Sublime natura dentro la storia

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nov 09 2011

La sfida: scavare e ‘ascoltare’ per capire

Non vi è nessuno dal quale non si possa imparare. Questa volta saranno forse le persone – i cui corpi sono stati trascinati a valle da fiumi di fango anche per chilometri prima di poterne uscire vive – a insegnare a noi. Se sapremo ascoltarle.

Negli ultimi cinquant’anni, un po’ dappertutto sul nostro Pianeta abbiamo:

-         sfruttato le risorse della Terra in maniera sconsiderata e opportunistica;

-         ridotto la materia a possesso egoistico e l’esistenza ad essere un’affannosa corsa a possedere il più possibile;

-         accresciuto a dismisura le distanze tra ricchi e poveri…

All’improvviso -in un territorio limitato della Liguria e della Toscana settentrionale molto vicino alla nostra vita quotidiana- si verifica una precipitazione di tipo veramente anomalo per la quale acqua e fango travolgono tutto: i beni di chi vi abita e tante vite umane. È la fine anche per uno dei nostri siti più prestigiosi presenti nella lista “patrimoni dell’umanità”: un concentrato unico di natura, storia e cultura, straordinario biglietto da visita dell’identità italiana fondata su bellezza e cultura. L’equilibrio delle Cinque Terre celebrato dall’Unesco si è rotto.

Insieme a tutto questo e ai dolori che diventano comuni, forse, rimane travolto anche quel caos che siamo tutti quando non permettiamo alla mano di Dio di riposare sul nostro capo. Questo, almeno, nell’attuale calamità possiamo augurarcelo.

Territorio a rischio di frane e tutela ambientale

L’alluvione ha provocato tale devastazione da ottenere il riconoscimento di calamità nazionale. L’evento quindi è stato di una gravità eccezionale. Ma tutte le regioni italiane sono più o meno a rischio di frane disastrose a causa dell’eccessivo consumo di suolo. Da anni infatti l’Italia è il primo esportatore mondiale di cemento e il secondo consumatore (dopo la Cina!) e ogni anno sul suo territorio sono cementificati circa 500 chilometri quadrati, pari a tre città di Milano. La gestione del territorio in sintesi è poco corretta.

Negli ultimi decenni si sono intensificati infatti abusivismo edilizio e interventi per regolare il flusso delle acque in aree a rischio di esondazione. Gli alvei dei fiumi e dei torrenti sono stati rettificati, ristretti e ingabbiati entro sponde di cemento, con gravi ripercussioni sulla fisionomia dei corsi d’acqua e sugli equilibri ambientali. Le precipitazioni, non riuscendo ad infiltrarsi più nel sottosuolo, ‘ruscellano’ in superficie e travolgono tutto.

L’attuale dissesto territoriale insomma, come molti che lo hanno preceduto, di naturale ha molto poco… Deregolamentazione, speculazione, illegalità sembrano purtroppo entrate a far parte integrante della nostra cultura. Non a caso l’Unesco sta valutando, da qualche anno, la possibilità di escludere molti dei nostri siti più belli dalla lista dei “patrimoni dell’umanità”. Abbiamo però la possibilità di decidere di cambiare rotta. E subito.

Assunzione di una responsabilità collettiva

L’attuale contesto di grave crisi economica e di civiltà, chiede che ognuno di noi:  

-         prima di agire si fermi a riflettere

-         cresca nella consapevolezza della situazione drammatica in cui abbiamo costretto il nostro Pianeta

-         si apra all’assunzione di una responsabilità collettiva.

Aprire dibattiti e lavorare insieme è la via. Non possiamo infatti delegare questa scelta ai politici, che spesso sono addirittura disinformati o in conflitto di interessi. E anche pensare di fare da soli è troppo poco, perché è sempre troppo facile ai singoli scegliere se stessi e aprire di nuovo la porta al caos.

Messa in sicurezza del territorio

La persona credente poi è chiamata a lasciarsi muovere da un’altra motivazione, che riassume tutte le altre: Dio affida la creazione all’uomo non perché eserciti ‘dominio arbitrario’, ma perché la custodisca come un figlio può prendersi cura del patrimonio del Padre (Benedetto XVI). Da tale consapevolezza nasce l’imperativo di attuare una gestione corretta del territorio che metta al primo posto la sicurezza dei cittadini coniugandola alla tutela ambientale. Perciò la necessità di:

-         ripensare a un governo del territorio, che in Italia è praticamente assente

-         mettere a frutto i grandi saperi tecnici e scientifici che possediamo per agire sul fronte della prevenzione

-         intervenire con rimedi che tengano conto anche dei nuovi cambiamenti climatici, dei quali oggi sono le popolazioni più povere a pagare il maggior prezzo.

È assurdo che si spendano miliardi di euro per risanare danni causati da emergenze idrogeologiche prevedibili e previste. E i reiterati annunci di condoni edilizi o sanatorie, per far cassa con gli oneri di urbanizzazione, non sono più tollerabili.

Speranze per una storia nuova

“Nell’agitarsi frenetico della società contemporanea, rallentiamo, appartiamoci e pensiamo, anzi, meditiamo”, invita il cardinal G. Ravasi. La riflessione certamente è condizione per ripartire – anche dopo la calamità di un’alluvione – nella libertà e nella fiducia. Ma anche alla fatica di dar vita a una nuova intelligenza comune unendo le forze in una direzione comune non esiste alternativa reale. Su questa via i nostri figli e nipoti vivranno forse in un mondo con meno energia e meno abbondanza. Ma forse con più efficienza energetica, più giustizia sociale e più felicità.

E’ un compito che tocca tutti, forse particolarmente chi, come i consacrati e le consacrate, hanno doveri e possibilità formative nell’ambito educativo, assistenziale, familiare, pastorale, catechetico, di evangelizzazione, di annuncio. E’ scritto nelle prime pagine della Genesi: “Il Signore Dio, prese l’uomo  e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Che cosa “fare” nel tempo presente?

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ott 31 2011

Pianeta dilaniato e sbigottito

Un interrogativo (quello del titolo) che vuole sintetizzare tante domande vive e che inquietano nel presente smarrimento sociale, politico, culturale di un ‘mondo di cui Dio non si è pentito’. La valutazione del presente esige di essere liberata da ogni ottimismo beota: l’uomo ha smarrito se stesso e questo suo peccato collettivo, imputabile alla società nostra e al consorzio umano del nostro mondo, porta la storia ad essere la storia del dominio e della guerra. (G. Barbaglio).

La bugia al potere

Così:

-     Le ‘democrazie’ sono diventate campi di battaglia in cui la vittoria è lasciata alla forza materiale e non alla forza della ragione.

-     La guerra, sempre figlia della menzogna pubblica (nazionale e internazionale), continua a produrre inganno quando è creduta; e a ingenerare sfiducia quando è scoperta.

-     L’accondiscendenza del popolo, che crede alle menzogne, e in questo modo le perpetua: un fatto certamente non solo dei nostri giorni! (cfr EZ 13,10!)

