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PAPA BENEDETTO E LA VITA CONSACRATA

Senza categoria | Posted by usmionline
feb 21 2013

Profonda emozione per la sua statura morale e grande tenerezza per il suo aspetto fisico segnato dalla fragilità dell’età avanzata, sono i sentimenti che più volte ho provato nell’avvicinarmi a Papa Benedetto quando, in alcune occasioni, ho avuto la gioia di incontrami con lui. Ed ora, presente alla solenne celebrazione eucaristica in San Pietro il 2 febbraio scorso – festa della vita consacrata – non avrei certo potuto immaginare che sarebbe stata l’ultima volta che il mio sguardo si sarebbe incontrato con il suo mentre, tra le centinaia di suore che mi circondavano, qualcuna esclamava a gran voce: “Grazie, Santità!”.
Davvero GRAZIE, Papa Benedetto, per il messaggio che hai voluto consegnarci in questo ultimo 2 febbraio. Lo portiamo nel nostro cuore come un dono prezioso, quasi un’eredità spirituale che proviene dal tuo amore per noi.

Lo riascoltiamo per coglierne la profondità e fissarlo nella memoria.

“Vi invito in primo luogo ad alimentare una fede in grado di illuminare la vostra vocazione. Vi esorto per questo a fare memoria, come in un pellegrinaggio interiore, del «primo amore» con cui il Signore Gesù Cristo ha riscaldato il vostro cuore, non per nostalgia, ma per alimentare quella fiamma. E per questo occorre stare con Lui, nel silenzio dell’adorazione; e così risvegliare la volontà e la gioia di condividerne la vita, le scelte, l’obbedienza di fede, la beatitudine dei poveri, la radicalità dell’amore. A partire sempre nuovamente da questo incontro d’amore voi lasciate ogni cosa per stare con Lui e mettervi come Lui al servizio di Dio e dei fratelli (cfr. Vita consecrata, 1).

In secondo luogo vi invito a una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. Proprio nel limite e nella debolezza umana siamo chiamati a vivere la conformazione a Cristo, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo, la perfezione escatologica (ibid.,16). Nelle società dell’efficienza e del successo, la vostra vita segnata dalla «minorità» e dalla debolezza dei piccoli, dall’empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione. 

Infine, vi invito a rinnovare la fede che vi fa essere pellegrini verso il futuro. Per sua natura la vita consacrata è pellegrinaggio dello spirito, alla ricerca di un Volto che talora si manifesta e talora si vela: «Faciem tuam, Domine, requiram» (Sal 26,8). Questo sia l’anelito costante del vostro cuore, il criterio fondamentale che orienta il vostro cammino, sia nei piccoli passi quotidiani che nelle decisioni più importanti. Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti.

La vita consacrata nel pensiero del Papa
Ripercorrendo a grandi linee questi otto anni di pontificato, possiamo notare che la vita consacrata, nelle parole del Papa, viene ricondotta al suo nucleo originale che è la forma di vita assunta dal Cristo. L’approccio cristologico è costantemente richiamato.

Il primato di Dio
Nell’omelia del 2 febbraio 2006 Papa Benedetto afferma: “Come la vita di Gesù, nella sua obbedienza e dedizione al Padre, è parabola vivente del “Dio con noi”, così la concreta dedizione delle persone consacrate a Dio e ai fratelli diventa segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi. Il vostro modo di vivere e di operare è in grado di manifestare senza attenuazioni la piena appartenenza all’unico Signore; la vostra completa consegna nelle mani di Cristo e della Chiesa è un annuncio forte e chiaro della presenza di Dio in un linguaggio comprensibile ai nostri contemporanei. È questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All’interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia”.

          Il 22 maggio del medesimo anno parlando ai superiori e alle superiore generali, conferma: “Appartenere al Signore vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere trasformati dallo splendore della sua bellezza; la nostra piccolezza è offerta a Lui come sacrificio di soave odore, affinché diventi testimonianza della grandezza della sua presenza per il nostro tempo che tanto ha bisogno di essere inebriato dalla ricchezza della sua grazia”.

         Il 2 febbraio 2010, dopo aver ricordato il significato della celebrazione, aggiunge: “La vita consacrata, testimonia ed esprime in modo “forte” proprio il cercarsi reciproco di Dio e dell’uomo, l’amore che li attrae; la persona consacrata, per il fatto stesso di esserci, rappresenta come un “ponte” verso Dio per tutti coloro che la incontrano, un richiamo, un rinvio. E tutto questo in forza della mediazione di Gesù Cristo, il Consacrato del Padre. Il fondamento è Lui! Lui, che ha condiviso la nostra fragilità, perché noi potessimo partecipare della sua natura divina”.

Importanza della Parola di Dio
Grande importanza Papa Benedetto ha dato alla pratica della lectio divina poiché la vita consacrata nasce dall’ascolto della Parola. Nell’omelia del 2 febbraio 2008 afferma: “Lo Spirito Santo attira alcune persone a vivere il Vangelo in modo radicale e a tradurlo in uno stile di sequela più generosa. Ne nasce così un’opera, una famiglia religiosa che, con la sua stessa presenza, diventa a sua volta “esegesi” vivente della Parola di Dio. Cari fratelli e sorelle, nutrite la vostra giornata di preghiera, di meditazione e di ascolto della Parola di Dio. Voi, che avete familiarità con l’antica pratica della lectio divina, aiutate anche i fedeli a valorizzarla nella loro quotidiana esistenza. E sappiate tradurre in testimonianza quanto la Parola indica, lasciandovi plasmare da essa che, come seme accolto in terreno buono, porta frutti abbondanti. Sarete così sempre docili allo Spirito e crescerete nell’unione con Dio, coltiverete la comunione fraterna fra voi e sarete pronti a servire generosamente i fratelli, soprattutto quelli che si trovano nel bisogno. Che gli uomini possano vedere le vostre opere buone, frutto della Parola di Dio che vive in voi, e diano gloria al Padre vostro celeste (cfr Mt 5,16)!”

         Sempre sullo stesso tema nella celebrazione del 2 febbraio 2011 esordisce: “Cari fratelli e sorelle, siate ascoltatori assidui della Parola, perché ogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore! Siate scrutatori della Parola, attraverso la lectio divina, poiché la vita consacrata “nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbediente è in tal modo una «esegesi» vivente della Parola di Dio. Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione, dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica” (Verbum Domini, 83).

I consigli evangelici
  Nell’omelia del 2 febbraio 2009 Papa Benedetto esplicita il significato dei voti religiosi prendendo come paradigma la testimonianza di san Paolo (eravamo nell’anno paolino): “… Dalla sua stessa voce possiamo conoscere uno stile di vita che esprime la sostanza della vita consacrata ispirata ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Nella vita di povertà egli vede la garanzia di un annuncio del Vangelo realizzato in totale gratuità (cfr 1 Cor 9,1-23), mentre esprime, allo stesso tempo, la concreta solidarietà verso i fratelli nel bisogno. Al riguardo tutti conosciamo la decisione di Paolo di mantenersi con il lavoro delle sue mani e il suo impegno per la colletta a favore dei poveri di Gerusalemme (cfr 1 Ts 2,9; 2 Cor 8-9). Paolo è anche un apostolo che, accogliendo la chiamata di Dio alla castità, ha donato il cuore al Signore in maniera indivisa, per poter servire con ancor più grande libertà e dedizione i suoi fratelli (cfr 1 Cor 7,7; 2 Cor 11,1-2); inoltre, in un mondo nel quale i valori della castità cristiana avevano scarsa cittadinanza (cfr 1 Cor 6,12-20), egli offre un sicuro riferimento di condotta. Quanto poi all’obbedienza, basti notare che il compimento della volontà di Dio e l’«assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese» (2 Cor 11,28) ne hanno animato, plasmato e consumato l’esistenza, resa sacrificio gradito a Dio. Tutto questo lo porta a proclamare, come scrive ai Filippesi: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno » (Fil 1,21).

E nel 2012 Papa Benedetto aggiunge: “I consigli evangelici, accettati come autentica regola di vita, rafforzano la fede, la speranza e la carità, che uniscono a Dio. Questa profonda vicinanza al Signore, che deve essere l’elemento prioritario e caratterizzante della vostra esistenza, vi porterà ad una rinnovata adesione a Lui e avrà un positivo influsso sulla vostra particolare presenza e forma di apostolato all’interno del Popolo di Dio, mediante l’apporto dei vostri carismi, nella fedeltà al Magistero, al fine di essere testimoni della fede e della grazia, testimoni credibili per la Chiesa e per il mondo di oggi”.

La vita comunitaria
Riprendendo le affermazioni già scritte in altri documenti del magistero, fin dall’inizio del suo pontificato Papa Benedetto ricorda la particolare importanza della vita comunitaria: “Parte costitutiva della vostra missione è la vita comunitaria. Impegnandovi a realizzare comunità fraterne, voi mostrate che grazie al Vangelo anche i rapporti umani possono cambiare, che l’amore non è un’utopia, ma anzi il segreto per costruire un mondo più fraterno” (10 dicembre 2005).

