Il caso del crocifisso – In attesa della sentenza del 30 giugno 2010

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
giu 24 2010

«La croce è qualcosa di più grande e misterioso di quanto a prima vista possa apparire…Non è semplicemente un simbolo privato di devozione, non è un distintivo di appartenenza a qualche gruppo all’interno della società, e il suo significato più profondo non ha nulla a che fare con l’imposizione forzata  di un credo o di una filosofia. Parla di speranza, di amore, della vittoria della non violenza sull’oppressione, parla di Dio che innalza gli umili, dà forza ai deboli, fa superare le divisioni e vincere l’odio con l’amore» (Benedetto XVI)

Per il prossimo 30 giugno è prevista la decisione della Grande Camera della Corte Europea per i Diritti umani intorno al ricorso presentato dall’Italia sulla precedente sentenza della Corte di Strasburgo che lo scorso novembre bandiva il crocifisso dalle aule scolastiche pubbliche italiane.

In attesa dell’esito del giudizio, il tema è stato periodicamente occasione di accesi dibattiti, ma anche di riflessione per tutti.

Dieci Stati -fra cui la Russia- che fanno parte delle 47 nazioni del Consiglio d’Europa, hanno chiesto formalmente al Tribunale di potersi presentare ufficialmente come ‘parte terza’ quando verrà istituito il processo davanti alla Grande Camera. La condizione di amicus curiae, cioè appunto parte terza, permette agli Stati di poter presentare in forma ufficiale al Tribunale osservazioni scritte e orali in appoggio al testo del ricorso avanzato dallo Stato italiano, che chiede ‘una giusta revisione’ della sentenza. Altri Stati (come l’Austria o la Polonia), oltre a questi 10, si sono pronunciati contro la sentenza. In genere gli Stati membri si astengono dall’intervenire o intervengono solo quando il caso colpisce un cittadino del proprio Stato. Si tratta quindi di un precedente importante per la vita del Tribunale.

Nello stesso modo 12 organizzazioni non governative (ONG) sono state ammesse dal Tribunale come parte terza.

Nessuno Stato finora e nessuna ONG è intervenuta a sostegno della sentenza.

Anche 37 docenti di diritto di undici diversi Paesi, in un documento rivolto alla Grande Camera della Corte Europea, chiedono di rigettare quella sentenza, poiché «minaccia inutilmente la grande varietà dei simboli religiosi esposti nei luoghi pubblici di tutto il continente».

Anche i Vescovi greci avvertono contro la proibizione del crocifisso nei luoghi pubblici che il  rispetto dei segni religiosi è necessario per la convivenza. I presuli insistono sul fatto che il rispetto reciproco delle tradizioni religiose è necessario in una società che sta diventando sempre più multiculturale.

Il caso del Crocifisso è unico e non ha precedenti. Dieci Stati hanno deciso di spiegare alla Corte qual è il limite della sua giurisdizione e qual è il limite di creare nuovi ‘diritti’ contro la volontà degli Stati membri. In tutto ciò si può scorgere un controbilanciamento del suo potere (Gregor Puppinck).

CEI: Crocifisso non impone

La CEI, in una nota del 17 giugno 2010, in vista dell’imminente decisione della Corte Europea, rileva che la presenza dei simboli religiosi e in particolare della croce non si traduce in un’imposizione e non ha valore di esclusione, ma esprime una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale, e come segno di un’identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà, di sostegno a favore dei bisognosi e dei sofferenti, senza distinzione di fede, etnia o nazionalità.

Il simbolo della croce non appartiene solo alla gran parte dei cittadini europei e non è espressione esclusiva di un indirizzo confessionale, ma è divenuto, per usare le parole di Gandhi, un simbolo universale che parla di fratellanza e di pace a tutti gli uomini di buona volontà. Su questa base si chiede una giusta revisione della sentenza di Strasburgo del 2009 per tener ferma la coesione e la solidarietà spirituale dei popoli europei che vogliono camminare insieme mantenendo le proprie identità e tradizioni storiche.

Si tratta di un momento di grande delicatezza, che tutto il mondo cristiano vive con particolare apprensione. Un evento che comunque può favorire l’arricchimento delle nostre coscienze e un approfondimento quanto meno personale del tema.

Crocifisso-SI’. Crocifisso-NO

Non vi è dubbio che la sentenza del novembre 2009 della Corte Europea è quantomeno discutibile. Il crocifisso è una cosa seria, perché non si gioca né con i simboli né con la tradizione. Ma non si può nemmeno ridurre un tema decisivo per l’educazione dei giovani ad una questione di schieramenti e opposizione, quasi un clima pseudo-referendario del tipo ‘Crocifisso SI’. Crocifisso-NO’. La scuola italiana è certamente laica, ma profondamente ancorata come tutta la nostra società a valori derivanti dalla religione e dalla cultura cristiana. Lo studente del nuovo millennio è già distante da una riflessione su se stesso per varie motivazioni esterne alla Scuola; se non viene stimolato e instradato a prendere coscienza dell’ambiente in cui vive, della tradizione che lo ha formato e che ancora ne scandisce inevitabilmente la vita, allora la nostra società continuerà a direzionarsi verso un futuro senz’anima. Fa riflettere il fatto che mentre in Italia qualcuno si mobilita contro il crocifisso, simbolo della partecipazione di Dio alla vicenda umana, negli Stati Uniti il presidente della nazione nell’assumere l’incarico giura sulla Bibbia e invoca la benedizione di Dio sulla nazione. E questo appare normale a tutti.

Certo non è solo un crocifisso che rende presente la testimonianza di cristiani nella scuola.

L’insegnante cristiana infatti, con o senza crocifisso, continuerà ad essere tale mentre si impegna anche nelle aule a spendere la propria vita per i bambini e i ragazzi. Con professionalità e con la pazienza e l’amore che il Cristo crocifisso dona a tutti e chiede a chi vuole seguirLo.

