Ravviva e infiamma di vita

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gen 30 2015

Cosa può dire la suora a una giovane e a un giovane. Quali sono i valori della vita religiosa.
ordovirginumNon so chi tu sia che leggerai quanto scritto se un giovane o una giovane capitati su questo sito perché vorresti capirci di più della vita religiosa. Non so se tu sia una postulante o una novizia, che vuole conoscere più da vicino chi sono le persone con cui vive o se sei una suora come me.

Chiunque tu sia ciao. Dirò a tutti le stesse cose perché altre non ne conosco.
Vorrei parlarti di San Paolo, non solo perché sono una Suora Apostolina, che fa parte della Famiglia Paolina,  che deve al grande Santo il suo nome e la sua fondazione, insomma non per tirare i remi in barca, ma perché lui dice a Timoteo una frase che lascia senza fiato, secondo me. Poi perché le sue parole sono “più ispirate” delle mie. Non è modestia!

“Ravviva il dono di Dio che è in te” dice Paolo a Timoteo.
Se sei un giovane o una giovane incomincia col chiederti quale è questo dono di Dio in te. Se sei una suora, anche! Magari ne scopri uno nuovo, oppure lo stesso che ha cambiato nome.
Per scoprirlo segui le tue domande, non ingannano mai. Dio le preferisce alle risposte. Le usa come delle piccole luci lasciate sulla strada seguendo le quali arrivi sempre a Lui. Non so perché, forse perché così ci fa sentire partecipi delle nostre scoperte. Forse perché gli piace che non diamo niente per scontato, che la realtà ci metta in discussione. Le domande sono il “sale della nostra terra”!
Anche se non hai finito di pensare a quale sia il tuo dono, dedica due minuti a questo verbo: Ravviva. In greco, la lingua in cui Paolo ha scritto, il verbo ravvivare è un verbo composto da altri due verbi: “vivere” e “infiammare”. Non puoi dire: “ravviva” se non usi i due verbi insieme.
Non ho la pretesa e le competenze per spiegarti bene il loro significato, perché anche io lo sto cercando, ma intanto ti dico quello che dice a me.
È come se Paolo volesse dire a Timoteo e a noi: “ravviva la fiamma” oppure “infiamma di vita” il dono di Dio che è in te. Scegli tu, magari lo sai meglio di me.
L’importante è che questo fuoco che ti arde dentro, e se sei giovane sai bene di cosa parlo, tu non lo spenga.
A volte le fiamme sono alte, sembra che tu non riesca a domarle: potresti incendiare un bosco con le tue fiamme. Lo so. Non le spegnere lo stesso. Custodiscile, come si fa con un falò a cielo aperto in cui devi stare davvero attento, altrimenti sono guai.
Facci passare l’aria dentro questo fuoco: fallo “respirare” sennò soffoca, ed è peggio.
Il respiro per me è far entrare Dio dove mi fa più male. Se Lui entra lì dove non voglio, allora ricomincio a respirare. Tu trova il tuo respiro, non siamo fatti per l’apnea.
Mettici le legna in questo fuoco, sennò di che vive?
Alle legna il nome dallo tu, io ti dico di portare nella tua vita la gente: gli amici veri, i tuoi cari, gli sconosciuti e, se sei una suora, le tue sorelle… ma perché il fuoco continui a vivere in te.
Ama la Chiesa, così fragile ma così bella, ti aiuterà a pensarti un po’ più in grande.
Il dono che Dio fa alla vita dell’uomo è Lui stesso.
Non ce ne sono altri di più belli. In Gesù Dio ci ha dato tutto, se non ti dico questo, non vale niente di quello che ti ho detto prima.
Ravviva la presenza di Dio nella tua vita, il fuoco del suo Spirito.

img_1963_2Se sei all’inizio del tuo cammino appassionati, sicuramente soffrirai di più, ma se non ti va di coinvolgerti lascia stare, il Regno di Dio ha bisogno di braccia pronte al lavoro.
Se sei a un pezzo di strada ti dico quello che dico a me, fidati, in fondo Dio si è fidato di te. Puoi fare lo sforzo di farlo anche tu nei suoi confronti.
Se sei una suora “con il dono degli anni”, come si dice a casa mia, non ti dico niente, aspetto che tu dica qualcosa a me.

Della vita consacrata mi appassiona l’appartenere solo a Dio e la libertà del cuore che permette di donare al propria vita a tutti.
Della vita con Dio anche, ma ringrazio il Cielo di non sapere cosa significhi vivere senza Dio. Questo è il dono che Lui ha fatto a me. Ci è voluto stare sempre.
Grazie del tuo tempo. Non so se ti ho detto cose utili però almeno ti ho fatto rileggere San Paolo, così sono sicura che non sarà stato tempo perso.

 Sr. M.Francesca Frasca, Suore Apostoline

Se la coscienza non fa ‘chiacchiere’

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gen 19 2015

splendoreLa voce della coscienza, in un cuore che ascolta davvero, ridesta la vita da  tutte le sue  stanchezze; fa varcare notti e solitudini e muove a vivere d’incontri. Una Luce accompagna chi vive gomito a gomito con le miserie della gente senza smettere di stare gomito a gomito con Dio. E si rinnova  a ogni passo.

Perduti  e ritrovati …
In un mondo divenuto anonimo dove ognuno sembra essere prossimo solo a se stesso, molti cercano qualcuno che avverta il dolore altrui e ne rimanga colpito. E se nella società attuale non sembrano esserci più princípi, ideali e valori condivisi, è pur sempre possibile riconoscere il proprio volto nell’altro; imparare, attraverso le sue vicende, a scoprire la propria difficoltà a crescere e il ‘talento‘ ricevuto dalla vita per poterlo gestire. Quando poi la vita, a volte, diventa un trampolino, occorre qualcuno che, dietro, dica: Avanti, è ora di buttarsi! Molti possiedono la capacità di incoraggiare; e altrettanti – forse di più – hanno la necessità di essere incoraggiati per poter scegliere in libertà, senza paura o eccessiva timidezza… I giovani soprattutto, ma non è questione d’età, perché l’insicurezza è una condizione umana. Arriva per l’età (perché troppa o troppo poca), per predisposizione, per fatti accaduti o… per caso! Ma arriva prima o poi. È sorprendente constatare quanto bisogno ci sia in giro e in ogni ambiente di trovare un incoraggiamento, qualcuno che sui sentieri della vita porti qualche luce e dissipi un po’ di nebbia con la sola presenza del suo passaggio. L’oggi è ancora nelle nostre mani e quello che non è stato può essere se si dà ascolto e voce alla coscienza! È questa infatti che rende capaci di distinguere il bene vero da ciò che semplicemente piace o fa comodo e non porta certo alla pienezza. Quando la coscienza si risveglia, allora si comprende che a fin di bene esiste solo il bene. E il miracolo esplode, i momenti difficili diventano terreno fertile per una nuova primavera e lo stupore bussa ancora alla porta della propria vita e della storia.

…se nutriti dal quotidiano!
 Il problema vero è scoprire la saggezza dell’istante presente, il messaggio e il dono del  momento… In sintesi: la presenza di Dio nelle piccole cose. Quanti però, anche fra credenti e imagesconsacrati, in ogni momento si ritrovano mille cose ‘urgenti’ da fare, stimoli immediati, impegni indifferibili, fosse anche solo per… ‘portarsi avanti’? Forse si sogna di avere lunghi momenti di preghiera, ma… c’è sempre tanto da fare! Oppure succede che si ha molto tempo a disposizione – in fondo ci si annoia – e perdutamente si cerca in un’attività ‘qualsiasi’ un senso alla propria vita… O forse si cerca la presenza di Dio nel segreto della preghiera, ma ancora si ha bisogno di fare un grande sforzo per sentire il grido dei fratelli. Il pericolo in tutti i casi è sempre quello di vivere sì alla periferia, ma del proprio essere, là dove sono solo superficialità ed egoismo.

Finché la persona non scopre le motivazioni profonde che muovono e determinano le proprie emozioni e scelte, rimane un essere debole; le sue energie di speranza deperiscono lasciando il posto a desideri di comodità e di piacere o a una stanchezza depressa. In tale situazione per  potersi muovere e avanzare verso l’unità di sé occorre procurarsi il nutrimento giusto. Si tratta dei cibi dell’intelligenza, del cuore e dello spirito, i soli che, insieme, scuotono dal perdersi nella ricerca di agi e piccole sicurezze e avviano alla Verità. Sono cibi quotidiani, ordinari, a volte senza molto sapore… È la fedeltà responsabile alle piccole cose; sono gli incontri, gli sguardi, i sorrisi che dicono a chi vive accanto ti voglio bene e gli riscaldano il cuore.

La verità di sé e la misura che non passa
1017459_10152920982755262_666860595_nCon il poco di cui ogni creatura dispone, Dio può fare molto se essa lo pone nelle Sue mani. In realtà l’equilibrio personale e l’armonia sognata fra interiorità ed esteriorità non vengono che dopo anni e anni di lotta. Per il cammino, Gesù raccomanda ai suoi di guardarsi dal veleno dell’ipocrisia equipaggiandosi interiormente per non cedere; e teneramente si rivolge loro: “dico a voi, amici miei” (Lc 12,1). Ad ognuno chiede di interrogarsi con onestà sulle proprie convinzioni profonde, quelle che generano scelte e atteggiamenti concreti. Chiede di accettare la sfida di una ragione pensosa e aperta al Mistero, per non perdersi a pensare e organizzare la propria vita come fosse “a lode della propria gloria” (cfr Lc 12, 54-57). Un credente, infatti, che non voglia essere il povero ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, rischia di fare della sua fede una rassicurazione comoda (B. Forte). In ogni caso per la persona sarà come aver perso l’autobus proprio nel momento in cui aveva più fretta. Tornare alla verità di se stessi, invece, significa rinunciare a farsi misura di tutto. Perché Dio solo è la misura che non passa, la ragione ultima per vivere, amare e morire. E nessuno può arrogarsi il giudizio definitivo sulle persone e sulla storia, che spetta soltanto a Lui. Certo ognuno può esser preso dalla miopia del contentarsi di tutto ciò che è meno di Lui. In ogni caso Dio non forza nessuno a uscire dal proprio egoismo, lascia liberi di perdersi nella propria solitudine e nella difesa a oltranza di sé. Intanto però continua a cercare chi si perde, con un amore incredibilmente fedele… Lui da sempre scommette sui piccoli.