La missione apostolica
Nel febbraio del 2007 il Papa invita a riflettere come la missione scaturisca dalla contemplazione: “Dedicandovi esclusivamente a Lui, voi testimoniate il fascino della verità di Cristo e la gioia che scaturisce dall’amore per Lui. Nella contemplazione e nell’attività, nella solitudine e nella fraternità, nel servizio ai poveri e agli ultimi, nell’accompagnamento personale e nei moderni areopaghi, siate pronti a proclamare e testimoniare che Dio è Amore, che dolce è amarlo”.

         Nel 2009, portando la testimonianza di san Paolo ai religiosi e religiose raccolte nella basilica di San Pietro, Papa Benedetto afferma: “Altro aspetto fondamentale della vita consacrata di Paolo è la missione. Egli è tutto di Gesù per essere, come Gesù, di tutti; anzi, per essere Gesù per tutti: «Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22). A lui, così strettamente unito alla persona di Cristo, riconosciamo una profonda capacità di coniugare vita spirituale e azione missionaria; in lui le due dimensioni si richiamano reciprocamente. E così, possiamo dire che egli appartiene a quella schiera di “mistici costruttori”, la cui esistenza è insieme contemplativa ed attiva, aperta su Dio e sui fratelli per svolgere un efficace servizio al Vangelo.

Necessità della testimonianza 
Papa Benedetto ha richiamato più volte la necessità della testimonianza autentica della vocazione religiosa. Il 18 febbraio 2008 ai membri della UISG e USG ricorda: “Gli uomini d’oggi avvertono un forte richiamo religioso e spirituale, ma sono pronti ad ascoltare e seguire solo chi testimonia con coerenza la propria adesione a Cristo. Ed è interessante notare che sono ricchi di vocazioni proprio quegli Istituti che hanno conservato o hanno scelto un tenore di vita, spesso molto austero, e comunque fedele al Vangelo vissuto “sine glossa”.

Il 2 febbraio 2010 continuando la riflessione sulla necessità della testimonianza dice: “Le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni della misericordia del Signore, nella quale l’uomo trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del cuore”, del riconoscimento umile della propria miseria, ma, parimenti, rimane una scuola della fiducia nella misericordia di Dio, nel suo amore che mai abbandona. In realtà, più ci si avvicina a Dio, più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri. Le persone consacrate sperimentano la grazia, la misericordia e il perdono di Dio non solo per sé, ma anche per i fratelli, essendo chiamate a portare nel cuore e nella preghiera le angosce e le attese degli uomini, specie di quelli che sono lontani da Dio.

         Segno di contraddizione
Il 2 febbraio 2007 il Papa, consapevole delle difficoltà che i consacrati incontrano nel mondo, asserisce: “Per natura sua la vita consacrata costituisce una risposta a Dio totale e definitiva, incondizionata e appassionata. E quando si rinuncia a tutto per seguire Cristo, quando gli si dà ciò che si ha di più caro affrontando ogni sacrificio, allora, come è avvenuto per il divin Maestro, anche la persona consacrata che ne segue le orme diventa necessariamente “segno di contraddizione”, perché il suo modo di pensare e di vivere è spesso in contrasto con la logica del mondo, come si presenta nei mezzi di comunicazione sociale, quasi sempre. Si sceglie Cristo, anzi ci si lascia “conquistare” da Lui senza riserve”.

         Il Papa non passa sotto silenzio le gravi difficoltà che la vita religiosa odierna si trova a dover affrontare al suo interno, sia per lo scarso numero di giovani vocazioni, sia per l’invecchiamento. Intervenendo su questo tema afferma: “Non lasciatevi scoraggiare, ma affrontate queste dolorose situazioni di crisi con serenità e la consapevolezza che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l’impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è il venir meno dell’adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione” (20 settembre 2008).

Il Papa dimostra sempre grande stima per le persone consacrate e il 2 febbraio 2010 asserisce: “La vita consacrata è importante proprio per il suo essere segno di gratuità e d’amore, e ciò tanto più in una società che rischia di essere soffocata nel vortice dell’effimero e dell’utile (cfr Vita consecrata, 105). La vita consacrata, invece, testimonia la sovrabbondanza d’amore che spinge a “perdere” la propria vita, come risposta alla sovrabbondanza di amore del Signore, che per primo ha “perduto” la sua vita per noi. In questo momento penso alle persone consacrate che sentono il peso della fatica quotidiana scarsa di gratificazioni umane, penso ai religiosi e alle religiose anziani, ammalati, a quanti si sentono in difficoltà nel loro apostolato… Nessuno di essi è inutile, perché il Signore li associa al “trono della grazia”. Sono invece un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, assetato di Dio e della sua Parola”. 

Necessità della pastorale vocazionale
Papa Benedetto all’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su Famiglia e comunità cristiana (6 giugno 2005) invita: Un ultimo messaggio che vorrei affidarvi riguarda la cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: sappiamo tutti quanto la Chiesa ne abbia bisogno! Perché queste vocazioni nascano e giungano a maturazione, perché le persone chiamate si mantengano sempre degne della loro vocazione, è decisiva anzitutto la preghiera, che non deve mai mancare in ciascuna famiglia e comunità cristiana. Ma è anche fondamentale la testimonianza di vita dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, la gioia che essi esprimono per essere stati chiamati dal Signore. Ed è ugualmente essenziale l’esempio che i figli ricevono all’interno della propria famiglia e la convinzione delle famiglie stesse che, anche per loro, la vocazione dei propri figli è un grande dono del Signore. La scelta della verginità per amore di Dio e dei fratelli, che è richiesta per il sacerdozio e la vita consacrata, sta infatti insieme con la valorizzazione del matrimonio cristiano: l’uno e l’altra, in due maniere differenti e complementari, rendono in qualche modo visibile il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo”.

Caro Papa Benedetto, al termine di questa sintesi delle parole che in questi anni hai rivolto a noi, ci sia permesso esprimerti la nostra gratitudine per averci tenute nel tuo cuore e per la stima che ci hai dimostrato. Più volte infatti, nella celebrazione del 2 febbraio, hai affermato che quella era “una preziosa occasione per lodare il Signore del dono inestimabile della vita consacrata alla Chiesa e al mondo”.

Sii certo che sarai sempre presente nella nostra preghiera perché ora la tua vita “nascosta al mondo” è più preziosa che mai per la fecondità spirituale della Chiesa.

A te la nostra eterna gratitudine.

                                               Madre Orsola Bertolotto
Superiora generale Murialdine di san Giuseppe
Consigliera USMI nazionale

Fra conflitti dimenticati e nuovi

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feb 18 2013

Emergenze umanitarie complesse accompagnano infinite situazioni di conflitto armato nel mondo. Ma cosa sappiamo davvero di queste “guerre lontane”? E soprattutto, cosa può fare ognuno di noi? Come?

Venti di guerra nel mondo                       
Spirano periodicamente nel mondo “venti di guerra” fra la pace da una parte e l’economia globalizzata dall’altra. L’una e l’altra insieme non possono essere risolte, perché a favore dell’economia gioca l’interesse dei poteri forti. Questi appoggiano le guerre per sfruttare risorse naturali ed energetiche (petrolio, acqua, terra..), o per esportare armi e continuare così a produrle. Le armi, in realtà, se prodotte e commercializzate in grandissime quantità, non possono che servire alle guerre.

Sul Pianeta Terra ci sono Paesi in condizioni di conflitto interno, aperto o latente, per instabilità politica e miseria. Ci sono conflittualità diffuse e continue per motivi etnici. Guerriglie – fatte di attentati e agguati terroristici – dimenticate quando il mondo ricco non ha interessi in quelle Terre. Nessuno le ferma. Non se ne parla nemmeno. Solo i reporter di guerra sono testimoni in esse dei diritti violati e delle violenze sui civili. E spesso subiscono per il loro lavoro ritorsioni e attentati.  

Rispetto a situazioni “vecchie” di conflitti armati degenerati in guerre vere e proprie, si registra, soprattutto a partire dal 2011, l’avvio di nuovi conflitti, in numero il più elevato dalla fine della II guerra mondiale. Cominciano tutti senza memoria critica dei precedenti. In Siria, per esempio, da quando sull’onda della ‘Primavera araba’ ebbero inizio le proteste, tutto il Paese e tutta la popolazione sono al fronte, senza tregua e senza speranza. Un massacro dopo l’altro fra il regime assolutista di Assad e i ribelli che rivendicano riforme per una maggiore democrazia. Da allora le stime parlano ormai di 60 mila morti – nella stragrande maggioranza civili presi tra i due fuochi – ed esodi di intere popolazioni. Le Potenze Occidentali si limitano a sostenere l’opposizione armata aspettando il crollo del regime di Assad per logoramento. Nella quasi indifferenza  del mondo.  

“Interventi umanitari”, o guerre neo-coloniali?
 Fra le guerre più recenti è quella di Parigi nel Mali (Africa sub sahariana) con il consenso – ex post – degli alleati europei. Nelle intenzioni dichiarate del governo francese doveva essere una semplice operazione di polizia. Ma se pensiamo alla vicinanza con il Niger – regione ricca di oro, petrolio e uranio – non è difficile cogliere tra le radici dell’intervento il progetto di controllare le risorse naturali di quei territori. Di fatto in poco, pochissimo tempo, il conflitto si è esteso (Nigeria, Libia …), trasformandosi in un intervento massiccio che rischia ora di diventare internazionale. Così dall’Afghanistan si passa al Sahara-Sahel. E l’islam armato, anziché essere contenuto, è stato dilatato!