Se è dall’onestà della mente e dall’interiorità che inizia il viaggio più lungo della vita -quello interiore appunto- da questo viaggio che il cristiano realizza con e verso il Cristo può svilupparsi la forza per dire sì ai bisogni del prossimo. Ogni individualità si muoverà così per essere ponte verso tutti gli altri e una pietra nell’edificio della rettitudine per il bene comune.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

Il mondo senza il crocifisso sarebbe meno umano

(Benedetto XVI)

Nella prospettiva del pronunciamento della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo sul caso del Crocifisso nelle Scuole italiane, Umanesimo Cristiano ha promosso una tavola rotonda sul tema, quale occasione di riflessione, non solo per i cattolici, ma anche per i laici.

La tavola rotonda si è tenuta mercoledì 23 giugno 2010 nella Sala storica del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali a Roma.  Ad essa hanno partecipato fra gli altri: il ministro Sandro Bondi, il presidente di Umanesimo Cristiano Claudio Zucchelli, il ministro Maurizio Sacconi, il cardinale Julian Herranz, il giornalista editorialista Piero Schiavazzi, il sottosegretario Gianni Letta, il sindaco di Roma Gianni Alemanno…). Erano presenti diversi rappresentanti diplomatici e delle autorità religiose, militari e politiche.

In apertura sono stati letti i messaggi e le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e del Card. Bagnasco.

Nella croce -è stato sottolineato-  sono rintracciabili valori umani condivisibili da tutti. La croce parla di speranza anche ai non credenti; difende dalle utopie della giustizia senza libertà e della libertà senza verità; è segno di alto valore civico e spirituale, di pace, concordia e perdono. 

Dalla tavola rotonda è derivato un messaggio per tutta l’Europa: la libertà non nasce dal cancellare la tradizione; un multiculturalismo indifferente è solo incomunicabilità perfetta. Il crocifisso invece è per tutti strumento d’identità e d’incontro.  Se l’Europa lo riconosce evita la deriva nichilista che nasce dall’assenza di verità.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

Uomo e sacerdote di Cristo

Vocazione | Posted by usmionline
giu 17 2010

Affamato di colori, di voci d’uccelli. Assetato di parole buone, di compagnia… Stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare. Chi sono io? Oggi sono uno, domani un altro. Sono tutt’e due insieme? (Dietrich Bonhoeffer)

La questione fondamentale, oggi come ieri, resta quella antropologica. Che cos’è l’uomo? da dove viene? dove deve andare? Come deve andare? (Benedetto XVI)

Un numero senza precedenti di sacerdoti l’11 giugno si è radunato in Piazza S. Pietro, intorno all’altare della celebrazione presieduta dal Papa a chiusura dell’anno sacerdotale, in una visibile coralità, icona della collegialità indispensabile del sacerdozio ordinato. Benedetto XVI ricorda il senso profondo del sacerdozio, che non è una conquista umana, o un diritto individuale; non è un ufficio che eroga prestazioni per il bisogno sociale di un po’ di religione. Racconta invece dell’amorosa audacia di Dio che affida se stesso agli uomini, pur conoscendone bene la fragilità. Grandi benefici sono venuti e verranno alla Chiesa dall’Anno Sacerdotale –dirà ancora il Papa-. Nessuno potrà mai misurarli, ma certamente se ne vedono e ancor più se ne vedranno i frutti.

L’anno sacerdotale quindi si è concluso. Un anno opportuno e sofferto, in cui è stato piantato il seme del rinnovamento interiore dei sacerdoti. Un tempo di grazia in una stagione storica ricca di sfide e dolori ma anche di speranze. Un’occasione per tutti per non accontentarsi di idee approssimative e confuse sul sacerdozio, per riscoprire il dono immeritato che Dio ci ha fatto nel Battesimo.

Qualche riflessione…

Sacerdozio del cuore

Il sacerdozio della nuova alleanza è realtà splendida e dono straordinario di Dio. Un sacerdozio del cuore, stabilito cioè nel cuore umano di Cristo: nel suo mistero, il sacrificio/offerta non è rituale, ma personale. Cristo sostituisce il culto antico (rituale, esterno, convenzionale) con il culto personale, esistenziale, reale. Egli porta alla perfezione le due relazioni che sono indispensabili per l’esercizio della mediazione sacerdotale: la relazione con Dio resa perfetta per mezzo dell’obbedienza fino alla sua morte di croce; e la relazione con gli uomini, resa perfetta per mezzo della solidarietà. A queste due relazioni Gesù, sommo sacerdote, introduce anche gli uomini, nei confronti dei quali è mosso principalmente dalla misericordia.

Il ministero di Gesù infatti è stata una rivelazione continua di misericordia verso i malati, gli ossessi, gli ignoranti, i poveri, i piccoli e, cosa più sorprendente di tutte, verso i peccatori. Tre le sue attività: guarire, nutrire, insegnare. Tutte ispirate dalla misericordia.

Al sacerdozio di Cristo corrisponde il sacerdozio di tutti i cristiani, invitati nella loro stessa esistenza ad accostarsi a Dio con la trasformazione di tutte le circostanze della loro vita nella carità e in offerta spirituale.

Essi però non sono capaci di attuare da soli tale trasformazione dell’esistenza: solo uniti a Cristo e aprendo all’azione trasformante di Dio la propria esistenza concreta possono riuscirvi. E poiché tutto ricevono per mezzo di  Cristo, devono  continuamente offrire, attraverso di lui, un sacrificio di lode, un’eucaristia.

Per vivere in modo più consapevole e attivo questo sacerdozio, forse ci è necessario comprendere di nuovo come la sua realtà sia comunicata alla Chiesa sotto due forme distinte e complementari: il sacerdozio comune e quello ministeriale.

Sacerdozio comune

Ogni vocazione ha nel Battesimo la sua origine e il suo alimento.

Tutti i cristiani, per essere veramente tali, sono chiamati ad esercitare il sacerdozio comune, che è veramente di tutta la Chiesa, senza escludere i ministri di Cristo, e in questo tutti siamo fratelli e popolo santo di Dio. Chi non esercita il sacerdozio comune non ha un’unione personale, esistenziale con Cristo. Questo sacerdozio esistenziale deve permeare anche gli atti ministeriali.

