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Dal Pianeta Carceri

Senza categoria | Posted by usmionline
dic 05 2011

In Italia si muore di carcere – Fragilità e contraddizioni della giustizia penale

…Leggi e istituzioni penali possono dirsi veramente umane se operano in funzione dell’affermazione e dello sviluppo della dignità del colpevole. L’obiettivo  è il recupero, non la pena in sé. Ma siamo veramente capaci di pensare il colpevole come persona da rispettare, salvare, promuovere ed educare? (C. M. Martini).

Il carcere è una realtà che ci riguarda tutti perché tutti siamo impastati di bene e di male; eppure è certo che nessun male può snaturare o svalorizzare la dignità umana. Che in Italia le carceri – con tutto ciò che ad esse è collegato – siano in una situazione vicina al collasso è noto da tempo; ma questo importa davvero a qualcuno? D’altra parte forse per qualcuno è facile riconoscere un proprio simile, in tutto e per tutto, nella persona che si macchia di certe colpe gravi? 

“Mentre mi arrestavano mi hanno pestato”. Sono parole che echeggiano pesanti dopo la morte sospetta di Cristian De Cupis, da molti considerato già il nuovo caso Cucchi. ‘Un arresto difficile con un esito inaspettato’, la prima ricostruzione dei fatti.

La giustizia in Italia: promessa o miraggio?

Nel nostro Paese non c’è la pena di morte, eppure la ‘questione carcere’, per i fatti che in esso accadono, è drammatica e per questo tanto più urgente. Vi si muore a volte per le percosse subite; altre volte per cure mediche non ricevute; sempre più spesso di suicidio. C’è una stretta relazione fra l’alto tasso di suicidi (anche di agenti della polizia penitenziaria, non solo di detenuti!) e le condizioni disumane in cui sono costrette i rinchiusi: celle minuscole, carenze igieniche e strutturali, risorse insufficienti, sovraffollamento in crescita, carenza di personale… con tutte le conseguenze immaginabili.

Questione di dignità in una democrazia avanzata

Occorre accompagnare il detenuto perché sappia ricostruire la propria vita. Non solo tenerlo in una cella. Invece, soffocati come sono da un affollamento che rende impossibile ogni possibilità di reinserimento sociale, i nostri istituti penitenziari facilmente diventano non un luogo di redenzione, ma, per tanti, una nuova scuola di delinquenza. Questo accade in una democrazia avanzata che annovera tra i valori primari della sua Carta Costituzionale il principio secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il male va sempre segnalato e sanzionato e non taciuto o ignorato. Ma il diritto di vivere come “esseri umani”, insieme al rispetto della persona, che è valore fondamentale della nostra civiltà occidentale, devono essere garantiti anche negli istituti penitenziari. Il nostro Parlamento certamente è responsabile di omissione in questa materia. La questione rimane aperta come una ferita dolorosa. Eppure basterebbe cominciare con una riforma seria del codice penale che tolga la prigione per i reati meno gravi.

Giustizia come armonia sociale: appelli inascoltati

Molti sono gli allarmi e gli appelli – rimasti purtroppo finora inascoltati – che da più parti denunciano una situazione giunta ormai a livelli di disumanità. Per tutti citiamo il più autorevole, che è venuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In occasione del convegno “Giustizia! In nome della Legge e del Popolo sovrano” nel luglio scorso ha denunciato “una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana – fino all’impulso a togliersi la vita – di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari. Inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona”. Ma  anche questo richiamo è stato accolto da una generale indifferenza dell’opinione pubblica.

 “Non c’è uomo per quanto reo di colpe, che non possa essere recuperato”

In carcere ci sono i detenuti e, insieme a loro: guardie carcerarie, militari, cappellani, volontari; suore che vivono qui per essere più vicine alle sofferenze di cui sono testimoni; suore come Enrichetta Alfieri, beatificata nel giugno 2011, detta la madre dei carcerati e definita dal non credente Indro Montanelli epicentro di ogni speranza nel carcere milanese di San Vittore. C’è anche chi radicalmente scosso dalla realtà del carcere e dalla compassione di alcuni esseri umani, si avvia a un vero processo di conversione. Non meraviglia questa potenza di Dio, legata spesso alla conoscenza della Parola e all’esperienza di un amore umano incondizionato e gratuito.

Cosa hanno da dire i cristiani?

Là dove cresce il dolore è terra benedetta. Un giorno o l’altro, voi tutti riuscirete a capire cosa significa questo (Oscar Wilde). Per dirla in altri termini: occorre un cambio di mentalità che può nascere solo da una conversione del cuore. È facile per tutti, per esempio, confondere la domanda di sicurezza con quella di “più galera per tutti”. Il problema è complesso, ma certo la realtà del carcere, così come è oggi, più che garantire, insidia la sicurezza di tutti.

Quello che ebbe a dire Martin Luther King a suo tempo Non temo le cattiverie dei malvagi; temo piuttosto il silenzio dei giusti, rimane valido anche oggi. Ci è chiesto di uscire dal torpore e di acquisire una consapevolezza nuova della realtà. Non esistono persone solo negative o unicamente capaci di fare il male, identificabili perciò nel reato; in ognuno convive frumento buono mescolato a zizzania. Ed è compito del cristiano ricordarlo: a se stesso e agli altri. La giustizia della Croce non toglie il male dal mondo, ma lascia i problemi affidati alla nostra libertà e responsabilità. Il valore grande di ogni persona, diventato memoria del cuore, orienterà e muoverà ognuno ad agire di conseguenza. 

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il nostro avvento

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nov 24 2011

Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza

(canto al vangelo 1ª domenica di Avvento)

Quante volte il popolo della promessa, in cammino tra fitte tenebre, oppresso dall’ombra della morte e dalle tribolazioni della schiavitù, minacciato dalla tentazione, percosso e umiliato da mille contraddizioni, ha innalzato al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe questo grido:

mostraci o Dio la tua misericordia e donaci la tua salvezza”.

E’ il grido della speranza.

Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce.

E’ la luce della promessa che si veste di attesa di un dono futuro, ma che il popolo pregusta nel presente come nube che lo guida e lo copre con la sua ombra, o come palla di fuoco che nella notte gli apre un varco camminando davanti ai suoi passi.

La speranza del popolo eletto non poteva spegnersi dentro di lui perché sapeva che Dio mantiene le sue promesse. Pensiamo ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, a Mosè, a Maria. Noi oggi sappiamo che ogni promessa si è adempiuta in Cristo.

 Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza

 A questo grido costante del popolo dell’Antico Testamento fa eco l’ultima parola della Chiesa sposa: Maranathà, vieni Signore Gesù.

Intravediamo qui come ogni tempo e qualunque momento del viaggio umano su questa terra sia attraversato da un brivido che va verso l’altro ed uno che scende verso il basso.

Noi gridiamo a te Signore, le tue mani si aprono e tu ci riempi dei doni della tua promessa (cfr Salmo144).