-     Troppe politiche seguono una ‘doppia verità’ a seconda delle convenienze e delle utilità: il dittatore è ‘accettabile’/amico e alleato da accogliere, e diventa orco da sopprimere di cui si fa vedere il linciaggio praticamente in diretta TV (in Italia per Gheddafi è stato così!), suscitando un orrore che ipnotizza, a cui purtroppo ci si abitua.

-     Davanti a noi una casta preoccupata di perpetuare se stessa e i propri privilegi, mentre progressivamente si allontana dal contatto con i cittadini e dall’intera società.

-     L’andamento delle Borse tiene quotidianamente banco nell’informazione, e nessuno spazio o quasi si dà al dramma di cinquanta milioni di morti per fame registrati ogni anno; tanto meno all’economia di pura sussistenza in cui vivono diversi popoli, se non interi continenti.

-     I mezzi di comunicazione, usati spesso come strumenti di menzogna e di inganno, fanno l’interesse di chi li usa a discapito del bene dei destinatari.

-     Cieli, terra e mari, intanto, un po’ dappertutto risultano sempre più inquinati come discariche.

Chi siamo noi di fronte a tanto?

La verità è che sull’uomo incombono rischi che spesso distolgono da un ‘fare’ positivo senza forse che egli ne diventi nemmeno consapevole. Non abbiamo forse tutti, qualche volta, fatto esperienza di quell’attivismo esagerato che rode dentro? o di una certa routine che blocca la persona a ripetere le stesse azioni? O forse della presunzione che irrigidisce, o della stanchezza che fiacca…

Tutto questo vuol dire allora che l’uomo è anche impotente ad uscire da quei vicoli chiusi in cui va a cacciarsi? E che, alla fin fine, è relitto di un naufragio esistenziale e storico senza limiti, per cui riesce, tutt’al più, a sognare e progettare vie solo ideali di ‘uscita’?

Ma per la soluzione vera del problema della pace sulla terra, a ogni persona serve una fede grande  nelle risorse operative presenti comunque nella natura dell’uomo!

E noi?…

È indispensabile lasciare che tutto questo arrivi al cuore di ogni uomo e lo inquieti, se davvero vogliamo che nelle persone maturi la domanda dei gerosolimitani agli apostoli:”Che cosa dobbiamo fare fratelli?” (Atti 2,37). In questa direzione, già questo fermarsi a riflettere insieme è un ‘fare’.

La forza infatti per cambiare le cose e la storia scaturisce dalla propria verità di uomo, è riconoscibile nella felicità della persona e ‘parla’ nella sua riuscita. È quindi, prima di tutto, questione del proprio vero essere, del proprio essere autentico. Un modo di agire gratuito, disinteressato, umile, pacifico, mite è già messaggio che modifica la realtà.

Sfida permanente

Si riuscirà allora a recuperare nel mondo politico e nel vivere quotidiano il senso di un impegno che sia davvero servizio e non dominio? A realizzare una politica non riducibile a mera gestione del potere, ma finalizzata a grandi traguardi?

Il vero problema è trovare in sé, tutti, la forza di tornare al confronto delle idee e dei progetti concreti. Arrivare, sempre più in tanti, a un confronto che sia serrato, forte, polemico anche, se necessario. Ma serio e costruttivo.

Solo la comune fede in una umanità capace di fare questo, ci metterà in grado di rovesciare il segno negativo della politica e della nostra storia.

Che cosa dovrò gridare? (Is 40, 1-11)

Abbiamo visto in questi anni cadere i regimi del Nord Africa e sognato di essere di fronte ad un’autentica primavera politica. Ma se le ribellioni produrranno democrazia e diritti umani, o se ad esse seguiranno scelte autoritarie, repressione, ostilità per le minoranze, una nuova arroganza dei vincitori… dipenderà anche dal nostro Occidente democratico. Forte della sua antica civiltà, vorrà rivedere in modo stabile il suo atteggiamento verso le dittature e i regimi autoritari, di qualsiasi colore e natura siano? Saprà educare se stesso e tutti a crescere nell’esperienza della democrazia vera, che è nello stesso tempo libertà e responsabilità?

Il compito specifico dei cristiani e dei religiosi nella storia: essere profeti …

I cristiani della Chiesa primitiva, come anche -nella tradizione- il popolo dei profeti, non si sono mai ridotti a un atteggiamento di passiva rassegnazione, arrendendosi quasi per forza maggiore. E non hanno mai vissuto come esperienze di disperazione le smentite storiche delle loro attese. Hanno voluto e saputo invece rilanciare la loro speranza storica, legata a questa terra e al suo destino.

…e camminare insieme nella verità

Ci è necessario:

-      Lasciare che la realtà di questo tempo e le sue domande ci arrivino al cuore.

-      Verificare il cammino che stiamo facendo insieme a tutti – e farlo in     comune – nella verità del Vangelo.

-       Recuperare il senso di una profonda comunione spirituale.

-       Creare così una larga comunità di spirito e di cuore e tenerla viva attorno alla Parola.

Sarà questa comunità a rivelare l’incisività del Regno realizzato in una rete di rapporti autentici.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

“Il dialogo è finito?”

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ott 20 2011

Un evento globale per promuovere dialogo e democrazia

Qualcuno afferma che siamo ancora all’età della pietra per ciò che riguarda il dialogo, sia nel privato che nel pubblico. Ma la manifestazione internazionale, che sabato 15 ottobre ha riempito le piazze di tutto il mondo coinvolgendo 900 città e oltre 80 Paesi, ci regala un messaggio di speranza sulla possibilità:

- che le vere ragioni della crisi trovino finalmente spazio adeguato nel dibattito pubblico;

- che queste ragioni muovano tutti ad una più allargata democrazia partecipativa;

- che la partecipazione di tanti metta finalmente il cittadino al centro e restituisca così dignità e valore all’azione politica.

Le ragioni degli ‘indignati’

A scendere in piazza è stato un popolo pacifico, ‘indignato’ con chi nel mondo muove le leve del potere politico ed economico facendo scelte che hanno creato dappertutto precarietà giovanile e povertà. I manifestanti -ragazzi maturi, concreti e disincantati- hanno condiviso slogan e tattiche su Facebook e Twitter. Poi, insieme, sulle strade del mondo hanno lanciato critiche e slogan contro l’alta finanza, la collusione fra  banche e politici, la corruzione, i tagli del welfare… Una piazza consapevole, insomma, che, mentre esprime il suo disagio e chiede un’Europa solidale, vuole allargare gli spazi del dialogo e della democrazia. Una piazza che, suo malgrado, si è trovata – a Roma – a fare da copertura a gruppi organizzati di violenti, professionisti della distruzione.

In una società libera e democratica però gli ‘indignati’ si ascoltano. I delinquenti invece si mettono in galera. Un dialogo vero richiede che nessuno si faccia scudo della retorica e che si cominci finalmente ad agire in modo diverso, smettendo di alimentare il vuoto con cattiva politica ed esempio peggiore.