Il sacerdozio comune è umile perché deve riconoscere di non bastare a se stesso, di aver bisogno di una mediazione: ha bisogno di ricevere l’amore che viene da Dio attraverso gli atti di Cristo, resi presenti attraverso il sacerdozio ministeriale. Però è grande il sacerdozio comune, perché è offerta reale, è culto autentico, è trasformazione nell’esistenza. È indispensabile perciò uscire da quello strano ed errato atteggiamento interiore che fa sentire il laico più “cliente” che compartecipe della vita e della missione della Chiesa.

Sacerdozio ministeriale

Il sacerdozio  ministeriale è sacramento della mediazione unica di Cristo, segno e strumento di Cristo mediatore. E’ al servizio (ministeriale=al servizio) del sacerdozio di Cristo, da una parte, e del sacerdozio comune, dall’altra parte. Certamente non è da vivere come un “potere” o un privilegio. E’ indispensabile perché senza questo mezzo di congiunzione l’esistenza dei cristiani non sarebbe effettivamente in relazione con la mediazione di Cristo e non potrebbe quindi essere trasformata dalla carità divina.

Due aspetti complementari, quindi, di partecipazione al sacerdozio di Cristo: da un lato l’offerta, dall’altro la mediazione; da un lato la realtà della vita, dall’altra il segno di una realtà. Mitezza e umiltà di cuore sono le qualità del sacerdote autentico, del sacerdote nuovo. Il sacerdozio ministeriale, tutto al servizio di questa nuova alleanza, non può sussistere senza un rapporto vivo e vivificante con il cuore di Cristo, centro della nuova alleanza.

In tutti e due i casi si tratta di un’esistenza reale, trasformata grazie alla docilità allo Spirito Santo. Si tratta di assumere, secondo l’ispirazione dello Spirito di Dio, tutte le responsabilità concrete, personali, familiari, sociali, nazionali e internazionali, in maniera da ottenere una comunione sempre più larga e profonda con Dio e tra gli uomini.

La distinzione giusta tra  sacerdozio comune e quello ministeriale dà a tutti il senso della loro dignità e responsabilità e permette la crescita della comunione.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

 

NOTA: Per approfondire l’argomento cfr Albert Vanhoye, Cristo e l’uomo. Nella prospettiva della Lettera agli Ebrei, Ed. Apostolato della Preghiera

Viandante e principe del creato. Umanizzare il rapporto con il creato

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
giu 10 2010

Ci è stata data la tela dell’universo da Dio costruita con paziente tessitura, non perché la sfilacciassimo, ma perché continuassimo a ricamarla con tutta la sapienza del nostro genio (Tonino Bello) 

Tre giorni per riflettere sul rapporto tra l’Uomo e il Creato: 25-27 giugno 2010 a Pistoia nel Palazzo dei Vescovi, dove si terrà il Forum dell’Informazione Cattolica per la Salvaguardia del Creato, giunto alla sua settima edizione. Tre giorni organizzati per ritrovare un legame, che troppo spesso diamo colpevolmente per scontato, e per riacquistare il nostro ruolo di tessitori nel creato.

Il nostro obiettivo – spiega Gian Paolo Marchetti, presidente di Greenaccord, associazione culturale di ispirazione cristiana, promotrice dell’evento – è di riflettere sulla figura dell’homo viator, viandante sulle strade del mondo, che attraversa il Creato, vi lascia la sua orma ma deve prodigarsi per restituirlo alle generazioni future salvaguardato e migliorato.

La situazione

In queste ultime settimane abbiamo seguito tutti con crescente angoscia quel che sta ancora accadendo sulla costa del Golfo, dove la fuoriuscita di petrolio dal pozzo danneggiato, rischia di scatenare una catastrofe ecologica ed economica. Certo non la prima nella storia: solo finora la più grave!

Altrettanto certo (e non solo da ora!!), è che dal Mediterraneo all’Australia, al Guatemala… il mare è il termometro di una crisi ambientale in piena evoluzione, che coinvolge indistintamente sia i Paesi ricchi che quelli poveri. L’acqua potabile in molti Paesi ormai da tempo comincia a scarseggiare, mentre la desertificazione avanza e le condizioni di sopravvivenza in numerose comunità sono ormai minime. I Paesi del Sud del Mondo non sono certo responsabili dei cambiamenti in atto, ma ne stanno subendo le conseguenze peggiori. Tutto questo mentre da nessuna forza arrivano risposte adeguate agli attuali problemi del Pianeta, se non dall’Ambientalismo. E mentre i reati contro l’ambiente non conoscono crisi (Dossier di Legambiente ne denuncia 78 al giorno nel nostro Paese!), in Italia forse più che altrove, l’ambiente è marginalizzato: in TV la questione è più o meno cancellata…

In tutto questo il ruolo dei giornalisti rimane fondamentale per disintossicare i media e per far crescere nell’opinione pubblica mondiale quella consapevolezza seria e onesta, che possa influenzare le decisioni politiche sull’ambiente.

E i consacrati come possono contribuire alla salvaguardia dell’ambiente? Con quale spiritualità, atteggiamenti, percorsi, stile di vita?

Nell’itinerario formativo per una Vita Religiosa Profetica curato dalla Commissione Giustizia, Pace e Integrità del Creato (JPIC) dell’ USG e dell’UISG, al n. 51, per la Formazione permanente, fra gli altri, sono indicati i seguenti obiettivi specifici:

I. Coltivare una forte spiritualità che, alla luce della Parola e della Dottrina Sociale della Chiesa, porti ad ascoltare Dio nella realtà quotidiana, nella situazione dei più poveri, nella creazione.

VI. Assumere la responsabilità della salvaguardia dell’ambiente, collaborando in modo creativo alla risoluzione dei problemi riguardanti il Pianeta e che possono distruggere la vita.

E al numero 42 dello stesso Documento si dice:

La consapevolezza della crescente crisi ambientale che colpisce il pianeta rafforza la necessità di una formazione con una forte spiritualità ecologica. La creazione è, allo stesso tempo, oggetto di contemplazione e di impegno. Lo Spirito di Dio, forza creativa che chiama ogni cosa all’esistenza, agisce costantemente nel cosmo: è principio dinamico, luce che illumina, fonte perenne di vita.