Nella fedeltà a Dio la forza della debolezza
Non è il numero o il potere ciò che rende preziosa e necessaria la vita del cristiano là dove egli vive. Così come la ricchezza della vita consacrata non sta in se stessa, nei suoi numeri o logo-consacratinell’età, ma solo nel suo Signore. E quando una persona si lascia davvero sedurre da Dio (cfr Ger 20,7) e si consacra a Lui accogliendo la realtà precaria della comunità in cui vive e la propria, allora glielo si legge sul volto che è stata chiamata e che lo è tutti i giorni. Si vede da segnali inequivocabili e concreti: qualcuno la chiama e lei presta tutta la sua attenzione; le è confidata una pena e le sfugge una lacrima; si pone in preghiera e un brivido le corre dentro. La insultano ed è capace di sorridere, le sorride un bambino e si scioglie…
Proprio la debolezza delle attuali istituzioni dei consacrati (chiusura di molte case, mancanza di forze vive per mantenere e puntellare le strutture…) può donare oggi quello sguardo lungo che, puntando verso l’Orizzonte, fa scoprire di essere per il Regno.

                         Luciagnese Cedrone

                        usmionline@usminazionale.it

Tracce di passaggio

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gen 07 2015

Leggere il reale – dentro e fuori di sé – oltre le apparenze e le banali evidenze. E trovare, al di là delle parole che non dicono nulla, le poche parole e le molte spagna_224rd.T0attenzioni che salgono dal fondo di sé, necessarie ad accogliere e ridonare il Mistero della Vita. 

Servire centrandosi sull’essenziale
Credenti capaci del miracolo di servire, di prendersi cura, di far sorgere il tempo della  compassione? … a volte può bastare poco per essere capaci di questo, ‘anche un piccolo gesto’ dice papa Francesco … O forse nel nostro tempo si è rassegnati ad essere semplici testimoni che non convincono nessuno? Certo è che non si può credere in Dio senza credere nell’uomo (in ogni uomo!) e probabilmente non si può nemmeno credere nell’uomo senza credere in Dio. Il ‘prodigio’ perciò chiesto oggi a tutti i cristiani (…e in primis ai religiosi), è quello di misurare la realtà in cui si è immersi lasciandosi orientare e muovere dalla fede; seguire i passi di Cristo e con Lui porsi al servizio della realtà concreta; scoprire che servire alla maniera del Maestro non ha aggettivi e non ha diritto al grazie di nessuno… Altro che amari rimbrotti contro i tempi che viviamo che, stranamente, sarebbero sempre peggiori di quelli andati! Servire nella fede chiede solo umiltà, perseveranza, soprattutto chiede di imparare ad accettare di sbagliare e, quando capita di non saperlo evitare, semplicemente riconoscerlo. Un grande e quotidiano cammino quindi per essere capaci di dire il Vangelo o almeno di non oscurarlo troppo. Da un tale ‘servire’, la fede esce limpida e chiara e contagia tutti di speranza. Si realizza così il solo prodigio capace di un radicale cambiamento della mente e del cuore che – come già riconosceva Panikkar – è vera alternativa alla catastrofe.

Autorevoli nell’autenticità…
Il problema è che non si possono vedere gli altri se non si vede il proprio cuore e se ne perde anzi il contatto… mentre l’essere onesti con se stessi nel riconoscere le proprie tenebre non viene per niente automatico, ma richiede una consapevolezza crescente nel cammino interiore! Consapevolezza necessaria e oggi purtroppo tanto rara! La sola però che permette di pensare con chiarezza e provare sentimenti autentici. Gesù ha parlato di un regno di Dio che l’uomo porta dentro il suo cuore. Perché è lì (… nel cuore di ogni uomo!!) che si nasconde la presenza di Dio, la sola che può dare luce e gioia alla vita. Muoversi allora come Etty Hillesum che, “inizialmente lontana da Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa”(Ben. XVI). E imparare a riconoscere in sé e a nominare le tenebre che non permettono di accogliere davvero se stessi e gli altri. Non c’è onestà possibile senza la capacità di guardare le cose in tutta verità anche quando la verità rischia di schiacciare con il peso delle sue esigenze. Solo questo impegno consente di vivere gesti autentici e di testimoniare in modo visibile la fraternità che unisce i cristiani consacrati gli uni agli altri nella vita comune. E li fa dono per tutti, attraverso una onestà che esce da sé e via via si fa sapienza nei confronti della vita e della storia.

mano a mano con dioCerto la comunità adulta non è “un abito bell’e fatto”, né nasce spontaneamente. Centrale nella sua costruzione è il ruolo di chi è rivestito d’autorità, la sua chiamata a custodire la propria libertà interiore senza irrigidirsi nelle dinamiche del ruolo; il suo impegno ad accompagnare ogni persona in un atteggiamento fraterno più che con quello di un esperto che ‘sa tutto e sa fare tutto’; la sua attenzione al lavoro che le religiose svolgono, ma anche a tutto ciò che riguarda la loro persona a livello umano, relazionale, spirituale…; la sua capacità, insomma, di creare spazi in cui ognuno venga realmente considerato come valore in se stesso e possa così partecipare secondo i propri ‘talenti’ all’organizzazione della vita comune… Come dice bene E. Bianchi: “esercita la vera autorità chi fa crescere l’altro, lo aumenta, gli fa spazio e lo aiuta a camminare nella libertà e nell’amore”.

… e testimoni a misura di Vangelo
Nella vita religiosa – si sa – l’esercizio dell’autorità è sempre stato prospettato come servizio. Nella realtà però non è facile riuscire ad evitare il contagio di modelli culturali di tutt’altro segno. Così per esempio la ‘cultura dello scarto’, che nel nostro occidente si respira nell’aria ed entra un po’ dappertutto, in qualche modo può trovare spazio anche nei conventi. Spesso essa si nutre di ‘paroloni’, con cui qualcuno sembra saper teorizzare il modo giusto per tutto: l’esercizio dell’autorità, l’obbedienza, ciò che è meglio per il bene comune, perfino il diritto o il dovere di parola… mentre la persona in questione, in realtà, non conosce che cosa significa vivere tutto questo nella propria quotidianità. Succede che il semplice pretendere di avere le risposte per tutto e per tutti senza ricercare pazientemente la verità insieme alle sorelle e ai fratelli, riesce forse a mettere a tacere intorno, ma non scava certo nel cuore quelle esigenze che sole possono consentire alle parole di tessere vita vera. Quante persone realizzate, sicure,  – diceva a se stesso Dag Hammarskjold nel suo diario – s’aggirano fra noi nell’armatura splendente del successo e della responsabilità. Come puoi lasciarti irritare da costoro? Lascia che vivano il loro trionfo: per quel che vale. La libertà e l’obbedienza cristiana in realtà sono “il coraggio di discernere sempre cosa fa lo Spirito nel ‘mio’ cuore, dove ‘mi’ porta… Discernere e obbedire, non relativizzare”, ricorda papa Francesco. Si tratta  allora di crescere crocattraverso la tentazione, perché non c’è fede che non sia provata; si tratta di custodire la propria libertà interiore ed essere se stessi, sapendo che la credibilità è legata alla corrispondenza delle parole e dei gesti con la verità della vita; e facendo quotidiana esperienza di una maggiore conoscenza del Signore la sola che permette una sequela audace, totale e radicale…Con Gesù Cristo – che ha messo al  centro le persone, ha usato misericordia e tenerezza, ha condiviso parole e gesti di profonda umanità e di perdono – tanta sofferenza e fatica potranno anche continuare a vivere in modo nascosto in tante comunità… Forse una sofferenza senza gloria visibile e una fatica sconosciuta a volte anche a chi vive nella stessa comunità. Ma in tale debolezza può celarsi una ricchezza straordinaria che solo il Signore sa misurare… Ti ha mosso la coscienza, il cuore, l’amore?…- riflette D. Hammarskjiold - Hai incontrato Dio. Quando c’è umiltà e piccolezza, quando si è davvero il ‘piccolo gregge’, allora si è quello che il Signore ha voluto e vuole.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

 

E tuttavia…

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dic 22 2014



Prendere coscienza
delle proprie complicità nella comunicazione fraterna – luogo il più segnato oggi da difficoltà, tensioni e rosapersino patologie – può cambiare radicalmente la percezione degli avvenimenti e l’essenza stessa di ciò che si vive… Anche la sofferenza allora si rivelerà luogo possibile di rivelazione e di crescita.