La Giornata europea del dialogo interculturale

Altra ragione di speranza. Da Roma a Parigi, dalla Germania alla Spagna, in tutta Europa il 29 settembre si è aperta la quarta edizione del “Dialogo Interculturale” – una manifestazione promossa da Intercultura e dalle altre associazioni riunite nell’Efil. Obiettivo: favorire l’incontro e il dialogo tra persone di tradizioni culturali diverse e aiutarle a comprendersi e a collaborare in modo costruttivo.

L’evento ha coinvolto tutte le regioni d’Italia e ha interessato in contemporanea cinquecento città europee. Mostre fotografiche, laboratori interculturali, conferenze, cineforum, dibattiti in scuole… Tutto allo scopo di stimolare la costruzione di un mondo in cui il dialogo tra persone di culture diverse non sia un lusso per pochi, ma un elemento fondamentale della vita quotidiana.

Confronto fra religioni e culture, o scontro di civiltà?

Mentre l’Europa cambia ‘pelle’ e il cristianesimo sta semplicemente trasformandosi, in Italia molti media continuano a:

- diffondere visioni catastrofiche della ‘rovina del cristianesimo’ e del trionfo di un ‘islamismo estremo’

- martellare (facendo eco ad altrettanti politici) contro l’edificazione di nuove moschee.

Intanto il prevalere di tale retorica intransigente, insieme all’ossessione della sicurezza (che è figlia della ragione armata!) ha portato, sempre in Italia, alla nascita della Lega, movimento localista e xenofobo che proclama lotta agli immigrati, rei di ‘averci rubato il lavoro, portato le malattie, distrutto la nostra identità’.

Nella realtà quotidiana e storica, i cambiamenti, in verità, sono:

-         una potenziale benedizione e un’occasione di rinnovamento.

-         Oppure il contrario.

Davvero il tempo del dialogo è finito?

Il dialogo della vita

Per scoprirlo è necessario riflettere insieme sul senso autentico del ‘dialogare’ in questo momento di straordinarie trasformazioni, in cui siamo chiamati a vivere in pienezza di responsabilità e di gioia.

Certo oggi del termine ‘dialogo’ si fa un uso ambiguo, fragile, aperto a mille strumentalizzazioni. Vi si ricorre con troppa facilità, come a un talismano e senza una seria elaborazione. E così si rischia di non comunicare più nulla.

Ma allora quali speranze di armonia rimangono in un mondo tormentato come il nostro, dove atteggiamenti di individualismo e di competizione non ci consentono di sentirci parte di una comunità globale?

Riflessione critica urge…

Sì, è proprio necessario discutere (e senza paura!) dell’attuale crisi del dialogo. Lo si fa troppo poco! Ma è necessario farlo con richiami seri e puntuali ai ‘fatti’, se si vuole -con gli anticorpi di una riflessione critica:

- frenare il dilagare dell’arroganza e della violenza

- ragionare sul valore essenziale dell’incontrarsi e del confrontarsi nel vissuto quotidiano

- realizzare una effettiva integrazione di vita.

…per aprirsi a esperienze di fiducia reciproca

In realtà i cristiani d’Europa sono passati dalla fase dell’incontro interreligioso – fase scaturita giustamente dalla spinta conciliare – alla denuncia generalizzata dei suoi rischi, quasi che questi fossero perennemente in agguato. Ma, pur nell’ambiguità che caratterizza ogni fenomeno storico, anche per noi è possibile vivere questo tempo accidentato e caotico di immigrazione come autentico Kairòs e inedita occasione di crescita per la famiglia umana.

Certo costruire pian piano la fiducia di cui abbiamo bisogno per un vero confronto è un processo lento che richiede pazienza e umiltà. Ma solo questo percorso può contribuire a edificare un pianeta (finalmente) dal volto umano, dove le persone, vicendevolmente ben disposte, si sforzano di vivere in uno spirito di buon vicinato, condividendo le rispettive gioie e pene, i problemi e le preoccupazioni umane.

Interagire per dialogare

Perché si dia dialogo, ciascun interlocutore è chiamato a riconoscere da subito, almeno implicitamente, le buone ragioni dell’altro. Così come molto importante è imparare a fare qualcosa insieme. E ricordare che, anche se è vero che il sorriso è la distanza più breve tra due persone, un dialogo fatto principalmente di coccole e in cui si desidera solo essere gentili gli uni con gli altri è di pura facciata, e non aiuta certo a compiere progressi. Solo il dialogo nella verità e nella chiarezza –come afferma il card. Kasper- può sostenere nell’andare avanti.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

N.B. L’argomento è stato analizzato con competenza e sensibilità e approfondito in tutti i suoi aspetti da Brunetto Salvarani, nel suo libro Il dialogo è finito? Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale, EDB 2011

Non domani, già oggi

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ott 08 2011

Essere cristiani oggi nell’Italia che desidera cambiare

Gesù non ha annunciato la scomparsa, quasi per incanto, del male e del peccato e non ha predetto un ordine nuovo che renderebbe superfluo lo sforzo personale. (Winling)

Quanto resta della notte?

Crisi, crisi, crisi… In questo periodo non si sente parlare di altro… Scuote l’intero occidente e si abbatte sul nostro Paese con particolare durezza. Licenziamenti gettano nella disperazione numerose famiglie; sospensioni dal lavoro con periodi di cassa integrazione destinate spesso a sfociare nella disoccupazione; allargamento dell’area del lavoro nero; contributo di solidarietà confermato chissà perché solo nei confronti dei dipendenti pubblici e dei pensionati… Si socializzano, insomma, le perdite e si privatizzano i profitti. Il tutto secondo la logica per la quale il prezzo delle crisi deve essere sempre pagato dalle fasce sociali più deboli. E intanto la fede “nel libero mercato ci ha portati al disastro” (Hans Kung).

Di fronte a tanto, d’istinto verrebbe da rassegnarsi: ‘tanto non si può cambiare da soli il sistema!’ Certamente non serve nemmeno alimentarsi di rabbia. Ma allora, perché questa ‘notte’ abbia finalmente fine, chi e come avrà il coraggio di confutare i dogmi del libero mercato? Di riscoprire e realizzare un’economia più equa e più efficace? Di annunciare, insomma, la ‘buona notizia’ di Gesù ai poveri di oggi?

Che cosa fare?

Per muoversi concretamente verso questo obiettivo, all’Italia serve l’impegno coraggioso di tutti per un veritiero discernimento e per un protagonismo costruttivo e positivo. Uguaglianza, libertà e giustizia meritano tutto quello che ognuno può dare. Serve perciò il coraggio di partecipare, con i propri valori vissuti, per essere diversi e operare in modo diverso, perché è dal fare che si vede la qualità della persona e si comprende il suo essere.

La crisi attuale è in una democrazia malata…

Oggi la democrazia è offesa e umiliata, perché non è stata sentita e partecipata come un dovere da parte di tutti i cittadini. Ma i popoli non si rassegnano più nella condizione in cui erano stati relegati da sempre (pensiamo anche solo al milione e duecentomila firme in Italia per il referendum antiporcellum, o alla nuova consapevolezza di sé acquisita dalle donne!). Da quale cultura nasce la democrazia vera? Come contribuire a vivificarla? E quando finirà questa crisi? Come finirà? Molti ancora non sanno che cosa fare.

