come un ‘noi in relazione’ oggi è più difficile che mai. Ma l’amore -come tutte le cose – si rivela davvero alla coscienza in tutto il suo valore solo quando va in malora e provoca frustrazione. La saggezza che se ne può acquisire…

Amore oggi: sentimento liquido…,
La storia genera sempre interrogativi in chi sa ascoltare e offre temi su cui riflettere e decidere. Un semplice dato: le coppie – che in Italia oggi mantengono e rinnovano il loro progetto di vita in comune, puntano sulla stabilità e sui figli e sentono il valore sociale della famiglia – si restringono di numero. La coppia postmoderna, invece – liquida, fragile, destrutturata, riflesso di una cultura frammentata che non sa diventare “noi”- si moltiplica ed è sfida per la stessa famiglia. Le famiglie si privatizzano sempre di più e vedono diminuire il loro valore pubblico, sociale e istituzionale.

accompagnato da ‘emergenza omicidi di relazione’,
Intanto nell’individualismo rampante di oggi, le relazioni vacillano continuamente tra un dolce sogno e un orribile incubo quando esse vanno in malora e tradiscono le aspettative. Gli ultimi dati parlano addirittura di omicidi in aumento tra le mura di casa, specie in Italia. Quarantasei donne uccise dall’inizio dell’anno, vittime dell’uomo che avevano accanto. E’ il numero che spicca, il dato che inquieta. E, secondo l’Eurispes, continuerà a crescere nei prossimi anni. Eppure la strage passa più o meno sotto silenzio… quasi ci si stesse abituando ad assistere a tali fatti di cronaca, o forse perché ci si lascia dominare da un senso di impotenza. Il vero problema (ma questo è di tutti i tempi!) è che senza umiltà e coraggio non c’è amore; e perversione è già il voler cambiare gli altri intorno a noi, l’avere opinioni nette e precise su come fare le cose e su come dovrebbero essere gli altri…

In sintesi: per tutti certamente progettarsi come un noi in relazione è oggi più difficile che mai.

…o pietra angolare?
Certo il vangelo illumina, indica direzioni: non dà risposte prefabbricate. E nemmeno la legge basta. Per fermare l’attuale terribile escalation di individualismo narcisistico e violento serve una nuova cultura, una rivoluzione socio-culturale. Per questo sono necessari più che mai testimoni credibili.

Il fallimento di una relazione (in una coppia, ma anche in una qualsiasi vita comunitaria) in realtà è quasi sempre un fallimento nella comunicazione del proprio disagio all’altro. La rabbia, la lamentela, l’esasperazione, il rimprovero, infatti, non sono un “parlare” serenamente e coscientemente di tutto quello che non va nella vita insieme, ma solo il sintomo di una tensione crescente. Spesso poi si cade nell’errore di porre tanto impegno nella relazione, tante energie per influenzare il proprio partner e costringerlo a cambiare il suo atteggiamento nei propri confronti… Ma ‘delitto’ sono già la violenza psicologica, le minacce, i ricatti.

‘Sbandamenti umani’ della famiglia (Benedetto XVI)
Per parlarci chiaro: le tensioni familiari esistono, perché dove c’è una relazione o una comunione di vita è quasi impossibile azzerare i conflitti, che sono una parte naturale di qualunque relazione basata sul confronto aperto tra due diverse mentalità, visioni del mondo o modi di sentire.

Ma non si ammazza il coniuge da un giorno all’altro, non si massacra in un’esplosione di follia improvvisa.

Il delitto insomma è solo la fase finale di un percorso fatto di silenzi, risentimenti anche pesanti, gelosie e quant’altro. Mentre l’affetto non si acquista, non si elemosina, non si pretende. Può solo essere donato….Anzi se pretendo di amare e di farmi amare, alla fine odio e semplicemente mi faccio odiare.

 Su questa linea allora può essere utile chiedere a se stessi:
Dove sto cercando le mie soddisfazioni, le mie gioie? Quanto e come mi spendo perché si realizzi  la comunione nella mia famiglia, nella mia comunità? So ascoltare il mio interlocutore e sottolineare tutto ciò con cui sono d’accordo, anche per stimolarlo a fare altrettanto? So riconoscere i miei errori, scusarmene, evitare di difendere errori passati per permettere al mio interlocutore di vedere la sua situazione da un nuovo punto di vista? So inserire nel dialogo formule come “forse non è colpa tua”?...

