Archive for the ‘Senza categoria’ Category

Voglia di buona Europa

Senza categoria | Posted by usmionline
nov 15 2012

 

L’economia si muove verso un respiro umanistico
Quest’anno il Nobel per l’economia è stato assegnato agli americani Alvin Roth e Lloyd Shapley, due docenti esperti di scienza economica. Hanno insegnato una cosa semplice e grande: il mercato – che è interazione tra persone – non è per forza più efficiente se affidato al metro del denaro. I due esperti lo dimostrano insegnando strade diverse, molto più furbe, per ottimizzare la vita economica di una comunità. Arrivano a tale conclusione dopo aver dedicato gran parte del loro tempo ad osservare e studiare il comportamento delle persone. In particolare: Roth ha collaborato a ridisegnare meccanismi per la selezione di medici al primo incarico, per le scuole superiori di New York e le scuole elementari di Boston. E Shapley ha dimostrato come la creazione di un metodo per far incontrare domanda e offerta può beneficiare sistematicamente una o l’altra parte di un mercato.

Con il loro contributo, il pensiero umano si avvicina, lentamente e inesorabilmente, ad una faticosa conquista: il denaro non è la misura di tutto! Se, per esempio, l’accesso a una risorsa limitata come l’istruzione universitaria viene riservato a chi porta più denaro; se nei  concorsi le raccomandazioni continuano a vincere sui meriti; se il progetto Erasmus – nato con lo scopo di cementare l’unione tra i giovani della Comunità europea – è diventato più elitario perché sono diminuiti i fondi e così i giovani avranno meno esperienza di vita … Tutto questo oggi non è più solo ingiusto! Shapley e Roth lo hanno dimostrato e insegnato: è semplicemente stupido, perché il mercato è da gestire e non da subire.

Il messaggio che ci viene da questo Nobel rende meno triste la ‘scienza triste dell’economia’. Ci rivela che la cultura globale si muove nella direzione del respiro umanistico, la via lungo la quale il Vangelo potrà penetrare anche nella cultura oggi emergente. Tutto questo apre certamente il cuore alla fiducia. In tal senso ci sono già segnali positivi nel mondo: imprese che hanno scelto di mettere la persona al centro del proprio processo economico; banche che non fanno speculazione, ma più semplicemente finanza per il mercato. Il modello di società in cui viviamo, insomma, non è l’unico possibile, ma è solo il frutto delle nostre decisioni.

La speranza e gli scartati 
D’altra parte il segnale da Facebook è chiaro: la voglia di buona Europa cresce e si fa sempre più forte su tutti i fronti … E l’altro Nobel, quello assegnato all’Unione Europea - che è stato letto soprattutto come un riconoscimento ai Padri che seppero intravvedere il percorso della pace e dell’Unione – mentre riconosce all’Europa il merito della pace più lunga mai vissuta dal Continente, incita tutti a sognare e a muoversi nella direzione di una speranza più fondata.

Ma è necessario svegliarsi dal sonno della logica ancora dominante e da quello delle coscienze. Conosciamo bene infatti i guai economici dell’Europa (… per riferirci al nostro continente), i discordi interessi tra le nazioni e le classi sociali; conosciamo il lavoro precario, le diseguaglianze crescenti e la disperazione; ci giungono quasi ogni giorno notizie intorno alla corruzione che ha inquinato le nostre istituzioni, mentre nelle cronache giudiziarie italiane si susseguono notizie di arresti clamorosi e condanne per reati commessi da personaggi ufficialmente impegnati a servire l’economia nazionale.

Richiami e drammi della storia
In tale situazione sembra che nessuno abbia voglia di ricordare che:
- è in fermento anche un’altra realtà: quella globale
- si rischia la guerra tra Israele e Iran
- la Palestina è disperata
- la popolazione siriana è all’estremo delle sue forze
- l’Africa è sempre percossa da flagelli e da conflitti tribali
- Con l’elezione del Presidente negli Stati Uniti si gioca in qualche modo il destino del mondo …

Economia non è solo profitto …  
La diffusa convinzione della nostra società è che il potere (a partire da quello che si concretizza nel denaro) è un bene, e che chi lo possiede non può fare altro che desiderarne di più. Così circondati da tanto potere è facile cedere alla tentazione di ricercarlo come fanno tutti gli altri. Occorre invece non rassegnarsi alla supremazia del mercato, dove la produzione a tutti i costi cancella ogni valore. È necessario cioè saper leggere e interpretare i fenomeni sociali determinati dalla globalizzazione “con intelligenza e amore della verità”. Un bisogno crescente di giustizia vive in ogni angolo della terra. Lo spazio dunque è quello globale.

… è umanizzare la globalizzazione
Il punto è trovare nuove regole, nuovi vincoli e garanzie, nuovi incentivi e nuovi orizzonti per un’economia di liberazione e una democrazia realizzata. E la via è tornare al centro, al cuore, per non perdere le motivazioni che orientano al bene comune; raccogliere le speranze e le angosce dei poveri, anche quando questo significa rischiare la persecuzione. Perché l’autentica e grande speranza (quella trascendente) può essere mantenuta in tutti solo con i segni della speranza storica. Il mondo dei poveri ci insegna come deve essere l’amore cristiano, che cerca sicuramente la pace, ma smaschera il falso pacifismo, la rassegnazione e l’inattività.
Centinaia di migliaia di persone rischiano ogni anno la vita per arrivare in Italia e in Europa, trovarvi un lavoro e mettere su casa. Lasciano dietro di sé una tragica scia di morti pur di fuggire dall’inferno in cui vivono. Per loro l’Europa è la ‘speranza’ anche se a molti europei d’oggi sembra piuttosto una terra di desolazione.

Il Nobel all’Unione europea allora significa – insieme al riconoscimento per la pace realizzata in 60 anni – un augurio, un’esortazione e la fiducia che i giovani, con l’intelligenza e la passione che li caratterizza, sappiano raccogliere il meglio di questa nostra Europa, lo facciano crescere e diventare storia quotidiana.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

In cerca di cielo

Senza categoria | Posted by usmionline
nov 05 2012

Nel mondo occidentale l’odore dei soldi toglie lucidità a troppi e chiude il cielo. Nei pochi che con la bellezza di una fede radicale lo tengono aperto, è tutta l’umanità che trova la sua via per uscire vincitrice da tempi tanto insicuri.

Figli di polvere corrotti dal potere…
Troppi gli scandali in questo nostro tempo, tanto che la vera notizia è qualcuno ‘in alto’ che non ruba. Così anche sulle pagine dei nostri quotidiani il denaro, realtà o sogno che sia, occupa tutti gli spazi. La vita è uno schifo, comincia cinicamente a pensare qualcuno! Comanda solo chi ha le tasche piene e il più delle volte lo fa per riempirsele meglio. Anche il Papa, ricordando l’invettiva di san Giacomo contro “i ricchi disonesti”, ha richiamato con forza alla equità e moralità, a tutti i livelli.

…e realtà viventi
Eppure esistono in mezzo a noi realtà di cui si parla troppo poco. Nel nostro Paese c’è chi vuole e sa vedere; chi ha il coraggio civile di porsi e porre domande e si dà da fare in prima persona per cambiare le cose anche quando sembra che non ci siano intorno orecchie per ascoltare. Gran parte del Paese reagisce agli scandali della politica e alla corruzione. Dalla gente comune viene un grido di opposizione contro lo strapotere del denaro che detta le regole e crea una società ingiusta scrivendo sulla filigrana delle banconote il futuro dei padri e dei figli. Le nuove generazioni, che hanno gli occhi più puliti e riescono a vedere più chiaro, percepiscono l’angoscia del momento – anche attraverso lo sbandamento dei genitori di fronte all’urto della crisi – e scendono in piazza. Dunque non siamo ‘morti’. Dunque se si vuole si può fare resistenza a ciò che è disonesto, perché nella vita c’è altro. E lo sbocco ad ‘altro’ si può trovare con intelligenza, con forza e senza violenza.
In tutto questo non si tratta di costruire un mondo a misura della propria pretesa o attesa. Nemmeno di smussare e bacchettare continuamente il mondo in cui viviamo perché diventi di nostro gradimento. Il senso alla propria vita, infatti, nel ‘mondo’ di ogni tempo, non lo danno gli amici o i nemici,  il buio o la luce degli avvenimenti, ma il come vengono vissuti.  
Anche quello in cui viviamo è semplicemente e sempre il mondo concreto e insostituibile che ‘Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito’ (Gv 3,16): il luogo del nostro incontro con Lui.