Guidati da valori che ‘bucano’ il tempo

Il cristiano è chiamato come tutti ad interpretare rettamente il presente, a farlo secondo tutta la ricchezza del Vangelo. Ha bisogno perciò prima di tutto di riconoscere i motivi che determinano il proprio fare quotidiano nella vita familiare e in quella sociale…

Il suo è forse il fare dell’affanno, della ricerca del proprio tornaconto? Oppure è quello del cuore descritto nel discorso della montagna? Certo è che, quando si allenta la tensione interiore, ciò che conquista lo spazio del cuore è esattamente il contrario del Vangelo. La sfida è grande e permanente. E lungo la via i rischi da affrontare sono diversi, anche se comuni a tutti: c’è l’attivismo esagerato, per esempio; o la tentazione di continuare tranquillamente a vivere i propri giorni, in una routine più o meno di comodo; o di lasciarsi guidare dalla presunzione, oppure dal disgusto, dalla rassegnazione… Ad ogni persona comunque è dato appuntamento nella terra oscura e tentata della vita quotidiana. Se la forza del Vangelo di Dio penetra nella quotidianità di qualcuno, l’apre a sentieri di libertà e di felicità e, passando fra le oscurità dell’esistenza e della storia, l’apre a nuovi orizzonti.

Speranza di che…?

I cristiani in realtà sono debitori di una speranza ricevuta senza merito e sono chiamati a condividerla con tutti. Speranza per essi è una Persona: l’unica a dare ragioni vere di vita, d’impegno, di bene. L’unica da cui viene loro la forza per realizzare il Regno. Il problema è: ci crediamo davvero che Cristo c’entra con il tempo e con la storia? O siamo cristiani solo di facciata e di routine (Benedetto XVI), per cui l’abitudine ci si deposita sulla coscienza come la polvere sui crocifissi nelle aule delle scuole? Per superare l’inquietudine e lo smarrimento – nel tempo “degli smarriti di cuore” -  occorre dunque ritrovare questo “fare del cuore”.

Non è semplice, non è impossibile

Si tratta di vivere l’unità tra verità e amore e di comunicarla agli uomini che camminano nella storia con noi per realizzarla insieme. Ma la proposta può far nascere la stessa attesa negli altri solo a condizione di proporla non come ‘dottrina’ imparata, ma come sintesi personale di fede ricevuta, di esperienza di vita, di relazione con il Signore maturata nella preghiera. Allora togliere dal vivere personale, politico e sociale le resistenze che vengono dal cuore ‘malato’ può ancora apparire un compito impossibile, ma ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.

…e la missione dei religiosi?

Come affrontano, i religiosi, questo momento storico che spinge all’idolatria, ma pone anche di fronte alle proprie responsabilità? La loro missione è -per definizione- a partire da una più intensa vita interiore. La loro scelta di vita è qualcosa di più importante dei singoli ministeri nei quali sono impegnati. Ma essi sono davvero consapevoli dei cambiamenti che stanno avvenendo? Li stanno percependo con la stessa intensità di molti contemporanei, o non li vedono forse soprattutto come una minaccia?

Certamente i religiosi sperimentano le stesse contraddizioni e debolezze di tutti, ma sono in cammino per rispondere alla chiamata di concentrarsi nella missione che è solo di Dio. Sanno che quando la carità è un rischio per la propria persona, quello è proprio il momento della carità; e che l’ordine prioritario da seguire nelle scelte quotidiane è servire prima chi soffre di più.

Riusciranno a comunicare agli uomini di questo tempo -testimoniandolo attraverso la propria vita comune- che l’unità può essere creata solo là dove la partecipazione è di tutti, dove le differenze sono appropriatamente accettate e integrate e dove la dignità personale è sempre rispettata?

Più coscienza e più sensibilità da parte di tutti sono indispensabili per uscire dalla strategia della divisione e dallo smantellamento dei diritti universalmente riconosciuti. C’è bisogno insomma della consapevolezza di tutti o meglio del maggior numero di questi “tutti” per recuperare il terreno perduto e costruire un’Italia migliore.

Se sarà così, allora certamente -attraverso un cammino comune- “qualcosa di nuovo potrà nascere al servizio di Colui che rende nuove tutte le cose”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

PERLAPACE

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set 30 2011

Prologo ‘tutto giovane’ al 27 ottobre

Mentre rimane nel mondo il rumore di fondo insopportabile della guerra, i giovani -“la parte migliore di questa Italia lacerata”, come li ha definiti il sindaco di Perugia alla partenza della marcia Perugia/Assisi del 24 settembre- cercano davvero la pace. E si preparano con la preghiera per essere il 27 ottobre -giornata mondiale di preghiera delle religioni per la pace- accanto al Papa, ai rappresentanti religiosi del mondo e a tutti i cercatori di verità.

Pellegrini della verità e della pace

I giovani pellegrini vogliono una pace non retorica e disincarnata, ma intesa come esercizio quotidiano dell’agire di ciascuno e come impegno principale dell’agenda politica; da coniugare quindi con la verità, la giustizia, la salvaguardia dell’ambiente, la solidarietà…

I loro slogan e cartelli, in una variegata galassia di movimenti, parlano di politica, lavoro, ambiente, diritti, immigrazione… Insieme, essi progettano nuovi percorsi di pace.

E il Papa ha fatto giungere loro “l’apprezzamento per la fattiva sintonia con la sua missione di favorire il dialogo tra le religioni in ordine all’impegno comune per promuovere la pace tra i popoli”.

Il progetto di Dio…

La verità sta da tutte le parti (afferma s. Tommaso) e perciò va cercata da tutte le parti sempre e sempre di nuovo. È la sua ricerca che ci mette in comunione e pone le basi per una pace vera. Il progetto di Dio -ci ricorda quel profeta dei nostri tempi che è il Cardinal Martini- è un progetto comunicativo: ampliare la comunione tra gli uomini. E anche il progetto eterno di Dio è una grande comunione di tutti con tutti.

…nello spirito di Assisi

Su questa linea, Giovanni Paolo II, in apertura della storica Giornata mondiale di preghiera per la pace del 1986, richiamava al mondo la necessità che “…ogni essere umano segua sinceramente la sua retta coscienza nell’intenzione di cercare e di obbedire alla verità”.

Benedetto XVI, nel 25° anniversario di quel primo convegno, sul tema precisa: “Solo se la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità, allora c’è speranza per il futuro”. In questo caso infatti la coscienza si pone, nella concretezza storica, come “chiave di volta per l’elaborazione culturale e per la costruzione del bene comune”.