In questo nostro tempo, bello e tormentato, sembra però che l’uomo abbia smesso di implorare, forse il suo viaggio ed i suoi affari terreni lo hanno portato lontano, forse non vede più la luce che ancora brilla davanti a lui vicino o lontano, forse si è perduto nella selva intricatissima delle sue passioni, forse ha anche perso la memoria e non si ricorda più delle promesse di Dio; egli cammina a tentoni, gli cresce la disperazione dentro impedendogli di invocare.

Noi, religiose, camminiamo proprio in questo nostro tempo, in questo nostro mondo e siamo circondate sempre più da un panorama squallido: l’uomo fa da solo, non si ricorda di Dio, fa sempre di più a meno di lui, è indifferente e non si stupisce più per la sua  venuta in mezzo a noi, non pare neppure proteso verso un fine ultimo che inesorabilmente avanza.

Dilaga invece sempre di più una cultura materialista per la quale celebrare il  natale felice vuol dire concludere il pranzo con il pandoro bauli,  oppure ricevere o regalare un iPad o un iPhone, ecc.

Ma Dio ha suscitato il carisma della vita religiosa nella Chiesa perché fosse lungo la storia degli uomini, una memoria vivente del vangelo della speranza.

  Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza.

Sono convinta che, oggi, per tutte noi religiose vivere l’Avvento del Signore acquista un significato molto forte quando riusciamo con la nostra vita, con la nostra testimonianza quotidiana e, con la nostra parola, ad aiutare i nostri fratelli “smemorati”. Essi hanno un Padre che li attende, un Fratello che vuole venire a dimorare nella loro casa e possono ricominciare a gridare: mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza: Gesù.

Una sorella infermiera si accorse che un paziente aveva molto bisogno di verità e di amore. Tutte le volte che veniva alla clinica per una visita o una cura si accostava a lui, e con delicatezza e discrezione gli dava il tempo per ascoltarlo fino al momento in cui poteva proporgli una parola di speranza, una parola del vangelo. Un giorno la suora venne a sapere che l’unica preghiera che quell’uomo conosceva era il “Padre nostro”, forse insegnatogli dalla madre. E così ogni volta il dialogo tra i due si concludeva con la preghiera del “Padre nostro”.

Dopo vari anni, lo stesso paziente ritorna alla clinica per un intervento chirurgico, ma prima di essere ricoverato chiede della suora  perché le vuole parlare.

Vuole accostarsi alla confessione sacramentale, dopo 60 anni che non lo faceva.

Al termine della confessione chiese al sacerdote di pregare insieme con lui il Padre nostro.

Mirabile incontro tra la misericordia di Dio e la creatura umana che ha ricominciato ad invocare; mirabile filo d’oro che la suora ha saputo tessere e trasformare per il fratello in memoria del vangelo.

Che sia questo, in ogni nostra giornata in mezzo ai fratelli, il nostro Avvento di Natale!

Sr Viviana Ballarin op

Presidente USMI Nazionale

Struggente nostalgia di futuro

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nov 18 2011

Niente ‘nuovo mondo, nuove idee’

Nuovo mondo, nuove idee: erano le parole d’ordine lanciate dai leader delle maggiori economie mondiali per il loro incontro a Cannes. Ma il summit dei ‘Grandi’ è poi terminato e nessuna ricetta o strategia risolutiva ne è uscita. Se è vero che gli eventi della vita, soprattutto quelli dolorosi, arrivano per farci cambiare rotta, nell’attuale mondo (economico e non solo!) la necessità di cambiamento rimane e anzi si fa sempre più urgente. La crisi di sistema infatti continua ad imporre una radicale rifondazione delle regole sulle quali basare l’economia del pianeta! E in noi rimane la struggente nostalgia di un futuro migliore del passato.

“Una sola cosa da fare”

Il vecchio maestro Ermanno Olmi confida: “Ho capito che c’è una sola cosa da fare oggi: cambiare, cambiare il mondo, certo, ma prima di tutto noi stessi. C’è in giro troppo disagio, ci sono troppe differenze, troppa vergogna, troppe cose inutili. Così come stiamo vivendo adesso, anche dentro di noi, si precipita solo in un baratro, a meno che ciò non sia già accaduto”. Impegnarsi per ‘cambiare’, coltivando in sé nostalgia di futuro, è un grande inno alla vita!

La storia insegna e chiede 

Ma  non esiste un mondo alternativo a quello in cui ci troviamo a vivere dal quale iniziare il ‘viaggio’ per cambiare. Il cambiamento può venire unicamente da quelle scelte concrete che in noi nascano da:

-         un senso di giustizia diverso da quello imperante;

-         il rispetto dell’altro, qualsiasi altro, ricordando che se il razzismo (di qualsiasi genere!) è una cattiva cosa, evitarlo è questione di civiltà;

-         il ritorno necessario all’onestà; e, per un cristiano, l’impegno nella carità;

-         in sintesi: il ripensare il nostro essere oggi al mondo, a questo mondo, per viverci con fondata speranza  e fedele impegno.

È la storia che chiede tutto questo, se non vogliamo che sia la storia a cambiare noi.

Incapaci di amare ‘per sempre’?

Come è avvenuto in fretta, per esempio, il trapasso da un’umanità che incentrava sul matrimonio i riti della maggiore età e del distacco dai genitori, alla nostra che si stacca più tardi e quasi senza accorgersene, andando a convivere un po’ per volta e si sposa, se si sposa, quando matura il libero convincimento al matrimonio. Le nozze sono scese al minimo storico ed è quasi possibile prevedere statisticamente la durata dell’unione. Aumentano anche i bambini nati fuori da tutti gli schemi della psicologia della coppia, senza che i compiti dei genitori siano integrati. Certo nel nostro ambiente liquido-moderno la fedeltà a vita è una grazia, inseparabile da varie disgrazie.

Futuro oscuro…

Il punto è che stiamo vivendo una deriva della società verso l’individualismo.

Così, con facilità:

- si passa da un desiderio di consumo all’altro secondo il modello dell’usa e getta;

- si misura ogni azione con il metro del consumo;

- ci s’impegna in un rapporto finché se ne ha voglia senza assumersi alcun tipo di

  responsabilità;

- si misura anzi la validità di una relazione secondo la clausola del mercato soddisfatti o

  rimborsati.

Famiglia e scuola, d’altra parte -come pure ogni altra istituzione- non sembrano più essere in grado di elaborare significati condivisi, né di assicurare la coesione necessaria a una vita serena e significativa.

…senza un cambio di rotta!

Il problema vero è che mentre fa paura il ‘per sempre’, in tutti rimane il bisogno di un amore pieno, fatto di relazioni solide e vere nelle quali tutto avvenga nell’autenticità, in piena rispondenza fra ciò che si sente e ciò che si fa. E senza perdere la propria individualità nel  confronto intellettuale ed emozionale che si vuole continuo.