In realtà è solo incominciando ad amare per primi, che troviamo consistenza personale e decidiamo davvero di noi stessi. Se poi riusciamo ad amare in perdita, allora guadagniamo almeno la certezza di amare e questo è sufficiente per sentirsi liberi e forti

Si può ‘guarire’
La fine di un rapporto rappresenta per molti un lutto di difficile sopportazione ed elaborazione perché coincide con un senso di fallimento interiore e di ingiustizia subita. Ma vivere il proprio “amore” in maniera troppo intensa e con l’ansia di non essere corrisposti, non è compatibile con l’amore autentico, perché fin dall’inizio tende solo a colmare i propri bisogni e carenze. Certo si può guarire da tale amore ‘patologico’, ma solo se si prende coscienza del problema e si ha il coraggio di condividere i propri vissuti ed esperienze.

Secondo John Gottman c’è un sistema aritmetico molto efficace per riconoscere le coppie destinate al naufragio. Se nei primi dieci anni di matrimonio, su cento commenti a proposito del partner, meno di cinque sono negativi, la coppia è destinata alla stabilità. Se invece i commenti negativi sono più di dieci, l’unione è destinata a finire in tempi tanto più ravvicinati quanto crescono i numeri. Non potrebbe, questo criterio, riferirsi anche alla vita comune di una comunità che nasce per testimoniare l’amore totale e incondizionato di Cristo?

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Assemblea Nazionale 2012 – online