Si parla di interventi “umanitari” da parte delle potenze europee, fatti “a fin di bene”, per “esportare la democrazia”, per cacciare “odiosi tiranni”… Ma constatiamo che al posto dei precedenti subentrano altri tiranni, forse solo più servizievoli nei confronti delle potenze occidentali. La politica in realtà appare fissa sul militare, mentre l’interventismo sta diventando, sul modello americano, un habitus anche europeo. Mancano invece un pensare ampio e una veduta cosmopolita, un’apertura al diritto internazionale. E anche la gente comune fatica a riflettere su questi fatti. Constata supinamente.

Guarire le relazioni…
Come si può, insieme, contribuire a mettere fine alla notte dell’irresponsabilità che sembra avvolgerci? Benedetto XVI esorta i potenti della terra: “Si trovi finalmente il coraggio del dialogo e del negoziato”.

Per ognuno però esistono meravigliose risorse umane che attendono silenziosamente solo un’opportunità e una decisione personale per allenarsi a costruire la pace nel quotidiano …

… per concreti bilanci di pace
 - Ognuno è quello che respira, legge, studia, ciò di cui riempie le proprie giornate e i propri pensieri. Lo è nel bene e lo è nel male. In tutto ciò che si è e si fa, la pace è un cammino costante. Non un’utopia generica, ma un obiettivo da ricercare con il massimo impegno, attraverso gesti concreti e quotidiani nei quali ognuno si compromette realmente.
- Ogni persona può sempre scegliere se seguire da lontano il corso degli eventi o assumere con coraggio la responsabilità della propria esistenza; se affrontare la tentazione più grande – che in ogni tempo è forse quella di estraniarsi da tutto, rassegnandosi alla realtà dei fatti – o dare all’oggi che interpella risposte concrete, con quel coraggio che è virtù da coltivare quotidianamente. Non si può pensare di cambiare il mondo se non si parte e riparte ogni giorno da se stessi.
- I confronti di idee fra persone che tendono alla stessa verità (anche se la comprendono diversamente!) costituiscono la bellezza della vita. Mentre infatti consentono di scambiarsi i  pareri, rafforzano il desiderio di continuare a cercare la verità e guariscono le relazioni.

Certo può accadere (e accade spesso!) che in uno pseudo-confronto qualcuno si batta, più o meno consapevolmente, solo perché l’interlocutore abbia torto, sia sminuito, perda, ne abbia un danno… Una recita, insomma, una farsa più o meno riuscita, ma in tutti i casi sicuramente sterile per qualsiasi rapporto e per la pace interiore.

È necessario rileggere insieme i fatti mettendosi dalla parte degli sconfitti, delle vittime, della gente, della pace, “avendo in corpo l’occhio del povero” – direbbe don Tonino Bello. Dalla fede viene ai credenti un supplemento di coraggio per impegnarsi a fondo a trasformare il mondo. Affidati a un Altro, potremo muoverci senza paura nella realtà complessa del nostro tempo verso l’oltre possibile.  

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Notizie ‘ansiogene’ e realtà

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feb 07 2013

Le scene di aggressività e competizione selvaggia come influiscono sul nostro modo di porci in relazione con noi stessi, con gli altri, con la vita? Quali conseguenze può produrre un uso inappropriato dei media?

Che gli uccelli dell’ansia e della preoccupazione volino sulla vostra testa, non potete impedirlo; ma potete evitare che vi costruiscano un nido. (Proverbio cinese)

Iter dei media: realtà – mediazione – rappresentazione
I media oggi sono partner onnipresenti per tutti, tanto che l’epoca attuale è stata definita “società della comunicazione”. Nel bene e nel male fanno parte della nostra vita quotidiana e non possiamo e non vogliamo certo farne a meno. Usati bene, potrebbero essere strumenti formidabili per stimolare la consapevolezza delle persone verso rapporti umani più aperti e collaborativi; per tradurre in concreto i principi democratici della libertà, dell’autodeterminazione e della cooperazione; per costruire legami sociali e un ambiente in cui riconoscersi.

Violenza nei media, crimini sceneggiati …
Ma come parla oggi l’informazione pubblica? L’Italia e il mondo sembrano essere fatti di sola cronaca nera, scandali, scontri politici, gossip. Leggere un quotidiano o vedere un TG è esperienza paragonabile al sentire un bollettino di guerra. Titoli shoccanti, insistenza su particolari morbosi e immagini raccapriccianti sollecitano emozioni negative, spesso senza aggiungere nulla alla comprensione dei fatti. Perfino nei cartoni animati e in tre quarti delle fiction la pistola è il principale mezzo di comunicazione con l’altro, quasi l’ideologia di un mondo, la forza, l’osanna per chi vince.

La violenza sembra essere il simbolo incarnato del mondo che abbiamo di fronte. Una visione cupa e minacciosa, che giornali e TV, con la rappresentazione sbilanciata che danno della realtà, contribuiscono a creare e rafforzare. A chi giova?… In fondo sappiamo per esperienza che si reagisce al male se c’è qualche speranza di riuscire a cambiare le cose. Ma se viviamo in un mondo in cui la mafia vince sempre, il furbo prevale in tutti i casi, i politici sono tutti corrotti, gli ospedali funzionano male dappertutto … allora non resta che rassegnarsi e chiudersi in se stessi; oppure farsi furbi e disonesti, appunto, come ‘tutti’.

… e intossicazione emozionale
La gran parte dei media in realtà punta più agli indici di ascolto che a quelli di consenso, privilegiando il tornaconto economico, o politico, rispetto all’utilità sociale. L’offerta culturale che ne deriva è perciò spesso incentrata su ingredienti dai ‘sapori’ forti, ma di scarsa qualità e con gravi effetti collaterali.

- Ricerche scientifiche dicono che la visione di un film con scene di violenza provoca in genere nella persona un sonno agitato con sogni sgradevoli e introduce col piede sbagliato al nuovo giorno. La persona, inoltre, porta nel suo quotidiano i residui di ciò che aveva inquietato il suo animo. Così facilmente diventa più sospettosa, irritabile, chiusa verso gli altri; propensa più a vedere i rischi che non la bellezza di ciò che la circonda.

- Per tale via si ingenera nelle persone (in particolare nelle più sensibili) un atteggiamento ansioso del tipo ‘viviamo proprio in un brutto mondo’.

- Soprattutto sono i bambini che, nel loro comportamento a volte isterico e incontrollabile, risentono pesantemente della violenza, pur grottesca, dei cartoni animati di supereroi e simili.

- A volte nemmeno l’atteggiamento critico è sufficiente per proteggersi dai condizionamenti dei media. Può capitare infatti che, seguendo un certo programma, ci si ritrovi dentro commozione o ammirazione per un certo personaggio pur sapendo razionalmente che non le merita affatto.

Eppure facilmente si continua a lasciarsi guidare passivamente, per ingenuità o per pigrizia, da ciò che si vede, si sente e si legge e ognuno rimane così sostanzialmente indifeso di fronte agli effetti che ne derivano nella propria vita.

Come operare allora per restituirsi una visione del mondo più umana e più reale? Certo è necessario imparare ad utilizzare i media in modo sempre attivo e consapevole, rifiutando di abbandonarsi passivamente a menù prestabiliti da altri; scegliendo autonomamente una ‘dieta’ personalizzata dei programmi e decidendo le dosi con cui assumerli. È una opzione impegnativa e faticosa, ma il risultato vale la pena.

Collera da esprimere e… collera da reprimere
Come opera per la formazione della coscienza civile e politica dei cittadini una società che acquista, consuma, si lamenta, grida negli stadi, protesta nelle piazze … per scoprire che alla fine di tutto questo i suoi sentimenti e le sue azioni sono inconcludenti?

Le emozioni sociali suscitate dai mass media sono prevalentemente di tipo negativo: paura, invidia, vergogna. Soprattutto vi è presente la rabbia – che si esprime nei titoli e nelle immagini – insieme all’ira con cui vengono descritti i fatti! E l’ira suscita ira. Ci sono anche sentimenti positivi (mitezza, autocontrollo, giovialità, pace…), ai quali viene però dedicato molto meno spazio. La mitezza sembra essere anzi del tutto estranea non solo ai mass media, ma anche alla realtà attuale. Ci è necessario e urgente riscoprire la forza della mitezza che resiste e domina l’ira trasformandola, eventualmente, in una eccitazione giusta per sconfiggere ciò che non va. Ma la cultura di oggi confonde la mitezza con l’apatia indifferente, con la debolezza indulgente di chi dice ‘sì’ a tutto perché vuole essere d’accordo con tutti e con tutte le opinioni; di chi teme di affermarsi solo per paura di essere frainteso, giudicato, di non essere amato e accettato…

…per essere cittadini della civiltà dell’amore
Mitezza in realtà è l’atteggiamento che permette di superare la frustrazione, l’irritazione e lo scoraggiamento di fronte all’apparente sterilità della propria azione e della paura. Viverla è una meta da raggiungere, ardua, difficile, ma non impossibile e comunque è imprescindibile per il cristiano, perché la politica – come gestione della terra umana e cura del bene comune che si riassume nella pace – secondo la beatitudine evangelica sarà affidata ai ‘mansueti’, ai nonviolenti attivi, che oggi sono diseredati ed emarginati.