I nostri giovani, soprattutto sugli ultimi punti, non sono disposti a compromessi. Certo questo li porta facilmente a lasciarsi al minimo problema per cercare nuove emozioni e nuove esperienze. Essi in effetti sono in parte il prodotto di questa società che siamo noi, del suo grado di complessità, delle incertezze che vive, di un futuro che oggi ha pochi punti di riferimento stabili. La rispecchiano. Noi li abbiamo riempiti di “niente” e oggi sono i più poveri tra i poveri. Eppure in essi possiamo intravvedere l’indicazione di nuove vie possibili per tutti.

Sono messaggi per tutti, per esempio, la ricerca infaticabile di autenticità; l’impegno pragmatico e appassionato per essere solidali; la generosità nel creare unione nei momenti difficili per essere più utili. La loro risposta semplice ed efficace al dramma dell’alluvione prova che dai giovani può ripartire anche la ricostruzione dell’Italia. 

Vivere è imparare ad amare

“Con tutto il denaro di questo mondo non si fanno uomini, ma con uomini che amano si può fare qualsiasi cosa” (Abbè Pierre). L’amore da sempre è la preoccupazione essenziale, confessata o no, di tutti gli uomini e di tutte le donne, sotto ogni cielo. Il bisogno di sentirsi utili a qualcuno che non può vivere senza di noi e con il quale condividere pienamente la propria avventura nel mondo.

Passi possibili

Una tra le poche cose in cui non si può normalmente fingere è nel fidarsi. Come nella fede, così nell’amore: o uno ci sta o non ci sta. Ma l’amore (come la fede) non è incorruttibile. Diventa invincibile solo se accetta continuamente di misurarsi e commisurarsi alle esigenze del bene e della felicità del prossimo; se si fa capace di piegarsi sulle sue necessità fino a lasciarsi toccare dai suoi desideri più veri e più profondi. E’ l’amore incondizionato che fa sbocciare nella persona un atteggiamento spontaneo e fiducioso verso l’esistenza, la sensazione rassicurante di protezione e nutrimento, il senso di dignità in quanto esseri umani a prescindere da identità e posizione sociale. E allora, ricchi di questo, si può guardare avanti.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Sublime natura dentro la storia

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nov 09 2011

La sfida: scavare e ‘ascoltare’ per capire

Non vi è nessuno dal quale non si possa imparare. Questa volta saranno forse le persone – i cui corpi sono stati trascinati a valle da fiumi di fango anche per chilometri prima di poterne uscire vive – a insegnare a noi. Se sapremo ascoltarle.

Negli ultimi cinquant’anni, un po’ dappertutto sul nostro Pianeta abbiamo:

-         sfruttato le risorse della Terra in maniera sconsiderata e opportunistica;

-         ridotto la materia a possesso egoistico e l’esistenza ad essere un’affannosa corsa a possedere il più possibile;

-         accresciuto a dismisura le distanze tra ricchi e poveri…

All’improvviso -in un territorio limitato della Liguria e della Toscana settentrionale molto vicino alla nostra vita quotidiana- si verifica una precipitazione di tipo veramente anomalo per la quale acqua e fango travolgono tutto: i beni di chi vi abita e tante vite umane. È la fine anche per uno dei nostri siti più prestigiosi presenti nella lista “patrimoni dell’umanità”: un concentrato unico di natura, storia e cultura, straordinario biglietto da visita dell’identità italiana fondata su bellezza e cultura. L’equilibrio delle Cinque Terre celebrato dall’Unesco si è rotto.

Insieme a tutto questo e ai dolori che diventano comuni, forse, rimane travolto anche quel caos che siamo tutti quando non permettiamo alla mano di Dio di riposare sul nostro capo. Questo, almeno, nell’attuale calamità possiamo augurarcelo.

Territorio a rischio di frane e tutela ambientale

L’alluvione ha provocato tale devastazione da ottenere il riconoscimento di calamità nazionale. L’evento quindi è stato di una gravità eccezionale. Ma tutte le regioni italiane sono più o meno a rischio di frane disastrose a causa dell’eccessivo consumo di suolo. Da anni infatti l’Italia è il primo esportatore mondiale di cemento e il secondo consumatore (dopo la Cina!) e ogni anno sul suo territorio sono cementificati circa 500 chilometri quadrati, pari a tre città di Milano. La gestione del territorio in sintesi è poco corretta.

Negli ultimi decenni si sono intensificati infatti abusivismo edilizio e interventi per regolare il flusso delle acque in aree a rischio di esondazione. Gli alvei dei fiumi e dei torrenti sono stati rettificati, ristretti e ingabbiati entro sponde di cemento, con gravi ripercussioni sulla fisionomia dei corsi d’acqua e sugli equilibri ambientali. Le precipitazioni, non riuscendo ad infiltrarsi più nel sottosuolo, ‘ruscellano’ in superficie e travolgono tutto.

L’attuale dissesto territoriale insomma, come molti che lo hanno preceduto, di naturale ha molto poco… Deregolamentazione, speculazione, illegalità sembrano purtroppo entrate a far parte integrante della nostra cultura. Non a caso l’Unesco sta valutando, da qualche anno, la possibilità di escludere molti dei nostri siti più belli dalla lista dei “patrimoni dell’umanità”. Abbiamo però la possibilità di decidere di cambiare rotta. E subito.

Assunzione di una responsabilità collettiva

L’attuale contesto di grave crisi economica e di civiltà, chiede che ognuno di noi:  

-         prima di agire si fermi a riflettere

-         cresca nella consapevolezza della situazione drammatica in cui abbiamo costretto il nostro Pianeta

-         si apra all’assunzione di una responsabilità collettiva.

Aprire dibattiti e lavorare insieme è la via. Non possiamo infatti delegare questa scelta ai politici, che spesso sono addirittura disinformati o in conflitto di interessi. E anche pensare di fare da soli è troppo poco, perché è sempre troppo facile ai singoli scegliere se stessi e aprire di nuovo la porta al caos.

Messa in sicurezza del territorio

La persona credente poi è chiamata a lasciarsi muovere da un’altra motivazione, che riassume tutte le altre: Dio affida la creazione all’uomo non perché eserciti ‘dominio arbitrario’, ma perché la custodisca come un figlio può prendersi cura del patrimonio del Padre (Benedetto XVI). Da tale consapevolezza nasce l’imperativo di attuare una gestione corretta del territorio che metta al primo posto la sicurezza dei cittadini coniugandola alla tutela ambientale. Perciò la necessità di:

-         ripensare a un governo del territorio, che in Italia è praticamente assente

-         mettere a frutto i grandi saperi tecnici e scientifici che possediamo per agire sul fronte della prevenzione

-         intervenire con rimedi che tengano conto anche dei nuovi cambiamenti climatici, dei quali oggi sono le popolazioni più povere a pagare il maggior prezzo.

È assurdo che si spendano miliardi di euro per risanare danni causati da emergenze idrogeologiche prevedibili e previste. E i reiterati annunci di condoni edilizi o sanatorie, per far cassa con gli oneri di urbanizzazione, non sono più tollerabili.