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apr 14 2012

»Saluto di M. Viviana Ballarin

»Sintesi di M. Giuseppina Alberghina

»Saluto al Card. Joao Braz

»Relazione di Mario Aldegani

»Relazione di Grazia Papola

»Relazione finale di L. Prezzi

»Conclusione di M. Viviana Ballarin

» Audio mp3:  Grazia Papola Cettina Militello Marco Guzzi Canto

»Foto

CRONACA – 11 aprile 2012 – 59° ASSEMBLEA NAZIONALE

ASSEMBLEA NAZIONALE 2012 | Posted by usmionline
apr 11 2012
Roma, 11-13 aprile 2012
E’ tradizione, ma nella tradizione c’è sempre un pizzico di novità. E così è per questa assemblea per partecipare alla quale arrivano le superiore generali e provinciali delle varie Congregazione presenti in Italia, convocate dalla Presidente USMI – ora anche vice-presidente UCESM – sr M. Viviana Ballarin, op. Arrivano a gruppi o singolarmente. L’assemblea quest’anno si distingue dalle precedenti, perché sono coinvolte soltanto le suore costitute in autorità o loro delegate, quando esse non potessero partecipare. Il momento dell’accoglienza è sempre importante e viene gestito con competenza e precisione dalle assistenti alla segreteria.
Il primo saluto che è un saluto di ‘ben venuto’ è offerto dal Rettore della Pontificia Università Urbaniana, il Rev. Alberto Trevisiol il quale accosta le idealità dell’USMI a quelle dell’Università: formare gli evangelizzatori di domani.
M. Viviana dà inizio all’assemblea offrendo un saluto alle partecipanti, e anche un ricordo al personale laico cha da più o meno tempo presta un servizio sereno e prezioso nella sede nazionale dell’USMI.
Cita un pensiero di Benedetto XVI°: La diffusione della Parola è la benedizione che il padrone della messe dà alla comunità che prende sul serio l’impegno di far conoscere la carità nella fraternità” (2005) e sottolinea che “l’annuncio di Gesù Parola del Padre, la sua diffusione nel mondo, la sua accoglienza, la sua azione in mezzo ai fratelli, non è tanto conseguenza o frutto di una attività missionaria, ma soprattutto e prima di tutto è una benedizione, una forza ed una capacità che sono dono di Dio”.
Effettivamente, ammette M. Viviana “quando le nostre comunità vivono l’impegno quotidiano, sereno, della fraternità nella comunità e danno visibilità e forma con il proprio vissuto alla carità, spiegano non con le parole ma con i fatti che cosa è l’amore”. Solo l’amore genera vita e dà senso al vivere umano.
“La nostra 59ª assemblea generale – aggiunge – si inserisce in questo solco luminoso della fede della Chiesa, nell’anno della fede e in sintonia con il prossimo Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, a cinquant’anni dal concilio Vaticano II°”.
E poi in modo solenne afferma:
“Dichiaro dunque aperta la nostra 59ª Assemblea generale ed auguro a tutte e a ciascuna di vivere in essa un tempo di grazia e di benedizione”.
La lectio di questa prima giornata – che ha come tema: Il servizio della comunità dei discepoli – Mc 9,31-37 – è guidata da sr Grazia Papola. Il testo è composto dal secondo annuncio della passione, morte e resurrezione (vv. 30-31), a cui segue la reazione dei discepoli (v. 32) e la prima parte (vv. 33-37) di una istruzione che Gesù rivolge ai suoi discepoli (vv. 33-50). Sono versetti che ripropongono un discorso già fatto – sequela, croce, servizio – e costituiscono una vera e propria catechesi: la necessità della croce innanzitutto, ma anche la necessità cristiana del porsi a servizio degli altri perché si è ammessa ed esplicitata la propria identità: il discepolo di Gesù è tale perché sa porsi a servizio.
La salvezza non passa per le vie dell’egoismo e dell’idolatria di sé, ma nel rapporto con Cristo crocifisso come fondamento che dà senso al sé e alla vita. Fare della propria vita un dono, a motivo dell’adesione al vangelo di Cristo, conduce l’uomo alla salvezza.
Qui l’attenzione si concentra innanzitutto sul tema del servizio ai bambini che Gesù illustra:
- con una parola, se uno vuol essere primo…
- un gesto, preso un bambino
- e un’altra parola, chi accoglie….
In particolare,  Gesù – sostiene sr Grazia Papola – qui istruisce i suoi discepoli sulla vita comunitaria sotto il segno della croce”. Quindi “se uno veramente vuole essere il primo deve essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. E quindi deve saper “accogliere, aprire la porta e lasciare entrare l’altro nell’ambito della propria vita e delle proprie sollecitudini. Questo è il contrario del chiudersi, del distanziarsi, del non voler sapere nulla dell’altro”.
Il secondo momento di questa giornata è affidato alla teologa Cettina Militello. Rifacendosi in parte alla storia evolutiva del femminismo, fuori e all’interno della Chiesa stessa, invita con forza le presenti “collocare la vita religiosa al suo posto”.
Si richiama a due eventi importanti: Il Concilio vaticano II e il crollo del muro di Berlino. E afferma: “Ecclesialmente la vita religiosa arriva a noi oggi da quel singolarissimo passaggio dello Spirito che è stato il Vaticano II. Quanto alla società colgo come momento di radicalizzazione la crisi dell’89. Nel senso che a partire dalla rottura del muro di Berlino e dunque dalla conclamata fine delle ideologie, di fatto ci si è concentrati unilateralmente su una visione liberista che, senza deterrenti di alcun tipo, ha selvaggiamente anteposto a tutto l’interesse economico di pochi. Il passaggio poi da una economia reale a una finanza virtuale e globalizzata ha nullificato persone e valori”. E tutto ciò “ha eroso in profondità le nostre comunità, le ha ridicolizzate e talora le ha cancellate”.
“La vita consacrata – ha ammesso – non poteva restare fuori” da questi eventi, anche perché è esistita una “incapacità di accogliere il paradigma ecclesiologico proposto dal Concilio” e interagire così con la mutazione culturale. A grandi linee la profezia del Concilio parte dalla riscoperta del soggetto concelebrante (SC), consapevole del proprio statuto (LG), in ascolto della Parola (DV), in dialogo al suo interno e con il mondo (GS).
Ha poi enunciato i vari punti di domanda che oggi si pongono le stesse religiose intorno alla propria identità. Poi ha chiarito alcuni principi teologici basilari, ha riaccostato l’ecclesiologia conciliare riferendo ad essa la VC per provarne l’analogia al mistero della Chiesa.
Come la Chiesa è ‘popolo in cammino’, la VC è comunità in attitudine pellegrinante; come la Chiesa è corpo di cui Cristo è il capo, essa è cellula viva del corpo ecclesiale. La Chiesa è ‘sposa che anela a ricongiungersi con lo sposo’ e la VC è comunità nel segno sponsale; è ‘segno e strumento d’unione con Dio e con il genere umano’. Per questo deve lasciarsi guidare e sorreggere dallo Spirito per poter offrire il proprio servizio regale, sacerdotale e profetico. E come la Chiesa non vive per se stessa così la VC è posta al servizio della maturazione nella fede, nella speranza e nell’amore di tutti.
La relatrice ha ammesso che urgono programmi nuovi, perché il modello del passato non funziona. Ma ciò è da farsi con un progetto condiviso, costruito su una argomentazione teologica che si acquista con la frequentazione della Scrittura e della Liturgia.
‘La Chiesa non esiste per se stessa, ma è essa stessa un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità con tutto il genere umano (cf LG 1). La Chiesa è mediazione salvifica. E’ luogo e paradigma di estroversione’. E la vita consacrata deve camminare sulla stessa linea valorizzando anche i doni personali, duali, collettivi.
Le comunità religiose dovrebbero riscoprire la loro analogia con la domus ecclesiae; dovrebbero di nuovo farsi fermento ecclesiogenetico nel corpo vivo della Chiesa locale.
“In ogni caso – ha sottolineato la relatrice – la non debole analogia tra la Chiesa e la comunità religiosa si rivolge alle membra vive di quest’ultima. Membra vive, ma davvero, capaci di profezia, di comunione, di servizio, in gioia e unanimità di sentire”.
E’ un appello urgente anche perché il mondo di oggi ha nostalgia di fraternità, sororità, nuzialità. Per questo le religiose sono chiamate a profetizzare, discernere e promuovere l’autenticità cristiana delle comunità religiose. La vita religiosa infatti non esiste perché si è destinati alla sofferenza, ma perché si è rimesso in auge il dono in una prospettiva ‘altra’, finalmente gratuita e liberante. La comunità religiosa è spazio di alterità, di reciprocità, di dialogo e d’incontro. E’ anticipazione consapevole del nostro definitivo vivere in Dio.
Con queste e altre affermazioni che si troveranno nel testo riportato per intero su Consacrazione e servizio n. 7-8 luglio-agosto 2012 la relatrice ha potuto anche chiarire alcune interessanti problematiche e interrogativi posti dall’Assemblea.