Il servizio possibile di tutti alla pace

Il momento ‘chiave’ nell’impegno della persona per costruire la pace, concretamente è nel rendersi conto che il proprio desiderio di verità e di correttezza esiste non solo in sé o all’interno del proprio gruppo, ma anche in altri. Allora diventa più spontaneo:

-    impegnarsi ad essere riflesso nel quotidiano di quel desiderio;

-    battersi per ciò che si sente in profondità come ‘giusto’ per l’umanità intera;

-    non arretrare di fronte agli insuccessi;

-    non adeguare la propria etica al tornaconto;

Gioire insomma delle bellezze cercate e trovate quotidianamente nei piccoli gesti e nelle parole che altrimenti scivolerebbero dalla nostra vita, scoloriti dalla normalità…

‘Vedere’ il quotidiano

Nessun desiderio umano è tanto grande come quello di conoscere Dio chiamandolo per nome.  Eppure la cosa più difficile per tutti non è scoprire, nei propri giorni, verità nascoste; è ‘vedere’ davvero il quotidiano che è sotto gli occhi, dove l’esistenza non è statica ma incamminata verso qualcosa che rimane sempre al di là della propria persona. In questa situazione il peggio che  possa capitare a ognuno è proprio sbagliarsi su Dio perché poi si sbaglia sull’uomo, su se stessi, sulla storia, sul mondo.

Vivere e pregare in realtà percorrono la stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di un Tu/tu in cui riconoscersi amati e amabili, capaci perciò dell’incontro vero che fa entrare all’interno del senso delle cose. Queste allora rivelano, al cuore aperto e attento, una coloritura e un gusto diverso. E si realizza nella persona quella vita intimamente radicata nella fede -una fede non esibita, ma profonda e totale- che, spontaneamente, insieme a tutte le tradizioni religiose alza al cielo mani senza contese per un’unica e corale invocazione di pace a Dio per la nostra terra.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

In preparazione all’evento del pellegrinaggio del Papa ad Assisi, la Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato il volume: Assisi 2011. «Pellegrini della verità, pellegrini della pace», curato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Facebook: rivoluzione annunciata

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set 22 2011


Multimedialità e condivisione

È già dalla fine degli anni Novanta che la Chiesa ha avviato una formazione sul territorio degli animatori della comunicazione e della cultura, definiti da Giovanni Paolo II “operai che, con il genio della fede, sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli”.

Lo spazio abitato

Oggi sono migliaia gli operatori dei media cattolici e animatori della comunicazione e della cultura che dal convegno Testimoni Digitali hanno avviato momenti di studio e riflessione sulle nuove modalità di relazionarsi in e con la rete. Aiutano le famiglie a interagire con i media in modo corretto e costruttivo, suggeriscono letture, ascolti e visioni di qualità; offrono valutazioni schiette di quanto il mercato propone. Anche per questo vogliamo soffermarci su una notizia.

“Leggi. Guarda. Ascolta.”

Si è appena conclusa la conferenza annuale di Facebook, meglio nota come f8, che tradizionalmente porta con sé novità di rilievo destinate a ripercuotersi su tutto l’ambiente del web 2.0.

Facebook, il più popolare social network, presenta le sue idee per rivoluzionare il web, annunciando una nuova piattaforma multimediale dedicata a musica, tv e cinema. Il nuovo motto sarà: “ Leggi. Guarda. Ascolta.

Nuovi pulsanti a portata di clik

Saranno infatti introdotti su Facebook i pulsanti “Letto”, “Visto” e “Ascoltato” al fianco del canonico “mi piace”, che fin qui ha scritto la storia del social network. Bottoni per condividere news, video e musica su piattaforme esterne. Non è ancora chiaro quale possa essere il loro uso né quale possa essere la loro relazione con il “mi piace”, ma certamente saranno in grado di frammentarlo.  

Si vuole insomma trasformare il social network da ambiente autoreferenziale, che vive principalmente di ciò che circola al suo interno, in un ibrido di fonti, risorse e opportunità provenienti da tutto il mondo della Rete.

Attraverso questi pulsanti l’utente potrà meglio definire i propri gusti e dichiarare di quali contenuti ha usufruito; e il social network traccerà il percorso delle sue esperienze.

Finalità: socializzare sempre più Internet

Nessuna informazione è per ora disponibile sulle modalità con le quali il servizio verrà distribuito agli utenti, né tanto meno sui prezzi che accompagneranno per esempio la musica tramite le pagine di Facebook. Certamente però i gruppi – che metteranno piede su questo social network i cui iscritti superano già quota 750 milioni e sono in costante crescita – avranno a disposizione un’opportunità unica per ampliare la propria base d’utenza; e contribuiranno così ad allargare la socializzazione del social network. Facebook in realtà ha sempre parlato di socializzare Internet e questa sembra essere decisamente ‘la mossa più importante per riuscirci’.

È possibile educare sui media

E’ possibile educare sui media se prima di tutto ci rendiamo consapevoli, insieme, del mondo in cui viviamo. Con i suoi modelli di pensiero e stili di vita. I suoi riti e i suoi miti.

Anche noi, come USMI, siamo impegnate per formare animatrici e animatori in grado di fare da ‘antenne’ avvertite circa le trasformazioni del contesto socio-culturale in atto. La rete ha realmente bisogno dell’esserci autentico e responsabile di tutti e di ciascuno per superare la banalità nel linguaggio e nei contenuti. È chiaro a tutti infatti che il prossimo va incrociato e attivamente ascoltato oggi negli spazi mutanti dei social network.

Nuovi modelli formativi

Nel vivere sociale e anche nell’ambito della vita religiosa, la rete nasconde opportunità nuove da scoprire e sperimentare perché il sapere in realtà si produce, non si acquisisce. Ed è collettivo, non individuale.    

Sul tema è appena uscito un libro, davvero unico nel suo genere, di Pina Riccieri, Formazione a portata di click. Comunicazione digitale e santificazione della mente, Ed. Paoline, dove l’Autrice ripensa la formazione in rapporto al contesto in cui viviamo e avvia a scoprire, attraverso la comunicazione, le nuove frontiere della comunicazione; sollecita tutti – in primis formatori ed educatori – a decidere come crescere in umanità, libertà e responsabilità attraverso la rete. Nello stesso tempo offre alcune proposte e percorsi di formazione capaci di fornire qualità alla formazione stessa. 

Web e vita consacrata

La vita consacrata attraversa oggi, soprattutto in Italia, una fase  di travaglio e di cambiamento. E se è difficile sapere quali sviluppi avrà nei prossimi anni, è certo però – ci ricorda Pina Riccieri a conclusione del suo libro – che  Dio continuerà a chiamare e sempre vi sarà qualcuno che ascolterà la sua voce e si porrà alla sua sequela con ‘amore indiviso’ e con la totalità della vita. Allora nella vita consacrata, secondo le parole profetiche di G. Alberione: “diminuiranno le energie fisiche, ma si supplirà ad esse con l’accresciuta sapienza e abilità”.