 

Impastati di realtà e Mistero
Sentirsi ascoltati e capiti è un’esperienza difficile da dimenticare. Ed è certamente inconsueta in un mondo in cui tutti vorrebbero dire, convincere, far prevalere il proprio punto di vista. Nella comunicazione di massa poi si è prigionieri dell’evento e sulle pagine dei quotidiani i fatti si accendono, accecano e … subito si spengono! Tutta centrata sull’ego, la comunicazione nel nostro tempo favorisce la dimensione frammentata e passiva della società e sfocia in un egocentrismo massificante, che brucia sogni e speranze e genera disagio. In tutto questo è un po’ la conferma dell’intuizione di S. Agostino: “Smetterai di pregare se smetterai di desiderare. E smetterai di desiderare se smetterai di amare”. Affidati economicamente al mercato e socialmente a se stessi (… perciò alla solitudine!), oggi si vive in un Paese che globalmente è senza desideri, senza aspettative e, di conseguenza, anche senza iniziative. E se ne è segnati: tutti, lo si voglia o no. A raccontarlo con sicura competenza ai religiosi – nell’ultimo convegno organizzato per loro a Roma da CISM e USMI – è il presidente del Censis Giuseppe De Rita. In un mondo in cui l’antropologia è cambiata in tale direzione, si rischia di comunicare il nulla, se non si fa seriamente  esperienza della verità che seme della sapienza è misurarsi sulla realtà (K. Rahner).

Cose di ogni giorno
Sono le cose dei giorni feriali, senza addolcimenti e senza idealizzazioni, le sole forme della grazia divina. Per il cristiano sono l’occasione silenziosa di vivere la fede uscendo da sé; di CIMG4250-300x225imparare ad amare unicamente in obbedienza al comandamento nuovo del Vangelo (Gv 13, 34…); l’occasione per disporsi ad ospitare in sé la diversità dell’altro, sapendola soffrire e accettare, consapevoli che tuttavia c’è sempre una possibilità per scoprire qualcosa di vero e di bello sulla vita, anche se non è proprio facile e a volte anzi è altamente duro! Chissà … forse oggi, nella logica del cammino di persone credenti e consacrate, il tuttavia è un modo per ridare speranza alla propria vita; e per suscitarla nelle persone con le quali si è chiamati a vivere! Il tema della relazione si sposta immediatamente su quello della comunicazione. Il perché è nella stessa vita.   

Comunicare ‘altrimenti’ …
La forte accelerazione e l’investimento sul futuro innestati dall’anno della vita consacrata donano nuova luce all’attesa del domani di Dio. In tale attesa il livello raggiunto nella “comunicazione” è elemento determinante per verificare la maturità umana e spirituale dei membri di una comunità. La qualità della vita in realtà passa attraverso la qualità della comunicazione e questa rivela il rapporto personale che si ha con Dio. Nella comunicazione si plasma il volto della vita consacrata visibile agli uomini e la capacità delle persone che la compongono di stare significativamente in mezzo ad essi. In sintesi è l’esperienza dell’uscire da sé che mette in grado di cogliere l’oggi di Dio nel proprio oggi e rende capaci di  comunicare ‘altrimenti’: il punto di partenza per ogni cammino di fede!

Problema serio quindi è il distacco della persona dalla realtà quotidiana e dal dibattito culturale che l’anima, perché è proprio la realtà che raduna e fa opinione. Ed è la comunità che reagisce e parla, dal momento che il singolo, anche dopo aver ‘capito’, facilmente torna al narcisismo/egoismo; questo anche dentro le mura dei conventi. Il richiamo viene da papa Bergoglio, che è tanto realista nel suo agire da fare opinione in ogni suo gesto e parola. Concretamente egli testimonia e addita ai cristiani la strada per la missione e indica alla Chiesa (e in essa alla vita consacrata) una strategia di sopravvivenza e di fedeltà a se stessa.

Che cosa allora si comunica? Come si comunica? Con quale obiettivo?… Certo non lo si fa evangelicamente se non si conosce se stessi in rapporto alla realtà e se non si è impegnati in quell’autotrascendenza, che è chiave di conversione permanente per gli individui e le comunità.

… per farsi presenza fraterna e punto interrogativo
La tentazione di chiudersi fuggendo dalla realtà e dal proprio quotidiano accompagna il cammino di tutti e può incatenare fino a condurre su una via di menzogna. Tuttavia per vincerla 2ff7022a2bla via c’è: vigilare e farlo con molta attenzione e fedeltà! Il nocciolo del problema rimane quello di amare ogni altro che è dato di incontrare, prima ancora di conoscerlo e di ‘leggerlo’ per quello che è; amarlo nelle sue debolezze e anche senza reciprocità, mettendo in conto difficoltà e fatica, al di là di possibili antipatie e fino ad arrivare a chi è nemico. Nella comunicazione si esprime il livello di amore raggiunto e si gioca la vera e quotidiana ascesi cristiana che non è certo concepita individualisticamente, ma sempre finalizzata all’agape, perciò alla radicale accoglienza degli altri e dell’Altro nella propria vita. Quando questo percorso è interiorizzato e vissuto, allora si smette di porsi continuamente in difensiva e di lasciarsi ossessionare dalla ricerca dei propri piccoli interessi. Sarà più facile invece fuggire la tentazione del protagonismo e la tendenza a isolarsi; si potrà trovare il giusto equilibrio fra silenzio e parola, fra solitudine e presenza agli altri. Con la coscienza di non aver potere sull’altro, si riconoscerà la via per rispettare la soglia del  suo mistero e la distanza necessaria per lasciarlo libero di esprimersi. Punto di arrivo sarà l’esperienza di ritrovare un proprio  linguaggio non più lamentoso o irritato, ma semplice e genuino,  che restituisca al volto delle comunità i tratti del volto del Signore, così che ciascuno, a suo modo e secondo quanto gli è dato, ne possa sempre e di nuovo fare viva esperienza. Solo un sogno?… Niente è impossibile a Dio e alla sua grazia… Con Lui si può essere nella notte più buia e proprio in essa vedere le stelle; diventare presenza davanti a Lui e punto interrogativo per chi si incontra sul proprio cammino.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Consumare le … scarpe sui segni di Dio

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dic 11 2014

In ogni deserto umano è possibile generare futuro… Anche là dove tutto sembra fermarsi e morire; o dove il rischio catechesi1supremo è una vita addormentata, incapace di cogliere profezie e lacrime. La Voce di Dio che grida nel deserto non tradisce e può rendere sempre capaci di percepire in sé la carezza e il tepore delle mani di Dio…  

Il problema vero è la fede
Gli antichi dicevano a chi si lamentava di non capire: metti in pratica ciò che hai capito e capirai il resto. La vera conoscenza in realtà viene dalla vita e da una vita vissuta “nello Spirito”. Stare nel mondo senza essere del mondo – come è chiesto al cristiano – è certamente una condizione faticosa di “equilibrio instabile”, che persiste e attraversa ogni fase della vita. E se l’amore unico, definitivo, un po’ folle… del consacrato per Gesù rimane solo sullo sfondo della propria esistenza concreta, ai margini dei rapporti e degli impegni della persona, quasi subordinato alle necessità quotidiane e alle preoccupazioni pur buone, spirituali, o materiali, o di prestigio …; se è vero che a volte si vive quel luogo di verità e di conversione che è  il tempo della preghiera riempiendolo di parole per scappare a fare mille cose… Allora davvero inizia la decadenza del senso di Dio e della vita consacrata. E subentra nella persona quella durezza di cuore (sclerocardia) che, secondo la Scrittura, impedisce al credente di leggere l’oggi di Dio.
“L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù consiste nell’aiutare ognuno a essere un pellegrino di verità”, scriveva Padre P. Dall’Oglio, che della sua vita – con tutti i rischi del caso – ha fatto esattamente questo. Di fronte all’indifferenza del mondo, la prima urgenza per i credenti, soprattutto oggi, è un reale andare avanti – personale e comunitario – sulle tracce di Cristo, verso una Bellezza e una Tenerezza non più in frammenti; un muoversi quotidianamente senza mai sentirsi pienamente arrivati; accogliendo e vivendo il tempo concesso ad ognuno come il breve e unico istante in cui poter diventare ciò che si è chiamati a essere.

topicPuò apparire sconcertante, ma in tale cammino il vero problema, anche per la vita consacrata, è la fede… quella che mette in condizione di ricevere una nuova vista per capire e vivere la vita. Non perciò un semplice chiudere gli occhi; né un rapporto abitudinario e scontato con Cristo; nemmeno una semplice ‘introduzione’ prima di passare ai problemi concreti e magari perdersi in essi! In effetti si diventa cristiani adulti e religiosi non ‘per’ fare qualcosa, ma ‘a causa’ del fascino di Cristo e del Vangelo. In altre parole: per aver trovato in Lui tutto quello che da sempre si era cercato senza saperlo.

‘Piccolo resto’  non temere…
Un proverbio napoletano dice: “Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi”. Questo ‘chi’ è prima di tutto il ‘Dio vivente’, ma è anche l’altro che ogni giorno si è chiamati ad amare. Il che significa non considerare nessuna persona superflua rispetto alla propria ricerca di vita e di senso. Verso il ‘chi’ però si va solo in un esodo da sé senza ritorno, vissuto con la coscienza che la Verità ci supera sempre e non si possiede, perché, appunto: Io sono verità, via e vita, dice Gesù (cfr Gv 14,6). Esodo da sé allora è farsi pellegrini della Verità che è Cristo e farlo con tutta la passione di un’intelligenza che pone domande; ma anche con la forza di un cuore che accetta di compromettersi realmente per gli altri, a partire da quanti si ha la grazia di incontrare ogni giorno sul proprio cammino. Chiunque ci viene incontro è un messaggero della verità da riconoscere e ascoltare; come è da ascoltare la voce del profondo, che attraverso di lei o di lui raggiunge ognuno nell’intimo di se stesso, là dove si è chiamati a scendere e dove si può approdare alla verità di se stessi.