Responsabilità individuale e ordine sociale
Il cambiamento della società è di secondaria importanza; esso avverrà naturalmente, inevitabilmente, quando voi, come esseri umani produrrete questo cambiamento (…) Voi siete il mondo.” Sono parole che Jiddu Krishnamurti -filosofo apolide di origine indiana – amava ripetere. Ma è possibile davvero diventare capaci di cogliere e di agire questo rapporto vitale fra noi e il ‘mondo’, fra ciò che siamo ‘dentro’ (e che interiormente condiziona i nostri rapporti umani) e la struttura sociale esteriore? Comunque sia ci vuole un grande coraggio per avviare in sé una rivoluzione interiore seria e coerente, da cui possa prendere forma una rivoluzione sociale.

Nel nostro Occidente oggi non è certo il messaggio cristiano a fare problema, ma il fatto che esso venga associato a una comunità di credenti, che non si rivela all’altezza della situazione. C’è un deficit di testimonianza nei comportamenti quotidiani. La visione della fede in tanti è ‘mercantile’ e la pratica religiosa spesso è vissuta come un parafulmine contro le disgrazie che a volte la vita riserva. Ma una fede esibita come ‘uniforme’ o solo come gesto esteriore vacuo e contraddittorio certo non cambia né la propria vita, né il contesto sociale.   

E quando in pieno giorno è buio nel cuore?…
A volte nel segreto del nostro cuore cerchiamo e quasi accarezziamo il potere, piccolo o grande che sia, per evitare il confronto alla pari con gli altri, o forse con l’illusione di trovare una specie di rifugio intoccabile che dia la sensazione di essere più al sicuro. Ma i beni materiali e il potere come anche il successo, cercati e usati unicamente per se stessi e non nella prospettiva della solidarietà e del bene comune, non possono che far deviare nel viaggio della vita, senza per altro condurre a una visione chiara di sé. Aveva visto giusto Marcel Proust quando affermava che “le opere, come nei pozzi artesiani, salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore”, perché è la sofferenza ad esigere che il vero io venga alla luce.  E a ben vedere si scopre che i più clamorosi successi degli ultimi anni (personali, nazionali, economici, artistici…) sono germinati proprio nell’incubatrice del più doloroso ‘flop’. Ma è necessario disporsi ad accogliere che la vita sgorghi dal paradosso della sua stessa negazione, senza pretendere di trattenere ciò che ci piace ed evitare ciò che non ci piace.

Ben vengano allora i tempi in cui ci si ritrova ad affrontare faccia a faccia il nulla di sé, mentre tutto ciò che aveva dato significato alla propria vita viene strappato via; quando sembra venire a mancare l’energia per vivere e lavorare; quando dentro di sé un urlo prolungato impedisce di sentire e all’orizzonte non si riesce a vedere altro che un abisso senza fondo…  

Ma come passare da questa angoscia alla libertà, dalla depressione alla pace, dalla disperazione alla speranza? Come recuperare interesse per i problemi degli altri, affrontare la storia, misurarsi con la vita? Soprattutto come sviluppare una più coerente capacità di dare amore senza aspettarsi sempre in cambio altro amore?

Lo star bene, con se stessi e con gli altri – l’arte del vivere insomma – è qualcosa che si impara in un intenso rapporto con Cristo, ci ricorda Benedetto XVI. Il Signore non ci lascia soli nei combattimenti, nei compiti e nei cammini della vita, anche quando non lo sentiamo. L’incontro con Lui rifà nuova ogni giorno l’innocenza interiore della sua creatura e la mette in grado di attraversare il tempo dell’angoscia senza perdere la fiducia nella Vita. Un cuore ‘piccolo’ infatti sperimenta sempre che Dio, se non preserva nessuno dalla sofferenza, non lascia però che qualcuno la viva da solo. E l’energia che viene dal credere fino in fondo diventa contagiosa, si propaga, abbatte i muri, apre gli orizzonti… Così il mondo cambia.

Il compito che viene dalla fede…
In sintesi il compito che viene dalla fede è quello di permettere alla barca della propria vita che il vento dello Spirito ne gonfi le vele. Con la Sua spinta ognuno potrà lasciarsi alle spalle il porto ‘sicuro’ di se stesso con i pensieri, i sentimenti, gli atteggiamenti, le decisioni da prendere, le azioni da compiere…; potrà mettere i suoi passi su quelli del Figlio di Dio fatto uomo; e andare verso i fratelli in umanità con la capacità di riconoscere in essi tutto ciò che di buono e di bello li abita. Per questa traversata ogni barca va bene, nessuna esclusa, perché per Colui che ci ha creato nessuno è creta inutile. Egli vuole semplicemente  impadronirsi della debolezza profonda di ognuno e lì vuole incarnarsi come lievito e come sole nel fango.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

“La Chiesa non deve tacere…E non può più tacere”

Senza categoria | Posted by usmionline
ott 25 2012

Il governo del Ciad, paese dell’Africa centrale, ha espulso monsignor Michele Russo che, durante un’omelia, aveva criticato la gestione dei proventi del petrolio denunciandone la distribuzione iniqua a svantaggio della popolazione.

L’accusa?
Un’omelia – trasmessa in diretta il 30 settembre dalla radio diocesana “La voce del contadino”, in occasione della festa patronale, ripresa da un gran numero di radio comunitarie e largamente diffusa – ha dato fastidio al Governo del Ciad. Parole scomode, dall’amaro sapore della verità, che al vescovo di Toba, Monsignor Michele Russo, sono costate un decreto di espulsione. Gli è stata data una settimana di tempo per lasciare il Paese africano. L’Alto consiglio per la comunicazione ciadiano ha reso nota la decisone dell’espulsione spiegando che monsignor Russo “si è dedicato ad attività incompatibili con il suo ruolo” ed ha aggiunto che la radio diocesana sarà chiusa per “avere chiaramente attentato all’ordine pubblico prestabilito”.  

 Testimone di una verità scomoda, dal sapore amaro
Il vescovo Michele Russo è italiano, originario di San Giovanni Rotondo in provincia di Foggia; ha 66 anni ed è missionario comboniano; da 36 anni è in Ciad e da 22 è responsabile della diocesi di Doba, al servizio quindi delle popolazioni povere di quel pezzo d’Africa. Non meraviglia perciò che egli conosca molto bene la realtà in cui opera, in tutte le sue dinamiche: sociali, economiche e politiche. Conosciuto da tutti come un uomo di pace e di dialogo, non ha lesinato critiche verso il Governo del Ciad sulla gestione dei proventi del petrolio denunciandone l’iniqua distribuzione che non permette alla popolazione locale di goderne e di uscire finalmente dalla povertà.   

Le parti essenziali dell’omelia incriminata
 ”…per sfruttare il suo petrolio, il governo ha convinto tutti, anche la Banca Mondiale, dicendo che è un progetto modello che rispetterà l’ambiente, i diritti umani; che l’informazione sarà trasparente e le risorse dovranno contribuire alla riduzione della povertà. La Banca mondiale ha dato il suo consenso e la popolazione ha creduto a questo progetto. Dal 10 ottobre del 2003, il Ciad è entrato nel cerchio dei paesi produttori dell’oro nero. Ma cosa si costata? Dei 300 pozzi, noi siamo oggi a più di 1.500 pozzi forati illegalmente, o con la connivenza del governo. Le condizioni di vita della popolazione sono diventate peggiori di prima dell’era petrolifera. In più, alcuni contadini hanno perso le loro terre. Il conflitto fondiario e sociale è sempre più frequente e trascina con sé regolarmente perdite di vite umane. La vita sociale è stata distrutta, i giovani si rifugiano nella prostituzione e nell’alcool a causa della disoccupazione (…) I proventi del petrolio sono serviti all’acquisto di armi e ad alimentare così gli interminabili conflitti… Una volta in più il petrolio invece di essere una benedizione è diventato una maledizione per l’insieme della popolazione del Ciad. (…) A chi appartiene questo petrolio? …al governo di Deby e alle compagnie petrolifere? No! Il petrolio appartiene all’insieme della popolazione del Ciad. Per questo la Chiesa deve intervenire e i poveri e gli abbandonati saranno alla base di questo intervento. Sì, la Chiesa non deve più tacere, perché le ricchezze di un paese sono destinate all’insieme della popolazione e non a una casta. Voi, popolazione della zona petrolifera, avete vissuto nella povertà prima dello sfruttamento petrolifero, oggi vivete nella miseria (…). Gli interessi personali e di parte hanno prevalso sul Bene comune e non si vede l’uscita da questo tunnel nel quale il Paese è stato messo. La Chiesa non tacerà più… Amen!”.