Il giornalista, che nella sua professione non vede solo il lavoro che gli dà da mangiare ma anche il piccolo quotidiano contributo alla costruzione di una società migliore, può molto. ‘Essere miti’, secondo la beatitudine evangelica, è domanda di quella radicalità che fa sentire acutamente anormali rispetto all’ordine violento e selvaggio in cui domina la supremazia onnivora del profitto. È la buona novella che attraverso il cuore, la mente e la mano di ogni uomo di buona volontà, ogni giorno si rinnova sulla terra..

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Memoria comune che si fa profezia

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gen 28 2013

L’egoismo non può funzionare come bussola di una civiltà. Nella nostra Penisola i primi segni di un popolo – altruista per costituzione – che comincia a svegliarsi dal ‘Grande Individualismo’ e riscopre che siamo ‘programmati’ per aiutare ed essere utili, anche senza contropartite.

Smarriti in un labirinto di lacrime…
Per decenni, rimuovendo il desiderio vitale di stare insieme e facendo ruotare scelte, pensieri e sentimenti intorno al proprio ‘io-io-io’, nel nostro Occidente ci si è illusi di costruire il benessere personale e una nuova civiltà. Ma nella realtà abbiamo finito solo per dare alimento all’egoismo. La politica, ricondotta dai più ad un uso strettamente personale del potere e del denaro pubblico, ci ha cacciati in un tunnel. La speculazione finanziaria e la gestione dissennata delle nostre città – pensate e costruite, dal Rinascimento in poi, come villaggi/spazio condiviso, dove circolare e vivere insieme – hanno via via evidenziato la progressiva esclusione del ‘noi’ e la crescita dell’egoismo metropolitano. Il ‘Grande Individualismo’ ci ha fatto perdere il senso e il piacere dello ‘stare insieme’ e anche l’energia, le idee, la solidarietà, che arrivano alle persone dal vivere ‘la comunità’. Quella comunità, di cui si fa esperienza nel quotidiano, che si chiama famiglia, parrocchia; o fabbrica, dove i lavoratori sono stati i portatori di una cultura collettiva; e anche piazza, bar, partito, sindacato… tutti luoghi, profondamente italiani dello stare insieme.

… fra ‘io’ e ‘noi’
Ma proprio oggi, nel pieno della crisi planetaria che stiamo vivendo, un ‘nuovo’ nasce sotto i nostri occhi, nel silenzio, senza troppa pubblicità. Un ‘nuovo’ piccolo come il seme di senape, ma che promette fioriture e frutti. Una luce infatti scava sotterraneamente nelle coscienze di un numero sempre maggiore di persone e, facendole capaci di superare il timore di perdere le proprie sicurezze, chiama lentamente tutti fuori dal tunnel, verso una nuova civiltà. Segnali quotidiani di un cambiamento in atto – per quanto incompleto e non ancora ben organizzato – sono già visibili. I giovani ne sono l’avamposto perché per essi la strada della felicità è fatta di cose semplici come stare con gli amici, praticare sport, trascorrere i pomeriggi in chiacchiere e risate: la possibilità, insomma, di avere molte relazioni sociali. Ce lo fa sapere un’indagine dell’Università di Essex sulla stampa inglese e ce lo conferma l’esperienza quotidiana. La cosa non sorprende più di tanto il credente il quale sa che la storia ha una direzione e non si può smarrire perciò in un labirinto di lacrime. In filigrana in ogni tempo e situazione c’è infatti il progetto buono di Qualcuno che continua ad amare ogni creatura e a guidarla quando essa realmente e consapevolmente si affida alla forza della Sua luce.

Un richiamo per tutti a vivere con attenzione il presente, perché, se “la più grave epidemia moderna è la superficialità” (Raimon Panikkar), il vero credente non evade, ma intercede (cammina in mezzo) prendendosi cura dei germogli che nascono.  

Nell’orizzonte segnato dalla luce…
Parola d’ordine di tale incipiente rivoluzione, sembrano essere alcuni verbi che parlano di comportamenti impensabili fino a poco tempo fa. Condividere spazi, alimenti e idee attraverso le tecnologie della Rete. Sperimentare una nuova concezione del lavoro e dei luoghi in cui svolgerlo. Scambiare oggetti e servizi. Recuperare materiali riciclabili. Tagliare gli sprechi. Riscoprire gli orti urbani e lanciare quelli verticali: gli avveniristici ‘grattaverdi’ di New York. Provare il fascino efficace del baratto, contro il piacere individuale del possesso. E creare reti per distribuire i pesi dell’assistenza a malati e anziani, là dove lo Stato non può o non vuole arrivare. Il tutto in nome della tutela dell’ambiente comune; dei prodotti sani che arrivano sul mercato a chilometri zero; del piacere di costruire qualcosa a più mani…   Così, davanti a molti verbi, quelli che in passato segnavano il trionfo dell’«io», oggi c’è il prefisso “co”: co-abitare, co-ltivare insieme…

… nuovi modi di stare insieme
“INSIEME”: un’avventura unica che fa nascere relazioni, costruisce comunità, realizza sogni che da soli sono impossibili; e mentre spinge a trovare risposte nelle scelte collettive, permette di scoprire che non abbiamo sempre bisogno di strisciare una carta di credito.

Così è in atto, per esempio, il ripensamento dello spazio urbano, dove sono cresciute separatezza e solitudine; a Ferrara una mobilità tutta a pedali, nelle strade di Zurigo, si viaggia senza cartelli segnaletici. Automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni nella loro mobilità urbana, cominciano a riconoscere reciprocamente di avere uguali diritti e di poter con-vivere, senza un conflitto permanente e senza prevaricazioni reciproche. La multinazionale Nestlé in Italia (ma anche questo è solo un esempio!) ha varato il progetto “Novanta giorni”, grazie al quale quando la scuola è chiusa i dipendenti possono portare in azienda i loro bambini, affidandoli a qualche educatore e ritrovandoli poi alla mensa. Solo Roma conta già almeno un centinaio di orti comunitari. Attraverso molti siti internet è possibile scambiare di tutto: dagli elettrodomestici ai vestiti, alla musica … Il benessere passa per scelte condivise! La civiltà dell’io comincia a cedere il passo a quella del noi. Ed è una luce buona in fondo al tunnel. In essa l’Italia potrà giocare un ruolo da protagonista se non dimenticherà la sua storia, un “made in Italy” degno di essere esportato in tutto il mondo.

Società senza più egoismi?
Persino la scienza oggi sta sfatando il mito che recitava ‘egoisti si nasce altruisti si diventa’. No, egoisti non si nasce, l’homo sapiens è cooperativo. Alcuni scienziati hanno individuato il gene dell’altruismo: AVPR1A, che regola un ormone del nostro cervello. È un gene attivo, funzionante e molto diffuso. Ad ogni suo gesto corrisponde una vera e propria sensazione di benessere fisico e persino di gioia. I bambini – gli esperti lo hanno dimostrato – sono portati per natura alla condivisione, alla generosità, all’altruismo. Simpatizzano, tendono ad allearsi più che a scontrarsi, a stare insieme più che a dividersi.  Ed è solo crescendo che l’istinto altruistico si fa più selettivo e rischia anche di scomparire quando l’io con i suoi colpi prende il sopravvento.  

Il cielo interiore dell’adulto perciò è popolato di paure, ma anche di attese. Se egli cerca con cuore sincero il senso dei suoi giorni, saprà aprirsi a un ascolto così vero da produrre nel suo cuore un cambiamento profondo (… il credente lo chiama ‘conversione’!). Attento alla qualità dei giorni e dei rapporti, alle domande mute degli altri e alla loro ricchezza, egli sarà generoso di giustizia, di pace, di onestà: un terreno sempre più fecondo di umanità, portatore di una profezia a misura d’uomo là dove ognuno è chiamato a vivere.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Potere e fragilità del comunicare

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gen 17 2013

È possibile oggi uscire dalla frammentazione dell’individualismo e tornare a guardare il prossimo come qualcuno a cui dare, prima di pretendere? La strada sembra essere l’uso fedele della ‘parola’ nella verità della propria vita.

Tra diversità e divisione
Comunicare è parola che inquieta e mette letteralmente in crisi, perché riguarda la comunità e l’essere in comunione, così insostituibili per la felicità dell’uomo. Troppe volte lasciamo che la nostra ‘comunicazione’ sia formale, vuota, debole, priva di un autentico coinvolgimento. Si parla per parlare, si gira attorno alle cose che stanno a cuore e si svicola… più o meno condizionati da preoccupazioni di opportunità. Così si evita di lasciarsi inquietare, ma si finisce poi per non comunicare.

“…È tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, Signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?” (Pirandello). Eppure la sfida più urgente della nostra civiltà – ce lo ricordava spesso il card. Martini – è imparare a comunicare e a convivere con i ‘diversi’: gli ‘altri’ della propria famiglia e della comunità di cui si fa parte e anche le persone che si incrociano per caso per strada o delle quali si conosce solo l’esistenza. La vera appartenenza di tutti infatti è al mondo globale e se si è pensanti l’incontro vero diventa possibile con tutti. Imparare a comunicare è la via necessaria per non imbarbarire nella chiusura e nella paura.