Da questa visione le persone consacrate sono chiamate a coltivare un atteggiamento di responsabilità e corresponsabilità di fronte all’habitat, alla casa comune che Dio ha donato all’umanità; con gratitudine e riconoscimento al Creatore dei cieli e della terra, scoprono nel mondo le orme del Signore, il luogo dove si rivela la sua potenza creatrice, provvidente e redentrice.

Uno stile di vita semplice, non consumistico, solidale a livello personale e comunitario, può testimoniare questa fede nel Creatore e promuovere un’etica ecologica, alternativa al consumismo e alla devastazione della natura.

La salvaguardia del Creato, a partire dalle azioni concrete della vita quotidiana, deve essere un distintivo della sequela di Cristo che si assume fin dalle prime tappe del processo formativo.

Dignità e compiti dell’uomo viandante nel creato

O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra (Salmo - 8 -)

È l’inno per un Dio che si fa giardiniere, la cui gloria è cantata dai cieli, ma anche dalle labbra dell’umanità. Un atto di lode e stupore che allieta il cuore.

Grande responsabilità ci è stata data in sorte, grande dono per le mani fragili e spesso egoiste dell’uomo: l’intero orizzonte delle creature affidato all’uomo perché ne conservi l’armonia e la bellezza, ne usi ma non ne abusi, ne faccia emergere i segreti e ne sviluppi le potenzialità.

Il compito per tutti è quello di:

-         preservare dallo scempio che in questi secoli abbiamo prodotto ‘decreando’

-         salvare dagli inquinamenti costruiti in nome di un benessere che non sempre cammina con la creazione

-         riacquistare la giusta posizione di creature che sanno avere cura con la stessa premura materna di Dio

-         imparare ad essere provvidenti, ad avere sollecitudine per il giardino in cui siamo stati posti (Gen 2,15), così che la tenerezza di Dio affascini i  nostri volti.

 

NOTA Il tema trattato in questo articolo verrà ulteriormente approfondito nella prossima     intervista a Gian Paolo Marchetti presidente di Greenaccord, su questo stesso sito.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

Emergenza lettura

Senza categoria | Posted by usmionline
giu 03 2010

Si è tenuta da poco la Prima Giornata Nazionale della Lettura, un’iniziativa di cui il nostro Paese ha un grande bisogno, visto che -alla luce dei tristi dati Istat 2009- ci è stato confermato che metà della popolazione non legge neanche un libro all’anno! Qualche anno fa sembrava che i ragazzi cominciassero a leggere un po’ di più degli adulti, ora anche i consumi di libri tra chi sta nella fascia d’età 6-14 sono in calo.

Come contrastare la disaffezione alla lettura? Come recuperare un po’ di tempo nel caos che è la nostra vita di tutti i giorni per destinarlo ad affrontare il conflitto eterno tra cervello e cuore, che è racchiuso in ogni uomo e in ogni libro?

Una convinzione ci muove a trattare l’argomento: pensare ai libri, alle biblioteche, alla lettura come cibo per la mente e per il cuore -in una situazione di emergenza come quella che ci troviamo a vivere- è dimostrare una lungimiranza invidiabile.

Qualcuno ha paragonato la lettura ad un unguento miracoloso che spalmato sui mali dell’anima è in grado di curarli. Certamente essa alimenta quel bisogno intelligente di dialogo interiore da condividere poi con altri. In una lettura intelligente sempre si trova, infatti, una frase illuminante, un concetto che ci appartiene, un’idea che apre nuovi orizzonti, un’affermazione da contestare… E’ come se l’irreale e la luce in un certo senso irrompessero nel reale, nella vita di tutti i giorni. Un libro (lo dico per esperienza personale) è perfino un ottimo ansiolitico. A volte riesce con semplicità a regalarci un sorriso intelligente. Leggere, in questo modo, non solo impegna piacevolmente cuore e mente e accresce il benessere generale della persona, ma si rivela una vera e propria cura che vale per tutti. Nel dialogo sempre intimo e silenzioso che è la lettura passano così molte risposte ai nostri reali bisogni  e a quelli di tanti giovani, religiosi e non.

Tutto questo impegna gli addetti ai lavori nei diversi ambienti di vita (famiglia, scuola, gruppi di formazione, di catechesi, camere d’ospedale…) ad una reale valorizzazione della lettura, da realizzarsi attraverso piani concreti riferiti ad una situazione di emergenza. Chiamati ad affrontare problemi e sfide della nostra società multimediale e multiculturale, riuscire a sottrarre bambini e giovani (ma anche adulti!!) ai salotti della TV per crescere facendo esperienza di nuovi modi di leggere…

Per tale motivo vi raccontiamo brevemente di noi e del nostro mondo ‘libro’ e vi invitiamo a conoscere e far conoscere la Biblioteca USMI nei suoi relativi servizi. I suoi scaffali, infatti, come quelli delle librerie delle nostre case e città sono luoghi affollati di parole che attendono di essere liberate da un numero sempre più grande di persone per insegnare ad ognuno a sentire, a vedere, a volere. E a pensare con la propria testa. Che la pigrizia mentale la quale sembra caratterizzare tanti in questo nostro tempo sia data proprio da un improvviso timore di…pensare?

Stiamo cercando di potenziare in tanti modi la nostra Biblioteca USMI:

  • arricchendone continuamente il patrimonio bibliografico esistente -composto di libri, periodici, raccolte (documenti ufficiali), collane e riviste (anche in lingua inglese, francese, spagnola…)- con nuove, significative pubblicazioni e con audiovisivi (DVD, VHS e CD).
  • offrendo agli studenti, abituali e non, maggiori opportunità di accesso concreto al suo patrimonio culturale -per esempio con il prestito a casa per due settimane- diversamente poco raggiungibile, eppure indubitabile garanzia di formazione
  • migliorando le risorse umane del personale che vi fa servizio: nel numero, nelle competenze, nella passione e nella  professionalità  
  • riconfigurando anche in qualche modo i locali che la ospitano per renderli sempre più idonei al servizio richiesto.