Speranze per una storia nuova

“Nell’agitarsi frenetico della società contemporanea, rallentiamo, appartiamoci e pensiamo, anzi, meditiamo”, invita il cardinal G. Ravasi. La riflessione certamente è condizione per ripartire – anche dopo la calamità di un’alluvione – nella libertà e nella fiducia. Ma anche alla fatica di dar vita a una nuova intelligenza comune unendo le forze in una direzione comune non esiste alternativa reale. Su questa via i nostri figli e nipoti vivranno forse in un mondo con meno energia e meno abbondanza. Ma forse con più efficienza energetica, più giustizia sociale e più felicità.

E’ un compito che tocca tutti, forse particolarmente chi, come i consacrati e le consacrate, hanno doveri e possibilità formative nell’ambito educativo, assistenziale, familiare, pastorale, catechetico, di evangelizzazione, di annuncio. E’ scritto nelle prime pagine della Genesi: “Il Signore Dio, prese l’uomo  e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Che cosa “fare” nel tempo presente?

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ott 31 2011

Pianeta dilaniato e sbigottito

Un interrogativo (quello del titolo) che vuole sintetizzare tante domande vive e che inquietano nel presente smarrimento sociale, politico, culturale di un ‘mondo di cui Dio non si è pentito’. La valutazione del presente esige di essere liberata da ogni ottimismo beota: l’uomo ha smarrito se stesso e questo suo peccato collettivo, imputabile alla società nostra e al consorzio umano del nostro mondo, porta la storia ad essere la storia del dominio e della guerra. (G. Barbaglio).

La bugia al potere

Così:

-     Le ‘democrazie’ sono diventate campi di battaglia in cui la vittoria è lasciata alla forza materiale e non alla forza della ragione.

-     La guerra, sempre figlia della menzogna pubblica (nazionale e internazionale), continua a produrre inganno quando è creduta; e a ingenerare sfiducia quando è scoperta.

-     L’accondiscendenza del popolo, che crede alle menzogne, e in questo modo le perpetua: un fatto certamente non solo dei nostri giorni! (cfr EZ 13,10!)

-     Troppe politiche seguono una ‘doppia verità’ a seconda delle convenienze e delle utilità: il dittatore è ‘accettabile’/amico e alleato da accogliere, e diventa orco da sopprimere di cui si fa vedere il linciaggio praticamente in diretta TV (in Italia per Gheddafi è stato così!), suscitando un orrore che ipnotizza, a cui purtroppo ci si abitua.

-     Davanti a noi una casta preoccupata di perpetuare se stessa e i propri privilegi, mentre progressivamente si allontana dal contatto con i cittadini e dall’intera società.

-     L’andamento delle Borse tiene quotidianamente banco nell’informazione, e nessuno spazio o quasi si dà al dramma di cinquanta milioni di morti per fame registrati ogni anno; tanto meno all’economia di pura sussistenza in cui vivono diversi popoli, se non interi continenti.

-     I mezzi di comunicazione, usati spesso come strumenti di menzogna e di inganno, fanno l’interesse di chi li usa a discapito del bene dei destinatari.

-     Cieli, terra e mari, intanto, un po’ dappertutto risultano sempre più inquinati come discariche.

Chi siamo noi di fronte a tanto?

La verità è che sull’uomo incombono rischi che spesso distolgono da un ‘fare’ positivo senza forse che egli ne diventi nemmeno consapevole. Non abbiamo forse tutti, qualche volta, fatto esperienza di quell’attivismo esagerato che rode dentro? o di una certa routine che blocca la persona a ripetere le stesse azioni? O forse della presunzione che irrigidisce, o della stanchezza che fiacca…

Tutto questo vuol dire allora che l’uomo è anche impotente ad uscire da quei vicoli chiusi in cui va a cacciarsi? E che, alla fin fine, è relitto di un naufragio esistenziale e storico senza limiti, per cui riesce, tutt’al più, a sognare e progettare vie solo ideali di ‘uscita’?

Ma per la soluzione vera del problema della pace sulla terra, a ogni persona serve una fede grande  nelle risorse operative presenti comunque nella natura dell’uomo!

E noi?…

È indispensabile lasciare che tutto questo arrivi al cuore di ogni uomo e lo inquieti, se davvero vogliamo che nelle persone maturi la domanda dei gerosolimitani agli apostoli:”Che cosa dobbiamo fare fratelli?” (Atti 2,37). In questa direzione, già questo fermarsi a riflettere insieme è un ‘fare’.

La forza infatti per cambiare le cose e la storia scaturisce dalla propria verità di uomo, è riconoscibile nella felicità della persona e ‘parla’ nella sua riuscita. È quindi, prima di tutto, questione del proprio vero essere, del proprio essere autentico. Un modo di agire gratuito, disinteressato, umile, pacifico, mite è già messaggio che modifica la realtà.

Sfida permanente

Si riuscirà allora a recuperare nel mondo politico e nel vivere quotidiano il senso di un impegno che sia davvero servizio e non dominio? A realizzare una politica non riducibile a mera gestione del potere, ma finalizzata a grandi traguardi?

Il vero problema è trovare in sé, tutti, la forza di tornare al confronto delle idee e dei progetti concreti. Arrivare, sempre più in tanti, a un confronto che sia serrato, forte, polemico anche, se necessario. Ma serio e costruttivo.

Solo la comune fede in una umanità capace di fare questo, ci metterà in grado di rovesciare il segno negativo della politica e della nostra storia.

Che cosa dovrò gridare? (Is 40, 1-11)

Abbiamo visto in questi anni cadere i regimi del Nord Africa e sognato di essere di fronte ad un’autentica primavera politica. Ma se le ribellioni produrranno democrazia e diritti umani, o se ad esse seguiranno scelte autoritarie, repressione, ostilità per le minoranze, una nuova arroganza dei vincitori… dipenderà anche dal nostro Occidente democratico. Forte della sua antica civiltà, vorrà rivedere in modo stabile il suo atteggiamento verso le dittature e i regimi autoritari, di qualsiasi colore e natura siano? Saprà educare se stesso e tutti a crescere nell’esperienza della democrazia vera, che è nello stesso tempo libertà e responsabilità?

Il compito specifico dei cristiani e dei religiosi nella storia: essere profeti …

I cristiani della Chiesa primitiva, come anche -nella tradizione- il popolo dei profeti, non si sono mai ridotti a un atteggiamento di passiva rassegnazione, arrendendosi quasi per forza maggiore. E non hanno mai vissuto come esperienze di disperazione le smentite storiche delle loro attese. Hanno voluto e saputo invece rilanciare la loro speranza storica, legata a questa terra e al suo destino.

…e camminare insieme nella verità

Ci è necessario:

-      Lasciare che la realtà di questo tempo e le sue domande ci arrivino al cuore.

-      Verificare il cammino che stiamo facendo insieme a tutti – e farlo in     comune – nella verità del Vangelo.

-       Recuperare il senso di una profonda comunione spirituale.

-       Creare così una larga comunità di spirito e di cuore e tenerla viva attorno alla Parola.

Sarà questa comunità a rivelare l’incisività del Regno realizzato in una rete di rapporti autentici.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

“Il dialogo è finito?”