Quei diritti che restano negati
In un mondo globalizzato in cui le persone si muovono e si mischiano, l’incontro e il confronto diventano un’esigenza e una sfida che non possiamo più eludere… Circa un miliardo di esseri umani – un settimo della popolazione globale! – sperimenta oggi la sorte migratoria. Certo, fin dalla preistoria, i gruppi umani hanno abbandonato ambienti inospitali per cercarne di più propizi. Ma oggi l’emigrazione – con il continuo calvario di rifugiati e profughi che l’accompagna – è una galassia in agitazione. Dai due deserti affacciati sul ‘mare di mezzo’ arrivano urla disperate. Eppure nessuno sembra ascoltarle. I cristiani il più delle volte sanno dire solo: “poverini”. Trafficanti di uomini del ventunesimo secolo, più spietati dei negrieri del 1700, continuano ad agire più o meno indisturbati e a provocare la morte di migliaia di persone nel Mediterraneo. La dignità umana non è evidentemente compresa nel prezzo. L’allarme mediatico – che pure accompagna i nuovi sbarchi e le tragedie – finisce ogni volta con l’essere eco solo di se stesso, a cui subentra, indifferente e beffardo, il silenzio. Eppure ricordarsi dei dimenticati è mettersi accanto a Dio che non dimentica nessuno (Vladimir Ghika).

Intanto la mobilità cambia la vita, le relazioni, l’amministrazione… Ci chiediamo: sapranno i Paesi europei rispondere finalmente alla necessità di un maggior presidio umanitario nel Mediterraneo? Vorranno, insieme, impegnarsi a varare nuove misure normative affinché chi riesce a sbarcare non sia più costretto a vivere nell’illegalità? E noi, che non abbiamo direttamente in mano il potere, rimarremo solo a guardare, accettando supinamente tutto come se davvero non ci fosse niente da fare? Continueremo a vivere su due binari: quello ideale e quello reale?

In realtà ogni incontro, persino un semplice contatto, quando è vissuto da persona autentica, attenta agli altri, dimentica di sé e capace quasi di fiutare le situazioni difficili, può riempirsi di gusto e di ricchezza interiore. E lascia un segno nell’altro e nella storia.

Rendersi familiari gli uni agli altri
 “Il nostro futuro – ha scritto mons. Cesare Nosiglia nella sua coraggiosa lettera pastorale dedicata ai Rom e ai Sinti – è vivere insieme, come una grande famiglia”. In una famiglia si vive insieme, eppure nessuno è uguale ad un altro. Questo è il sogno di Dio. Di quel Dio che ascolta il grido del povero e che in Gesù ci ha mostrato il volto, le mani e il cuore di una persona umana aperta a tutti sempre e comunque; quel Dio che, a chi vuole seguirlo, ha comandato di amare anche i nemici e le persone che ci hanno fatto del male. Il cristianesimo ama le differenze e il cristiano non è e non può essere un uomo comodo, né per se stesso né per gli altri.

La consegna
È quella di rendersi reciprocamente familiari perché non siamo stranieri ma concittadini e familiari di Dio (Ef 2,20). Non si tratta di inventare gesti eccezionali; piuttosto di superare la tentazione dell’autosufficienza, evidente in ogni vita comunitaria e spirituale vuota e ripetitiva,  giocata prevalentemente in gesti esteriori. Imparare a vivere insieme richiede di coltivare la propria capacità di accoglienza nella vita quotidiana fino a creare rapporti in cui ciascuno ha qualcosa da ricevere e qualcosa da dare; fino a riconoscersi come diversi per guardarsi negli occhi e comunicare davvero. “Addomesticarsi”, insomma, reciprocamente e progressivamente, senza voler imporre a qualcuno quello che pensiamo sia buono per noi. Ma per riuscirvi è necessario incontrarsi nella verità e non in superficie.

La più grande impresa umana
L’esperienza dice che un confronto vero può verificarsi solo se ciascuno accetta di guardare le proprie fratture e lacerazioni. Nel quotidiano però è più facile scegliere di… non andare a fondo. Questo perché anche il dialogo interiore non è sempre facile. La diversità altrui istintivamente non ci piace dato che in qualche modo minaccia tutto quello che siamo riusciti a comprendere e a fare fino a quel momento.

Se la divergenza di opinioni può creare certamente una spaccatura nei rapporti umani, quando la si accoglie con disponibilità, dà più forza al pensiero, lo stimola e pone la base per un nuovo percorso. Sottrarsi al confronto invece rende ogni comunità meno… comunità. Chi siamo veramente infatti è in gran parte determinato dal rapporto che siamo disposti a costruire con le idee di chi ci sta vicino; quasi un combattimento quotidiano che sviluppa la personale capacità di pensare e di incontrare l’altro. Ma qualche volta, nonostante l’apertura sincera per un dialogo autentico, ci si ritrova respinti. Anche questo, però, insieme a tutte le difficoltà per una comunicazione degna di questo nome, può essere un bene e una benedizione perché obbliga ad andare ancora di più al cuore della comunicazione senza orpelli inutili.

Certo non è sufficiente la buona volontà per incontrare l’altro. Ci vuole anche umiltà. Quella umiltà che è capace di piegare in sé ogni pretesa di avere il metro di valutazione del mistero della vita. E la certezza di valere davanti al volto di Dio: il più potente antidoto contro il veleno della sfiducia. E poi… tempo! Ci vuole il tempo della vita!!!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Pellegrinaggio di fiducia sulla terra

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gen 07 2013

Non hanno soluzioni facili da offrire. Si incontrano a Roma, dopo le tappe di Rwanda e Congo. Cercano di creare legami di comunione e di amicizia così necessari dappertutto sulla terra, impegnati come sono ad aprire nuovi percorsi di fiducia per una festa di vita insieme.

Semi per qualcosa di grande

Il pellegrinaggio di fiducia sulla terra, animato da Taizé per il 35° incontro internazionale ecumenico, dopo 25 anni è tornato a Roma. Dal 28 dicembre 2012 al 2 gennaio 2013, 42 mila giovani di tutta Europa – e non solo – hanno gioiosamente invaso la Caput Mundi, come un’ondata di preghiera. Rinunciando a qualche comodità per concentrarsi sull’essenziale, insieme essi hanno cercato nella fede la forza per costruire un mondo di pace, di giustizia e di fratellanza.

Da parte loro le famiglie romane, le parrocchie, gli istituti religiosi e persino gli anziani soli hanno letteralmente aperto le porte delle proprie case ai ragazzi. Segni, questi, di una Chiesa che dà fiducia e spazio; prova che si può vivere da fratelli superando paure, egoismi e diffidenze; conferma che la fiducia in Dio quando è autentica porta a trovare la forza interiore che fa divenire più umani e a rifiutare consapevolmente tutto ciò che disumanizza noi stessi e gli altri.

I giovani al momento dell’arrivo a Roma hanno ricevuto da frère Alois, priore di Taizé, le “Proposte 2013″che li hanno ‘messi’ sulla strada: 1. Parlare insieme del nostro cammino nella fede. 2. Cercare dove incontrare Cristo. 3. Cercare come affidarsi a Dio. 4. Aprirci senza paura all’avvenire e agli altri. Obiettivo di tutto il‘cammino’: scoprire le sorgenti di fiducia in Dio.

Il programma è realizzato dai pellegrini nelle quattro tappe previste. Essi hanno potuto infatti vivere intensi momenti di preghiera comune e di scambio reciproco nelle parrocchie e nelle basiliche maggiori della città; insieme hanno scoperto nei diversi quartieri dove erano ospitati segni viventi di speranza; si sono incontrati a gruppetti per confrontarsi su temi spirituali, artistici e sociali; hanno visitato catacombe e altri luoghi significativi della fede; hanno pregato con il papa Benedetto XVI per la pace; infine con la “festa dei popoli” hanno inaugurato il nuovo anno, risvegliando in sé le energie creative necessarie per uscire dalla mediocrità.

Dall’inquietudine alla fiducia
Uno sguardo troppo cinico verso la vita impedisce a tanti oggi di cogliere la dimensione fondamentalmente buona dell’umanità. La fede/fiducia – così in crisi nel nostro tempo – permette invece di superare le insidie del tempo e la stanchezza della storia. Frère Alois ha spiegato ai giovani che la fiducia in Dio contiene una chiamata: “accogliere in grande semplicità l’amore che Dio ha per ciascuno, vivere di questo amore e prendere il rischio che questo implica”. Il fatto di rendersi umilmente conto che così si fa l’esperienza della verità divina – ognuno a partire dal livello in cui si trova – modifica sensibilmente la fiducia che si può avere nella società e in se stessi.