In conclusione vogliamo solo aggiungere:            PASSAPAROLA!!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

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Infanzia muta, negata e violata

Giornate Mondiali | Posted by usmionline
mag 26 2010

 «Forse l’amore non basta per svegliare un bambino al mattino, per vestirlo, nutrirlo e metterlo a letto. Eppure chi può immaginare un’infanzia priva di amore?»

           (da Il bambino di Hope, di Andrew Bridge)

In tutto il mondo si calcolano 100 milioni -e secondo alcune stime anche 200 milioni- di bambini abusati, violati dalla guerra, arruolati come soldati nei tanti conflitti e privati di ogni elementare diritto. Niente scuola, niente giochi, niente infanzia.

Il nuovo rapporto dell’Onu, Children and Conflict in a Changing World, sui bambini e la guerra, fotografa una situazione agghiacciante dove sempre più piccoli innocenti, soprattutto nel terzo mondo ma non solo, ogni anno diventano vittime di arruolamenti forzati, detenzioni illegali e sfruttamento sessuale.

Le cronache recenti hanno ampiamente dato spazio agli abusi sessuali perpetrati su minori da parte di membri del clero della Chiesa cattolica, particolarmente in Irlanda e Germania, ma anche in Italia. Ci ha commosso la posizione di Benedetto XVI, che non ha gridato al complotto né si è difeso dietro le statistiche, ma ha parlato del “terrificante” fenomeno presentandolo come una persecuzione che viene dall’interno della Chiesa ed ha pianto, sofferto e offerto consolazione alle vittime. Ci ha mostrato, così, con forza il volto di una Chiesa che sa vedere le profondità delle miserie umane e non ha vergogna di chiamare le cose con il loro nome, anche se è ignobile e criminale.

Esistono questi bambini violati in un mondo che vuole definirsi civile e che proclama a piena voce la sua posizione a tutela dei diritti umani universalmente riconosciuti. Sempre spaventosamente silenziosa rimane invece la coscienza di chi non interviene a interrompere questa moderna strage degli innocenti e per ignoranza, paura o interesse, preferisce pensare che basti cercare di proteggere i propri bambini dalle insidie di internet, senza occuparsi di quelli che sono schiavi di un mercato criminale di impensabili proporzioni e ferocia. Bambini vittime due volte: della brutalità di chi viola la loro infanzia, e della cecità e indifferenza di chi non si accorge di loro.

La Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, che si festeggia il 12 giugno, è dedicata a loro, che rappresentano il futuro dell’umanità.

In questo nostro tempo tutto fluisce veloce e i punti stabili di riferimento sono sempre di meno. È necessario ritrovarli, più dentro che fuori di noi, per essere adulti maturi in grado di porsi davvero come termine di confronto per le giovani generazioni. L’adulto infatti è una risorsa che va liberata in funzione del bene comune. Dentro e fuori la Chiesa. L’emergenza educativa in questo senso è un problema che riguarda proprio tutti. Ma nel tema è insito un inestricabile nodo: educare è indispensabile/educare è irrealizzabile? O: educare si deve/ma si può? A dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione sul divieto del lavoro minorile, che fare? Quale discernimento? Quale proposta?

Certamente il territorio per i cristiani è lo spazio in cui essi, innestati nella comune vicenda dei popoli, sono chiamati a vivere la storia senza evasioni e ad esercitare la propria responsabilità per edificare la polis insieme agli altri uomini.

L’impegno è quindi a ritrovare, attraverso spazi di confronto e di esperienza, quella capacità di interpretare la storia, che fa riscoprire la gratuità e il servizio del prossimo come una via per incontrare Cristo e come strada per la felicità. Per tutti.

Luciagnese Cedrone

usmionline@usminazionale.it

LA NOSTRA PENTECOSTE

Senza categoria | Posted by usmionline
mag 21 2010

“Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù”. (Atti 1,14)

 

Gli eventi della Pasqua hanno sconvolto la vita degli apostoli e dei discepoli di Gesù: la tomba vuota; le apparizioni nel cenacolo a porte chiuse o sulla sponda del lago o sulla barca di Pietro; la promessa di un Consolatore; il saluto e la sua scomparsa tra le nubi nel cielo; il mandato di andare in tutto il mondo ad annunciare quello che avevano visto e udito.

La mente umana è troppo piccola per comprendere, soprattutto quando è così logico pensare che con la morte tutto è finito per Gesù, che probabilmente non è lui il liberatore tanto atteso.

Questi fatti sono così assurdi e fuori dal normale! Tutto pare smentire la fiducia e la speranza in lui.

Nella comunità che si era raccolta attorno al Maestro serpeggia un clima di smarrimento e un senso di fallimento. «Credevamo che fosse lui il liberatore, ma ormai tutto ci dice che non è così».

 

Non viviamo forse anche oggi una situazione simile a quella degli apostoli?

 

Le situazioni pesanti e complesse, a volte molto oscure, che affliggono la  società e la Chiesa dei nostri giorni, ci sembrano davvero troppe. Tali situazioni potrebbero rafforzare anche in noi un lancinante senso di frustrazione, di disistima e di sospetto e trasformarsi, poi, in lamento o accuse per quel naturale atteggiamento polemico e proiettivo che a volte si scatena nella persona.

I discepoli, sgomenti dopo l’ascensione, salgono al piano superiore della casa, vivono insieme;  Maria e le altre donne sono là con loro: questa è la splendida testimonianza di Luca.

In un momento terribilmente difficile per la Chiesa delle origini, Maria e le altre donne sono là, insieme, assidue e concordi nella preghiera.

Assidue:  la loro presenza non è dunque saltuaria, ma costante.

Concordi nella preghiera: la loro è una presenza che favorisce l’armonia e l’unità nella piccola famiglia: armonia e unità intessute delle Parole di Gesù: di fede dunque e sicuramente di speranza.