1613857_691273827591102_1377321453_nNel nostro oggi individualista, tale esodo da sé richiede anche di rafforzare la consapevolezza che in un’autentica vita comune l’opera prima e al di sopra di tutte, è proprio amarsi reciprocamente gli uni gli altri. Papa Francesco esorta chi ha accolto la chiamata e si  è messo su tale cammino: non cedete alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare nelle proprie forze. Dio Verità e Amore viene incontro alla persona impegnata a seguirlo e quando la raggiunge la cambia dentro. La vita religiosa allora può anche essere ridotta ad un piccolo ‘resto’, ma se in essa ciascuno affida a Dio la propria notte in un buon bagno di umiltà, allora non si ha da temere. E si conosce invece la gioia che è radicata in una consolante certezza interiore: non esiste tempo apparentemente perduto che l’amore divino non possa fecondare!

 … continua a camminare sulla via della Verità
Vita religiosa è differenza cristiana rispetto al mondo. C. M. Martini ne riassumeva così il compito: “Proprio perché la grazia vincente sia chiara, eloquente, visibile per tutti, alcuni sono chiamati a seguire Gesù più da vicino, a somigliare di più al divino Maestro, sperimentare più profondamente il mistero“. E sottolineava: …Notate i tre comparativi!
Eppure molto spesso, ciò che ostacola la realizzazione di una vera vita religiosa è la scarsa qualità umana. “Il vero problema di tante comunità – rileva E. Bianchi – è che umanamente, umanamente…”. E aggiunge che tali amare constatazioni vengono fatte tutte le volte che si ha a che fare con esistenze vissute senza passione, senza convinzioni profonde, senza sensibilità, senza bellezza, senza libertà interiore. In realtà Dio tiene per mano l’essere di ogni sua creatura e lo pone accanto al suo cuore, senza però mai forzare la sua libertà.

1546187_678327658885719_134164533_nCredere in fondo è decidere di osare l’affidamento al TU sempre misterioso di Dio anche quando Egli ci conduce lungo sentieri aridi perché si creda in modo più saldo nell’amore disinteressato; anche e soprattutto quando con il bilancio della propria vita che non quadra ci si rimette a Lui e con Lui si osa guardare oltre i propri confini. Credere è pregare con il proprio desiderio di essere, di amare e vivere senza attardarsi troppo sulle proprie debolezze e pochezze e così incontrare Dio innamorato che inonda di gioia la sua creatura. In tutto ciò si può dire, in sintesi, che anche oggi il compito della vita consacrata consiste nel dare tutto e darsi totalmente, proprio come si fa quando si muore, come si fa quando si ama.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

In ricerca dell’Unico e Necessario

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dic 03 2014

“Vivere è cercare Dio. Vivere veramente è trovarlo”… Guarire dalla malattia della solitudine, dalla tirannia del fare, dal fascino della quantità e, lungo i sentieri del silenzio, ritrovare il fascino della comunione con Dio e con i fratelli.

Nel tempo della notte

20140321_65495_99-382488-000004h“Se si ha l’essenziale, non ci si fissa sui dettagli. Ma se l’essenziale non c’è, ci si riempie la vita di soprammobili” (M. Danieli). Questo vale per tutti, non esclusi i consacrati, perché se la vita religiosa è vita profetica, è proprio perché essa appartiene al popolo di Dio, respira la stessa ‘aria’ e conosce le stesse tentazioni.

Oggi è proprio la ricerca dell’essenziale ad essere in crisi. In altri termini: la perdita del gusto di cercare il senso per vivere e morire trascina con sé la più radicale crisi di senso. Tanto vale bruciare l’istante e vivere l’immediato – è il sentimento dominante. Ma se ne ricava solo un “tempo di frustrazione, nel quale inesorabilmente tutto ciò che raggiungi, che mordi fuggendo, ti lascia cadere nel nulla, insoddisfatto di te” (G. Vattimo). Urgenza di questi nostri giorni è un assoluto bisogno di sapere perché si vive. E per riuscirvi rimane una sola via: ripristinarne la ‘ricerca’ là dove si fosse smarrita, a partire dal proprio cuore, lasciando che vi entri il Vangelo con tutta la sua forza liberatrice. Si tratta della stessa via tracciata nella storia da tutti quelli che fanno ‘casa’ ed esperienza di vita con Dio. Per esempio don Puglisi, ucciso per il suo costante impegno evangelico e sociale e così vicino ai nostri giorni! Egli trovava l’Unico e Necessario nella ricerca del Regno di Dio attraverso il Vangelo e nient’altro, nulla preferendo all’amore di Cristo. “Essere testimoni – richiamava – è necessario oggi soprattutto per chi conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile…”. Un impegno totalizzante, quindi, che conduce ad una condizione di libertà, da riguadagnarsi ogni giorno. Per ogni credente – anche nel tempo della notte in cui scorre l’anno della vita consacrata – in quelle situazioni limite fatte di sofferenza, di colpa e di morte è la chiamata a riconoscere il significato di tutto ciò che si vive e si sperimenta per rendere testimonianza tangibile del Regno.

Una parola chiave per ‘ripartire’: solitudine

Negli ambienti più diversi del nostro mondo occidentale la tentazione di un attivismo più o meno sfrenato sembra aver contagiato proprio tanti, aprendo la strada a un nuovo idolo: mani(2)l’azione, il gettarsi nell’agire fino a non avere più il necessario distacco dal proprio operare… È scelta inconsapevole per non pensare? O per la necessità di essere necessari, quasi a proteggersi dalla solitudine? O, chissà, per l’illusione di essere significativi per gli altri? La solitudine, comunque, in tutto questo e forse più di ogni altra esperienza, esprime il lungo imparare dalla vita, che – secondo l’espressione di J. Garrido – ci convince della finitezza di ogni cosa; e vi riesce soprattutto quando la morte rivela la relatività di ciò a cui temerariamente ci si vorrebbe aggrappare come a garanzia di sicurezza. Affrontata con realismo credente e con fedeltà a Gesù Maestro, la solitudine si rivela parte importante dell’imparare a “contare i propri giorni” e dona una calma saggezza, quasi un definitivo conforto. Conduce insomma al punto di vedere se stessi come una ‘cosa’ che Dio ha voluto dire rivolto a questo mondo. E su tale strada si conoscerà la gioia di farsi compagni di viaggio per ogni fratello che, da straniero, attraversa la terra della propria vita; la gioia di far sentire a suo agio chiunque si incontri lungo il proprio cammino restituendo ad ognuno la possibilità di dirsi in verità e in totalità. Per riuscirvi però è necessario riscoprire personalmente la Parola, lasciarsene raggiungere, abitare, trasformare … Perché solo questo consente – in un tempo stanco di chiacchiere – di vivere le parole che si pensano e si dicono come piccoli passi per rimettere in ordine le priorità e tagliare ciò che non serve.

Gli idoli nella logica dei ‘primi’ …
9788898037148gGli anni vissuti non sono senza significato per la vita spirituale, anzi!… Perché Dio agisce proprio attraverso l’esperienza che la vita porta o consente ad ognuno. E ognuno, senza saperlo, nel suo cammino lascia entrare in sé degli idoli, i quali finiscono per popolare il suo cuore. Così succede che le sensazioni che li accompagnano o le si rifugge, oppure si è autentici e le si affronta. Ma se non si mette a fuoco alle radici il proprio malessere, facilmente si pensa a trovare le colpe fuori: negli altri, nelle strutture … fino a quando sport preferito diventa la maldicenza, che in modo sottile ed efficace fa sentire sempre innocenti e mai responsabili. Questo vale per tutti. Per i religiosi in particolare è più difficile smascherare i propri idoli perché in loro sono, in genere, più interiori e meno riconoscibili. D’altra parte per loro è più difficile anche restare a mezz’aria o barcamenarsi alla meno peggio. Così la prima tentazione che si sperimenta è rifiutarsi di guardare a se stessi; poi la fuga da se stessi; infine la fuga dalla vita comunitaria; si dice ciò che piace ai superiori e si agisce secondo quello che si immagina sia il loro desiderio… Su tutti gli idoli, comunque, il più pericoloso è fare le cose come se si fosse perfettamente osservanti, fingendo una interiorità che non c’è. Fino a quando le proprie convinzioni diventano più importanti dei fratelli e dell’incontro del proprio oggi con l’oggi di Dio. Ma Dio, che ama ognuno secondo il suo bisogno, urge contro le pareti meschine del cuore dei suoi figli e – presto o tardi, senza preavviso e sempre a modo suo – interviene nella vita di ogni creatura; fa a pezzi i suoi idoli e, se impietosamente ne svela la grettezza del cuore, è per rivelarle di nuovo l’Amore che fa vivere. E la crisi, che è lacerazione e sofferenza, vissuta alla luce e con la grazia di Dio, ridona la libertà che guarisce.

… e quelle crisi che non arrivano mai per caso
samaritanoLe reazioni coerenti certo non si improvvisano nei momenti più bui della crisi, quando tutto sembra perdere significato, persino la preghiera, e il rischio è andare a fondo. Eppure, quando si arriva ad accettare che non ci sia via d’uscita ad una situazione, proprio allora ci si accorge che la via d’uscita c’è. Uno spogliamento più radicale infatti può salvare perché lascia spazio a Dio di rivestire la creatura con la sua grazia e di incontrarla come medico delle sue ferite quale Egli realmente è. La risposta a Dio in realtà si rigenera solo dalle basi e per questo ognuno ha bisogno di confrontarsi con la propria storia e di indagare i luoghi che il cuore cerca di non guardare. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero. Davvero le crisi sono momenti speciali nell’essere discepoli di Gesù.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Svegliate il mondo

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nov 29 2014

Lettera Apostolica del Santo Padre Francesco a tutti i consacrati

in occasione dell’Anno della Vita Consacrata, 28.11.2014

Carissime consacrate e carissimi consacrati!