Tra diversità e divisione …
Tutti siamo in viaggio verso una comunione più personale con Dio e una comunione più profonda gli uni verso gli altri, specialmente verso i più poveri. Eppure a causa delle divisioni presenti anche nelle nostre comunità cristiane, il sale del messaggio evangelico sta perdendo il suo sapore. La divergenza di opinioni troppo spesso costituisce una spaccatura nei rapporti umani perché minaccia tutto quello che ognuno è riuscito a comprendere e a fare fino a quel momento. Non sempre però la diversità è preludio di divisione. Se è accolta con disponibilità rinvigorisce il pensiero, lo stimola. Può diventare la base per un nuovo percorso. Certo la capacità di pensare in modo diverso dagli altri rimanendo però aperti e disponibili con chi la pensa diversamente è la più grande e impegnativa impresa umana. Richiede cuore grande, forte passione, sensibilità e soprattutto consapevolezza critica come banco di prova per le idee capaci di custodire il domani.

… necessaria nuova consapevolezza critica
Dal Pellegrinaggio di fiducia ci viene dunque un forte invito a ripensare tutto ciò che avevamo dato per scontato riguardo alla vita; a lavorare e ben pensare in un mondo diviso e in crisi per ridefinire il proprio posto in questo mondo e vivere al meglio nel nome di Dio.

I ragazzi, che si sono fatti pellegrini di fiducia per creare legami di comunione e d’amicizia,ripartono da Roma con il mandato di essere annunciatori di fiducia presso ogni uomo e ogni donna che incontreranno sul loro cammino. Ma quello stesso mandato è per tutti, ovunque ci si trovi a vivere. Come pure per tutti è la chiamata a riconciliare ciò che appare incompatibile –resistendo alla tentazione della rassegnazione o della passività –perché Cristo, venuto per riconciliare ciò che sembrava per sempre perduto, sulla croce ha teso le sue braccia a tutti. È Lui la via che spiega l’uomo all’uomo. Lui la nostra pace.  E la riconciliazione comincia quando finalmente guardiamo tutti insieme verso di Lui.

… per la più grande impresa umana
 “Ravviva il dono di Dio, che è in te”, ripete anche oggi a ciascuno l’apostolo Paolo. Credere è accogliere lo sguardo di fiducia che Dio ripone su ciascuna e su ciascuno di noi, è osare affidarsi al Suo amore. Un messaggio per molti difficile da capire e che nessuno comunque può pretendere di comprendere fino in fondo. Possiamo solo prenderci con fedeltà del tempo per ascoltarlo attentamente. Allora ci sarà donato di fare l’inaudita esperienza di essere amati. E se la nostra esistenza non è un caso, se la vita è un dono, se non siamo mai soli, allora non c’è più bisogno di dimostrare il valore della propria esistenza, o di erigere mura di autodifesa. L’altro non è più una minaccia. E anche l’instabilità della vita non fa più paura! Per la loro fede, fantastici giovani cristiani in Africa (ma non solo!) rimangono in piedi pur vivendo nel caos, nella paura e anche nell’abbandono. A noi suggeriscono di rifiutarci di fare separatamente ciò che possiamo fare insieme. Il pellegrinaggio di fiducia sulla terra continua insomma anche nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri nella vita delle nostre comunità dal momento che tutti in un certo senso siamo dei poveri. Cercare insieme umilmente il Suo Volto fa crescere nella solidarietà. Ci accompagna nel nuovo cammino la domanda posta ai pellegrini da Frère Alois: È possibile continuare a casa ciò che abbiamo vissuto qui? Come fare riferimento a Dio nella propria vita quotidiana?

Rispondere con coerenza è mettersi sulla via per esserGli testimoni fino alle estremità della terra.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il nostro natale

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dic 20 2012

La liturgia della terza domenica di avvento e primo giorno della novena del Natale è un prepotente invito alla gioia e alla speranza. Nelle nostre assemblee liturgiche risuonano le note del canto “siate sempre lieti nel Signore” mentre nel vangelo Giovanni Battista, a chi gli chiede che cosa deve fare, invita a comportamenti di pace, di onestà, di rispetto, di sobrietà e di condivisione. Nello stesso giorno, giungono da lontano notizie terribili: la strage di 20 bambini innocenti in una scuola elementare, il suicidio di un ragazzo della nostra parrocchia, l’uccisione con 34 pugnalate di un uomo in un paese vicino al nostro e così via. L’elenco sarebbe davvero lungo.
Avvertiamo nella nostra mente e dentro il nostro cuore un profondo senso di confusione e di contraddizione.

Come ‘essere lieti’ ?
Il respiro di questa nostra società, che pur ci appartiene, si fa sempre più corto, pare che qualcosa di veramente grave la stia soffocando e portando alla deriva.
Eppure, dopo alcuni istanti di sgomento per notizie di eventi dolorosi gli uomini e le donne del nostro tempo e in particolare del nostro mondo consumistico e indifferente nonostante la grave crisi che lo attraversa, continuano quasi impassibili la vita di sempre, forse volontariamente ignari del baratro in cui stiamo precipitando.

Anche se in proporzioni minori rispetto agli anni precedenti gli unici affanni di questi giorni sembrano essere gli acquisti per il regalo, per il pranzo di natale e di capodanno, per il cambio del look, per le settimane bianche magari più corte ed economiche, ma che non possono mancare e che, se non ci sono, non è natale.
Se poi ci fermiamo un attimo dinanzi allo schermo della Tv, davvero non è difficile provare un profondo senso di desolazione: Natale è il panettone o il pandoro, il profumo di marca, l’auto sportiva, il telefonino nuovo, il divano sofà e chi più ne ha più ne metta. Tutto venduto come la bacchetta magica della felicità, del sorriso, dello star bene.

E ci vuol davvero poco per cadere nella trappola.
Basta farsi un giretto in questi giorni per i grandi supermercati e osservare gli acquisti della gente.

Siate lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti.
Ma allora qual è la vera gioia, quella che ci viene annunciata oggi? E qual è il suo fondamento?
Il profeta Sofonia ce lo annuncia con categorica chiarezza:
“Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” (Sof 3,17).
E’ l’annuncio dell’evento che fa scaturire e fonda la gioia del cristiano nonostante tutto, anche quando cammina in mezzo alle contraddizioni.

Il nostro Dio viene e rimane in mezzo a noi; sta in mezzo a noi come il Salvatore potente.
Nelle sue mani sono gli abissi della terra, sue sono le vette dei monti!
La salvezza non è una conquista, ma il dono di un Dio che manifesta in questo modo il suo amore, non volubile come il nostro, ma immutabile, eterno.
Come non gridare di gioia, come non rallegrarci in lui, oggi ed ogni giorno della nostra vita?
Ma ci rendiamo conto di questa straordinaria realtà che ci è data di vivere e che ogni anno nella liturgia del natale si rinnova?

Le nostre comunità fraterne sono testimoni di questa certezza o ancora si dimenano tra gli affanni di una vita piatta e intenta nelle cose da fare come se tutto dipendesse da noi?
I nostri volti trasmettono allegria e speranza e sono un invito per chi incontriamo a “non lasciar cadere le braccia stanche” ma a gioire nel Signore che è qui in mezzo a noi come Salvatore potente?
In questo tempo di crisi e di impoverimento anche per la vita religiosa sappiamo ancora stupirci e rallegrarci per i moltissimi germi di vita che nascono in noi e attorno a noi?

Mentre sto scrivendo queste brevi riflessioni, mi giunge questa notizia: “un gruppo di undici suore anglicane della Community of Saint Mary the Virgin sarà accolto a partire dal prossimo gennaio nell’Ordinariato personale di nostra Signora di Walsingham, eretto in conformità con la costituzione apostolica Anglicanorum coethus con la quale Benedetto XVI ha deliberato l’istituzione di Ordinariati, giuridicamente equivalenti a una diocesi, attraverso i quali i fedeli già anglicani, di ogni categoria e condizione di vita, possono entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica, pur conservando alcuni elementi della propria tradizione liturgica e spirituale”. (cfr. Osservatore Romano, 14 dicembre 2012, pag. 6).

Mi viene spontaneo ripetere con la liturgia: “rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora: rallegratevi” per questa rinascita nella comunione e per il dono di queste undici suore, dono che vogliamo custodire accompagnandolo con la preghiera e l’affetto fraterno.
Il nostro Dio non finisce mai di sorprenderci!
Che Egli ci trovi sempre più vulnerabili! Allora il nostro Natale sarà la venuta di un Dio che gioirà per noi, ci rinnoverà con il suo amore, esulterà per noi con grida di gioia (cfr. Sofonia 3,18).

Sr M. Viviana Ballarin, op
Presidente USMI
Vice-presidente UCESM

I giovani hanno qualcosa da dirci

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dic 14 2012

Mentre il presente non basta a nessuno…
Proteste indignate di giovani attraversano l’Italia e l’Europa. Il futuro davanti a loro continua ad apparire bloccato, incerto, triste. Di fronte a politici che sembrano voler rimanere asserragliati in fortini dorati, più o meno indifferenti alla quotidianità delle famiglie, i giovani rivendicano il diritto ad avere un futuro e un’altra Europa, che li comprenda e non li respinga con le politiche di austerity e di rigore.

A partire dalla scuola – dove il malcontento di studenti e docenti si è fatto totale – le mobilitazioni hanno coinvolto i tanti che cercano politiche concrete di welfare, lavoratori precari, disoccupati e insegnanti.