E’ in questo ritmo e stile di vita che lo Spirito Santo irrompe con forza, penetra fin nelle fibre più intime di una comunità timorosa e spaurita e la trasforma in una coraggiosa chiesa abitata dalla carità e capace così di lanciarsi fino ai confini della terra, dove il maestro aveva promesso che sarebbe stato presente, accanto a lei, fino alla fine.

La paura lascia il posto alla certezza della presenza del Risorto là dove la chiesa è presente. E questo per sempre.

Maria e le altre donne stavano là

Ecco la nostra Pentecoste: essere presenti là dove la Chiesa è lanciata dalla potenza dello Spirito; essere là in silenzio forse, ma gridando con la forza della fedeltà e della speranza perché sappiamo che il Signore è risorto, è vivo ed abita in mezzo a noi.

Essere presenti nonostante tutto, senza lasciarci condizionare neppure dai peccati della chiesa; esserci perché il nostro Sposo è presente, perché si è fatto uno con tutti noi e noi vogliamo essere il suo prolungamento di amore casto là dove nessuno più crede che questo sia possibile; del suo amore obbediente là dove chi è mite è disprezzato; del suo amore povero là dove l’onestà e la trasparenza sono calpestate o non riconosciute.

La donna per la sua vocazione costitutiva è chiamata in ogni tempo ad essere presenza di sorella e madre, di fiducia e speranza soprattutto quando la fede dei fratelli vacilla; presenza di fedeltà contenta quando attorno a lei viene meno il senso di un impegno preso per Cristo; presenza di conforto e perdono quando il male ricevuto indurisce il cuore; presenza di pace e benedizione quando si crede con fatica che l’amore di Dio per noi è più grande del nostro peccato.

Anche oggi la Chiesa ha bisogno della  presenza di donne consacrate che abbiano il coraggio di essere assidue e concordi nella preghiera per favorire la pentecoste in mezzo ai fratelli, testimoni perseveranti della Pasqua del Signore e canali liberi perché l’acqua che scaturisce continuamente dalla Fonte possa correre limpida e abbondante anche se è notte. (cfr. Plenaria UISG 2010).

 

      M. Viviana Ballarin, op

Presidente USMI nazionale

Domande che attendono risposta

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
mag 17 2010

Essere testimoni digitali! L’invito rivolto a tutti i partecipanti del convegno che si è svolto dal 22 al 24 aprile scorso intitolato: «Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale». Questo invito si presenta per me come una sfida dai contorni non ancora ben delineati: come essere testimone missionaria in questo nuovo umanesimo digitale? Quali spazi per la parola del Vangelo nei social network e in quale modo annunciarla? Sono una giovane Missionaria dell’Immacolata (PIME) che lavora nel campo delle comunicazioni sociali e che tra qualche mese partirà per il Brasile. Ho partecipato al convegno con l’intento di ricevere un aggiornamento nel campo della comunicazione e di ritrovare colleghi e amici. Ne sono uscita con tante domande e con il desiderio di  continuare la riflessione sul mio impegno in questo campo.

Ho appreso con gioia i risultati della ricerca svolta da Chiara Giaccardi e dai suoi colleghi dell’Università Cattolica di Milano che hanno presentato un volto dei giovani “nativi digitali” meno negativo rispetto a quelli solitamente delineati; un volto che, nonostante tante fragilità, fa ben sperare per il futuro nella capacità di gestire i media e di non lasciarsi travolgere dal vortice comunicativo. 

Ho ascoltato con interesse gli interventi dei vari relatori e testimoni che si sono susseguiti nei tre giorni  e in particolare la riflessione del gesuita Antonio Spadaro sul rapporto tra internet e teologia.

La Chiesa è chiamata ad interrogarsi sull’ambiente culturale di internet che «determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di stringere le relazioni, addirittura un modo di abitare il mondo e di organizzarlo», dice Spadaro. Un nuovo ambiente culturale che contribuisce a far nascere un’antropologia nuova a cui siamo chiamati come Chiesa ad andare incontro per annunciare la Parola che salva. Un nuovo ambiente che pone delle domande anche alla struttura stessa della Chiesa e al suo pensiero teologico: essere radar o decoder, essere connessi o in comunione, essere fili di rete o tralci di vite, emittenza o testimonianza, codice proprietario o aperto? Sono alcune delle domande che si presentano come sfide a cui far fronte nell’era della comunicazione digitale.

La parola gratitudine esprime bene i miei sentimenti alla conclusione del convegno. Grazie agli interventi competenti dei relatori, alle esperienze vissute dei testimoni e a Dio che continua a condurre l’umanità per le Sue strade.

                            Emanuela Nardin, Missionarie dell’Immacolata

Insieme nel digitale

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
mag 13 2010

 

 Il verbo che caratterizza la chiesa fin dalle sue origini è: Testimoniare.

I cristiani sono coloro che sono chiamati a testimoniare, cioè a raccontare l’incontro con il Cristo che “mi ha amato così tanto da dare se stesso per me!”. È questa gioia, questo fascino, questo innamoramento che rende il testimone esperto di comunicazione. L’incontro personale, fatto di parole, di gesti, di sguardi, rimane per il cristiano il punto forte, il centro del suo annuncio kerigmatico e gioioso.

Il convegno “Testimoni Digitali” ha ribadito e sottolineato tutto questo, ma ha guardato anche la realtà. Perché essere cristiani vuol dire esserlo ora, qui e oggi, in questo contesto storico, culturale e sociale. Questo è stato l’impegno degli apostoli, di Pietro, di Paolo: andare tra le genti.

Anche oggi la Chiesa è e deve essere tra le genti segno di un amore totale e senza condizioni. Ma come arrivare, come raggiungere l’uomo di oggi? Percorrendo le stesse strade che l’uomo percorre, andandogli incontro sulla stessa lunghezza d’onda, per far emergere la luce e lo splendore, la meravigliosa impronta di Dio che lo attraversa.

Il convegno ha rilanciato tutto questo incoraggiando gli artigiani della pastorale alla ricerca appassionata, allo studio attento, a creare spazi di competenze in questo continente della comunicazione.