Scrivo a voi come Successore di Pietro, a cui il Signore Gesù affidò il compito di confermare nella fede i fratelli (cfr Lc 22,32), e scrivo a voi come papa.laicinternetfratello vostro, consacrato a Dio come voi.

Ringraziamo insieme il Padre, che ci ha chiamati a seguire Gesù nell’adesione piena al suo Vangelo e nel servizio della Chiesa, e ha riversato nei nostri cuori lo Spirito Santo che ci dà gioia e ci fa rendere testimonianza al mondo intero del suo amore e della sua misericordia.

Facendomi eco del sentire di molti di voi e della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in occasione del 50° anniversario della Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, che nel cap. VI tratta dei religiosi, come pure del Decreto Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa, ho deciso di indire un Anno della Vita Consacrata. Avrà inizio il 30 novembre corrente, I Domenica di Avvento, e terminerà con la festa della Presentazione di Gesù al tempio il 2 febbraio 2016.

Dopo aver ascoltato la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ho indicato come obiettivi per questo Anno gli stessi che san Giovanni Paolo II aveva proposto alla Chiesa all’inizio del terzo millennio, riprendendo, in certo modo, quanto aveva già indicato nell’Esortazione post-sinodale Vita consecrata: «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi» (n. 110).

I – Gli obiettivi per l’Anno della Vita Consacrata

1. Il primo obiettivo è guardare il passato con gratitudine. Ogni nostro Istituto viene da una ricca storia carismatica. Alle sue origini è presente l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre il Vangelo in una particolare forma di vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a rispondere con creatività alle necessità della Chiesa. L’esperienza degli inizi è poi cresciuta e si è sviluppata, coinvolgendo altri membri in nuovi contesti geografici e culturali, dando vita a modi nuovi di attuare il carisma, a nuove iniziative ed espressioni di carità apostolica. È come il seme che diventa albero espandendo i suoi rami.

In questo Anno sarà opportuno che ogni famiglia carismatica ricordi i suoi inizi e il suo sviluppo storico, per ringraziare Dio che ha offerto alla Chiesa così tanti doni che la rendono bella e attrezzata per ogni opera buona (cfr Lumen gentium, 12).

Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, così come per rinsaldare l’unità della famiglia e il senso di appartenenza dei suoi membri. Non si tratta di fare dell’archeologia o di coltivare inutili nostalgie, quanto piuttosto di ripercorrere il cammino delle generazioni passate per cogliere in esso la scintilla ispiratrice, le idealità, i progetti, i valori che le hanno mosse, a iniziare dai Fondatori, dalle Fondatrici e dalle prime comunità. È un modo anche per prendere coscienza di come è stato vissuto il carisma lungo la storia, quale creatività ha sprigionato, quali difficoltà ha dovuto affrontare e come sono state superate. Si potranno scoprire incoerenze, frutto delle debolezze umane, a volte forse anche l’oblio di alcuni aspetti essenziali del carisma. Tutto è istruttivo e insieme diventa appello alla conversione. Narrare la propria storia è rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni.

Lo ringraziamo in modo particolare per questi ultimi 50 anni seguiti al Concilio Vaticano II, che ha rappresentato una “ventata” di Spirito Santo per tutta la Chiesa. Grazie ad esso la vita consacrata ha attuato un fecondo cammino di rinnovamento che, con le sue luci e le sue ombre, è stato un tempo di grazia, segnato dalla presenza dello Spirito.

Sia quest’Anno della Vita Consacrata un’occasione anche per confessare con umiltà, e insieme con grande confidenza in Dio Amore (cfr 1 Gv 4,8), la propria fragilità e per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore; un’occasione per gridare al mondo con forza e per testimoniare con gioia la santità e la vitalità presenti nella gran parte di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo nella vita consacrata.

2. Quest’Anno ci chiama inoltre a vivere il presente con passione. La grata memoria del passato ci spinge, in ascolto attento di ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa, ad attuare in maniera sempre più profonda gli aspetti costitutivi della nostra vita consacrata.

Dagli inizi del primo monachesimo, fino alle odierne “nuove comunità”, ogni forma di vita consacrata è nata dalla chiamata dello Spirito a seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo (cfr Perfectae caritatis, 2). Per i Fondatori e le Fondatrici la regola in assoluto è stata il Vangelo, ogni altra regola voleva essere soltanto espressione del Vangelo e strumento per viverlo in pienezza. Il loro ideale era Cristo, aderire a lui interamente, fino a poter dire con Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21); i voti avevano senso soltanto per attuare questo loro appassionato amore.

La domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come anche noi ci lasciamo interpellare dal Vangelo; se esso è davvero il “vademecum” per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo (eppure lettura e studio rimangono di estrema importanza), non basta meditarlo (e lo facciamo con gioia ogni giorno). Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole.

Gesù, dobbiamo domandarci ancora, è davvero il primo e l’unico amore, come ci siamo prefissi quando abbiamo professato i nostri voti? Soltanto se è tale, possiamo e dobbiamo amare nella verità e nella misericordia ogni persona che incontriamo sul nostro cammino, perché avremo appreso da Lui che cos’è l’amore e come amare: sapremo amare perché avremo il suo stesso cuore.

I nostri Fondatori e Fondatrici hanno sentito in sé la compassione che prendeva Gesù quando vedeva le folle come pecore sbandate senza pastore. Come Gesù, mosso da questa compassione, ha donato la sua parola, ha sanato gli ammalati, ha dato il pane da mangiare, ha offerto la sua stessa vita, così anche i Fondatori si sono posti al servizio dell’umanità a cui lo Spirito li mandava, nei modi più diversi: l’intercessione, la predicazione del Vangelo, la catechesi, l’istruzione, il servizio ai poveri, agli ammalati… La fantasia della carità non ha conosciuto limiti e ha saputo aprire innumerevoli strade per portare il soffio del Vangelo nelle culture e nei più diversi ambiti sociali.

L’Anno della Vita Consacrata ci interroga sulla fedeltà alla missione che ci è stata affidata. I nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze, rispondono a quanto lo Spirito ha chiesto ai nostri Fondatori, sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter offrire il nostro contributo per rispondervi? «La stessa generosità e abnegazione che spinsero i Fondatori – chiedeva già san Giovanni Paolo II – devono muovere voi, loro figli spirituali, a mantenere vivi i carismi che, con la stessa forza dello Spirito che li ha suscitati, continuano ad arricchirsi e ad adattarsi, senza perdere il loro carattere genuino, per porsi al servizio della Chiesa e portare a pienezza l’instaurazione del suo Regno»1.

Nel fare memoria delle origini viene in luce una ulteriore componente del progetto di vita consacrata. Fondatori e fondatrici erano affascinati dall’unità dei Dodici attorno a Gesù, dalla comunione che contraddistingueva la prima comunità di Gerusalemme. Dando vita alla propria comunità ognuno di loro ha inteso riprodurre quei modelli evangelici, essere con un cuore solo e un’anima sola, godere della presenza del Signore (cfr Perfectae caritatis,15).

Vivere il presente con passione significa diventare “esperti di comunione”, «testimoni e artefici di quel “progetto di comunione” che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio»2. In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni.

Siate dunque donne e uomini di comunione, rendetevi presenti con coraggio là dove vi sono differenze e tensioni, e siate segno credibile della presenza dello Spirito che infonde nei cuori la passione perché tutti siano una sola cosa (cfr Gv 17,21). Vivete lamistica dell’incontro: «la capacità di sentire, di ascolto delle altre persone. La capacità di cercare insieme la strada, il metodo»3, lasciandovi illuminare dalla relazione di amore che passa fra le tre Divine Persone (cfr 1 Gv 4,8) quale modello di ogni rapporto interpersonale.

3. Abbracciare il futuro con speranza vuol essere il terzo obiettivo di questo Anno. Conosciamo le difficoltà cui va incontro la vita consacrata nelle sue varie forme: la diminuzione delle vocazioni e l’invecchiamento, soprattutto nel mondo occidentale, i problemi economici a seguito della grave crisi finanziaria mondiale, le sfide dell’internazionalità e della globalizzazione, le insidie del relativismo, l’emarginazione e l’irrilevanza sociale… Proprio in queste incertezze, che condividiamo con tanti nostri contemporanei, si attua la nostra speranza, frutto della fede nel Signore della storia che continua a ripeterci: «Non aver paura … perché io sono con te» (Ger 1,8).

La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). È questa la speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per continuare a fare con noi grandi cose.

Non cedete alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare nelle proprie forze. Scrutate gli orizzonti della vostra vita e del momento attuale «in vigile veglia». Con Benedetto XVI vi ripeto: «Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti»4. Continuiamo e riprendiamo sempre il nostro cammino con la fiducia nel Signore.