‘Firmare, controfirmare, vidimare, certificare, verbalizzare, sbarrare, registrareBasta!’ Gli insegnanti si oppongono allo stress burocratico assurdo richiesto per certificare la scuola con il ‘bollino di qualità’! E insieme ai giovani fanno lo ‘sciopero bianco’. Tra mobilitazioni di piazza, lezioni in strada, cortei ed occupazioni, studenti e docenti non mostrano alcuna intenzione di voler bloccare l’ondata di protesta dopo il 17 novembre – giornata internazionale degli studenti nell’anniversario degli eccidi nazisti di studenti e professori cecoslovacchi che si opponevano alla guerra nazista. I protagonisti delle proteste di oggi sembrano chiedere scusa non per ciò che fanno in questi giorni, ma per non avere avuto il coraggio e la forza di farlo prima. I raduni vengono in genere organizzati attraverso comunicazioni via internet o telefoni cellulari; le regole dell’azione illustrate ai partecipanti pochi minuti prima che l’azione abbia luogo.  

E mentre tutti – anche nella Chiesa e nella vita comunitaria – incorriamo facilmente oggi nel pericolo di lasciarci condizionare dalla «mentalità ristretta» dell’individualismo imperante, esigenze positive – che quasi sorprendono e che esprimono la bellezza e i valori della natura umana – emergono dall’animo dei giovani. Istintivamente essi rifiutano la mentalità tipica di questo secolo: guadagnare, godere, farla franca, imbrogliare gli altri. A questa nostra società rimproverano l’indifferenza per i bisogni dell’altro e la paura del ‘diverso’, la preoccupazione insomma di guardare soltanto a sé, fino a fare di se stessi un assoluto.

…crescono i germi di una unità di fatto
Nello sviluppo telematico attuale, l’uso dei digital media, di twitter e facebook in particolare, porta i nostri ragazzi ad essere più vicini fra loro. Insieme partecipano a manifestazioni per  cause che condividono e si aprono ai problemi sociali. Insieme si divertono e provano interesse per gli emarginati di cui in qualche modo sperimentano il disagio. Sentono fortemente il rispetto dei diritti umani che essi considerano inalienabili, pilastro sicuro per la costruzione di una pace vera. Uno stesso modo di pensare e anche di scegliere e di agire, si crea facilmente fra loro, anche se non sempre sanno servirsi criticamente delle reti informative.

Nel bene li amalgama una più forte coscienza della libertà personale, il gusto del progresso scientifico e tecnologico, il rispetto della natura per la quale svolgono una loro battaglia, il superamento di barriere culturali e nazionali, una consapevolezza diversa da ieri dell’essere donna nella società, una semplicità di rapporti fra ragazzi e ragazze.  

Non si tratta qui, evidentemente, di ignorare la parte negativa che è presente nel cuore dei giovani, come d’altra parte in tutti, persino nei bambini. E nemmeno si tratta di abbandonarsi alla paura per i gravissimi fatti di cyber-bullismo e simili riportati dai media di cui alcuni teenagers sono protagonisti. L’ideale sbagliato in qualsiasi persona è certamente pericoloso, perché conduce fuori strada; ma in tutti, e soprattutto nei giovani, si può correggere. Importante è non lasciarsi travolgere dagli eventi e imparare invece a pensare con le nuove generazioni, utilizzando pienamente – insieme a loro appunto – le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Ci è richiesto insomma lo sforzo di capire e condividere le esigenze vere dei ragazzi prima di voler insegnare loro qualcosa.  

Indebito orgoglio di sé
Il metodo giusto “non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l’intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee” (Card. Martini). In realtà l’approccio positivo verso i giovani sta sostanzialmente nella capacità di ascoltarli lasciando che ci parlino i loro comportamenti, il loro stile di vita, il loro modo di fare.

Ma l’adulto che è in noi, in genere e forse anche inconsapevolmente, ama esibire il suo sapere. Così sentenzia, esterna, impone i propri rimedi in ogni ambito, soprattutto lo fa con i giovani. Ma umiltà in fondo non è per tutti solo saper osservare negli altri ciò che possiedono, e in se stessi ciò che manca? Non è l’attitudine a lasciare che ci sia insegnato?

L’invito che ci viene dai nostri giovani è a riprendere con loro il cammino quotidiano con più consapevolezza e umiltà; e anche con la disponibilità a lasciarci toccare dai segni e dagli appelli che ci vengono, alla luce della Parola, dalla loro vita. Il richiamo è ad essere più coraggiosi e aperti; a considerarli sul serio collaboratori responsabili della loro stessa crescita umana e spirituale. Un dialogo alla pari, insomma, e non da superiore a inferiore o viceversa. Si tratta quindi di riscoprire insieme l’umano. Il che significa, oggi più che in altri tempi, riscoprire la bellezza di ogni relazione autentica.

Trovare la comune voce umana
I giovani hanno bisogno di fare l’esperienza che i legami non possono essere sostituiti dalle ‘connessioni’. Disconnettersi infatti è solo un gioco, mentre farsi amici offline – lo sappiamo bene – richiede un impegno concreto, fedele e anche faticoso. Internet però – ha ricordato a tutti recentemente Papa Ratzinger – non è solo un mezzo. È un ambiente di vita, di relazioni, di responsabilità. Un ambiente da abitare, quindi, per costruire insieme la cultura della relazione. E il Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione chiede ai credenti di intercettare e raccogliere la “perenne domanda umana di senso e di fede, che anche dalla rete emerge e nella rete si fa strada”, insieme allo stile dialogico e interattivo – nella comunicazione e nella relazione – che i social network hanno accentuato. A noi ora assimilare e far crescere questo contributo.

In tale impegno comune, autostima è una delle parole magiche che meritano la fama di cui godono, un bagaglio dal quale è possibile tirar fuori il necessario nelle situazioni difficili.

Certo Dio solo sa come va davvero il mondo. Nel nostro cuore è la certezza che la Sua Provvidenza è sempre misteriosamente all’opera.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Quando la realtà disturba

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dic 06 2012

Con la coscienza che rende ognuno insostituibile e solo, farsi compagni di viaggio di tutti, per cercare insieme la verità delle cose e degli uomini, prima e più della propria sicurezza.

Immersi nella bufera della storia…
“Noi ignoriamo questo mondo che ci circonda, che cammina a fianco, ma contro la nostra fede e la nostra concezione della vita. Noi lo ignoriamo perché non lo amiamo come si deve. E non lo amiamo perché semplicemente non amiamo”.
Così scriveva Giovanni Battista Montini in una lettera circolare per la giornata fucina del 1927. Eppure il suo monito risuona attualissimo per noi, immersi oggi insieme a tanta gente in una inedita complessità di situazioni e dentro una temperie culturale in cui ciò che ognuno vuole sembra essere la definitiva e unica legge.
Anche in questo nostro oggi il problema è tutto nel conoscere e nell‘amare come si deve o più semplicemente nell’amare il mondo reale che ci circonda. L’amore certo non si comanda, eppure, quando c’è, comanda tutta la vita fino a trasformarla.

…per entrare nella realtà che ci circonda
Ma come cercare con intelligenza le attese delle persone, i problemi del proprio territorio e del mondo globalizzato? C’è una via per sentirli propri? E come coltivare quella riconoscenza in cui poter cercare e riconoscere i beni che non hanno bisogno di essere divisi per appartenere a ciascuno?

Certamente è nel quotidiano e nel cordiale incontro delle persone che può crescere la coscienza di essere cittadini e l’opportunità di occuparsi insieme della cosa comune. Il reciproco riconoscimento fraterno e l’amicizia -vere radici di ogni possibilità di convivenza- possono essere sperimentate solo nella quotidianità sofferta e partecipata.

Il peso e le possibilità del quotidiano
Il reale che ci circonda però ha un suo peso specifico non sempre tollerabile. Tante volte sentiamo ripetere (o diciamo noi stessi): Una volta ci si comportava diversamente … Ai miei tempi questo non accadeva! Indubbiamente c’è stato negli ultimi anni un accelerato cambio di costume e di coscienze. Certamente è sempre più facile cogliere la decadenza dei livelli di moralità negli altri e nella società che in se stessi; se non si ha, comunque, una soluzione per risolvere un problema, la realtà diviene ‘pesante’. Allora è facile fermarsi a guardare alle proprie forze, avere la sensazione di non farcela e sentirsi finiti. È facile anche perdersi in sogni di fuga e di evasione e dimenticare che la vita si gioca nel fidarsi. Sì, il raggomitolarsi in se stessi e la paura tagliano alla radice il movimento di fiducia nella vita. Comprendere invece che Dio è presente con noi in tutti i momenti misteriosi, nascosti e difficili della nostra esistenza fa sentire rinati.

La luce può venire dal groviglio del cuore
L’oggettiva difficoltà di sapere cosa sia più giusto fare per il bene comune quindi non dipende solo dal groviglio di legami esistenti all’interno dell’ambiente nel quale la persona vive e da cui ogni giorno cerca di districarsi, ma dipende anche dal groviglio che è dentro il suo stesso cuore. Siamo portati spesso a chiamare verità ciò che ci fa più comodo ed errore quanto ostacola i nostri desideri, perché accettare la verità morale può comportare di cambiare le proprie abitudini e questo forse non è facile per nessuno. Può anche accadere che atti i quali esteriormente appaiono scorretti, per la persona che li compie sono conformi alla sua coscienza. Ci sono quindi resistenze soggettive ad arrendersi alla verità. Dà fiducia però il fatto che in questo cammino non si parte mai da zero. Ognuno può trovare risorse positive nella propria personalità morale e anche aiuti di natura oggettiva dentro la propria comunità di appartenenza per potersi orientare e trovare una verità ‘pratica’.