Credo che, se stiamo insieme, tutto questo può funzionare. Perché noi siamo quel corpo che, avendo come capo il Cristo, lavora e si dà da fare per l’avvento del suo regno. In questo corpo-chiesa, tutte le membra sono necessarie e utili a rendere efficiente ed efficace la sua missione di testimone.

Questo essere insieme, questo essere Chiesa, manca ancora alla nostra Chiesa.

Si parla di comunione, di comunità, ma, poi, in realtà tendiamo ad esaltare ciò che ‘ci’ appartiene e a dimenticare quello che molti altri compiono.

Voglio sottolineare che nel tanto che ci è stato donato, è mancato a livello generale, il riconoscimento di quello che nella chiesa fanno, nel settore della comunicazione, i religiosi e le religiose. Non dico questo per un desiderio di vanto o di vanagloria, ma perché è insieme che facciamo bella la chiesa.

Non era forse questo il fascino delle prime comunità cristiane? La simpatia che i gentili e i pagani avevano nei loro confronti, non era proprio nel vederli stare insieme, nel mostrarsi tra le genti come un cuor solo e un’anima sola?

Testimoni digitali con un cuor solo e un’anima sola. Il cuore, che nasce dal Cristo morto e risorto per noi. L’anima, cioè la passione per l’uomo di oggi, per la sua ricerca di verità e di giustizia, di pace e di fraternità. Ecco il cammino che insieme alla tecnica la chiesa deve imparare a percorrere con umiltà, avendo il coraggio, se necessario, di ricominciare sempre da capo con la speranza che lo Spirito che il Cristo morente ha donato non verrà meno.

                            suor Piera Cori – pastorella

A casa nella mia Chiesa

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
mag 10 2010

Eravamo in tanti al Convegno ecclesiale Testimoni digitali, provenienti da tutta Italia e tutti impegnati in vario modo nel mondo della comunicazione digitale o almeno “sensibili” alle varie opportunità che vengono offerte dalle nuove tecnologie. Abbiamo ascoltato sollecitazioni singolari, conosciuto esperienze interessanti, ci siamo confermati sui cammini intrapresi. Come Figlia di san Paolo, che opera nella Chiesa e nel mondo con un carisma ben specifico “annunciare il Vangelo con tutti gli strumenti della comunicazione sociale”, mi chiedo quale idea-forte conservo del Convegno, quale germoglio dovrò curare perché esso fiorisca e diventi fiore e frutto.  Infatti, dice Gesù: “… dai frutti li riconoscerete”. Sintetizzo l’esperienza vissuta in tre punti.

Al Convegno mi sono sentita a casa. E più volte, dentro di me, ho espresso grande riconoscenza non solo alla Chiesa ufficiale ma soprattutto al popolo di Dio rappresentato da tanti sacerdoti, religiosi e laici lì convenuti. Finalmente, permettetemi di dirlo, si considerano la modernità, le nuove tecnologie, il mondo della comunicazione in genere, non come realtà da guardare con sospetto e da demonizzare ma come opportunità, “luoghi teologici”, ambienti da abitare con responsabilità e naturalezza perché ci appartengono. Non si tratta, infatti, di scegliere un metodo o un altro per annunciare il vangelo, ma significa essere presenti, portare l’annuncio là dove la gente vive, soffre, ama, lavora, si diverte, ecc. Certo non sono ancora territori abitati da tutti, come d’altronde non lo sono più le parrocchie, ma sono spazi che saranno popolati e visitati sempre più.  E’ stato bello, lo confesso, perché, almeno questa volta, non ho dovuto giustificare e motivare a nessuno il mio essere “religiosa, consacrata a Dio” che opera nel mondo della comunicazione. Esercitare la “diaconia della cultura”, ha detto il nostro papa Benedetto XVI.  Grazie, santità, che sigilla un nostro modo di essere e operare da sempre, per vocazione. Questo è la prima e bella sensazione che porto con me. Sentirmi a casa nella mia Chiesa.

Come starci?

Anche se alcuni interventi, a mio avviso, si sono attardati nel ribadire la necessità di utilizzare le nuove tecnologie per l’evangelizzazione, (ciò significa che il concetto non è stato ancora pienamente assunto) ho colto lo sforzo di spingere in avanti la riflessione soprattutto da parte dei rappresentanti della Chiesa ufficiale: mons. Mariano Crociata,  mons. Claudio Maria Celli, mons. Angelo Bagnasco, ecc.  Internet, ci hanno detto, non è un mezzo da assumere perché altri sono diventati man mano obsoleti. No, internet è una cultura, un ambiente, un continente digitale. Non diciamo più, allora, che dobbiamo esserci in questi territori, è assodato perché, in forza dell’incarnazione, nessun luogo ci è precluso. Chiediamoci invece: Come esserci? Come starci? Domanda a mio avviso fondamentale cui non sarà mai data una risposta risolutiva.

Testimoni

Da Testimoni, suggeriva il tema del Convegno. Cioè da persone che hanno incontrato Gesù nella loro vita, sono state trasformate e ora desiderano condividere e comunicare anche ad altri questa esperienza forte, perché una cosa bella non si tiene per sé. Ma abbiamo questa esperienza forte da condividere? O pensiamo sia sufficiente annunciare una filosofia di vita, anche se evangelica, una morale cui attenersi, una serie di comandamenti cui obbedire? Forse per questo papa Benedetto XVI insiste continuamente sulla necessità di coltivare l’amicizia con Gesù, sulla preghiera intesa come colloquio personale e quotidiano con lui…  

Condividere e comunicare anche ad altri. Il desiderio di non tenere solo per noi ciò che abbiamo “visto e udito”ci porta a cercare gli altri, ad andare loro incontro, a condividere i loro spazi. Ma senza pesantezze, moralismi, affaticamenti. Se si vive una bella realtà, si comunica in maniera spontanea, senza artifici e costrizioni, con l’unico desiderio che anche altri possano sperimentarla ed essere felici come noi. Solo questo, a mio avviso, può motivare una vita che si “prende cura” e va continuamente “alla ricerca” degli altri. “Quante volte vi ponete l’interrogativo: come cammina, dove cammina, verso quale meta cammina questa umanità che si rinnova continuamente sulla faccia della terra? Sarà salva, sarà perduta per sempre” ci diceva quasi cento anni fa il nostro fondatore, Giacomo Alberione.