Parole nuove per la vita comune

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apr 10 2012

Dal messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali raccogliamo la sfida a ripensarci come ‘comunità’ e ci lasciamo interrogare sul nostro modo di comunicare nella vita comune. Obiettivo: costruire relazioni umane più piene e testimoniarne il valore.

Il silenzio?…piazza” che apre all’ascolto    

Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione“, questo il titolo del Messaggio che Benedetto XVI ci ha affidato per la prossima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che si celebrerà il 20 maggio 2012. In esso il Papa usa (e ripete più volte) la parola silenzio: per discernere ciò che è essenziale da ciò che è inutile; per trovare la via che consente -anche nella essenzialità di brevi messaggi- di abitare l’ambiente digitale, aiutando le persone a ritrovare se stesse e quella Verità che dà senso a tutte le cose. 

Da intendere non come una «fuga dalla parola», perché anzi per il Papa il silenzio è come una piazza che apre all’ascolto e all’incontro e permette l’espressione di un significato più profondo. Soprattutto è il luogo dove non solo si trovano le ri­sposte, ma -secondo l’espressione di Benedetto XVI- si impara a riconoscere le domande giuste.

Quando le parole fanno comunità…

Nella comunicazione contemporanea servono parole scavate nel silenzio, per dirla con Ungaretti. Parole inserite organicamente in un gran silenzio (Etty Hillesum): dette o scritte per accentuare il silenzio e non per coprirlo o disperderlo. Servono cioè parole che preparano un ascolto non improvvisato, che dispone a mettere tutto quello che si è e si sa fare a disposizione degli altri.

Il Messaggio del Papa, aperto e dal valore profetico, toc­ca la struttura fondamentale del comunicare e offre una nuova sfida a tutti per lasciarsi interrogare sul proprio modo di comunicare. La vita cristiana consiste nel riuscire a essere in comunione con tutte le creature, perché tutte le creature sono parola di Dio. Ma quante volte anche i cristiani ‘stanno insieme’ e parlano solo perché le convenzioni vietano il silenzio, o perché si è  bramosi di compiacere qualcuno con discorsi senza forma e parole senza peso!… ma da tali atteggiamenti possono scaturire solo illusioni di contatto!