S.E. Mons. Michele Russo, domenica 14 ottobre è arrivato alla Casa Generalizia dei Missionari Comboniani. Pur provato dagli avvenimenti, continua a sperare che il governo del Ciad possa ritornare sulle sue decisioni, permettendogli di riprendere il suo servizio apostolico al popolo di Dio che gli è stato affidato dal Santo Padre. Chiede a tutti quanti lo conoscono e sostengono, di pregare perché questo desiderio si possa realizzare.

Unanimi le reazioni di solidarietà: ‘Ha detto solo la verità!’
La vicenda lascia sconcertati tutti.
- Mons. Joachim Kouraleyo Tarounga, vescovo di Moundou, rappresentante al sinodo per il Ciad, ha detto all’agenzia di stampa Misna: “Non si capisce questa espulsione, sia nei termini che nelle modalità. Sono anni che noi vescovi del Ciad denunciamo le stesse cose a tutti i livelli”.
 - “E’ assurdo – dice il sindaco di S. Giovanni Rotondo – che una persona del suo carisma debba subire un trattamento del genere per il solo fatto di aver raccontato la verità sugli interessi che gravano attorno all’estrazione del petrolio in Ciad. Siamo vicini al nostro concittadino e auspichiamo che si giunga rapidamente ad un epilogo positivo della vicenda”.
- Nella lettera di protesta dell’Unione degli Organi Cristiani del Ciad (UCCT) contro l’espulsione si legge: “…Mons. Michele Russo ha passato gli anni della sua vita al servizio esclusivo del Ciad e dei suoi figli, senza alcun interesse personale, nel solo seguito di Gesù. Numerosi cittadini del Ciad (…) possono testimoniare dell’investimento economico e sociale che Michele Russo ha potuto realizzare per l’insieme dei cittadini del Ciad. Su richiesta del Governo del Ciad, egli ha anche molte volte rischiato la sua vita per riportare i “Codos” (ribelli del Sud) alla riconciliazione nazionale. (…) Non ha un pastore il diritto di gridare che il suo popolo sta male, che il suo popolo soffre, quando ci sarebbe largamente da mangiare per tutti quanti? (…). Egli non ha fatto che annunciare la Parola di Dio”.
- In un comunicato stampa la Conferenza Episcopale del Ciad (CET) si rammarica per la situazione che è venuta a crearsi, senza precedenti nella storia della Chiesa Cattolica nel Ciad: prende nota “con grande tristezza” della decisione e invita i fedeli cristiani ad “accogliere questa prova nella fede e nella calma”.

Intanto si portano avanti i negoziati per trovare una soluzione alla decisione del governo. La Congregazione missionaria, per voce del suo Superiore Generale padre Enrique Sánchez González, con il suo Consiglio, “esprime, a nome di tutto l’Istituto, solidarietà a monsignor Michele Russo e alla popolazione della diocesi di Doba, augurandosi che si creino i necessari spazi di dialogo con le autorità del Paese al fine di evitare che l’espulsione di monsignor Russo dal Ciad privi la Chiesa di Doba del suo Pastore”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Fiaccolata di fede, memoria e profezia

Senza categoria | Posted by usmionline
ott 18 2012

Il «popolo di Dio in cammino attraverso la storia» in fiaccolata. Chiamato a ripensare in modo nuovo il rapporto tra fede e storia e tra Chiesa e mondo; a coltivare una fede adulta che non oscuri la ‘profezia’ nel mondo contemporaneo; a non interrompere il cammino avviato cinquant’anni fa con il Concilio…

Si apre l’Anno della Fede
Non è semplice commemorazione dei cinquant’anni dal Concilio Vaticano II la fiaccolata realizzata da quaranta mila persone la sera dell’11 ottobre 2012 in Piazza S. Pietro, a Roma. È invece memoria viva di un evento importante; memoria necessaria per il cammino che i cristiani si trovano a fare oggi nei “deserti del mondo contemporaneo”.
Come cinquant’anni fa, la Piazza sembra incendiata in un mare di luci. Sono comitive di giovani e gruppi di religiose, famiglie e sacerdoti, persone anziane e bambini…Tutti guardano avanti verso il futuro che questo Anno della fede vuole contribuire a rischiarare come le fiammelle della loro fiaccolata e aspettano. Tutti con gli occhi a quella finestra illuminata del Palazzo apostolico dalla quale l’indimenticabile Giovanni XXIII improvvisò lo storico discorso “della luna”.

Il saluto di Benedetto XVI
E Benedetto XVI non li delude. Nel suo saluto a braccio, da quella stessa finestra ricorda ai presenti: “Quella sera eravamo felici e pieni di entusiasmo: il grande Concilio ecumenico si era inaugurato ed eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa, una nuova Pentecoste, una nuova presenza liberatrice del Vangelo (…) Anche oggi portiamo la gioia nel nostro cuore, ma una gioia più sobria, una gioia umile: in questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali, che possono divenire strutture di peccato, visto che nel campo del Signore c’è anche la zizzania, che nella rete di Pietro ci sono anche pesci cattivi, che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando con vento contrario, con minacce contrarie. E qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato”.

Poi il Papa aggiunge:
 “…ma abbiamo fatto esperienza anche della presenza del Signore, della sua bontà: il fuoco di Cristo non è divoratore né distruttivo, è un fuoco silenzioso, una piccola fiamma di bontà: il Signore non ci dimentica, il suo modo è umile. Il Signore è presente, dà calore ai cuori, crea carismi di bontà e carità, che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio”. Sì, Cristo vive con noi e possiamo essere felici anche oggi.

«Abitiamo i deserti del mondo»
La folla certamente non fatica a riconoscersi nella “desertificazione spirituale” (immagine suggestiva usata da Benedetto XVI, nella omelia della Messa di apertura dell’Anno della fede); si riconosce nel deserto quotidiano che cresce dentro la banale abitudine delle piccole cose, da cui scaturisce un vuoto insieme a un senso di smarrimento, che spesso non riusciamo nemmeno a definire chiaramente. Il più grave pericolo oggi è una fede tiepida e assopita. Attraverso di essa il vuoto si diffonde e la realtà della vita vera si oscura e deforma.

È necessario – è il richiamo del Papa ai cristiani – ritrovare la «tensione commovente» che ebbe il Concilio per il «compito comune» di far «risplendere la verità e la bellezza della fede nel nostro tempo». Perciò è necessario guardare molto bene il ‘deserto’ – specchio del nostro torpore – perché nel suo ‘nulla’ può germinare di nuovo come un seme ostinato la domanda di Dio.

Ascoltiamo ancora le parole del Papa:

“…a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita”. Nel deserto, ha evidenziato ancora il Papa, “c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza”. È la fede vissuta infatti che “apre il cuore alla grazia di Dio la quale soltanto libera dal pessimismo. Oggi più che mai, evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada”.  

Ripartire dalla ‘Cattedra del Concilio’
Il Concilio invita a una conversione dell’agire. Benedetto XVI insiste sulla necessità di ‘tornare’ alla ‘lettera’del Concilio per riscoprire, nel suo spirito autentico, l’essenziale per vivere e per intenderlo come inizio della nuova evangelizzazione. I vescovi nel Sinodo si sono messi ancora in ascolto,in queste settimane, della Parola e della condizione umana. A tutti noi è chiesto di ristabilire un contatto con ciò che è avvenuto cinquant’anni fa, cominciando dal mettere – il credente e il non credente che sono in ognuno di noi -in condizione di interpellarsi, di confrontarsi e di misurarsi anche con le parole della fede perché essa diventi più matura.

Con il passare del tempo, infatti polvere e sporcizia si depositano su tutto: anche sulle nostre comunità e su noi, che camminiamo con il mondo, e -secondo le parole del Concilio e, oggi, del Papa – ne condividiamo anche le debolezze.

Il contesto socioculturale attuale è divenuto, con la globalizzazione, irreversibilmente pluriculturale, plurietnico e plurireligioso. Come dialogare con questo mondo, condividendone le speranze e i problemi? Come porsi in esso oggi in modo nuovo per agire da fermento spirituale, culturale e sociale?