Coltivare la passione per l’uomo

…Lo ribadisce il papa. Un uomo molto diverso da quello di 50, 20, 10 o anche solo 5 anni fa. Un uomo che sta formando la propria coscienza (la parte più sacra del suo essere) e costruisce la sua persona immerso nel continente digitale, sollecitato da mille input e spesso disorientato. Questo è l’uomo da amare, l’uomo a cui annunciare le meraviglie della vita nuova che abita in noi. Ma non è un uomo lontano, da studiare e analizzare a tavolino. Quest’uomo lo conosciamo bene perché siamo noi, perché anche noi respiriamo e viviamo in questa realtà digitale e siamo tutti compagni di un viaggio che stiamo facendo insieme.

Passione per Dio e per questa umanità, il germoglio che coltiverò perché diventi fiore e frutto.

Sr Nadia Bonaldo

 

L’esperienza on-line di Nadia Bonaldo

«Il Vangelo nella cultura della comunicazione». Lo slogan, che campeggia sulla home page del sito www.paoline.it, è tutto un programma. Anzi, è proprio “il” programma delle Figlie di San Paolo, la congregazione femminile fondata dal beato Giacomo Alberione nel 1915 e impegnata a tutto campo nell’evangelizzazione con i mezzi della comunicazione sociale. Il sito, uno dei primi messi on-line da religiose, risale al 1995 ed è stato rinnovato non più tardi del 2008. Suor Nadia Bonaldo (vedi foto) ne è la responsabile, coadiuvata da una consorella e da circa 20 collaboratori esterni. «Don Alberione», spiega la religiosa, «ci invitava ad annunciare il Vangelo con ogni più moderno mezzo che la tecnica mette a disposizione. Oggi, questo mezzo non può che essere internet».

Le suore Paoline gestiscono numerose librerie, oltre che una casa editrice (con il noto marchio Paoline). Le religiose animano poi varie attività di promozione e formazione, tra cui il Festival della comunicazione, la cui organizzazione è cogestita con i loro confratelli Paolini.

«Nel sito», prosegue suor Nadia, «utilizziamo rubriche di attualità e di cinema, notizie sulle pubblicazioni e interviste con i nostri autori, comunicazioni su eventi culturali organizzati dalle nostre librerie o da altre istituzioni».

I numeri sono degni di tutto rispetto: 5 mila visite settimanali, per una media di tre minuti di permanenza per pagina. Le pagine più visitate sono quelle dove si può scaricare un file Mp3 con la liturgia del giorno. Quasi a dire che la liturgia della vita, cioè la quotidianità, e la liturgia della Chiesa si sposano bene anche in rete.                                                                       S.St.

(da Famiglia Cristiana, n. 19 – 19 maggio 2010, pag. 73)

Progettare e operare insieme

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
apr 30 2010

Il convegno “Testimoni Digitali” mi ha fatto rivivere con  gioia l’esperienza fatta a “Parabole Mediatiche” (7-9 Novembre 2002), dove la Chiesa che è in Italia per la prima volta ha chiamato a raccolta le varie entità presenti nel mondo della comunicazione e della cultura  per confrontarsi con i nuovi mezzi di comunicazione.

Tale esperienza è stata ulteriormente e, secondo me, qualitativamente approfondita nel Convegno appena concluso che ha posto l’accento non tanto sui mezzi, quanto sugli “intagliatori di sicomori”, cioè sui soggetti che li usano, così che essi, con cuore credente, diventino testimoni digitali.

 Ho rilevato con gratitudine come la Chiesa, nelle sue varie espressioni, dal 2002 in poi abbia consolidato e qualificato la sua presenza in rete, quella che Giovanni Paolo II,   considerandola  un’opportunità, aveva chiamato «areopago moderno».

La partecipazione delle religiose a questo Convegno, anche se ancora piuttosto limitata, ha superato certamente la sparuta presenza  di “Parabole Mediatiche” e fa ben sperare che qualcosa di positivo possa essere  progettato ed effettuato insieme. Durante il Convegno è risuonato in molti modi che la “posta “ in gioco del “continente digitale” dove la gioventù naviga a suo agio per intessere relazioni,  è troppo importante per lasciare i giovani in balia di giochi di potere e dei colonizzatori della rete.  I “nativi digitali” – ossia le generazioni cresciute connesse alle nuove tecnologie – ne hanno assunto il linguaggio veloce, essenziale e pervasivo; nuotano in una comunicazione orizzontale, decentrata e interattiva; si muovono in una geografia che conosce la trasversalità dei saperi ed espone a una pluralità di prospettive.

Infatti sono rimbalzate a più riprese le parole “fede, discernimento, decoder, educazione, confronto, testimonianza, missionarietà”:  

1.     in rapporto al soggetto che deve essere un testimone efficace, abilitato a un linguaggio capace di risvegliare i sensi, di riaccendere le domande sulla vita, di mostrare un Dio dal volto umano, di proporre la fede in modo non esterno alle battaglie e alle speranze degli uomini, perché questo è tempo di verità, di trasparenza e di credibilità;

2.  in rapporto alla Rete che in un certo senso, rappresenta per noi gli “estremi confini della terra” che il Signore Gesù domanda di abitare in nome della nostra responsabilità per il Vangelo. La nostra è anzitutto testimonianza di Gesù, cioè capacità di rimandare, di rinviare alla trascendenza della sua opera e della sua missione… continuare a far sì che nessuno si senta privato della vicinanza di Dio e della sua consolazione che promette “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28.20)

Alla fine del Convegno Papa Benedetto XVI, confortato dalla presenza di tanti operatori della comunicazione e della cultura, convenuti nell’ Aula Paolo VI, ci ha invitato a “qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete… offrendo agli uomini che vivono questo tempo «digitale» i segni necessari per riconoscere il Signore…. La rete potrà così diventare una sorta di “portico dei gentili”, dove “fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto…Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale”.

Sr Maria Rossoni, fdcc