Mi rivolgo soprattutto a voi giovani. Siete il presente perché già vivete attivamente in seno ai vostri Istituti, offrendo un contributo determinante con la freschezza e la generosità della vostra scelta. Nello stesso tempo ne siete il futuro perché presto sarete chiamati a prendere nelle vostre mani la guida dell’animazione, della formazione, del servizio, della missione. Questo Anno vi vedrà protagonisti nel dialogo con la generazione che è davanti a voi. In fraterna comunione potrete arricchirvi della sua esperienza e sapienza, e nello stesso tempo potrete riproporre ad essa l’idealità che ha conosciuto al suo inizio, offrire lo slancio e la freschezza del vostro entusiasmo, così da elaborare insieme modi nuovi di vivere il Vangelo e risposte sempre più adeguate alle esigenze di testimonianza e di annuncio.

Sono contento di sapere che avrete occasioni per radunarvi insieme tra voi giovani di differenti Istituti. Che l’incontro diventi abituale via di comunione, di mutuo sostegno, di unità.

II – Le attese per l’Anno della Vita Consacrata

Che cosa mi attendo in particolare da questo Anno di grazia della vita consacrata?

1. Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: «Dove ci sono i religiosi c’è gioia». Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità; che l’autentica fraternità vissuta nelle nostre comunità alimenta la nostra gioia; che il nostro dono totale nel servizio della Chiesa, delle famiglie, dei giovani, degli anziani, dei poveri ci realizza come persone e dà pienezza alla nostra vita.

Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela”. Anche noi, come tutti gli altri uomini e donne, proviamo difficoltà, notti dello spirito, delusioni, malattie, declino delle forze dovuto alla vecchiaia. Proprio in questo dovremmo trovare la “perfetta letizia”, imparare a riconoscere il volto di Cristo che si è fatto in tutto simile a noi e quindi provare la gioia di saperci simili a Lui che, per amore nostro, non ha ricusato di subire la croce.

In una società che ostenta il culto dell’efficienza, del salutismo, del successo e che marginalizza i poveri ed esclude i “perdenti”, possiamo testimoniare, attraverso la nostra vita, la verità delle parole della Scrittura: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10).

Possiamo ben applicare alla vita consacrata quanto ho scritto nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium, citando un’omelia di Benedetto XVI: «La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (n. 14). Sì, la vita consacrata non cresce se organizziamo delle belle campagne vocazionali, ma se le giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se ci vedono uomini e donne felici! Ugualmente la sua efficacia apostolica non dipende dall’efficienza e dalla potenza dei suoi mezzi. È la vostra vita che deve parlare, una vita dalla quale traspare la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e di seguire Cristo.

Ripeto anche a voi quanto ho detto nella scorsa Veglia di Pentecoste ai Movimenti ecclesiali: «Il valore della Chiesa, fondamentalmente, è vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione» (18 maggio 2013).

2. Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. Come ho detto ai Superiori Generali «la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico». È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia» (29 novembre 2013).

Il profeta riceve da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vive e di interpretare gli avvenimenti: è come una sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora (cfr Is 21,11-12). Conosce Dio e conosce gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle. È capace di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e le ingiustizie, perché è libero, non deve rispondere ad altri padroni se non a Dio, non ha altri interessi che quelli di Dio. Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sa che Dio stesso è dalla loro parte.

Mi attendo dunque non che teniate vive delle “utopie”, ma che sappiate creare “altri luoghi”, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la “città sul monte” che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù.

A volte, come accadde a Elia e a Giona, può venire la tentazione di fuggire, di sottrarsi al compito di profeta, perché troppo esigente, perché si è stanchi, delusi dai risultati. Ma il profeta sa di non essere mai solo. Anche a noi, come a Geremia, Dio assicura: «Non aver paura … perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).

3. I religiosi e le religiose, al pari di tutte le altre persone consacrate, sono stati definiti, come ho appena ricordato, “esperti di comunione”. Mi aspetto pertanto che la “spiritualità della comunione”, indicata da san Giovanni Paolo II, diventi realtà e che voi siate in prima linea nel cogliere «la grande sfida che ci sta davanti» in questo nuovo millennio: «fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione»5. Sono certo che in questo Anno lavorerete con serietà perché l’ideale di fraternità perseguito dai Fondatori e dalle fondatrici cresca ai più diversi livelli, come a cerchi concentrici.

La comunione si esercita innanzitutto all’interno delle rispettive comunità dell’Istituto. Al riguardo vi invito a rileggere i miei frequenti interventi nei quali non mi stanco di ripetere che critiche, pettegolezzi, invidie, gelosie, antagonismi sono atteggiamenti che non hanno diritto di abitare nelle nostre case. Ma, posta questa premessa, il cammino della carità che si apre davanti a noi è pressoché infinito, perché si tratta di perseguire l’accoglienza e l’attenzione reciproche, di praticare la comunione dei beni materiali e spirituali, la correzione fraterna, il rispetto per le persone più deboli… È «la “mistica” di vivere insieme», che fa della nostra vita «un santo pellegrinaggio»6. Dobbiamo interrogarci anche sul rapporto tra le persone di culture diverse, considerando che le nostre comunità diventano sempre più internazionali. Come consentire ad ognuno di esprimersi, di essere accolto con i suoi doni specifici, di diventare pienamente corresponsabile?

Mi aspetto inoltre che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Non potrebbe essere quest’Anno l’occasione per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali? In questo modo potrà essere offerta più efficacemente una reale testimonianza profetica. La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità.

Nello stesso tempo la vita consacrata è chiamata a perseguire una sincera sinergia tra tutte le vocazioni nella Chiesa, a partire dai presbiteri e dai laici, così da «far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini»7.

4. Attendo ancora da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chiesa: uscire da sé stessi per andare nelle periferie esistenziali. «Andate in tutto il mondo» fu l’ultima parola che Gesù rivolse ai suoi e che continua a rivolgere oggi a tutti noi (cfrMc 16,15). C’è un’umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino…

Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’amore amando.

Aspetto da voi gesti concreti di accoglienza dei rifugiati, di vicinanza ai poveri, di creatività nella catechesi, nell’annuncio del Vangelo, nell’iniziazione alla vita di preghiera. Di conseguenza auspico lo snellimento delle strutture, il riutilizzo delle grandi case in favore di opere più rispondenti alle attuali esigenze dell’evangelizzazione e della carità, l’adeguamento delle opere ai nuovi bisogni.

5. Mi aspetto che ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano.

I monasteri e i gruppi di orientamento contemplativo potrebbero incontrarsi tra di loro, oppure collegarsi nei modi più differenti per scambiarsi le esperienze sulla vita di preghiera, su come crescere nella comunione con tutta la Chiesa, su come sostenere i cristiani perseguitati, su come accogliere e accompagnare quanti sono in ricerca di una vita spirituale più intensa o hanno bisogno di un sostegno morale o materiale.

Lo stesso potranno fare gli Istituti caritativi, dediti all’insegnamento, alla promozione della cultura, quelli che si lanciano nell’annuncio del Vangelo o che svolgono particolari ministeri pastorali, gli Istituti secolari nella loro capillare presenza nelle strutture sociali. La fantasia dello Spirito ha generato modi di vita e opere così diversi che non possiamo facilmente catalogarli o inserirli in schemi prefabbricati. Non mi è quindi possibile riferirmi ad ogni singola forma carismatica. Nessuno tuttavia in questo Anno dovrebbe sottrarsi ad una seria verifica sulla sua presenza nella vita della Chiesa e sul suo modo di rispondere alle continue e nuove domande che si levano attorno a noi, al grido dei poveri.

Soltanto in questa attenzione ai bisogni del mondo e nella docilità agli impulsi dello Spirito, quest’Anno della Vita Consacrata si trasformerà in un autentico kairòs, un tempo di Dio ricco di grazie e di trasformazione.

III – Gli orizzonti dell’Anno della Vita Consacrata

1. Con questa mia lettera, oltre che alle persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con esse, condividono ideali, spirito, missione. Alcuni Istituti religiosi hanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più recente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle Società di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più grande, la “famiglia carismatica”, che comprende più Istituti che si riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristiani laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare della stessa realtà carismatica.

Incoraggio anche voi, laici, a vivere quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può rendervi più consapevoli del dono ricevuto. Celebratelo con tutta la “famiglia”, per crescere e rispondere insieme alle chiamate dello Spirito nella società odierna. In alcune occasioni, quando i consacrati di diversi Istituti quest’Anno si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti anche voi come espressione dell’unico dono di Dio, così da conoscere le esperienze delle altre famiglie carismatiche, degli altri gruppi laicali e di arricchirvi e sostenervi reciprocamente.

2. L’Anno della Vita Consacrata non riguarda soltanto le persone consacrate, ma la Chiesa intera. Mi rivolgo così a tutto il popolo cristiano perché prenda sempre più consapevolezza del dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia del cristianesimo. Cosa sarebbe la Chiesa senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico, senza sant’Ignazio di Loyola e santa Teresa d’Avila, senza sant’Angela Merici e san Vincenzo de Paoli? L’elenco si farebbe quasi infinito, fino a san Giovanni Bosco, alla beata Teresa di Calcutta. Il beato Paolo VI affermava: «Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il “sale” della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione» (Evangelica testificatio, 3).

Invito dunque tutte le comunità cristiane a vivere questo Anno anzitutto per ringraziare il Signore e fare memoria grata dei doni ricevuti e che tuttora riceviamo per mezzo della santità dei Fondatori e delle Fondatrici e della fedeltà di tanti consacrati al proprio carisma. Vi invito tutti a stringervi attorno alle persone consacrate, a gioire con loro, a condividere le loro difficoltà, a collaborare con esse, nella misura del possibile, per il perseguimento del loro ministero e della loro opera, che sono poi quelli dell’intera Chiesa. Fate sentire loro l’affetto e il calore di tutto il popolo cristiano.