…e i nodi tra le persone diventano vita

Per noi religiosi le riflessioni del Papa sono una feconda occasione per ripensarci come comunità e per dare vita a quella cultura vera della relazione e dell’empatia dove i nodi tra le persone diventano vita delle stesse persone…

La condivisione quotidiana certo ha un prezzo che non è facile da pagare perché, nel cammino sempre in salita verso la vera libertà interiore, essa mette in luce tutte le contraddizioni interiori della persona. Rimane il fatto che è essenziale scoprire la fraternità -e riscoprirla ogni giorno- per poter camminare verso un orizzonte comune. Questo significa non stancarsi di cercare la stilla di divino che c’è in ogni persona. Siamo insieme le foglie dissimili di un unico albero. A nessuno spetta distinguere le foglie meglio riuscite. Il comando del Signore è: Non giudicate!

Il sentiero verso se stessi e verso spazi comuni e condivisi

 “Ci sarà chiesto conto di ogni parola, di tutte quelle che bisognava dire e che la nostra avarizia ha frenato. Di tutte quelle che bisognava tacere e che la nostra prodigalità avrà seminato ai quattro venti della nostra fantasia e dei nostri nervi”, ammonisce Madeleine Delbrel. Tacendo si permette all’altra persona di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati -senza un opportuno confronto- soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena.

Anche la nostra esperienza ci racconta che tutte le parole capaci di aprire uno spazio comune e condiviso, avviano e rafforzano una comunicazione che è esperienza di compartecipazione. Lungo questa via, anche in un tempo confuso come il nostro, l’intelligenza dello Spirito orienta a ciò che conta per non rimanere schiacciati da sforzi inutili.

La solitudine che è comunione

Il vero problema, in ogni vita insieme ad altre persone, è conoscere l’altro dall’interno, perché da quel momento non si può più essere indifferenti a lui o rinnegarlo… “Non potremo più rifuggire dalla sua sofferenza, dalla sua ragione, dalla sua storia. E forse diventeremo anche più indulgenti con i suoi errori” (D. Grossman).

Nella vita comune vengono inevitabilmente messe in gioco tante realtà personali: simpatia e antipatia, empatia e intelligenza, cuore, ferite interiori; tutte realtà che si misurano con quelle di chi ci vive accanto e s’intrecciano alla fede e all’amore, alla preghiera e alla volontà di ognuno di seguire il Signore. Il che implica evidentemente la conversione del proprio tempo, dello sguardo, del cuore… E se arriva il momento in cui, nella revisione del proprio vissuto, ci si accorge che molte energie si vanno  esaurendo, allora è indispensabile ritornare a quel silenzio che è ascolto degli altri e di sé, perché è questo che trasforma le persone. Il silenzio quindi come inizio di ogni gesto, di ogni storia vera, di ogni creazione. Il silenzio non come mezzo, o tecnica. Ma come modo di essere, come sapore che coinvolge tutti i propri gesti e apre al mistero.

Possa la Chiesa, nel passaggio epocale  che stiamo vivendo, anche attraverso la Parola vissuta nella vita fraterna,  dare al mondo segni concreti di credibilità e di speranza.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Sì crescita, ma a vantaggio di chi?

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mar 30 2012

Misurare le scelte con il metro del bene comune e della vita della gente è compatibile con i momenti di crisi? O è semplicemente necessario per esprimere in modo credibile la vitalità dell’esperienza cristiana?

Con occhi disposti a lasciarsi toccare e convertire
Pur senza una compiuta teorizzazione, oggi è diffusa la convinzione che le questioni etiche siano un lusso difficilmente compatibile con i momenti di crisi, e non solo sul piano personale. Così prendono il sopravvento soluzioni… diciamo di ‘mercato’, che inevitabilmente portano a una società e ad una politica di corto respiro, come quelle che ben conosciamo.