Che fare allora?
La verità esiste e va cercata, disposti ad accoglierla sinceramente in sé, va cercata insieme. Nel dialogo – con gli altri e con le loro esperienze – è possibile procurarsi informazioni più veritiere sulle situazioni. Rimane difficile comunque uscire del tutto da sé per lasciarsi coinvolgere nelle realtà che ci circondano (famiglia, comunità in cui si vive…). Riconoscersi appartenenti e farsi partecipi di un destino comune aiuta ad effettuare quella conversione che comporta poi un totale rivolgimento nella propria visione della realtà.
Un proverbio indiano definisce l’età adulta come un ritirarsi nel bosco. Il che significa imparare a riconoscere i propri limiti e saper fare anche un passo indietro se necessario, nella convinzione che la verità va sempre servita e mai asservita al proprio interesse. Il top sarebbe riuscire a non togliere a nessuno la possibilità di ricredersi. E soprattutto non togliere a se stessi il dubbio di aver commesso degli errori, ricordando anche che la divisione a volte può nascere addirittura dalla pretesa di essere i primi ad amare e ad amare di più, mentre l’altro dice il contrario.
Farsi compagni di viaggio nella ricerca della verità permette di apprezzare davvero il valore delle cose più semplici e insieme di fare la propria parte per migliorare la vita. Rimane vero -secondo l’insegnamento del futuro Paolo VI- che la strada maestra per conoscere il bene è amare: più si ama il bene, più lo si conosce, perché nella conoscenza del bene esiste una priorità del cuore sull’intelligenza.

La Verità assoluta esiste e ci sovrasta. E a ognuno è chiesto semplicemente di:
- Volgere tutti i propri sforzi a cercarla con tutte le forze, nella giustizia, nell’uguaglianza, nella pace. Allora forse si potrà comprendere che il limite è la grazia che mette la persona al riparo dalla pretesa di essere quello che non è.
- Conquistare il coraggio di restare, senza fughe e senza soluzioni immediate, anche nel cuore del disagio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Dal “paese” della lontananza…

Senza categoria | Posted by usmionline
nov 26 2012

Con una mente inquieta, spesso stracarica di passato o ansiosa per il futuro, l’uomo di oggi è facilmente ”altrove” rispetto al suo presente. Febbre di correre… ma verso dove?

Come “fanciulli in balia delle onde” (Ef 4,14)
Qualcuno ha definito l’uomo occidentale “uomo in viaggio”, “uomo al volante”, sempre più lontano da se stesso e dal ‘mistero’ della vita in cui è immerso. Il movimento (sia esso fisico, o lavorativo, o comunque umano) in realtà scandisce un po’ tutto, come se fossimo investiti dal diritto-dovere di correre. I viaggi in cui siamo impegnati, per piacere o per lavoro, rappresentano un po’ il sintomo di una frenesia che sembra proprio difficile riuscire a contenere, ma che ci porta lontano da noi stessi e dal presente.

Con calcoli di riuscita
Abbiamo iperorganizzato ogni ambito dell’esistenza. Il che richiede attenzioni crescenti e competenze sempre più specifiche. Mille impegni riempiono la nostra agenda quotidiana: le tasse da pagare e le bollette da controllare; le riunioni alla scuola dei figli e i loro problemi; le attività sportive dei piccoli, quelle di catechesi e la necessità di accompagnarli e tornare a riprenderli. E poi il lavoro, la spesa e la rete sempre più fitta di comunicazioni: telefonate, e-mail, SMS, segreteria telefonica… Così, mentre la vita con il tempo che ci è dato sembra sfuggirci di mano, le parole – sempre più parole – ci immergono in un’accelerazione convulsa.

…in ricerca del Mistero
L’attivismo sembra essere dunque la parola d’ordine del nostro tempo, quasi un’ossessione… Poco importa che esso sia finalizzato a fare soldi o a cambiare il mondo; a fare semplicemente quello che fanno gli altri schizzando a destra e a sinistra per sbarcare il lunario, o nell’illusione di valere di più, quasi ci fosse una coincidenza fra il fare e l’essere.

-Una ricerca della Federazione di Asl e Ospedali (Fiaso) ha messo in luce che un dipendente su quattro riporta sintomi conclamati di stress da lavoro. L’assenteismo per stress in Europa fa perdere ogni anno 20 miliardi di euro. Pare che i fattori di rischio possano essere ridotti soltanto dalle aziende capaci di ascoltare i propri dipendenti e di trattarli con rispetto.

-Anche i nostri bambini appaiono stressati, ansiosi e stanchi, tanto che in molti casi hanno perduto persino l’abitudine al gioco. Abbiamo organizzato le loro giornate fin nei minimi dettagli, eliminando praticamente i momenti liberi tra scuola e attività extra scolastiche. Così sempre più spesso capita che i più piccoli manifestano il loro malessere con l’iperattività, oppure con il suo esatto contrario, l’apatia e la noia… Campanelli d’allarme che chiedono di provare a rallentare i ritmi.

-La cosa buffa è che anche coloro che potrebbero risparmiare energie, come i pensionati, si lamentano per troppi impegni.

-Se proviamo poi a interrogare le nostre vite per capire come in esse stanno realmente le cose, forse troveremo la conferma di ciò che andiamo annotando: anche in noi non sono sempre ben chiare le priorità…

Chissà, forse è vero che persone di maggiore qualità sono quelle tentate di disperazione, perché molto si aspettavano e nulla è venuto!

La vera posta in gioco
In realtà la grandezza di uno spirito si misura dal grado di verità che è capace di sopportare e la vera posta in gioco è l’apertura all’invisibile, l’esperienza del Trascendente. C’è “una leggerezza, una grazia tutta speciale nel puro e semplice fatto di esistere, al di là di tutti gli impegni professionali, dei sentimenti intensi, delle lotte politiche e sociali” (Françoise Héritier). Per sperimentare la verità di tali parole, è necessario imparare a riappropriarsi di se stessi e ad apprezzare l’attimo; ripensare, a tutti i livelli, la gerarchia dei nostri impegni per stabilire un corretto e giusto ordine delle priorità.

Cammini silenziosi
In un’era critica come la nostra, la gente – credente e non credente – vuole riassaporare in tutto ciò che fa e che è, il gusto della vita, nei suoi attimi più semplici. È come se sentisse il desiderio di distrarsi dai suoi problemi quotidiani, che oggi in gran parte sono di ordine finanziario; avverte il bisogno di dimenticare quel certo vento amaro e rabbioso che tutti sentiamo soffiare sul nostro Paese.

Ma nella realtà nessuno degli istanti di cui sono fatti i nostri giorni può essere mai definitivamente posseduto e tanto meno comperato con il nostro ‘correre’ e darci da fare. Continuano a vivere in noi infatti quelle ragionevolissime paure (che si possono riassumere tutte nella paura della morte: quell’ultimo atto che inesorabilmente ci separerà da chi amiamo!), che ci tentano alla corsa e alla fuga. Ma se nella febbre di correre per andare sempre più in là, si perdono le vere motivazioni del ‘viaggio’, allora si rischia grosso. La tentazione più grande è quella di spegnere il desiderio e di fermare il cammino, di sentirsi arrivati, dominatori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del viaggio. Ogni essere umano infatti è un cercatore di senso, bisognoso di un orizzonte che vinca il silenzio della morte e dia valore alle opere e ai giorni. 

Nelle istantanee del quotidiano: grandi resistenze…   
Se penso di valere qualcosa solo perché “quello che ho me lo sono guadagnato”, allora la fede non è cosa per me. È possibile invece – ci ricorda Benedetto XVI – vivere senza ansia o paura, facendo della nostra vita come «una scommessa, un esodo, un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze e schemi mentali», per affidarsi a Dio; e imparando ad ascoltare la voce profonda dei desideri che lo Spirito mette nel cuore di ogni sua creatura.

…e tracce di felicità
Se “la gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali” – come si esprime Paolo VI – rimane però vero per tutti (non solo per i cristiani) il fatto che l’abitudine a cogliere con occhi nuovi e con gratitudine le piccole cose felici che formano la quotidianità, fa sentire vivi. Così le piccole e spesso banali esperienze di vita, i suoi attimi d’intensità, guardati da un’altra prospettiva, svelano il loro significato più intimo e diventano di grande spessore.

Importante è avere l’abitudine a cercare e ri-cercare sempre, la pazienza di farsi prossimo a qualcuno gratuitamente e senza guardare l’orologio che corre, la fiducia nell’onnipotenza dell’amore che è onnipotenza inerme. Siamo mistero a noi stessi e la vita è un attimo. Resta solo l’eterno amore che sopravvive a noi perché Dio è amore e il ‘sale’ della vita può essere trovato davvero dappertutto, anche nell’accarezzare la pelle dolce e rugosa della vecchia signora, che abita accanto a noi.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it