Una sfida che entusiasma ed è da raccogliere, soprattutto da chi è chiamato a formare le nuove generazioni: maturare nuove competenze per migliorare l’interazione e la condivisione; santificare la mente – come si esprime Pina Riccieri – attraverso i nuovi linguaggi del Web.2;  aprirsi, insomma, a un nuovo modo di pensare la formazione da integrare nelle strategie tradizionali.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Giovani religiose nell’agenda del Papa

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set 12 2011

Per la prima volta alla GMG di Madrid

1600 giovani suore, di cui 400 claustrali. In attesa del Papa, al monastero di San Lorenzo dell’Escorial, cantano, battono le mani, qualcuna salta. Un entusiasmo da cui trapela la fame di incontro e di mutuo riconoscimento che anche le giovani suore hanno in comune soprattutto con i loro coetanei. Lo stesso bisogno di relazioni che i ragazzi cercano di soddisfare suonando musica, organizzando feste, passando tempo sui social network, ma senza trovare realmente -nelle velocissime e personalizzate comunicazioni online- quello che in profondità cercano.

All’Escorial, la sintonia generata dal piccolo grande gesto del Papa è palpabile. “Questo incontro ci conferma nella nostra donazione e ci sprona a una completa consacrazione di noi stesse”, afferma una giovane religiosa.

L’incontro con le religiose…

Il Papa rivolge a tutte un memorabile discorso che si può leggere integralmente cliccando su: https://www.zenit.org/article-27629?l=italian

…nel pensiero e nel cuore del Papa

Riandando poi ‘con il pensiero e con il cuore’ a quell’incontro -nell’udienza generale tenuta a Castel Gandolfo il 24 agosto- lo stesso Benedetto XVI lo racconta e riassume:

“Alle giovani religiose ho ricordato la bellezza della loro vocazione vissuta con fedeltà, l’importanza del loro servizio apostolico e della loro testimonianza profetica”. E aggiunge:

“Rimane in me l’impressione del loro entusiasmo, di una fede giovane… piene di coraggio per il futuro, di volontà di servire così l’umanità”.

Richiamo a una vita di fedeltà

“La vostra vita di fedeltà alla chiamata ricevuta – aveva detto loro già all’Escorial – è anch’essa un modo prezioso di custodire la Parola del Signore, che risuona nelle forme di spiritualità a voi proprie”.

Un richiamo forte e ripetuto -il suo- a quella fedeltà perseverante che oggi appare come un’eccezione nelle relazioni quotidiane, quasi il ripiego di gente frustrata. Invece è la forza di chi sta osando l’impresa, poiché in essa si annida l’energia divina che dà riuscita e pienezza definitiva all’esistenza. Fedeltà è lo sguardo lungo della fede che scruta il futuro e insegna a ‘vedere’ con lucidità il presente per assumerlo responsabilmente.

Questo sguardo lungo di fede è:

- prerogativa del credente,

- ‘competenza’ richiesta al ‘testimone’,

- capacità che chi sta ancora crescendo ha bisogno di acquisire.

Il Compito” consegnato dal Papa: la ‘radicalità’…

In un contesto culturale come quello attuale, da cui emergono “amnesia” di Dio e tanta mediocrità, la radicalità della vita religiosa possiede “una speciale rilevanza” che deve essere testimoniata “con tutta la forza trasformante nelle vostre vite”: è il “compito” consegnato da Benedetto XVI alle giovani religiose.

…che mette in comunione

Il Pontefice ha anche raccomandato alle giovani suore di impegnarsi per “la comunione con gli altri membri della Chiesa” e all’interno della propria Congregazione religiosa, “custodendone con gratitudine il genuino patrimonio spirituale e apprezzando anche gli altri carismi”.

L’intenzione divina è l’amore

L’unica ragione di questo impegno è l’amore, che è -esso stesso- senza spiegazione, perché l’amore è mistero. Ma chi s’apre al Mistero con tutta la propria vita scopre l’Amore come la fonte del suo esserci, quello che fonda la stima di sé e che nessun fallimento né alcun peccato potranno mai incrinare.

Quel Mistero chiama

La radicalità evangelica, necessaria e urgente -ricorda il Papa- va vissuta:

-         nell’incontro personale con Cristo, che solo nutre la consacrazione;

-         nella comunione filiale con la Chiesa;

-         nella comunione con la propria famiglia religiosa;

-         nella missione stessa che Dio vuole affidare ad ogni sua creatura nel mondo.

Rimane ad ognuno il debito dell’amore vicendevole

Dio ci ha creati perché vuole amarci e vuole che noi amiamo con lui; vuole che amiamo Lui e che amiamo gli altri con Lui. Con la Sua grazia è sempre possibile amare, anche nelle circostanze più difficili. «Care sorelle – conclude il Papa il suo discorso alle giovani suore- questa è la testimonianza della santità alla quale Dio vi chiama, seguendo da vicino e senza alcuna condizione Gesù il Cristo nella consacrazione, nella comunione e nella missione. La Chiesa ha bisogno della vostra fedeltà giovane, radicata ed edificata in Cristo. Grazie per il vostro «sì» generoso, totale e perpetuo alla chiamata dell’Amato. Chiedo che la Vergine Maria sostenga ed accompagni la vostra giovinezza consacrata, con il vivo desiderio che Ella interpelli, incoraggi ed illumini tutti i giovani».

La GMG (anche quella delle giovani religiose!) perciò non è finita. Comincia di nuovo ‘oggi’.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

DALLA GMG AL CONGRESSO EUCARISTICO DI ANCONA

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ago 30 2011

Signore da chi andremo? l’Eucaristia per la vita quotidiana

“I fedeli cristiani hanno bisogno di una più profonda comprensione delle relazioni fra l’eucaristia e la vita quotidiana” (Benedetto XVI). Per rispondere a questo bisogno, il Congresso eucaristico Nazionale di Ancona (3-11 settembre 2011) “vuole raccogliere il grido e la speranza della società contemporanea; e insieme offrire l’eucaristia come sacramento di salvezza e presenza viva del Signore risorto” (mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo).

L’evento del Congresso eucaristico nazionale

È una chiamata rivolta a tutti i cattolici d’Italia perché s’incontrino tra loro ed incontrino il Signore Gesù presente nell’Eucaristia. Una sfida quindi ad uscire dal comodo individualismo, che può far sentire bene e protetti, ma che manca di confronto, di crescita e di missionarietà. La fede verrà confrontata nei giorni del Congresso con quanto di comune hanno tutti gli uomini, siano essi credenti, indifferenti o non-credenti; e cioè con i tanti problemi quotidiani che riguardano famiglia, lavoro, salute, socialità, politica: gli stessi ambiti di riflessione del Convegno di Verona.

‘Spazio giovani’ al Congresso Eucaristico

Mons. Menichelli ha rivolto ai giovani della Gmg spagnola un invito particolare per il 3 settembre quando la croce delle Giornate Mondiali della Gioventù arriverà ad Ancona per l’apertura del Congresso Eucaristico Nazionale. L’evento, che richiamerà almeno 250 mila fedeli provenienti da tutta Italia e rappresentanze dei Paesi che si affacciano sull’Adriatico, si concluderà con la presenza di Papa Benedetto XVI che presiederà la celebrazione eucaristica nell’area portuale della città insieme ad oltre 100 vescovi.