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ott 20 2011

Un evento globale per promuovere dialogo e democrazia

Qualcuno afferma che siamo ancora all’età della pietra per ciò che riguarda il dialogo, sia nel privato che nel pubblico. Ma la manifestazione internazionale, che sabato 15 ottobre ha riempito le piazze di tutto il mondo coinvolgendo 900 città e oltre 80 Paesi, ci regala un messaggio di speranza sulla possibilità:

- che le vere ragioni della crisi trovino finalmente spazio adeguato nel dibattito pubblico;

- che queste ragioni muovano tutti ad una più allargata democrazia partecipativa;

- che la partecipazione di tanti metta finalmente il cittadino al centro e restituisca così dignità e valore all’azione politica.

Le ragioni degli ‘indignati’

A scendere in piazza è stato un popolo pacifico, ‘indignato’ con chi nel mondo muove le leve del potere politico ed economico facendo scelte che hanno creato dappertutto precarietà giovanile e povertà. I manifestanti -ragazzi maturi, concreti e disincantati- hanno condiviso slogan e tattiche su Facebook e Twitter. Poi, insieme, sulle strade del mondo hanno lanciato critiche e slogan contro l’alta finanza, la collusione fra  banche e politici, la corruzione, i tagli del welfare… Una piazza consapevole, insomma, che, mentre esprime il suo disagio e chiede un’Europa solidale, vuole allargare gli spazi del dialogo e della democrazia. Una piazza che, suo malgrado, si è trovata – a Roma – a fare da copertura a gruppi organizzati di violenti, professionisti della distruzione.

In una società libera e democratica però gli ‘indignati’ si ascoltano. I delinquenti invece si mettono in galera. Un dialogo vero richiede che nessuno si faccia scudo della retorica e che si cominci finalmente ad agire in modo diverso, smettendo di alimentare il vuoto con cattiva politica ed esempio peggiore.

La Giornata europea del dialogo interculturale

Altra ragione di speranza. Da Roma a Parigi, dalla Germania alla Spagna, in tutta Europa il 29 settembre si è aperta la quarta edizione del “Dialogo Interculturale” – una manifestazione promossa da Intercultura e dalle altre associazioni riunite nell’Efil. Obiettivo: favorire l’incontro e il dialogo tra persone di tradizioni culturali diverse e aiutarle a comprendersi e a collaborare in modo costruttivo.

L’evento ha coinvolto tutte le regioni d’Italia e ha interessato in contemporanea cinquecento città europee. Mostre fotografiche, laboratori interculturali, conferenze, cineforum, dibattiti in scuole… Tutto allo scopo di stimolare la costruzione di un mondo in cui il dialogo tra persone di culture diverse non sia un lusso per pochi, ma un elemento fondamentale della vita quotidiana.

Confronto fra religioni e culture, o scontro di civiltà?

Mentre l’Europa cambia ‘pelle’ e il cristianesimo sta semplicemente trasformandosi, in Italia molti media continuano a:

- diffondere visioni catastrofiche della ‘rovina del cristianesimo’ e del trionfo di un ‘islamismo estremo’

- martellare (facendo eco ad altrettanti politici) contro l’edificazione di nuove moschee.

Intanto il prevalere di tale retorica intransigente, insieme all’ossessione della sicurezza (che è figlia della ragione armata!) ha portato, sempre in Italia, alla nascita della Lega, movimento localista e xenofobo che proclama lotta agli immigrati, rei di ‘averci rubato il lavoro, portato le malattie, distrutto la nostra identità’.

Nella realtà quotidiana e storica, i cambiamenti, in verità, sono:

-         una potenziale benedizione e un’occasione di rinnovamento.

-         Oppure il contrario.

Davvero il tempo del dialogo è finito?

Il dialogo della vita

Per scoprirlo è necessario riflettere insieme sul senso autentico del ‘dialogare’ in questo momento di straordinarie trasformazioni, in cui siamo chiamati a vivere in pienezza di responsabilità e di gioia.

Certo oggi del termine ‘dialogo’ si fa un uso ambiguo, fragile, aperto a mille strumentalizzazioni. Vi si ricorre con troppa facilità, come a un talismano e senza una seria elaborazione. E così si rischia di non comunicare più nulla.

Ma allora quali speranze di armonia rimangono in un mondo tormentato come il nostro, dove atteggiamenti di individualismo e di competizione non ci consentono di sentirci parte di una comunità globale?

Riflessione critica urge…

Sì, è proprio necessario discutere (e senza paura!) dell’attuale crisi del dialogo. Lo si fa troppo poco! Ma è necessario farlo con richiami seri e puntuali ai ‘fatti’, se si vuole -con gli anticorpi di una riflessione critica:

- frenare il dilagare dell’arroganza e della violenza

- ragionare sul valore essenziale dell’incontrarsi e del confrontarsi nel vissuto quotidiano

- realizzare una effettiva integrazione di vita.

…per aprirsi a esperienze di fiducia reciproca

In realtà i cristiani d’Europa sono passati dalla fase dell’incontro interreligioso – fase scaturita giustamente dalla spinta conciliare – alla denuncia generalizzata dei suoi rischi, quasi che questi fossero perennemente in agguato. Ma, pur nell’ambiguità che caratterizza ogni fenomeno storico, anche per noi è possibile vivere questo tempo accidentato e caotico di immigrazione come autentico Kairòs e inedita occasione di crescita per la famiglia umana.

Certo costruire pian piano la fiducia di cui abbiamo bisogno per un vero confronto è un processo lento che richiede pazienza e umiltà. Ma solo questo percorso può contribuire a edificare un pianeta (finalmente) dal volto umano, dove le persone, vicendevolmente ben disposte, si sforzano di vivere in uno spirito di buon vicinato, condividendo le rispettive gioie e pene, i problemi e le preoccupazioni umane.

Interagire per dialogare

Perché si dia dialogo, ciascun interlocutore è chiamato a riconoscere da subito, almeno implicitamente, le buone ragioni dell’altro. Così come molto importante è imparare a fare qualcosa insieme. E ricordare che, anche se è vero che il sorriso è la distanza più breve tra due persone, un dialogo fatto principalmente di coccole e in cui si desidera solo essere gentili gli uni con gli altri è di pura facciata, e non aiuta certo a compiere progressi. Solo il dialogo nella verità e nella chiarezza –come afferma il card. Kasper- può sostenere nell’andare avanti.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

N.B. L’argomento è stato analizzato con competenza e sensibilità e approfondito in tutti i suoi aspetti da Brunetto Salvarani, nel suo libro Il dialogo è finito? Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale, EDB 2011

Non domani, già oggi

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ott 08 2011

Essere cristiani oggi nell’Italia che desidera cambiare

Gesù non ha annunciato la scomparsa, quasi per incanto, del male e del peccato e non ha predetto un ordine nuovo che renderebbe superfluo lo sforzo personale. (Winling)

Quanto resta della notte?