Certamente ci si impone uno sforzo formativo straordinario soprattutto sul piano della maturazione della fede, che sola può farci capaci di una vera ripresa spirituale… perché “non vogliamo essere fedeli tiepidi, ma pellegrini sulle vie della storia e dentro la storia, per assumerci le nostre responsabilità e trasmettere la fede alle giovani generazioni”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Anziani del terzo millennio

Senza categoria | Posted by usmionline
ott 10 2012

Scoprire con gli anziani e attraverso il loro mondo che la vita è un dono sempre e che Dio è l’unico a cui si può parlare in certi momenti decisivi perché sa ascoltare e intervenire al di là di ogni attesa e comprensione umana.

Un mondo da scoprire      
In chi riesce a diventare vecchio in Africa la gente ravvisa una sorta di prediletto dalla vita. Lo ritiene portatore della benedizione divina e lo circonda di riguardi e di rispetto. Nel più antico continente, infatti, mentre i bambini con la loro presenza caratterizzano il paesaggio e li si può incontrare dappertutto, gli anziani sono qualcosa di speciale, simbolo di un’Africa che resiste e sa cambiare se serve, non rinuncia al proprio futuro e anzi lo custodisce con amore e con fiducia.

L’Italia invece è il Paese “più vecchio d’Europa” e i suoi bambini sono pochi. Da noi se una persona non ha superato (e di gran lunga!) i 70 anni, difficilmente è definita ‘persona anziana’. In realtà gli ultrasessantenni di oggi in Italia non sono certo più quelli di ieri. Lo si deduce chiaramente anche dal nuovo rapporto Censis sulla loro situazione.

Anziani oggi: più sani, più soli
Certamente nel nostro Paese gli anziani oggi sono più sani e più attivi, ma sono anche più   poveri e più soli. La vita media infatti si è allungata ed essi, sempre più numerosi, si trovano ad affrontare da soli le tante carenze assistenziali, economiche, previdenziali ed affettive, che la nostra arida società non sa e forse nemmeno vuole seriamente affrontare. ‘In un mondo dominato dal denaro e dalle sue logiche  – scrive V. Andreoli – si va verso la catastrofe. Non è una profezia da Cassandra, ma la semplice e realistica cronaca dei nostri tempi’.  Così il peso  della crisi, insieme agli effetti delle manovre correttive del vecchio e del nuovo governo, pongono oggi gli anziani  sempre più a rischio povertà, insieme a donne e giovani. Molte sono le storie di chi vive in uno stato di disinteresse generale, emarginato dal tessuto sociale e abbandonato al proprio destino. Povertà e solitudine sono mali che non permettono loro di godere delle conquiste che la scienza e la maggiore attenzione alla salute hanno prodotto. L’Italia tutta – e soprattutto chi in essa si lascia facilmente vincere dal ritmo del successo e dal pensiero del superamento dei valori ‘tradizionali’ – è chiamata con urgenza a guardare con molta attenzione a questo quadro. Una fetta di popolazione degna di nuovo interesse e con potenzialità e necessità tutte sue da soddisfare lo richiede con forza. Ma il Paese è pronto ad affrontare il cambiamento in atto per scoprire questo mondo e valorizzarne la risorsa?

… nella moderna società
Già Giovanni Paolo II, nella sua lettera agli anziani, metteva in risalto con parole forti e toccanti, l’individualismo e l’egoismo imperanti nella società contemporanea, dove ben poco spazio è lasciato a quanti, per vecchiaia o per malattia, non possono dare molto alla collettività in termini di produttività. In tale situazione – egli sottolineava – gli anziani stessi, percependo di essere poco amati e poco rispettati, sono indotti a domandarsi se la loro esistenza sia ancora utile.  

In realtà, se fino a pochi decenni fa l’anziano viveva nell’ambiente familiare per tutto l’arco della vita e i ritmi di lavoro, il tipo di abitazione, le forme complessive della convivenza sociale permettevano globalmente di integrarlo, la società attuale incontra invece gravi difficoltà. Così molti anziani, in un certo senso i più fortunati, vengono oggi accolti in case di riposo: spesso un eufemistico “modo di dire” per intendere ‘solitudini poste l’una accanto all’altra’. Per la maggioranza degli altri, in situazione di grave disagio, non vi è né il calore della famiglia né il sollievo di essere custoditi in una collettività.

I rischi e la grandezza della vecchiaia
I temi della vecchiaia e della longevità in realtà sempre hanno interrogato l’umanità. L’età anziana – che C. M. Martini citando un proverbio indiano amava definire ‘il tempo in cui si impara la mendicità’ – ha in sé un mistero: il mistero stesso della vita, davanti al quale nessuno è maestro o sapiente, qualunque tappa dell’umana avventura, alba o tramonto, egli si trovi a vivere. E anzi, mentre sembra che tutto giunga alla fine e le forze declinano, spesso anche nell’abbandono e nell’indifferenza degli uomini, anche Dio a volte sembra lontano. Ma neppure la morte ferma il cammino di chi cerca con amore la Verità se, pur disperando a volte di trovarla, non si arrende in questa ricerca. Certamente i vecchi appartengono alla schiera dei deboli e proprio nelle loro debolezze essi rivelano tutta la loro storia, la loro vita. Questo va rispettato e accade così che la persona percepisce la propria fragilità e insieme la provvisorietà di ogni cosa. La svolta nel suo cammino c’è nel momento in cui la persona accetta di fidarsi di Dio. Allora compie un percorso di crescita verso la verità, riesce ad accettare il proprio limite e trova le risorse necessarie per affrontare il tempo della prova.

Il compito ‘nuovo’ dell’anziano
Il Vaticano II ci ha invitato a scrutare i segni dei tempi e a riconoscere il valore delle realtà terrestri. Il Regno di Dio non è solo nel successo, ma è anche nel nascondimento e nella prova! Abbiamo bisogno di rileggere come credenti questo nostro tempo per capire ciò che davvero si sta muovendo verso la realizzazione del Regno.

Se l’anziano scopre nella preghiera la presenza di Dio che ha accompagnato tutta la sua vita, di questa Presenza egli può diventare testimone e annunciatore nella comunità dei fratelli. È il compito ‘nuovo’ del vecchio. La sua forza è tutta nel messaggio di vita che viene:

- – dalla sua accettazione serena degli impedimenti che vengono dall’età;
- – dall’abbandono in Dio anche nei momenti della malattia, in cui può sentirsi inutile e di peso;
- – dalla coraggiosa e fiduciosa preparazione alla morte…

Non solo Dio non lo ha abbandonato, ma è accanto a lui nella sua angoscia ed egli può parlare per lodarlo e raccontare le sue opere.

Chiamata per tutti alla responsabilità e alla gioia
Certo in alcune situazioni è più difficile riconoscere il significato di ciò che sta ‘crescendo’. Ma anche i dolori della vita possono essere trasformati – se ci si lascia guidare dalla luce e dalla forza dello Spirito – in occasioni di servizio e di testimonianza della fede.

Possiamo chiedere ai nostri anziani di regalarci la loro autorevolezza, quella che dà alla nostra fede la risonanza profonda e convincente che deriva da una lunga esperienza della vita e per questo sa aprirsi con creatività e coraggio ai problemi della società e ai compiti nuovi necessari per affrontarli.

E noi nelle comunità cristiane e religiose – soprattutto in quelle specificamente impegnate ad offrire tempo e servizio agli anziani – insieme ai nostri vecchi e nel contatto diretto con la Fonte, sapremo immergerci con coraggio e consapevolezza nelle situazioni più faticose e complesse del Regno… senza dimenticare quanto sia sempre facile lasciarsi ipnotizzare dal male che è in noi e attorno a noi!!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Riconciliarsi: appello dal nostro tempo

Senza categoria | Posted by usmionline
set 28 2012

Due eventi attuali, un unico richiamo: cambiare i pensieri per evitare “l’angolo della vittima” e accogliere nella propria vita la chiamata alla riconciliazione.