“Il mondo è quel disastro che vedete non tanto per i guai combinati dai malfattori (o incompetenti furbetti), ma per l’inerzia dei giusti, che se ne accorgono e stanno lì a guardare”, scrisse Einstein. E le cose non sembrano essere poi molto cambiate. Sperimentiamo tutti quanto è facile e apparentemente comodo lasciarsi andare ai compromessi, a giudicare chi disturba, ad accumulare sicurezze per sé ignorando le vie dello Spirito… Ma scegliere se stessi significa aprire le porte al caos. Forse davvero tutti cerchiamo il bene, ma spesso lo facciamo in modo errato, perché davvero non sappiamo quello che facciamo (Lc 23, 34).

Per i cristiani (e in particolare per i consacrati) rimane, nel presente della propria storia, l’urgenza di mantenere un atteggiamento di costante conversione, che orienti a misurare le scelte con il metro del bene comune e della vita della gente. Guardare per comprendere. Guardare senza paura e anche senza la sicurezza di chi ritiene di avere già la soluzione per tutto. È un dono dello Spirito guardare la realtà con occhi disposti a lasciarsi toccare, interpellare, convertire; lo è operare, nel proprio piccolo, perché la dignità sia assicurata a tutti e le differenze siano vissute solo come collaborazione effettiva in vista del bene comune.

Fra rigore, crescita ed equità
“Rigore, crescita ed equità” è il trinomio lanciato come slogan e promessa dal governo tecnico Monti. Agli italiani è sembrato finalmente di poter riprendere a sperare…

-In Parlamento si parte dal rigore ed è la riforma delle pensioni, che lascia “più di centomila persone senza alcuna prospettiva, colpisce i padri senza fare nulla per i loro figli” (Bonanni). Con essa si cerca soprattutto di dare un “segnale di credibilità” ai partners europei e al mercato internazionale?

Di fatto, all’approvazione della manovra seguono aumento delle tasse e diminuzione del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni.

Nel frattempo non si fanno tassazioni patrimoniali né sulle grandi rendite finanziarie: il grande capitale rimane in mano a finanzieri e speculatori, che dominano l’intera economia. A salvare il Paese sono insomma ancora quelli che hanno di meno. Basta vedere come vanno i consumi per capire quanto soffrono le famiglie.

-Poi è la volta della crescita, attesa come frutto delle ‘liberalizzazioni’ e ancora si spera di essere sulla strada giusta. Ma si raggiungono compromessi su taxi, farmacie, notai, asta delle frequenze TV, responsabilità dei giudici, intercettazioni, concussione, corruzione… E si diffonde la percezione che l’enfasi sulle liberalizzazioni sia andata a scapito della tutela dei diritti sociali.

-Dell’equità – che oggi potremmo chiamare semplicemente ‘bene comune’ e che per essere autentica dovrebbe attraversare sia il rigore che la crescita – non abbiamo ancora realmente sentito parlare: né progettata, né realizzata. E mentre il prezzo della benzina e del gasolio va alle stelle, l’inflazione al top e a dismisura crescono le tariffe dei servizi… non c’é ombra di progetti per le energie alternative o di tagli all’acquisto dei cacciabombardieri F35.

Si riducono invece le spese per il sociale, la sanità e la scuola; il bilancio familiare diventa sempre più insufficiente; disoccupazione, licenziamenti più facili, diritti trasformati in…moneta riducono a brandelli sogni e progetti. Intanto la gente del Sud del mondo, con l’arrivo della primavera, riprende a riversarsi sulle spiagge di Lampedusa (…anche a morire prima di arrivarvi!) e ad essere respinta indietro… Le entrate contributive di chi riesce a rimanere in Italia sono elevate, molto basse invece risultano essere le loro uscite. Così gli immigrati diventano dei benefattori del nostro sistema pensionistico.

 Recuperare la relazione tra mezzi e fine
Si può davvero continuare ad ignorare il “buco” nel quale nel nostro Paese stanno precipitando le fasce più deboli della popolazione? Così sullo sfondo di questa situazione un interrogativo si va diffondendo nella coscienza dei cittadini – in particolare dei giovani che sembrano percepire meglio di tutti la radicalità degli attuali problemi – e li spinge a vigilare, controllare, sorvegliare su quello che accade… Efficienza sì, ma per quale scopo? E soprattutto: a vantaggio di chi? Ciò che appare urgente è recuperare la relazione tra mezzi e fine, perché l’efficienza certo non è il contrario dell’etica. Questo soprattutto quando può sembrare più facile scendere a patti con le proprie paure soffocando così i desideri infiniti, che sono i più fragili, ma certo anche i più veri… Questo ancora con l’obiettivo di esigere dai governi vere politiche pubbliche di protezione degli interessi della maggioranza della popolazione, in particolare delle fasce più povere e dei lavoratori.