L’Eucarestia dà la spinta e fa trovare la motivazione perché la vita sia autentica. Nella Gmg spagnola, i giovani, con la freschezza delle loro domande, con l’attenzione e la pazienza rivelate nell’ascolto, hanno comunicato al mondo questo loro bisogno esigente di mettere insieme la vita con il progetto evangelico, e di ridurre perciò la distanza culturale tra quello che celebriamo e quello che viviamo.

Gmg e Cen di Ancona “parlano”

Alcuni temi, che saranno approfonditi nella settimana del Congresso eucaristico, toccano da vicino i giovani: l’affettività, la fragilità, la cittadinanza… Sono aspetti sui quali la cultura che viviamo è, in genere, disattenta e anche diseducativa.

Per esempio:

-    Il pensiero dominante di oggi coniuga l’affettività soprattutto sul versante del ‘mi piace’. L’Eucaristia invece educa all’affettività e all’amore come dono di sé.

-    Così se l’uomo contemporaneo sembra avere scartato la fragilità non considerandola una qualità della vita, Gesù – che ha assunto su di sé la fragilità umana – non la ritiene certo una ‘diminuitio’.

-    Sul tema della cittadinanza, poi, è ancora più urgente confrontarsi. Tanti nostri contemporanei infatti sembrano avere alzato uno steccato su una porzione del creato, su un ‘territorio’, e si sentono in diritto di dire a qualcun altro: ‘tu qui non ci devi venire’. Ma il banchetto del creato – come quello eucaristico – è preparato da Dio per tutti e non si può escludere da quel banchetto nessun figlio del Padre.

Rivoluzione vera è la santità

L’Eucaristia, sacramento dell’amore di Dio per gli uomini, è pane del cammino storico dei credenti e fermento di novità in tutti gli aspetti del vivere umano.

Ai giovani mons. Menichelli, anche riferendosi alle contestazioni di Madrid, ribadisce: “Assumete l’indignazione interiore perché la vera rivoluzione è la santità, non secondo i linguaggi del mondo, ma nella logica del Vangelo che è impopolare, ma vera”.

In quanto coinvolge la realtà umana del credente nella sua concretezza quotidiana, “l’Eucaristia rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio di Dio (cfr Rm 8,29s). Non c’è nulla di autenticamente umano — pensieri ed affetti, parole ed opere — che non trovi nel sacramento dell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza” (Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, n 71)

La fede così si fa racconto di una celebrazione che parte dalla vita. E Cristo si fa contemporaneo in questo nostro tempo.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Un credente a servizio della storia

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ago 23 2011

A cinquant’anni dalla sua morte

« Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto», aveva scritto Dag Hammarskjöld nel 1951. Oggi pochi lo conoscono davvero. Eppure Hammarskjöld, personaggio straordinario e schivo del secolo scorso, ebbe responsabilità immense in un mondo attraversato da tensioni enormi, sempre al limite della catastrofe atomica (la crisi di Cuba si verificò appena un anno dopo la sua morte).

Chi era Dag

Personalità affascinante dotata di grandi capacità comunicative, è eletto segretario generale delle Nazioni Unite nel 1953 ed è riconfermato per un secondo mandato nel 1957. Muore il 17 ottobre 1961 in un incidente aereo nel corso di una missione per risolvere la questione congolese. Attentato, disgrazia, sabotaggio? La verità non sarà mai provata.

Ciò che sappiamo sulla sua persona si deve principalmente al suo diario pubblicato postumo:Tracce di cammino, Qiqajon, Bose, 2005. In esso è il resoconto dei rapporti di Hammarskjöld con se stesso e con Dio. Ogni pensiero è una riflessione interiore, da cui trapela lo sguardo, anche implacabile e sempre lucidissimo, con cui egli sapeva analizzare se stesso e la realtà.

Viaggiatore verso il profondo dell’animo umano

Non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino. Però siamo noi a immettervi il contenuto. Hammarskjöld, politico profondamente cristiano, dedica la vita al bene comune, traendo forza dalla propria religiosità. Nel suo operare è coerente costruttore della pace tra gli uomini e ricercatore della quiete in Dio.

Rivela una spiritualità che egli vive:

- nella solitudine e con riservatezza;

- nell’onestà della mente e nell’interiorità (che è il ‘viaggio più lungo’);

- nel meditare e ‘ruminare’ con costanza l’Antico e il Nuovo Testamento;

- nella tendenza a dimenticare il proprio io per agire unicamente come strumento di Dio;

- nel servizio sempre attivo e sereno verso la società;

- nella convinzione -come egli scrisse- che nessuna vita dia maggiore soddisfazione di una vita di servizio disinteressato al proprio Paese e all’umanità.

Lotta quotidiana per l’accettazione della volontà di Dio

Di sé scrive:«Dagli studiosi e dai pastori della mia ascendenza materna ho ereditato la convinzione che, nel vero senso del Vangelo, tutti gli uomini sono uguali in quanto figli di Dio e devono essere accostati e trattati da noi come i nostri signori in Dio».

Perciò «la tua posizione non ti dà mai il diritto di comandare. Solo il dovere di vivere in modo tale da permettere agli altri di seguire il tuo ordine senza esserne umiliati».

E nel 1954, a un anno dalla sua elezione a segretario dell’ONU prega:«Possa tutto il mio essere volgersi a tua gloria e possa io non disperare mai. Perché io sono sotto la tua mano. E in te è ogni forza e bontà». 

L’eredità più preziosa

- È nell’oblio di sé e nella forza dell’amore. A se stesso ricorda: «Prega che la tua solitudine sia spronata a trovare qualcosa per cui vivere, che sia abbastanza grande per cui morire». E, forse, proprio la solitudine -arduo banco di prova per tutti- fu per lui lo strumento privilegiato per divenire uomo di comunione nello sforzo di rendere giusto il potere e, quindi, ‘meritarlo’.

- È nella sua umiltà. Quella di Hammarskjöld è l’umiltà dell’uomo grande, che considera la propria attività come una vera e propria missione per gli altri, e se stesso come un mezzo di Dio. Perché nessuno è realmente umile se non nella fede. In questo la sua vita è un esempio di coerenza. 

- È nella rettitudine e integrità del servizio reso alla comunità. Il senso di tutto il suo operare rivela un testimone affidabile, che libera l’anima dall’affanno dell’azione e dallo stordimento dell’inessenziale; un testimone del Vero e Unico Nome di Dio. Scrive:«Gratitudine e prontezza. Non esitare, quando ti si chiede, di dare tutto ciò che hai… Nella condizione umana è un tradimento non essere e non dare in ogni istante il meglio di sé. Tanto più se gli altri credono in te!».