Qualità della vita significa qualità delle relazioni, che ne costituiscono la sostanza. Nelle relazioni solide, profonde e durature che riusciamo a creare e a vivere con gli altri, ognuno può dire con convinzione a se stesso e a chi gli vive accanto: io valgo e tu vali, mi stimo e ti stimo; insieme possiamo costruire! Spesso invece nella nostra vita insieme ci ritroviamo a vivere, più o meno consapevolmente, raggomitolati ‘nell’angolo’ della vittima’, come comparse in balia delle azioni di altri; passivi e in attesa del loro comportamento; nella delusione, inchiodati a vivere di riflesso. Facciamo così esperienza di quei contrasti così frequenti nella vita comune nei quali si vuole solo vincere e non capire o risolvere un problema. Forse anche condizionati dalla cultura moderna che non fa davvero molto per valorizzare il perdono; il più delle volte anzi legittima il rancore e la vendetta. Ma continuando su questa via certamente il male non diminuirà nel mondo. Alcuni lo hanno capito e lo testimoniano con i fatti.

Eventi che richiamano ad abitare la propria vita interiore
Due eventi per tutti:

1-    Il 17 agosto 2012 l’appello congiunto cattolico-ortodosso – il primo del genere firmato da due Chiese – ai popoli della Russia e della Polonia “affinché preghino per ottenere il perdono dei torti, delle ingiustizie e di tutti i mali inflitti reciprocamente nel corso dei secoli”. La preparazione dell’evento era in corso da tre anni. Presenti, in un clima di forte emozione, le più rappresentative autorità delle due Chiese, insieme a numerosi membri del governo polacco, a intellettuali e uomini di cultura. Il “documento non cambierà gli uomini una volta per sempre, ma sarà un documento fondamentale al quale si farà riferimento nei secoli futuri”. Chissà, forse diventerà per tanti l’occasione per decidere se manifestare concretamente sostegno alle tante popolazioni che oggi stanno vivendo in situazioni di conflitto e di emergenza umanitaria!

2-    La comunità ecumenica di Taizè, nata in Francia per creare segni di riconciliazione nei Paesi che avevano sofferto la guerra mondiale, festeggia il cinquantesimo di fondazione. Frère Roger, ricordando quegli inizi, chiarì gli obiettivi della Comunità con queste parole: “Penso che dalla mia gioventù non mi abbia mai abbandonato l’intuizione che una vita di comunità poteva essere un segno che Dio è amore, e amore soltanto. A poco a poco cresceva in me la convinzione che era essenziale creare una comunità con uomini decisi a donare tutta la loro vita, e che cercassero sempre di capirsi e riconciliarsi: una comunità dove la bontà del cuore e la semplicità sarebbero al centro di tutto.” Chi da allora visita la comunità e la Chiesa di Taizè, ricorda la propria chiamata alla riconciliazione e la cerca per realizzarla aprendo il proprio cuore e il proprio spirito a tutti, a cominciare dai più vicini.

E nel nostro piccolo?
In ogni situazione riconciliarsi significa – in partenza – riuscire a prendere contatto con se stessi, con il proprio corpo così come è diventato nel tempo, con la storia della propria vita e con i propri lati oscuri e ombre, senza far finta che ferite e offese ricevute non siano state. …Solo a questo punto ci si ritrova in grado di entrare in relazione con gli altri e con Dio, se davvero lo si vuole.

Si avvia così quel processo circolare, reciproco e interattivo che è sfida continua a dire sì a ciò che vorrei far finta di non vedere e che richiede umiltà sempre in prova. Ma è la verità che ci farà liberi, come Gesù ci ha promesso (Gv 8,32).

Il processo del perdono richiede tempo…
Mi sono sentito abbandonato, sminuito, non preso seriamente in considerazione… Se qualcuno ci ha ferito e fatto soffrire, probabilmente esprimeremo con parole simili i sentimenti che ci ritroviamo dentro. Potremo anche decidere di ignorare tali emozioni, ma questo non le fa diminuire. È necessario invece lasciare al dolore il tempo necessario ad una sana metabolizzazione, senza scusare troppo presto la persona che ce lo ha provocato.

Anche la collera ha un ruolo positivo nel processo del perdono: fa prendere una sana distanza rispetto all’altro. Il che non significa autorizzare se stessi a gridare, o mettersi a ripagare con la stessa moneta, ma acquisire la consapevolezza che non ho bisogno dell’altro perché la mia vita si svolga positivamente. Tale consapevolezza permette anche di guardare con maggiore oggettività a ciò che è accaduto e di comprendere meglio il motivo per cui il comportamento dell’altro mi ha fatto soffrire tanto. Chissà, forse ha toccato in me un’antica piaga, un posto dove non mi sono ancora riconciliato con me stesso… A questo punto sono in grado di rinunciare a girare attorno alle mie ferite e a rimuginare sul passato.

Non si tratta – come si può facilmente capire – solo di una tecnica. È invece un’arte che non lascia immutata la persona, perché una cosa è certa: se là dove mi hanno ferito crollano le mie maschere, posso finalmente mettermi in contatto col mio vero . Ciò che mi fa soffrire infatti mi fa anche sentire vivo e mantiene sveglia nel cuore la nostalgia di Dio e del Suo Amore pieno e gratuito. Il discepolo insomma è invitato a mettersi in gioco e a dare quel poco che ha. Il resto lo farà Dio, che ci dona energie nuove insieme alla fiducia di poter imprimere in questo mondo la traccia inconfondibile e personale della propria vita.

Riconciliarsi con Dio
La riconciliazione, di cui oggi abbiamo grande bisogno – per dirlo ancora in sintesi – è un agire di Dio che apre la persona alla fede e la scardina dalle sue abitudini. È troppo bella l’esperienza di presentare a Dio tutto quello che c’è dentro di sé affidandosi al Suo mistero inafferrabile; sentirsi, anche se solo per qualche istante, una sola cosa con Lui, con tutto ciò che esiste e con quello che egli ha ci ha riservato.

Dio si serve di mezzi umanamente inattesi per invitarci a questo, ma tocca a ognuno riconoscere e rispondere alla Sua azione, accettando la fatica di liberarci dalle false immagini che di Lui e di noi stessi ci resistono nel cuore per poi ‘risorgere’ in tante occasioni.

Sì, solo la fiducia nella piccolezza è capace di spostare la montagna dell’orgoglio e della paura. Ed è la piccolezza che rende veramente capaci di riconciliazione e di condivisione.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

“Il benessere pesa”

Senza categoria | Posted by usmionline
set 18 2012

Alcune parole di un uomo che ha uno sguardo sempre ‘un poco oltre’, non teme di porre sul tappeto problemi scottanti e spinge chi accetta di lasciarsi interrogare a guardare lontano.

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote mentre l’apparato burocratico della Chiesa lievita … Noi ci troviamo come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo» (C. M. Martini).

Sono parole che solo chi – come il cardinal Martini ha dato ad esse spessore con la propria vita, amando e servendo con tutto se stesso – può consegnare con libertà a tutti come un testamento. Noi vorremmo almeno essere capaci di riflettervi un po’ insieme per raccogliere, con il suo lamento per una Chiesa «stanca»:
-      l’invito a «liberare la brace dalla cenere» perché quest’ultima non abbia a seppellirci;
-      il bisogno di essere «uomini che ardono in modo che lo Spirito possa diffondersi ovunque»;
-      l’esortazione alla «fede, fiducia e coraggio»;
-      le domande: «Come mai non ci si scuote? Abbiamo paura?» e «Io che cosa posso fare per la Chiesa?».

La stanchezza amica…
Difficoltà, tensioni, ambiguità attraversano la vita comunitaria di tutti, credenti e non. E nemmeno la preghiera di chi crede preserva dalle difficoltà e dalle contraddizioni. Solo orienta il cuore perché la persona possa attraversare e portare tutte le realtà della sua vita in una libertà interiore sempre più profonda. La fede guida a resistere a quel senso di impotenza che a volte ci assale e guida a relativizzare il proprio vissuto per essere capaci di orientarlo a ciò che non passa.

La sensazione di stanchezza allora – qualunque ne sia la causa – costituisce per ognuno l’occasione di riflettere in modo nuovo sulla propria vita e su ciò che in essa conta davvero; sprona a domandare a se stessi che cosa si desidera esprimere con la propria esistenza, sapendo che ciò che conta non è fornire prestazioni e sforzarsi, ma è ’essere’, ed ’essere’ per grazia di Dio. La verità del proprio cuore in realtà non si mette in scena e nemmeno dipende dagli applausi o dai fischi finali degli altri, ma deriva solo dallo sguardo intimo e ardente del ‘re’ che è in noi (cfr. Sal 44,12). La stanchezza, quindi, si rivela amica perché introduce alla propria verità, al mistero di Dio e dell’essere umano.