Benedico il Signore per la felice coincidenza dell’Anno della Vita Consacrata con il Sinodo sulla famiglia. Famiglia e vita consacrata sono vocazioni portatrici di ricchezza e grazia per tutti, spazi di umanizzazione nella costruzione di relazioni vitali, luoghi di evangelizzazione. Ci si può aiutare gli uni gli altri.

3. Con questa mia lettera oso rivolgermi anche alle persone consacrate e ai membri di fraternità e comunità appartenenti a Chiese di tradizione diversa da quella cattolica. Il monachesimo è un patrimonio della Chiesa indivisa, tuttora vivissimo sia nelle Chiese ortodosse che nella Chiesa cattolica. Ad esso, come ad altre successive esperienze del tempo nel quale la Chiesa d’occidente era ancora unita, si ispirano analoghe iniziative sorte nell’ambito delle Comunità ecclesiali della Riforma, le quali hanno poi continuato a generare nel loro seno ulteriori espressioni di comunità fraterne e di servizio.

La Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha programmato delle iniziative per fare incontrare i membri appartenenti a esperienze di vita consacrata e fraterna delle diverse Chiese. Incoraggio caldamente questi incontri perché cresca la mutua conoscenza, la stima, la collaborazione reciproca, in modo che l’ecumenismo della vita consacrata sia di aiuto al più ampio cammino verso l’unità tra tutte le Chiese.

4. Non possiamo poi dimenticare che il fenomeno del monachesimo e di altre espressioni di fraternità religiose è presente in tutte le grandi religioni. Non mancano esperienze, anche consolidate, di dialogo inter-monastico tra la Chiesa cattolica e alcune delle grandi tradizioni religiose. Auspico che l’Anno della Vita Consacrata sia l’occasione per valutare il cammino percorso, per sensibilizzare le persone consacrate in questo campo, per chiederci quali ulteriori passi compiere verso una reciproca conoscenza sempre più profonda e per una collaborazione in tanti ambiti comuni del servizio alla vita umana.

Camminare insieme è sempre un arricchimento e può aprire vie nuove a rapporti tra popoli e culture che in questo periodo appaiono irti di difficoltà.

5. Mi rivolgo infine in modo particolare ai miei fratelli nell’episcopato. Sia questo Anno un’opportunità per accogliere cordialmente e con gioia la vita consacrata come un capitale spirituale che contribuisce al bene di tutto il corpo di Cristo (cfrLumen gentium, 43) e non solo delle famiglie religiose. «La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa»8. Per questo, in quanto dono alla Chiesa, non è una realtà isolata o marginale, ma appartiene intimamente ad essa, sta al cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo della sua missione, in quanto esprime l’intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa Sposa verso l’unione con l’unico Sposo; dunque «appartiene … irremovibilmente alla sua vita e alla sua santità» (ibid., 44).

In tale contesto, invito voi, Pastori delle Chiese particolari, a una speciale sollecitudine nel promuovere nelle vostre comunità i distinti carismi, sia quelli storici sia i nuovi carismi, sostenendo, animando, aiutando nel discernimento, facendovi vicini con tenerezza e amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza nelle quali possano trovarsi alcuni consacrati, e soprattutto illuminando con il vostro insegnamento il popolo di Dio sul valore della vita consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella Chiesa.

Affido a Maria, la Vergine dell’ascolto e della contemplazione, prima discepola del suo amato Figlio, questo Anno della Vita Consacrata. A Lei, figlia prediletta del Padre e rivestita di tutti i doni di grazia, guardiamo come modello insuperabile di sequela nell’amore a Dio e nel servizio al prossimo.

Grato fin d’ora con tutti voi per i doni di grazia e di luce con i quali il Signore vorrà arricchirci, tutti vi accompagno con la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 novembre 2014, Festa della Presentazione della Beata Vergine Maria.

FRANCISCUS

_______________________

1 Lett. ap. Los caminos del Evangelio, ai religiosi e alle religiose dell’America Latina in occasione del V centenario dell’evangelizzazione del nuovo mondo, 29 giugno 1990, 26.

2 Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, Religiosi e promozione umana, 12 agosto 1980, 24.

Discorso ai rettori e agli alunni dei Pontifici Collegi e Convitti di Roma, 12 maggio 2014.

4 Omelia nella Festa della Presentazione di Gesù al tempio, 2 febbraio 2013.

5 Lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 43.

6 Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 87.

7 Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sin. Vita consecrata, 25 marzo 1996, 51.

8 S.E. Mons. J. M. Bergoglio, Intervento al Sinodo sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, XVI Congregazione generale, 13 ottobre 1994.

[01954-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0900-XX.01]

 

Un segno dei tempi senza ritorno

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nov 21 2014

1612787-4096736 Molte le provocazioni e le spinte che dal nostro oggi arrivano alle donne e alle consacrate… Prendere coscienza – e farlo con il cuore di un povero che ha fame di Dio – che alla Chiesa e al mondo ‘serve il genio femminile’. Entrare nel desiderio di Dio, intuire il cammino per nuovi e stimolanti percorsi e per scelte profetiche e coraggiose. 

Tra realtà…
Variano colore della pelle, cultura e abitudini, ma i problemi che oggi la donna si trova ad affrontare nel mondo sono gli stessi. La sua partecipazione nella società è ancora carente e minoritaria, sotto molti punti di vista, rispetto a quella degli uomini. Donna e consacrata e in posizione ‘ancillare’, ancora “invisibile” nei momenti più importanti e decisivi della vita della Chiesa. E c’è di più! Troppe donne oggi hanno interiorizzato un modo maschile di pensare, cercano se stesse e ‘si dicono al maschile’.

“Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna nella Chiesa”, riconosce Papa Francesco parlando ai Vescovi brasiliani. Più volte poi egli è tornato sullo stesso pensiero: “Soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la Lettura, è la presidentessa della Caritas” … Nella Evangelii gaudium si chiede se è proprio necessario che il prete stia in cima a tutto. Ciò infatti dà luogo a un immobilismo clericale che a volte sembra aver paura di lasciar spazio alle donne. In tali termini la Chiesa, nel ruolo importante affidatole, parla delle e alle donne nel nostro tempo. Per tutti i cristiani, importante è ricordare che vera ‘teologia delle donne’ è quella elaborata da donne che sempre cercano e danno una risposta necessaria alla presenza continua di Cristo in mezzo a noi e all’incontro con lui. Parlano di Dio, di Scritture sacre, di liturgia, di pastorale, di linguaggio religioso … Teologia della donna non è insomma quella elaborata da uomini che parlano delle donne! È essere di più, profondamente di più.

…e profezia
Quando Gesù è stanco, quando soffre, quando chiede un gesto di affetto, quando muore e quando risorge, le donne sono presenti, sono lì. Il modo in cui egli le incontra e le rivela a se stesse è teologia dell’incontro. Mettersi in cammino per incontrare Cristo e vederlo incontrare delle donne è un’avventura che trasforma, cambia e modifica il modo di pensare e di vivere. È un pellegrinaggio interiore che non finisce mai, perché in ogni incontro c’è una parte che appartiene al mistero. “La pratica della Scrittura da parte delle donne ha rivelato oggi nuove domande, nuove figure e ruoli dimenticati nelle narrazioni bibliche. È maturo il tempo che le donne, competenti nella teologia, nella pastorale, nella fede, continuino questo cammino” (Pellettier).

Alla Chiesa serve il genio femminile, l’apporto della ricchezza e delle capacità intuitive insite in esso, afferma Kasper. È indispensabile la presenza delle donne a ogni livello, anche in posizioni di piena responsabilità. Parole tutte che – soprattutto in quest’anno della vita consacrata - muovono ad interrogarsi e confrontarsi sul proprio vissuto perché il messaggio del Vangelo possa diventare cultura per tutti con il contributo insostituibile del “genio femminile”. Le donne/consacrate sono chiamate a sfruttare meglio la loro innata capacità di prendersi cura degli altri e anche a direzionare un po’ di queste attenzioni verso se stesse.

Segni nuovi di verità semplici ed essenziali
Anche nei mass media, dove si celebrano tutte le liturgie della comunicazione, laiche e non, finalmente una lettura della realtà, in cui potersi riconoscere come donne e come consacrate. Il chiesa-popolo-di-dio1nuovo periodico femminile, Donne, chiesa, mondo, allegato al quotidiano della Santa Sede L’Osservatore Romano – come spiega Lucetta Scaraffia – è un “inserto dedicato alle donne di tutto il mondo, con particolare attenzione al loro rapporto con la Chiesa”. Esprime tutta l’attuale necessità di leggere i “segni dei tempi”. L’inversione di marcia, dopo oltre 150 anni di storia, ha origine dalla volontà di Benedetto XVI di valorizzare in ogni modo la presenza femminile nella Chiesa (G.M.Vian). E anche un “modo per mettere in luce le 740 mila religiose che nel mondo hanno da insegnare a noi laiche, compresa l’umiltà e la capacità di relazionarsi con una Chiesa ancora gerarchicamente maschile” (G. Galeotti). La novità dell’inserto è proprio nel saper guardare alla realtà con occhi di donna liberi e nuovi, con spunti di riflessione ed esempi da seguire, nell’apertura al dialogo e a temi di respiro internazionale e interreligioso.