Anche ai cristiani italiani di oggi è necessaria una lettura aggiornata della Parola di Dio, calata nella carne sofferente di questo nostro tempo e capace di rendere lo sguardo attento a chi è in disparte e non in prima fila. È il grande orizzonte di libertà che, dopo il momento della profonda intuizione, esige però tempi lunghi di costruzione interiore, prima di conoscere la forza esplosiva dell’arrendersi a Dio.

Equità: sinonimo di cristianesimo
Con quale consapevolezza – ci chiediamo – le nostre comunità religiose sono impegnate oggi, in mezzo all’attuale crisi, ad elaborare questa cultura e questo orizzonte di valori umani? Riusciremo ad esprimere in modo credibile la vitalità dell’esperienza cristiana?

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Malati da gioco o… disperati?

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mar 19 2012

Il gioco d’azzardo: un’attività legale, una malattia, un affare… per chi? Nel 2011 bruciati 80 miliardi di euro, l’equivalente di due manovre Monti. Coinvolti, complice lo Stato, tutti i ceti sociali. Famiglie e giovani i più malati.

Un fenomeno in espansione  
I malati da gioco (ludopatici) in Italia -secondo i dati forniti dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità)- sono più di un milione. Altrettanti sono i giocatori a rischio. Sei milioni le persone coinvolte nei loro affanni. Lo Stato ricava cospicue somme di denaro in cambio delle varie concessioni al gioco d’azzardo. Nell’Unione Europea il nostro è il mercato con la più elevata crescita nel settore… Il pericolo di un disastro sociale non è dietro l’angolo: è già una realtà. Nelle città italiane c’è un’invasione di slot-machine: circa 400mila, in pratica una ogni 150 abitanti; poker on line, videolotterie e giochi da casinò accessibili a tutti. Si tratta in realtà di un fenomeno molto diffuso ed estremamente grave, ma ancora sottovalutato e con un grande sommerso. Un mondo in larga parte in mano alla criminalità organizzata. Quante sono, a livello nazionale, le slot-machine manipolate, non connesse in rete al monopolio di Stato?! Le mafie sono attratte dai nuovi giochi. Di fatto la raccolta da scommesse e puntate lecite sfiora gli 80 miliardi l’anno. Quella illecita è stimata tre volte tanto. Possiamo, comunque, ritenere credibile uno Stato che, in un grave momento di crisi, impone ai cittadini grandi sacrifici e nello stesso tempo introduce in ogni Finanziaria uno o più giochi nuovi? Non è questo un invito indiretto a giocare sulla ruota della fortuna ogni spiraglio di attesa e speranza in un mondo migliore?  

Un male oscuro che…
La crisi economica che stiamo vivendo è una spinta ulteriore per molti a tentare la sorte. Depressione, impulsività, stress, ricerca di sensazioni forti spingono nella stessa direzione: a rischiare. D’altra parte giocare è facile, basta andare nel bar sotto casa. Così sempre più persone continuano a rincorrere il miraggio di una ricchezza facile e immediata, che cambi un giorno la propria vita. Ma la patologia da ‘apparecchio da gioco’ è in agguato e si rivela fra le malattie più devastanti perché spinge il soggetto addirittura a personificare la macchinetta in un rapporto di amore/odio e, in breve, conduce alla rovina. Intossicata infatti dall’ansia del gioco e dall’eccitazione, la persona finisce per perdere non solo interi patrimoni personali e familiari, ma anche ogni contatto con la propria realtà. L’azzardo insomma, se provvisoriamente può migliorare i conti di qualcuno, mai però cambia davvero o migliora la vita.

…crea dipendenza
No, questo non è più gioco e divertimento. È febbre, attività succhia soldi, una vera e propria malattia che crea dipendenza. Un demone compulsivo che la scienza è arrivata a catalogare fra i disturbi mentali. Eppure passa nella mentalità comune come un innocuo comportamento quasi privo di conseguenze negative. E mentre nelle culture passate il giocatore d’azzardo nel lotto e nelle lotterie veniva considerato un avventuriero dissipatore, oggi un ragazzo o una ragazza che bruciano soldi nelle macchine istallate un po’ ovunque non vengono considerati neppure soggetti a rischio. 