… e la sfida a cambiare
La coscienza, pur gradualmente acquisita, della fugacità della vita propria e di quella di quanti e di quanto circonda ognuno, permette di discernere ciò che è essenziale, e di maturare in una più vera libertà di scelta. È importante non identificarsi troppo con la scena che fa da sfondo alla propria esistenza e porre comunque su chi ci vive accanto nel quotidiano uno sguardo fiducioso che aiuti l’altro a rivelarsi.

La preghiera e persino la decisione di voler seguire Gesù come discepoli non automatizzano scelte e decisioni della persona; solo l’accompagnano, orientano  e sostengono nel suo processo di crescita. E il fatto che il Signore Gesù trascorra un’intera notte nella preghiera prima di scegliere i suoi apostoli indica chiaramente al credente come sfuggire all’illusione di poter scegliere a partire solo da se stesso. È la relazione con il Padre in realtà che colloca nel giusto cammino della vita perché permette di cogliere la verità delle cose e, soprattutto, la verità delle persone. Radicare il proprio personale percorso in una relazione intima con il Padre dà infatti ai giorni che ci è dato di vivere il giusto orientamento e il ritmo giusto al passo. Un ritmo che è e rimane infinitamente rispettoso del mistero dell’altro, e nello stesso tempo non smette mai di essere fedele al mistero di se stessi.

Solo l’amore vince la stanchezza
Il cardinal Martini, sempre aperto all’ascolto per intuire la presenza di Dio ovunque e in chiunque, si è lasciato condurre ed è stato condotto dalla Parola a parlare al cuore della gente, superando così divisioni e steccati, nella libertà di uno sguardo non condizionato dalle strutture e dalle tradizioni. Egli non voleva che tutti pensassero come lui, ma semplicemente che pensassero. E per questo la nostra società, assetata di rapporti veri, lo ha capito.

Contro la stanchezza della Chiesa che siamo noi, egli consiglia a ognuno tre strumenti di guarigione molto forti.
Il primo è la conversione (di sguardo e di cuore), che richiede prima di tutto l’impegno a riconoscere i propri errori e poi a ricominciare ogni giorno il percorso per un cammino radicale di cambiamento.
Il secondo è la Parola di Dio che “è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti”. Chi percepisce nel suo cuore questa Parola e vi dimora con assiduità riuscirà a rispondere alle domande personali con giuste scelte. Dal momento che nessuna regola o legge può sostituirsi all’interiorità dell’uomo “se la vita interiore è nulla, per quanto si abbia zelo, buone intenzioni e tanto lavoro, i frutti sono nulli ” (Charles De Foucauld). Solo l’amore – ricorda con insistenza C. M. Martini – è più forte del sentimento di sfiducia e vince ogni delusione e stanchezza.
Il terzo è la forza che viene agli uomini dai sacramenti nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita.

Sono ‘strumenti di guarigione’ sempre necessari e particolarmente utili oggi, mentre la Chiesa si accinge a celebrare il Sinodo generale dei vescovi sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, quando tutti i cristiani sono chiamati a trovare risposte adeguate alle nuove sfide per la Chiesa.

Nel tempo della nuova evangelizzazione
Per non reagire con durezza o con aridità a certe realtà difficili; per non scaricare su altri le proprie responsabilità; per raggiungere in modo convincente il cuore della gente, è necessario insomma che il cuore di ognuno sia pieno di Cristo e che parli a partire da questa pienezza.  La sfida a cambiare richiede perciò a tutti la conversione  e senza non ci potrà essere alcuna nuova evangelizzazione. Poi si potrà evangelizzare anche per contagio, come si esprimeva Martini. Un contagio senza parole. Un po’ come un sorriso genera un altro sorriso. 

Fratello nostro, Carlo Maria Martini, il nostro grazie a te che in modo esemplare hai perseguito la verità anche là dove l’ambiente non era favorevole, sempre pronto all’ascolto e al dialogo. Grazie per le tue parole chiare, semplici e vitali, che traducono per il nostro oggi il messaggio antico e sempre nuovo di Dio. Ti abbiamo amato, fratello nostro! Per il tuo sorriso e la tua parola, per il tuo chinarti sulle nostre fragilità e per il tuo sguardo capace di vedere lontano, per la tua fede nei giorni della gioia e in quelli del dolore, per la tua arte di ascoltare e di dare speranza a tutti. Ora che sei presso Dio, che opera in tutti e per tutti vuole che camminiamo verso l’amore, ci affidiamo alla tua intercessione: chiediGli per noi che insegni al nostro cuore dove e come cercarLo ogni giorno, dove e come trovarLo!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Prossimi e…distanti

Senza categoria | Posted by usmionline
set 06 2012

Nell’epoca del “calcolo” e del non-amore, anche la diversità e il conflitto possono essere vissute come opportunità positive per crescere in umanità.

Nell’epoca del non-amore…
Una smisurata mancanza di contatto umano caratterizza questo nostro tempo a tutti i livelli e si riverbera inevitabilmente in una conflittualità più o meno evidente nei rapporti con se stessi e con gli altri. Viviamo in un contesto, diventato quotidiano, portato più allo scontro che al dialogo, più teso a vincere sull’avversario che a risolvere il problema. Davvero oggi quello che ognuno soprattutto sembra aver bisogno di sentire, o di credere di sentire, è che qualcuno ha bisogno di lui. Nello stesso tempo è possibile udire ciò che risuona all’esterno nella misura in cui si porge fedelmente ascolto al proprio intimo. Ma non è “ridicolo questo bisogno di comunicare”?! “perché deve  essere tanto importante che almeno una persona abbia guardato dentro la tua vita?”, si chiedeva D. Hammarskjold. E poi: è proprio vero che solo chi ascolta può parlare?… Una cosa è certa: “Non sapendo da noi stessi chi siamo, possiamo apprenderlo solo da Dio” (Blaise Pascal).

e del calcolo
Qualcuno ha definito quella in cui viviamo‘epoca del calcolo’. Un tempo iniziato quasi in reazione e rivincita sul cammino intravisto nel secolo scorso e avviato da tanti con sacrificio personale, impegno ed entusiasmo – a livello personale e politico – per il riconoscimento dei diritti di tutti e una vera crescita in umanità.  

Oggi astuzia politica e corruzione culturale hanno velocemente modificato la qualità della convivenza e avviato appunto l’epoca del calcolo. Così siamo arrivati al punto che chi può fa e chi è forte ha diritto. Si fa politica per sé e non per tutti. Non ci si fa scrupolo di saccheggiare l’ambiente della vita se questo serve per arricchirsi. Si gestisce l’economia come profitto a scapito degli ultimi, invece che come risposta ai bisogni del vivere umano di tutti. Insomma: un tempo di non-amore civico e politico.

In tale situazione, oggi, chi è che ce la fa? Certo chi ha famiglie economicamente forti alle spalle…e non sempre sono i migliori.

I giovani
“Non lasciate che le forme associative in cui i giovani amano organizzarsi siano fuochi di paglia che subito si spengono disperdendo energie preziose”, ci ammoniva già Giovanni Paolo II. Non ci conoscono dicono i giovani degli adulti – non sanno perché siamo tutti su Internet, perché in tanti siamo tornati ad appassionarci di politica e lottiamo per difendere i beni comuni… In effetti osservando i giovani del nostro tempo nel loro insieme possiamo rilevare che emerge in essi il desiderio di fare comunità e anche l’ansia di sperimentare il valore della vita comune. Certo ci può capitare di vederli gonfi di tante esperienze e di saperi, veri o presunti, ma è altrettanto certo che essi hanno rispetto per la natura e rifiutano istintivamente tante forme di violenza. Ricercano vie concrete verso la pace e non rinunciano all’azione perché non hanno timore di sporcarsi le mani per spendersi generosamente per qualche cosa che vale. Così spesso ottengono molto di ciò che vogliono e a volte anche di ciò che desiderano. È facile comunque trovarli impegnati in progetti aperti al servizio. Strano può sembrare allora che nel vortice della molteplicità di impegni e di informazioni e con la facilità di comunicazione data dall’evoluzione degli attuali mezzi, i giovani vivano una dilagante solitudine. Troppo spesso faticano infatti a condividere le regole necessarie allo stare con gli altri, in un crescendo di relazioni conflittuali e di mancanza di ascolto reciproco, sia con i coetanei che con gli adulti. Forza e fragilità insomma contraddistinguono i nostri ragazzi.
Ma noi adulti, che li vorremmo fin da piccoli primi in tutto e non ci facciamo scrupolo di riempire la loro agenda di impegni fino a privarli della loro spensieratezza, noi che tanto spesso li sopravvalutiamo e li viziamo anche… non siamo proprio noi a comportarci da eterni adolescenti fino a disorientarli?