Crisi, crisi, crisi… In questo periodo non si sente parlare di altro… Scuote l’intero occidente e si abbatte sul nostro Paese con particolare durezza. Licenziamenti gettano nella disperazione numerose famiglie; sospensioni dal lavoro con periodi di cassa integrazione destinate spesso a sfociare nella disoccupazione; allargamento dell’area del lavoro nero; contributo di solidarietà confermato chissà perché solo nei confronti dei dipendenti pubblici e dei pensionati… Si socializzano, insomma, le perdite e si privatizzano i profitti. Il tutto secondo la logica per la quale il prezzo delle crisi deve essere sempre pagato dalle fasce sociali più deboli. E intanto la fede “nel libero mercato ci ha portati al disastro” (Hans Kung).

Di fronte a tanto, d’istinto verrebbe da rassegnarsi: ‘tanto non si può cambiare da soli il sistema!’ Certamente non serve nemmeno alimentarsi di rabbia. Ma allora, perché questa ‘notte’ abbia finalmente fine, chi e come avrà il coraggio di confutare i dogmi del libero mercato? Di riscoprire e realizzare un’economia più equa e più efficace? Di annunciare, insomma, la ‘buona notizia’ di Gesù ai poveri di oggi?

Che cosa fare?

Per muoversi concretamente verso questo obiettivo, all’Italia serve l’impegno coraggioso di tutti per un veritiero discernimento e per un protagonismo costruttivo e positivo. Uguaglianza, libertà e giustizia meritano tutto quello che ognuno può dare. Serve perciò il coraggio di partecipare, con i propri valori vissuti, per essere diversi e operare in modo diverso, perché è dal fare che si vede la qualità della persona e si comprende il suo essere.

La crisi attuale è in una democrazia malata…

Oggi la democrazia è offesa e umiliata, perché non è stata sentita e partecipata come un dovere da parte di tutti i cittadini. Ma i popoli non si rassegnano più nella condizione in cui erano stati relegati da sempre (pensiamo anche solo al milione e duecentomila firme in Italia per il referendum antiporcellum, o alla nuova consapevolezza di sé acquisita dalle donne!). Da quale cultura nasce la democrazia vera? Come contribuire a vivificarla? E quando finirà questa crisi? Come finirà? Molti ancora non sanno che cosa fare.

Guidati da valori che ‘bucano’ il tempo

Il cristiano è chiamato come tutti ad interpretare rettamente il presente, a farlo secondo tutta la ricchezza del Vangelo. Ha bisogno perciò prima di tutto di riconoscere i motivi che determinano il proprio fare quotidiano nella vita familiare e in quella sociale…

Il suo è forse il fare dell’affanno, della ricerca del proprio tornaconto? Oppure è quello del cuore descritto nel discorso della montagna? Certo è che, quando si allenta la tensione interiore, ciò che conquista lo spazio del cuore è esattamente il contrario del Vangelo. La sfida è grande e permanente. E lungo la via i rischi da affrontare sono diversi, anche se comuni a tutti: c’è l’attivismo esagerato, per esempio; o la tentazione di continuare tranquillamente a vivere i propri giorni, in una routine più o meno di comodo; o di lasciarsi guidare dalla presunzione, oppure dal disgusto, dalla rassegnazione… Ad ogni persona comunque è dato appuntamento nella terra oscura e tentata della vita quotidiana. Se la forza del Vangelo di Dio penetra nella quotidianità di qualcuno, l’apre a sentieri di libertà e di felicità e, passando fra le oscurità dell’esistenza e della storia, l’apre a nuovi orizzonti.

Speranza di che…?

I cristiani in realtà sono debitori di una speranza ricevuta senza merito e sono chiamati a condividerla con tutti. Speranza per essi è una Persona: l’unica a dare ragioni vere di vita, d’impegno, di bene. L’unica da cui viene loro la forza per realizzare il Regno. Il problema è: ci crediamo davvero che Cristo c’entra con il tempo e con la storia? O siamo cristiani solo di facciata e di routine (Benedetto XVI), per cui l’abitudine ci si deposita sulla coscienza come la polvere sui crocifissi nelle aule delle scuole? Per superare l’inquietudine e lo smarrimento – nel tempo “degli smarriti di cuore” -  occorre dunque ritrovare questo “fare del cuore”.

Non è semplice, non è impossibile

Si tratta di vivere l’unità tra verità e amore e di comunicarla agli uomini che camminano nella storia con noi per realizzarla insieme. Ma la proposta può far nascere la stessa attesa negli altri solo a condizione di proporla non come ‘dottrina’ imparata, ma come sintesi personale di fede ricevuta, di esperienza di vita, di relazione con il Signore maturata nella preghiera. Allora togliere dal vivere personale, politico e sociale le resistenze che vengono dal cuore ‘malato’ può ancora apparire un compito impossibile, ma ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.

…e la missione dei religiosi?

Come affrontano, i religiosi, questo momento storico che spinge all’idolatria, ma pone anche di fronte alle proprie responsabilità? La loro missione è -per definizione- a partire da una più intensa vita interiore. La loro scelta di vita è qualcosa di più importante dei singoli ministeri nei quali sono impegnati. Ma essi sono davvero consapevoli dei cambiamenti che stanno avvenendo? Li stanno percependo con la stessa intensità di molti contemporanei, o non li vedono forse soprattutto come una minaccia?

Certamente i religiosi sperimentano le stesse contraddizioni e debolezze di tutti, ma sono in cammino per rispondere alla chiamata di concentrarsi nella missione che è solo di Dio. Sanno che quando la carità è un rischio per la propria persona, quello è proprio il momento della carità; e che l’ordine prioritario da seguire nelle scelte quotidiane è servire prima chi soffre di più.

Riusciranno a comunicare agli uomini di questo tempo -testimoniandolo attraverso la propria vita comune- che l’unità può essere creata solo là dove la partecipazione è di tutti, dove le differenze sono appropriatamente accettate e integrate e dove la dignità personale è sempre rispettata?

Più coscienza e più sensibilità da parte di tutti sono indispensabili per uscire dalla strategia della divisione e dallo smantellamento dei diritti universalmente riconosciuti. C’è bisogno insomma della consapevolezza di tutti o meglio del maggior numero di questi “tutti” per recuperare il terreno perduto e costruire un’Italia migliore.

Se sarà così, allora certamente -attraverso un cammino comune- “qualcosa di nuovo potrà nascere al servizio di Colui che rende nuove tutte le cose”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

PERLAPACE

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set 30 2011

Prologo ‘tutto giovane’ al 27 ottobre

Mentre rimane nel mondo il rumore di fondo insopportabile della guerra, i giovani -“la parte migliore di questa Italia lacerata”, come li ha definiti il sindaco di Perugia alla partenza della marcia Perugia/Assisi del 24 settembre- cercano davvero la pace. E si preparano con la preghiera per essere il 27 ottobre -giornata mondiale di preghiera delle religioni per la pace- accanto al Papa, ai rappresentanti religiosi del mondo e a tutti i cercatori di verità.