La stanza del silenzio

Secondo le sue stesse parole, ognuno di noi si porta dentro un nocciolo di quiete, circondato di silenzio. Per questo, una volta eletto segretario dell’ONU, Hammarskjöld volle che nel Palazzo di vetro -dedicato a lavoro e discussione al servizio della pace- ci fosse una sala dedicata al silenzio in senso esteriore e alla quiete in senso interiore. Secondo un antico detto, il senso di un vaso non è il suo guscio, ma il vuoto. In questa sala è proprio così. Essa è riservata a coloro che vi si recano per riempire il vuoto con ciò che riescono a trovare nel proprio centro interiore di quiete. Silenzio e consapevolezza permettono comunque di assaporare tutta la ricchezza del vivere il momento presente.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Per non girare le spalle alla storia

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lug 31 2011

Somalia, dove si muore di fame

Il Corno d’Africa è sull’orlo del baratro. La più grave siccità degli ultimi 60 anni ha messo in ginocchio tutta la regione, già segnata da un’instabilità politica cronica. In Kenya, Etiopia, Gibuti, Uganda e Somalia -dove al problema della siccità si aggiungono il conflitto in corso e un governo inefficace da due decenni- la carestia riguarda ormai 13 milioni di persone, soprattutto bambini.

I massimi livelli di allarme sono a Dadaab – località a nord-est del Kenya confinante con la Somalia, dove tutto è sabbia, arbusti e sole cocente. Qui è il più grande campo per rifugiati al mondo. Vi giungono ogni giorno circa 1500 esuli in condizioni al limite dell’umano. E per oltre 400 mila persone qui rifugiate si sta consumando una tragedia umanitaria di proporzioni inimmaginabili.

L’inferno di Dadaab

Il campo profughi di Dadaab simboleggia in qualche modo i problemi strutturali che affliggono tutto il Corno d’Africa e che costringono le popolazioni a subire inermi l’abbattersi della carestia e della siccità.

In questo contesto, Amnesty International ha denunciato la situazione dei bambini che si trovano di fronte a una serie di violazioni dei diritti umani, fra cui il reclutamento illegale come soldati, le vessazioni dei gruppi islamisti e una vita piena di paure. Se sei un bambino in Somalia rischi la vita in ogni momento: puoi essere ucciso, reclutato e spedito al fronte, punito da al-Shabab perché ti hanno trovato mentre ascoltavi musica o indossavi ‘vestiti sbagliati’, costretto ad arrangiarti da solo perché hai perso i genitori o puoi morire perché non hai accesso a cure mediche adeguate (Michelle Kagari, vicedirettore per l’Africa di Amnesty International).

Colosseo illuminato

Questa volta è davvero impossibile guardare altrove”, ha dichiarato il sindaco Piero Fassino parlando ai Torinesi. E a Roma Capitale, per fare un altro esempio fra tanti, il Colosseo è stato illuminato da luci ed animazioni grafiche, per richiamare – come si legge in un comunicato del Campidoglio –  l’attenzione  e la solidarietà di tutti.

Ma certamente chi ha scelto di fare della solidarietà e della fratellanza una delle leve della convivenza, non può non mobilitarsi per riflettere e per intervenire come può in aiuto alle popolazioni colpite. È necessario infatti che l’intervento umanitario sia moltiplicato in modo massiccio e urgente.

Il mondo finalmente entra in azione

Il sistema mediatico non ha ancora dato voce sufficiente alla crisi umanitaria in corso. L’appello delle Nazioni Unite – fissato a 691 milioni di dollari – è stato finanziato solo per il 30 per cento. A più di due settimane dalle dichiarazioni dell’Onu sullo stato di carestia nell’Africa Orientale, la situazione invece di migliorare sta peggiorando. Le agenzie umanitarie hanno iniziato finalmente una campagna d’informazione con l’obiettivo di raccogliere più fondi possibili. Fra gli altri il governo inglese ha donato sessanta milioni di euro per affrontare tale emergenza e le autorità keniote hanno approvato l’espansione di una delle sezioni del gigantesco campo di rifugiati di Dadaab. La Banca Mondiale ha annunciato uno stanziamento di 500 milioni di dollari, di cui una parte (8 milioni) servirà per gli interventi di emergenza, mentre il resto dovrebbe essere investito in progetti di lungo termine. A questi fondi si aggiungono i 100 milioni di euro di contributi europei… In tutte le chiese d’Italia, inoltre, domenica 18 settembre 2011 si terrà una raccolta straordinaria a sostegno delle popolazioni colpite dalla siccità. Lo rende noto l’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei.

La povertà è il grido dell’ingiustizia e dell’abuso di indifferenza da parte dei ricchi – ha sottolineato mons. G. Bregantini -  E la siccità è la conseguenza della crisi della giustizia sociale mondiale e dello spreco da parte dei Paesi ricchi.

Il mondo globalizzato ha bisogno di riflettere sulle cause strutturali di tali sofferenze: la dipendenza dall’esterno per l’approvvigionamento di cibo, l’innalzamento dei prezzi, le situazioni di conflitto, i cambiamenti climatici…

Attraverso Fao e Pam

La FAO, l’agenzia dell’Onu che si occupa di agricoltura e alimentazione -in un vertice sull’emergenza nel Corno D’Africa organizzato il 25 luglio a Roma- ha dichiarato:    

 “Dobbiamo evitare una tragedia umana di vaste proporzioni. Mentre l’assistenza alimentare è adesso la priorità, dobbiamo anche aumentare gli investimenti sostenibili in interventi di breve e di medio termine che aiutino gli agricoltori e le loro famiglie a proteggere le loro attività e a continuare a produrre cibo”. I movimenti contadini giustamente chiedono che i prezzi delle derrate alimentari non dipendano più dalle fluttuazioni del mercato e dalle operazioni speculative.

La Fao dà il via al ponte aereo di aiuti umanitari e tra le opzioni immediate considerate dal Pam (Programma alimentare mondiale), c’è l’invio di biscotti ad alto contenuto energetico e di razioni supplementari particolarmente nutrienti – per bambini a rischio e donne incinte o che allattano – in località strategiche del sud della Somalia. Questo anche se le operazioni in Somalia sono tra le più rischiose al mondo e il Pam ha perso 14 operatori umanitari dal 2008, in questo paese, ha ricordato Sheeran, che viaggerà nei prossimi giorni in Somalia e Kenya per visitare le zone colpite dalla siccità e verificare le operazioni del Pam.

Crescere in umanità

La nostra società globalizzata è oggi una realtà ferita, affettivamente sottosviluppata, umanamente ancora molto analfabeta… L’aumento dei beni non sembra davvero aver garantito un arricchimento e una crescita in ‘umanità’ a tutti. Chi possiede di più anzi finisce spesso per dedicare sempre più tempo ed energie a conservare quei beni. Così però si autoesclude dalla possibilità di sperimentare la bellezza dell’essere attenti agli altri e di farsi davvero carico della realtà. È bello non rimanere passivi quando siamo raggiunti in qualsiasi modo da queste notizie, o quando le guardiamo al telegiornale.

Sappiamo bene che non basta pregare per le ingiustizie perché miracolosamente Dio le faccia sparire. Ma ci è altrettanto chiara l’importanza di essere protagonisti costruttivi, impegnati in prima persona in ciò che accade, per poter dare quel contributo che il Signore si aspetta da ognuno e diventare  così strumento nelle Sue mani?

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it