Il conflitto necessario
Sperimentiamo un po’ tutti – senza grandi differenze per ‘diritto’ di anagrafe – la frenesia del dover comunicare sempre, dovunque e comunque nel minor tempo possibile. Nel fenomeno Facebook ed SMS l’uomo tecnologico di oggi promuove una comunicazione veloce all’insegna… dell’economia. Paradossalmente però in questa frenesia di contatti la relazione si impoverisce e si frammenta…E quando ci si incontra, la fatica di parlarsi senza abbreviazioni e senza cellulare, con la calma di chi sa ascoltare e sa capire oltre le parole, è ancora più grande e incerta nei risultati. La posta in gioco è decisamente alta. Così, immersi nella bufera della storia quotidiana, ci ritroviamo tanto spesso a gridare Non ce la faccio più!!

La vita però si gioca nel fidarsi, nell’essere leali nei conflitti e anche nel renderli aperti per uscirne. D’altra parte paura e fiducia non stanno insieme e fuggire raggomitolandosi nella natura umana calcolatrice e diffidente è tagliare alla radice il movimento di fiducia nella VITA.

Ma nella nostra società si fa anche di peggio quando non ‘si lotta’ con le persone che ci rendono la vita difficile, si rifugge da ogni conflitto, non ci si schiera contro nulla, ci si sforza di essere aperti a tutto, disposti a qualunque compromesso… Questo viene chiamato ‘tolleranza’ e capacità di accogliere, ma in fondo è solo disinteresse e mancanza di rispetto. Invece il rispetto per chi sentiamo ostile – quello offerto,anche se non ricevuto! – aiuta a integrare la propria aggressività e forse predispone a un rapporto migliore. Prossimità e giusta distanza certamente sono necessari – in ogni tempo e soprattutto oggi – ad ogni rapporto autentico.

Litigare fa bene alla libertà
È proprio inevitabile che il litigare porti con sé tensione, disaccordo, rabbia, ansia? Certo il valutare, interpretare, sostenere portano facilmente al blocco difensivo, alla sfiducia, alla frustrazione…Eppure è necessario riconoscere e non rimuovere queste emozioni e sentimenti. Se un conflitto, infatti, viene sopito senza essere compreso, che cosa può garantirci che non ne possa nascere un altro, magari con diversi protagonisti e diversi contenuti?

Litigare fa bene alla libertà, diceva Nicola Abbagnano. E la discordia di opinioni non crea necessariamente contese inutili o pericolose. Ma questo solo se esse non sono – contemporaneamente – espressione di  intolleranza e arroganza. Il fatto è che ogni incontro reale esige una buona dose di lotta e persino di contraddittorio, e una vera avventura d’incontro è impossibile senza un altrettanto vero ‘scontro’. Ognuno infatti è una persona a sé e ha diritto a soddisfare i propri specifici bisogni, che talvolta contrastano o comunque non coincidono con quelli degli altri.

Nella nostra società è prevalente l’orientamento per cui, in presenza di conflitti di valori o di idee, necessariamente uno debba perdere e l’altro vincere. Così c’è chi si relaziona anteponendo il proprio bisogno come dominante (e lo fa con atteggiamento aggressivo!) considerando soluzione accettabile solo quello che è meglio per lui. E c’è chi per quieto vivere, in partenza è disposto a cedere su tutto…In fondo è facile essere gentili con chiunque anche solo per mancanza di carattere. Ma comunicare non è mai un fatto unilaterale, o di potere, e incontrarsi non è certo una cerimonia formale magari minuziosamente regolata in anticipo.

Se si vuole imparare ad incontrarsi, sapienza è nella capacità di leggere e interpretare il reale, perché verità e amore sono la stessa cosa e in essi ogni istante della vita ha il respiro dell’eternità.

Allora, con lo sguardo gettato verso l’Oltre al di là della nostra finitezza, e confidando – più che sulle parole – nel linguaggio dei piccoli e grandi gesti concreti e quotidiani, è necessario imparare a farsi prossimi in nome della fiducia impegnandosi a far circolare il bene e i beni. E farlo “non con tristezza e per forza, ma volentieri e con gioia (2 Cor 9,7).

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Sentirsi a casa nel mondo

Senza categoria | Posted by usmionline
ago 21 2012

Il dono più grande che ognuno può ricevere nella nostra fragile esistenza, quello che rende una vita riuscita e piena, è sentirsi a casa nel mondo. Il che sembra proprio non dipendere dalla ricchezza o dalla povertà e nemmeno dalla salute o dalla malattia…

Valori olimpici alla prova della vita
Le Olimpiadi 2012 – il più grande evento globale di cui abbiamo esperienza, nato per favorire la pace, che ancora una volta ha affascinato e coinvolto il mondo intero anche al di là del puro spettacolo sportivo – si sono concluse, mentre nel mondo non cessa la triste sequenza di morti e feriti.

Tante le medaglie conquistate ai giochi di Londra. Ognuna a conclusione di un cammino personale tenace, sempre orientato a dare il meglio di sé anche di fronte alle possibili sconfitte. Ognuna al termine di percorsi segnati da faticosi e costanti esercizi. Impegno, creatività, tenacia… quando si impara a battersi in maniera leale e nel massimo rispetto delle regole e dell’avversario, i risultati ci sono, anche se non si traducono in medaglie! In ciò è la speranza che i valori olimpici incontrati dietro e dentro le competizioni (rispetto di se stessi, degli altri, dei ruoli e delle regole, rispetto dell’ambiente…) non vengano cancellati nel nostro mondo. È possibile costruire un mondo migliore attraverso la solidarietà, lo spirito di squadra, la gioia e l’ottimismo, perché dei valori autenticamente umani, per quanto essi possano risultare a volte scomodi alle istanze del potere o dei business, non ci si riesce a “liberare”.

Ci chiediamo se è concretamente possibile operare a livello di società civile per influenzare le politiche nazionali attraverso lo sport; creare un efficace movimento di pressione transnazionale per la promozione dei valori olimpici non solo in campo sportivo… E prima ancora ci chiediamo: dato che i valori non sono niente altro che ciò che ciascuno trova prezioso, allora quanto conta essere e dare il meglio di sé nella vita di tutti i giorni?

I Giochi olimpici ci lasciano insomma interrogativi radicali che toccano la fragilità della nostra esistenza e, insieme, il futuro che è affidato ad ognuno.

Vite riuscite
“… Forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di turbamento o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a chiedervi: in che consiste una vita riuscita?” (Benedetto XVI ai giovani). La consapevolezza di essere liberi di dare una direzione alla nostra vita in realtà ci distingue da ogni essere vivente sulla terra. Il cristiano inoltre sa che la qualità del presente (e perciò anche del futuro!!) nasce dalla tensione fra quotidiano e regno di Dio. Il regno di Dio infatti orienta e mobilita l’uomo nella storia come un mistero che attraversa il cuore, come un disturbo da accogliere e una libertà da cogliere… Chi però decide di cercare e di rispondere al grande perché della vita scopre che essa è un dono e contemporaneamente un compito e una responsabilità.

Se si ama è spontaneo dare il meglio di sé e sentirsi a casa nel mondo. Il segreto di una vita riuscita è ‘impegnarsi ad agire per ciò che ami e amare ciò per cui ti impegni’ (F. M. Dostoevskij); è impegnarsi per un amore genuino e amare il percorso che conduce a quell’amore. Se l’amore è vero, profondo, sincero, la strada che permette di raggiungerlo è, sì, faticosa, aspra e anche irta di ostacoli, ma, amando, tutto diventa superabile. In una vita così si è felici di esserci perché se ne conosce il senso e, insieme, si sperimenta che esso non ci viene regalato automaticamente.

Il problema vero è che nel tran tran dei nostri giorni ‘normali’ è facile perdere di vista le cose che davvero contano. Senza considerare che non è nemmeno sempre facile capire che cosa per uno è importante, quali valori e mete realmente inseguiamo nella nostra esistenza… Per fare solo un esempio: pensiamo che la sincerità sia un valore importante, eppure facilmente ci sorprendiamo ad esagerare se non addirittura a mentire quando questo appare più semplice o più vantaggioso… Ma se non è chiaro che cosa conta nella vita, viene a mancare anche il fondamento per ogni scelta.