Pellegrini della verità e della pace

I giovani pellegrini vogliono una pace non retorica e disincarnata, ma intesa come esercizio quotidiano dell’agire di ciascuno e come impegno principale dell’agenda politica; da coniugare quindi con la verità, la giustizia, la salvaguardia dell’ambiente, la solidarietà…

I loro slogan e cartelli, in una variegata galassia di movimenti, parlano di politica, lavoro, ambiente, diritti, immigrazione… Insieme, essi progettano nuovi percorsi di pace.

E il Papa ha fatto giungere loro “l’apprezzamento per la fattiva sintonia con la sua missione di favorire il dialogo tra le religioni in ordine all’impegno comune per promuovere la pace tra i popoli”.

Il progetto di Dio…

La verità sta da tutte le parti (afferma s. Tommaso) e perciò va cercata da tutte le parti sempre e sempre di nuovo. È la sua ricerca che ci mette in comunione e pone le basi per una pace vera. Il progetto di Dio -ci ricorda quel profeta dei nostri tempi che è il Cardinal Martini- è un progetto comunicativo: ampliare la comunione tra gli uomini. E anche il progetto eterno di Dio è una grande comunione di tutti con tutti.

…nello spirito di Assisi

Su questa linea, Giovanni Paolo II, in apertura della storica Giornata mondiale di preghiera per la pace del 1986, richiamava al mondo la necessità che “…ogni essere umano segua sinceramente la sua retta coscienza nell’intenzione di cercare e di obbedire alla verità”.

Benedetto XVI, nel 25° anniversario di quel primo convegno, sul tema precisa: “Solo se la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità, allora c’è speranza per il futuro”. In questo caso infatti la coscienza si pone, nella concretezza storica, come “chiave di volta per l’elaborazione culturale e per la costruzione del bene comune”.

Il servizio possibile di tutti alla pace

Il momento ‘chiave’ nell’impegno della persona per costruire la pace, concretamente è nel rendersi conto che il proprio desiderio di verità e di correttezza esiste non solo in sé o all’interno del proprio gruppo, ma anche in altri. Allora diventa più spontaneo:

-    impegnarsi ad essere riflesso nel quotidiano di quel desiderio;

-    battersi per ciò che si sente in profondità come ‘giusto’ per l’umanità intera;

-    non arretrare di fronte agli insuccessi;

-    non adeguare la propria etica al tornaconto;

Gioire insomma delle bellezze cercate e trovate quotidianamente nei piccoli gesti e nelle parole che altrimenti scivolerebbero dalla nostra vita, scoloriti dalla normalità…

‘Vedere’ il quotidiano

Nessun desiderio umano è tanto grande come quello di conoscere Dio chiamandolo per nome.  Eppure la cosa più difficile per tutti non è scoprire, nei propri giorni, verità nascoste; è ‘vedere’ davvero il quotidiano che è sotto gli occhi, dove l’esistenza non è statica ma incamminata verso qualcosa che rimane sempre al di là della propria persona. In questa situazione il peggio che  possa capitare a ognuno è proprio sbagliarsi su Dio perché poi si sbaglia sull’uomo, su se stessi, sulla storia, sul mondo.

Vivere e pregare in realtà percorrono la stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di un Tu/tu in cui riconoscersi amati e amabili, capaci perciò dell’incontro vero che fa entrare all’interno del senso delle cose. Queste allora rivelano, al cuore aperto e attento, una coloritura e un gusto diverso. E si realizza nella persona quella vita intimamente radicata nella fede -una fede non esibita, ma profonda e totale- che, spontaneamente, insieme a tutte le tradizioni religiose alza al cielo mani senza contese per un’unica e corale invocazione di pace a Dio per la nostra terra.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

In preparazione all’evento del pellegrinaggio del Papa ad Assisi, la Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato il volume: Assisi 2011. «Pellegrini della verità, pellegrini della pace», curato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Facebook: rivoluzione annunciata

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set 22 2011


Multimedialità e condivisione

È già dalla fine degli anni Novanta che la Chiesa ha avviato una formazione sul territorio degli animatori della comunicazione e della cultura, definiti da Giovanni Paolo II “operai che, con il genio della fede, sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli”.

Lo spazio abitato

Oggi sono migliaia gli operatori dei media cattolici e animatori della comunicazione e della cultura che dal convegno Testimoni Digitali hanno avviato momenti di studio e riflessione sulle nuove modalità di relazionarsi in e con la rete. Aiutano le famiglie a interagire con i media in modo corretto e costruttivo, suggeriscono letture, ascolti e visioni di qualità; offrono valutazioni schiette di quanto il mercato propone. Anche per questo vogliamo soffermarci su una notizia.

“Leggi. Guarda. Ascolta.”

Si è appena conclusa la conferenza annuale di Facebook, meglio nota come f8, che tradizionalmente porta con sé novità di rilievo destinate a ripercuotersi su tutto l’ambiente del web 2.0.

Facebook, il più popolare social network, presenta le sue idee per rivoluzionare il web, annunciando una nuova piattaforma multimediale dedicata a musica, tv e cinema. Il nuovo motto sarà: “ Leggi. Guarda. Ascolta.

Nuovi pulsanti a portata di clik

Saranno infatti introdotti su Facebook i pulsanti “Letto”, “Visto” e “Ascoltato” al fianco del canonico “mi piace”, che fin qui ha scritto la storia del social network. Bottoni per condividere news, video e musica su piattaforme esterne. Non è ancora chiaro quale possa essere il loro uso né quale possa essere la loro relazione con il “mi piace”, ma certamente saranno in grado di frammentarlo.  

Si vuole insomma trasformare il social network da ambiente autoreferenziale, che vive principalmente di ciò che circola al suo interno, in un ibrido di fonti, risorse e opportunità provenienti da tutto il mondo della Rete.

Attraverso questi pulsanti l’utente potrà meglio definire i propri gusti e dichiarare di quali contenuti ha usufruito; e il social network traccerà il percorso delle sue esperienze.

Finalità: socializzare sempre più Internet

Nessuna informazione è per ora disponibile sulle modalità con le quali il servizio verrà distribuito agli utenti, né tanto meno sui prezzi che accompagneranno per esempio la musica tramite le pagine di Facebook. Certamente però i gruppi – che metteranno piede su questo social network i cui iscritti superano già quota 750 milioni e sono in costante crescita – avranno a disposizione un’opportunità unica per ampliare la propria base d’utenza; e contribuiranno così ad allargare la socializzazione del social network. Facebook in realtà ha sempre parlato di socializzare Internet e questa sembra essere decisamente ‘la mossa più importante per riuscirci’.

È possibile educare sui media

E’ possibile educare sui media se prima di tutto ci rendiamo consapevoli, insieme, del mondo in cui viviamo. Con i suoi modelli di pensiero e stili di vita. I suoi riti e i suoi miti.

Anche noi, come USMI, siamo impegnate per formare animatrici e animatori in grado di fare da ‘antenne’ avvertite circa le trasformazioni del contesto socio-culturale in atto. La rete ha realmente bisogno dell’esserci autentico e responsabile di tutti e di ciascuno per superare la banalità nel linguaggio e nei contenuti. È chiaro a tutti infatti che il prossimo va incrociato e attivamente ascoltato oggi negli spazi mutanti dei social network.