C’entra la ‘paura più grande’?
Certamente la malattia da gioco è un tentativo di evasione dalle pene quotidiane, un modo per esorcizzare le proprie paure, alla base delle quali si avverte la grande paura del tempo che passa! …Perché è vero (anche se non ci si pensa!) che tutto ciò a cui in qualche modo ci attacchiamo con gusto morboso e possessivo è sempre riassumibile nel grido: Non voglio morire! Anzi: Voglio darmi la certezza che resto in vita!!. No, il gioco d’azzardo non è felicità: in molti casi, anzi, è disperazione, che, se tocca più da vicino giovani, disoccupati, anziani soli e famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, coinvolge però tutti i ceti sociali, dall’operaio all’imprenditore. Un male oscuro che arriva a stravolgere i rapporti familiari, sociali e finanziari. Si rivela quindi come un problema non solo morale, ma economico, familiare e pedagogico. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (al n. 2413) in poche righe chiarisce il fenomeno in modo inequivocabile: “I giochi d’azzardo o le scommesse non sono in se stessi contrari alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù”.

Fermare gli spot
Non bastavano i messaggi pubblicitari inseriti all’interno dei videogiochi! Una iniziativa del Monopolio di Stato (Aams), presentata come ‘educativa’, attraverso 70 mila opuscoli distribuiti nelle Scuole, è arrivata a ‘spiegare’ agli studenti come si fa a giocare ‘responsabilmente’. In realtà fra le righe passa solo il messaggio obliquo che ‘vincere è semplice’! Ne risulta una pubblicità che invoglia a giocare, mentre uccide il corretto modo di pensare e di agire. La pubblicità dell’azzardo è un attentato alla nostra società, ha denunciato il card. Angelo Bagnasco. E il ministro Andrea Riccardi si è impegnato a metterci mano con “l’obiettivo di arrivare al divieto di pubblicità, come nel caso delle sigarette o, almeno, a una ferrea regolamentazione degli spot”. Nel Sistema Gioco Italia in realtà servono linee guida efficaci e condivise, che possano davvero contrastare la ludopatia e favorire in tutti i cittadini l’educazione alla responsabilità.

Unica terapia possibile
Finché non arriva alla disperazione il giocatore compulsivo non è pronto per farsi curare. La sua impotenza di fronte al gioco d’azzardo può essere combattuta solo ed esclusivamente con la totale astinenza. Ma questa non basta e non è ovviamente l’unico obiettivo del trattamento. È necessario che giocatori e familiari superino la timidezza o la vergogna che trattiene dal chiedere aiuto. In tutto il mondo, – sul modello degli alcoolisti anonimi – ora è diffusa l’associazione ‘Giocatori anonimi’. L’accesso allo ‘sportello’ -anonimo e gratuito- può essere il punto di partenza per non restare soli con il problema. L’obiettivo è arrivare a cambiare la psiche malata del giocatore, accompagnarlo ad un rapporto più razionale con la realtà e a riappropriarsi della propria emotività. La famiglia e gli amici sono in ogni momento potenti fattori curativi.

Esistenze diaconali… le nostre?  
E noi cristiani, consacrati al seguito di Gesù il “servo” per eccellenza, di fronte a questi problemi, come siamo disposti a ‘metterci in gioco’ con la nostra specificità personale, generazionale, professionale, istituzionale?!…La fede -lo sappiamo- chiede ad ognuno una mentalità diaconale che, come dice Paolo, è pensare e interrogarsi giorno e notte su quali siano i veri bisogni dell’umanità e su ciò che bisognerebbe fare per essere più utili al prossimo; chiede di  aprirsi concretamente ad ogni genere di necessità di ogni persona, a partire dalle necessità più evidenti e più urgenti, fino a quelle più profonde e nascoste, forse meno dichiarate, eppure più gravi, come la ludopatia.

Ad ognuno non resta che potenziare ciò che in se stessi è già riflesso del cuore di Dio e coinvolgersi interamente nella storia quotidiana e concreta dell’umanità, a cominciare da quella più vicina.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it