Una dinamica di speranza non scontata
Così nel nostro mondo – che considera la libertà soprattutto come pura rivendicazione di  autodeterminazione, come diritto e premessa per una realizzazione personale – molte sono le possibilità di fuga dalla domanda di senso. In tale situazione è facile lasciarsi ipnotizzare da frenetiche attività che si susseguono una all’altra, lasciarsi bloccare dalla paura del fallimento e  dell’ignoto, che può diventare il vincolo più forte a rimanere fermi là dove si è, con le abitudini e le cose che conosciamo anche se forse non ci piacciono… Deve essere terribile essere senza sapere perché, sentire la condizione umana girare attorno alla morte e conoscere in sé un pianto che non ha più lacrime… Non per niente la depressione è ‘la’ malattia del nostro tempo. Ma se la riuscita e il successo non sono mai definitivi, nemmeno la paura del fallimento è fatale. ‘Ciò che conta è il coraggio di andare avanti’ (Winston Churchill).

 

Succede però anche che l’esperienza di una malattia più grave delle altre, o la morte di un proprio caro, o un incontro particolare o più semplicemente l’inspiegabile senso di vuoto dopo una serata di divertimenti, facciano rinascere nel cuore l’interrogativo fatidico: ma che senso ha?

Senso cristiano della croce
Forse siamo arrivati davvero a un punto tale per cui, se vogliamo trovare un po’ di autentica umanità, bisogna andare a cercarla senza paura nelle situazioni limite: tra i disabili, i malati terminali, i carcerati… Paradossalmente oggi un messaggio di speranza sembra venire proprio da madri che accudiscono figli handicappati, da famiglie che curano in casa parenti in stato vegetativo, o da nipoti che accudiscono nonni anziani. È sorprendente come in queste situazioni emerga spesso una fiducia e una pienezza di vita, che non si trovano invece nelle cosiddette condizioni “normali”. Questo forse semplicemente perché la fragilità e anche i fallimenti sono tracce sincere di umanità… In fondo si tratta del mistero della croce, la verità cristiana tanto decisiva per la comprensione di sé, del mondo e dell’uomo. E se la speranza di poter cancellare la propria disperazione e il proprio dolore può togliere a volte persino la voglia di vivere, nel mistero della croce la persona trova invece la sua forza proprio nella consapevolezza di potersi rompere, nel sentimento autentico e per niente retorico della propria insufficienza che si apre così ad accogliere e ad essere accolto. Allora, “se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile” (Ger 15,19), quella fragilità si colora di forza, vive e si fa storia.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Turismo del macabro

Senza categoria | Posted by usmionline
ago 09 2012

Il bisogno di dire ‘io c’ero, ho visto…’ in quei luoghi tristemente famosi, dove si sono verificati fatti terribilmente tragici, è specchio dei tempi, o espressione di una umanità in decadenza?

Specchio dei tempi…
Forse già 2000 anni fa Lucrezio aveva visto giusto quando, nel De Rerum natura, scriveva che è piacevole osservare, dalla riva, una nave che cola a picco “non perché rechi piacere che qualcuno si trovi a soffrire, ma perché è dolce scorgere i mali dai quali siamo liberi”.

Il relitto della Costa Concordia, adagiato ormai da mesi sulla scogliera dell’isola del Giglio, continua a registrare folle di curiosi che vengono anche da lontano per osservarlo dal vero, gruppetti che scambiano il gigante bianco per il monumento simbolo di una grande città da immortalare durante una gita, persone che cercano di farsi inquadrare da qualche telecamera in azione mentre passeggiano ‘del tutto casualmente’ davanti alla scena della sciagura, e persino coppie che sulla stessa scena fanno uno spuntino, come in una gita fuori porta, e poi si godono il macabro spettacolo…

…o espressione di una umanità in decadenza?
I “turisti dell’orrore”, oggi in costante aumento forse anche a causa della grande attenzione riservata dai mezzi di comunicazione ai casi di cronaca più efferati, sono forse semplicemente sciacalli della sofferenza altrui? Certo accade sempre più spesso che tanti nostri contemporanei per curiosità, scelgono di muoversi in vacanza verso luoghi che trasudano tristezza e dolore. L’obiettivo più o meno consapevole: poter rivivere (ma comodamente e senza pericoli!!) un pezzetto della tragedia che ha portato quei luoghi alla ribalta della cronaca.

I viaggi dell’orrore
Secondo gli studiosi del comportamento umano il fenomeno non è poi così insolito. E più fortemente sente il bisogno di poter dire “io c’ero, ho visto…” chi è più suggestionabile dal punto di vista emotivo.

Intendiamoci: esistono luoghi – come i campi di concentramento o i campi di battaglie famose che sono parte del nostro bagaglio storico e culturale – che vanno visitati per comprendere meglio le radici della civiltà in cui siamo immersi. Curiosità macabra invece è quella riferita a luoghi ‘famosi’ per violenze e omicidi, eventi drammatici fini a se stessi, senza relazione con la storia del Paese. Le mete principali  di questi ‘viaggi’ sono i luoghi colpiti da catastrofi naturali, come negli ultimi tempi le zone terremotate dell’Emilia, e quelle case private, quelle strade dove si è consumato appunto qualche delitto (Cogne, Avetrana…). La dinamica è sempre la stessa: si sceglie un luogo che abbia avuto forte risonanza mediatica e reso celebre da telegiornali e quotidiani; ci si documenta e poi si parte, considerando la meta un po’ come un set cinematografico.

Perché si sviluppa tale curiosità macabra?
In fondo si tratta di un modo per essere, se non protagonisti, almeno comparse in un ‘film drammatico’. Ci si stringe gli uni agli altri, con la voglia di spiare, scrutare; con il desiderio di cogliere qualche dettaglio nascosto, cercando di vivere una realtà che non si percepisce totalmente.

Si vive di riflesso la vita altrui, mossi da una curiosità che è radicata nel profondo egoismo esistenziale, forse per noia, forse per abitudine, forse solo per esorcizzare la propria paura della morte. Non è un’altruistica volontà di partecipazione al dolore degli altri a spingere verso il turismo del macabro. Più realisticamente questi ‘viaggi’ sono espressione di una crescente povertà interiore.

Fra sogni e incubi
Un fatto è certo: nel nostro tempo ci ritroviamo sempre un po’ più soli. Ognuno con il suo carico di drammi esistenziali e di decisioni da assumere; ognuno con la sua fatica a entrare in relazione con l’altro e con le luci e le ombre di un tempo nuovo da affrontare. Certamente non sempre siamo in grado di vivere, per il presente e per il futuro, quella responsabilità che Max Weber affidava all’uomo come compito suo proprio.

Il mistero allo stesso tempo attrae e respinge. Incuriosisce e impaurisce. Affascina e spaventa. L’orrore, in qualche modo, bypassa la mente analitica e la rende più manovrabile, come una triste voce nel silenzioso vuoto che riempie i giorni di molti.

È facile in tale situazione abbandonarsi a forme illusorie di superamento dei problemi. Così qualcuno, stando dalla parte del potere, si è convinto che gli incubi sono necessari quanto i sogni. Necessari al potere perché capaci di trasformare l’identità di una persona in un cumulo di emozioni e di sensazioni, che molto raramente si traducono in pensieri e comprensione dei fatti. Nessuna fatica quindi. E niente di più produttivo in un sistema come il nostro che mira ad essere dominato dal consenso. O almeno dalla dissuasione.

Nomadi di senso. In cammino
Invece è bellissimo guardarsi in volto al mattino e riconoscersi senza dover indossare delle maschere per sembrare adeguati a ciò che altri si aspettano da noi. Ma forse è necessario cambiare per sperimentare questo. Occorrono nuove strategie dello stare insieme e aiutarsi reciprocamente nell’avventura esistenziale. Le parole certo sono poca cosa. Ma anche una parola può essere qualcosa di utile se la si tira fuori dal proprio dolore e dalla voglia che l’uomo viva meglio e sia più uomo, meno ubriaco di illusioni e di inganni, fatti e subiti. È la fragilità, infatti, che, riconosciuta in sé e accettata, genera saggezza. E la saggezza avvicina alla serenità. Il senso di perfezione invece produce soltanto potere.

Certamente cambiare si può. Ma cambiare esige sempre fatica della mente e apertura del cuore: l’unica fatica capace di mantenere aperto l’orizzonte del possibile che è anche orizzonte del futuro.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it