Nuovi modelli formativi

Nel vivere sociale e anche nell’ambito della vita religiosa, la rete nasconde opportunità nuove da scoprire e sperimentare perché il sapere in realtà si produce, non si acquisisce. Ed è collettivo, non individuale.    

Sul tema è appena uscito un libro, davvero unico nel suo genere, di Pina Riccieri, Formazione a portata di click. Comunicazione digitale e santificazione della mente, Ed. Paoline, dove l’Autrice ripensa la formazione in rapporto al contesto in cui viviamo e avvia a scoprire, attraverso la comunicazione, le nuove frontiere della comunicazione; sollecita tutti – in primis formatori ed educatori – a decidere come crescere in umanità, libertà e responsabilità attraverso la rete. Nello stesso tempo offre alcune proposte e percorsi di formazione capaci di fornire qualità alla formazione stessa. 

Web e vita consacrata

La vita consacrata attraversa oggi, soprattutto in Italia, una fase  di travaglio e di cambiamento. E se è difficile sapere quali sviluppi avrà nei prossimi anni, è certo però – ci ricorda Pina Riccieri a conclusione del suo libro – che  Dio continuerà a chiamare e sempre vi sarà qualcuno che ascolterà la sua voce e si porrà alla sua sequela con ‘amore indiviso’ e con la totalità della vita. Allora nella vita consacrata, secondo le parole profetiche di G. Alberione: “diminuiranno le energie fisiche, ma si supplirà ad esse con l’accresciuta sapienza e abilità”.

Una sfida che entusiasma ed è da raccogliere, soprattutto da chi è chiamato a formare le nuove generazioni: maturare nuove competenze per migliorare l’interazione e la condivisione; santificare la mente – come si esprime Pina Riccieri – attraverso i nuovi linguaggi del Web.2;  aprirsi, insomma, a un nuovo modo di pensare la formazione da integrare nelle strategie tradizionali.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Giovani religiose nell’agenda del Papa

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set 12 2011

Per la prima volta alla GMG di Madrid

1600 giovani suore, di cui 400 claustrali. In attesa del Papa, al monastero di San Lorenzo dell’Escorial, cantano, battono le mani, qualcuna salta. Un entusiasmo da cui trapela la fame di incontro e di mutuo riconoscimento che anche le giovani suore hanno in comune soprattutto con i loro coetanei. Lo stesso bisogno di relazioni che i ragazzi cercano di soddisfare suonando musica, organizzando feste, passando tempo sui social network, ma senza trovare realmente -nelle velocissime e personalizzate comunicazioni online- quello che in profondità cercano.

All’Escorial, la sintonia generata dal piccolo grande gesto del Papa è palpabile. “Questo incontro ci conferma nella nostra donazione e ci sprona a una completa consacrazione di noi stesse”, afferma una giovane religiosa.

L’incontro con le religiose…

Il Papa rivolge a tutte un memorabile discorso che si può leggere integralmente cliccando su: https://www.zenit.org/article-27629?l=italian

…nel pensiero e nel cuore del Papa

Riandando poi ‘con il pensiero e con il cuore’ a quell’incontro -nell’udienza generale tenuta a Castel Gandolfo il 24 agosto- lo stesso Benedetto XVI lo racconta e riassume:

“Alle giovani religiose ho ricordato la bellezza della loro vocazione vissuta con fedeltà, l’importanza del loro servizio apostolico e della loro testimonianza profetica”. E aggiunge:

“Rimane in me l’impressione del loro entusiasmo, di una fede giovane… piene di coraggio per il futuro, di volontà di servire così l’umanità”.

Richiamo a una vita di fedeltà

“La vostra vita di fedeltà alla chiamata ricevuta – aveva detto loro già all’Escorial – è anch’essa un modo prezioso di custodire la Parola del Signore, che risuona nelle forme di spiritualità a voi proprie”.

Un richiamo forte e ripetuto -il suo- a quella fedeltà perseverante che oggi appare come un’eccezione nelle relazioni quotidiane, quasi il ripiego di gente frustrata. Invece è la forza di chi sta osando l’impresa, poiché in essa si annida l’energia divina che dà riuscita e pienezza definitiva all’esistenza. Fedeltà è lo sguardo lungo della fede che scruta il futuro e insegna a ‘vedere’ con lucidità il presente per assumerlo responsabilmente.

Questo sguardo lungo di fede è:

- prerogativa del credente,

- ‘competenza’ richiesta al ‘testimone’,

- capacità che chi sta ancora crescendo ha bisogno di acquisire.

Il Compito” consegnato dal Papa: la ‘radicalità’…

In un contesto culturale come quello attuale, da cui emergono “amnesia” di Dio e tanta mediocrità, la radicalità della vita religiosa possiede “una speciale rilevanza” che deve essere testimoniata “con tutta la forza trasformante nelle vostre vite”: è il “compito” consegnato da Benedetto XVI alle giovani religiose.

…che mette in comunione

Il Pontefice ha anche raccomandato alle giovani suore di impegnarsi per “la comunione con gli altri membri della Chiesa” e all’interno della propria Congregazione religiosa, “custodendone con gratitudine il genuino patrimonio spirituale e apprezzando anche gli altri carismi”.

L’intenzione divina è l’amore

L’unica ragione di questo impegno è l’amore, che è -esso stesso- senza spiegazione, perché l’amore è mistero. Ma chi s’apre al Mistero con tutta la propria vita scopre l’Amore come la fonte del suo esserci, quello che fonda la stima di sé e che nessun fallimento né alcun peccato potranno mai incrinare.

Quel Mistero chiama

La radicalità evangelica, necessaria e urgente -ricorda il Papa- va vissuta:

-         nell’incontro personale con Cristo, che solo nutre la consacrazione;

-         nella comunione filiale con la Chiesa;

-         nella comunione con la propria famiglia religiosa;

-         nella missione stessa che Dio vuole affidare ad ogni sua creatura nel mondo.

Rimane ad ognuno il debito dell’amore vicendevole

Dio ci ha creati perché vuole amarci e vuole che noi amiamo con lui; vuole che amiamo Lui e che amiamo gli altri con Lui. Con la Sua grazia è sempre possibile amare, anche nelle circostanze più difficili. «Care sorelle – conclude il Papa il suo discorso alle giovani suore- questa è la testimonianza della santità alla quale Dio vi chiama, seguendo da vicino e senza alcuna condizione Gesù il Cristo nella consacrazione, nella comunione e nella missione. La Chiesa ha bisogno della vostra fedeltà giovane, radicata ed edificata in Cristo. Grazie per il vostro «sì» generoso, totale e perpetuo alla chiamata dell’Amato. Chiedo che la Vergine Maria sostenga ed accompagni la vostra giovinezza consacrata, con il vivo desiderio che Ella interpelli, incoraggi ed illumini tutti i giovani».

La GMG (anche quella delle giovani religiose!) perciò non è finita. Comincia di nuovo ‘oggi’.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it