Un segno dei tempi da cui non c’è ritorno. Ma questo dipende molto anche dalle donne consacrate. Loro è ancora il compito di cominciare. Non si tratta di cercare un proprio spazio nella Chiesa misurandolo su quello occupato dagli uomini. Anche se i passi fatti sono reali, si può fare ancora molto. Ma il cambiamento c’è, si vede, si avverte. L’elezione di una donna in una università pontificia, e in una seduta tutta maschile, è un altro piccolo segno.

talita295861In realtà gli istituti religiosi femminili nella storia hanno puntato sempre in anticipo sui tempi della società civile. Pensiamo anche solo alle strutture educative create quando non esisteva nulla. O più semplicemente a quanto oggi sr Eugenia Bonetti fa, per incarico dell’USMI e insieme a centinaia di religiose, per combattere la tratta di donne e bambini nel mondo. L’entusiasmo e il calore che caratterizzano le religiose nel diffondere i percorsi spirituali individuati le hanno rese, nella storia, capaci di risvegliare la fede in contesti che sembravano solo respingerla. Anche nel nostro oggi, con una diversa e più matura consapevolezza delle proprie possibilità, l’impegno è di trasformare gli interrogativi del momento in trampolino per acquisire verità non abbastanza ascoltate nelle Scritture bibliche. E che sono profezie di futuro.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Per riferimenti utili/eventi sull’anno della vita consacrata, vedi:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccscrlife/index_it.htm

Beni economici e vita consacrata

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nov 13 2014

Per riferimenti utili/eventi sull’anno della vita consacrata, vedi:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccscrlife/index_it.htm

Lettera Circolare della CIVCSVA del 2 agosto 2014 – Linee orientative per la gestione dei beni negli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica. Edizioni LEV

388647_633906933291267_1189824432_nLa circolare fornisce delle linee guida per la gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti. Come indicato da Papa Francesco, vivendo evangelicamente la dimensione economica, gli Istituti potranno trovare nuovo slancio apostolico per continuare la propria missione nel mondo. ‘Il campo dell’economia è strumento dell’azione missionaria della Chiesa’ recita l’incipit della Circolare. E più avanti, si afferma che “la dimensione economica è intimamente connessa con la persona e la missione”. Indicazioni di come scelte innovative e profetiche operate dai consacrati nel campo dell’economia siano quanto mai urgenti nell’attuale contesto socio-economico e rappresentino un tema importante per l’Anno della Vita Consacrata.

Il tema dell’economia è stato ampiamento trattato nella dottrina sociale della Chiesa a partire dalla Enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, poi ancora nella Popolorum Progressio di Papa Paolo VI fino alla Enciclica Caritas in Veritate  di Papa Benedetto XVI  che al tema dedica una ampia trattazione nel suo capitolo terzo dal titolo: Fraternità, Sviluppo Economico e Società Civile.

La presente Circolare risente della forte attenzione di Papa Francesco al tema della missione vivificante su questa terra. Per questo fornisce dei principi pratici di buona gestione economica, controllo di gestione, rendicontazione secondo principi contabili internazionali. In sintesi le linee orientative riguardano: 1) la gestione dei beni, 2) la collaborazione con la Chiesa locale, con gli altri Istituti e con i consulenti e 3) la formazione.

Vengono, inoltre, introdotti alcuni obblighi: la certificazione contabile dei bilanci delle opere e l’obbligatorietà del concetto di ‘patrimonio stabile’, soluzione talora non dilazionabile per salvaguardare la continuità dell’Istituto come Persona Giuridica.

Particolare rilevanza viene data al principio di collaborazione con: a) la Chiesa locale nella fase di riordino delle opere, b) gli altri Istituti per rafforzare l’amministrazione e la gestione delle risorse, condividendo le buone prassi e il lavoro su progetti comuni e c) i consulenti laici che devono portare competenze specifiche singolarmente o come membri di commissioni di studio dai mandati ben definiti negli scopi e durata.

Infine, vi sono le linee guida in tema di formazione per il trasferimento di competenze sui temi gestionali ed economici, che consentano ai membri degli Istituti di imparare a lavorare con budget e preventivi, ma anche ad accrescere la comprensione ed il contatto con i temi dell’economia all’interno delle comunità dove gli Istituti operano, per porre rimedio all’attuale “dicotomia tra economia e missione”. L’attenzione alla dimensione evangelica dell’economia non deve essere trascurata nella dinamica formativa, “in modo particolare di coloro che avranno responsabilità di governo e che dovranno gestire le strutture economiche in ordine ai principi di gratuità, fraternità e giustizia, ponendo le basi di un’economia evangelica di condivisione e di comunione”.

Gli Istituti sono invitati a fare conoscere tali linee orientative ai loro membri, in particolare a Superiori ed Economi, e ad inviare, entro il 31 gennaio 2015, una lettera indirizzata al Segretario della Congregazione, Monsignor José Rodrìguez Carballo, con pareri e suggerimenti su come migliorare la gestione dei beni negli Istituti, affinché la Chiesa svolga con più efficacia la propria azione missionaria.

In sintesi, le linee orientative sono le seguenti:

  1. 1.    Gestione dei beni

1.1 Carisma, missione, opere e progettualità

  • le opere della missione vanno riviste sulla base del carisma e dei bisogni di oggi
  • Introdurre attività di budget, bilancio e controllo di gestione e di pianificazione pluriennale
  • Introdurre sistemi di monitoraggio e piani di rientro dal deficit per le opere in perdita
  • Assicurare la sostenibilità (spirituale, relazionale ed economica) delle opere

1.2 Trasparenza e vigilanza: garanzia di correttezza

I Superiori Maggiori e i loro Consigli devono:

  • introdurre sistemi di controllo interni adeguati
  • perseguire obiettivi di economicità
  • presidiare le opere di ogni Provincia
  • approvare piani di investimento e budget all’inizio dell’anno

Gli Economi devono:

  • rendicontare periodicamente sull’andamento gestionale, amministrativo e finanziario
  • utilizzare moderni sistemi di archiviazione e conservazione dei dati.

1.3 La rendicontazione e i bilanci

  • Bilanci distinti per opere e comunità
  • Regole contabili uniformi secondo i principi internazionali
  • Certificazione dei bilanci delle opere
  • Supporto di esperti qualificati per l’adozione di procedure idonee

1.4 Gestione dei beni e patrimonio stabile

Definizione di ‘patrimonio stabile’: tutti i beni dell’Istituto oggetto di una legittima assegnazione ex Codice di Diritto Canonico.

  1. 2.    Collaborazione con la Chiesa locale, con gli altri istituti e con i consulenti

2.1 Relazione con l’Ordinario del luogo e la Chiesa locale

La missione della vita consacrata è universale, ma incarnata in specifiche realtà locali:

  • dialogo con l’Ordinario del luogo nel caso gli Istituti abbiano intenzione di chiudere case o opere o alienare immobili
  • dialogo dei Superiori Maggiori con gli altri Istituti presenti sul territorio prima di chiudere e dismettere delle opere, con attenzione alla presenza religiosa locale.

2.2 Relazione con collaboratori e consulenti

Si raccomanda di avvalersi di collaboratori laici o di commissioni di studio nelle aree in cui l’Istituto non è dotato di professionalità con contratti definiti per scopi e durata.

2.3 Relazione e collaborazione con gli altri Istituti

La collaborazione con gli altri Istituti (condivisione di buone prassi, progetti, nuovi modi per servire la Chiesa) va rafforzata, seguendo l’esempio della Conferenza dei Superiori Maggiori.

3. Formazione

Formazione alla dimensione economica in linea con il proprio carisma. Formazione degli Economi alla rendicontazione gestionale. Responsabilizzazione a vivere il voto di povertà nell’attuale contesto socio-economico.

                                         Daniela Carosio
                                         professore di Responsabilità Sociale di Impresa, Uni Bologna

http://www.bbs.unibo.it/internationalmba/faculty/

 

L’ARTE DEL PASSAGGIO

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nov 05 2014

19185-GIULIANO_FERRI_Passaggio_del_mar_RossomAnche per la giornata più bella, più luminosa, arriva il tramonto, e con esso, il buio.
Della notte si può avere paura; ma in essa qualcuno può offrirci un piccolo lume, un filo di luce, una speranza. Il buio, può, in realtà nascondere un grande potere, può permetterci di ritrovare una consapevolezza che avevamo perso abbagliati dalla luce di tante giornate.
Talvolta solo il buio ha il potere di costringerci a guardare in faccia i nostri fantasmi, a rivalutare le nostre credenze, a reindirizzare i nostri sogni.
Dei passaggi bui sarebbe sempre meglio fare a meno, ma, se sappiamo usarli costruttivamente, essi possono essere la chiave per costruire il domani a partire dall’oggi.

Siamo invitate, dunque, a leggere con uno sguardo più profondo la realtà in cui viviamo per cogliere e mettere in rilievo ciò che già si sta realizzando: esperienze, condizioni e atteggiamenti che favoriscono un cammino di novità, un segno di profezia per vivere il mistero pasquale con lo stupore e la commozione dei primi testimoni della risurrezione.
L’accoglienza serena della realtà aiuta, infatti, ad accettare con realismo e speranza, con discernimento e fede autentica anche le difficoltà, la malattia, le stagioni dell’inattività come una dimensione della vita stessa, uno svelamento del suo limite e nello stesso tempo un’attesa della sua pienezza.

Dunque,
-          rinnoviamo la nostra fede, per riscoprire i segni della presenza amorosa di Dio negli eventi della storia quotidiana, nelle persone;
-          ravviviamo la speranza, la certezza gioiosa che la nostra storia porta in sé un germe di bene che il Signore porterà in pienezza;
-          riaccendiamo la carità, per testimoniare la comunione, la pace e l’amore di Cristo tra i fratelli e le sorelle più poveri, vittime della fame, della violenza, dell’ingiustizia.

                                                                                                                                                                                                                                                          sr Diesse