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Ferite della terra – ecologia del cuore

Senza categoria | Posted by usmionline
giu 19 2013

Le azioni che nascono da un cuore ‘sanato’ danno dignità alla vita di chi le opera rendendola straordinaria.  Contribuiscono alla crescita di tutti. E giornata-della-terra-2013_470x305riescono a guarire un mondo frantumato. A superare la cultura. E a stupire.

Respirare con la terra e ‘pensare come le montagne’
La logica non è tutto. Per seguire un’idea – e per gestire responsabilmente il rapporto con il tempo, le cose e le persone – è necessario il cuore. (Richard Feynmann premio Nobel per la fisica)

 “Nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va. La materia non è soltanto un materiale per il nostro fare … La terra porta in sé la propria dignità e a noi è chiesto di seguire le sue indicazioni”. Sono parole di Papa Benedetto XVI, che nei suoi scritti ripetutamente ha  esortato gli uomini del nostro tempo a ripristinare e guarire le relazioni frantumate con la creazione attraverso un confronto ampio con la realtà. Lo sfruttamento delle risorse naturali e il disastro ecologico globale impongono con urgenza a tutti di riflettere sul futuro del pianeta. Possibile che occorrano disastri, morti e feriti perché la distruzione ambientale riesca a bucare – e solo per qualche giorno – l’agenda mediatica e quella politica?

Dopo la domanda: quale pianeta lasceremo ai nostri figli?” ne viene spontanea un’altra: “Quali figli lasceremo al nostro pianeta?” (Pierre Rabhi). Stupisce il silenzio con il quale la politica e le istituzioni – piegate agli interessi e agli affari più spregiudicati – circondano vicende di gravi danni alla salute e all’ambiente, causati da un mix micidiale di arretratezza tecnologica, avidità e arroganza. Ritessere l’alleanza tra uomo e creato significa smuoversi dal penoso torpore in cui sembra versare il nostro mondo e affrontare con decisione i problemi aperti iniziando dai nodi particolarmente delicati.

Ambiente violato
percolatoLa Giornata Mondiale della Terra, voluta dalla Conferenza Episcopale Italiana in sintonia con le altre comunità ecclesiali europee, anche quest’anno ha messo in fila una serie di problematiche ambientali, legate alla salvaguardia del Pianeta: buco dell’ozono sempre più sottile, continuo e rapido ritrarsi dei ghiacciai, conseguente aumento della temperatura globale e innalzamento di mari e oceani. E poi: scarsità idrica, desertificazione crescente, riduzione della superficie produttiva, intensificarsi degli uragani, deforestazione di ecosistemi naturali, estinzione di parecchie specie viventi … Tale è la situazione globale del Pianeta  in cui ci troviamo immersi. L’accoppiata tra catastrofi ambientali sempre più gravi e fallimento dei vertici internazionali dedicati alla questione ambientale suscita interrogativi che nessuno può più ignorare. Intanto la rabbia si mescola allo sconforto e la preghiera dei credenti si trasforma in una vibrata invocazione di giustizia, mentre le fiaccolate si alternano ai funerali un po’ dappertutto e anche in Italia.

Troppe e gravi le nostre ferite …
inquinamento-ambientale-in-europa-un-registro-unico-sugli-inquinanti-delle-industrieAttentati e disastri ambientali quelli provocati sul nostro territorio, che non sembrano aver pari al mondo. Per tutti, solo qualche citazione:
- Un accordo criminale fra industria del Centro-Nord e camorra, dal 1989 pianifica e scientificamente attua un traffico di rifiuti chimici e industriali, mettendo in ginocchio – sulla scacchiera degli affari – la Campania un tempo felix. Un tessuto d’illegalità in cui i nomi di politici si confondono con quelli di camorristi, funzionari dello Stato infedeli e settori di apparati di sicurezza. Un attentato alla vita democratica. Il terreno, attraverso il percolato dei rifiuti, si imbeve di veleni e li ritrasmette nella vegetazione e nell’aria, inquinando mortalmente chi è costretto senza difese ad abitare nel territorio. Patologie cancerogene e malformazioni – specialmente nei bambini – saranno sempre più simili a epidemie. Gli esperti della Procura hanno calcolato che la contaminazione delle falde acquifere produrrà tali effetti nocivi sulla popolazione e sull’agricoltura, fino al 2080.
- Gli uomini della Finanza, dopo il riesame che ha confermato a Taranto il sequestro degli impianti Ilva, hanno definito la città ‘ambiente svenduto’, inquinamento-atmosfericorendendo l’idea di una città disperata, sotto ricatto permanente. Si può davvero conciliare la salute dei cittadini e degli operai con la cultura industriale dell’Ilva? E, pur riuscendo in qualche modo a migliorare lo scenario limitando le emissioni nocive della fabbrica, quali saranno le conseguenze relative alla catena alimentare?
- Tra i grandi malati da inquinamento ci sono le coste. Ai danni alla salute si aggiungono quelli all’ambiente e al turismo, prima industria nazionale con il 15% del Pil. Come dire: meno denaro e meno lavoro.
Gli interventi di bonifica finora avviati, al contrario, sono pochissimi. Le bonifiche (per esempio nell’area industriale che fu a Bagnoli) sono solo annunciate, progettate, pagate e, soprattutto, finte.

Sanare le ferite della terra
È l’invito dei vescovi per salvare il Pianeta, le cui ferite “sono il riflesso di quelle che l’uomo porta dentro di sé a causa del seme guasto dell’egoismo e dell’incoerenza”. Per questo ”guarire la terra è sanare anche il cuore dell’uomo”. Servono risposte personali, comunitarie, regionali e globali. Certo ad oggi mancano strumenti istituzionali efficaci di governance internazionale per la tutela ambientale (il G20 non lo è ancora!). Ma cresce la sensibilità ecologica per cambiare in meglio la propria vita. Questo anzi è il desiderio di molti. Purtroppo però lo è solo teoricamente. Praticamente invece è il programma di pochi. Nella concretezza della storia la ‘guarigione’ può nascere solo da cuori che amano; si convertono e si fanno vicini agli altri per essere insieme liberati nella verità; si mettono realmente in cammino per condividere la vita. Certo è una lotta. Ma “a che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare?” (G. Fava).

Riscrivere il futuro oggi si può
Esistono persone e popoli che sanno e si ricordano di cosa stiamo parlando. È indispensabile essere e suscitare queste cittadinanze attive, capaci di organizzarsi a tutti i 9813414-smiley-palla-invio-del-messaggio-per-l-39-inquinamentolivelli, coinvolgendo anche i soggetti economici. Vi si può riuscire se si tiene ben presente che solo l’ipocrisia, la disonestà, la corruzione e l’inganno allon­tanano i cittadini dalle istituzioni e dalla po­litica e uccidono la fiducia nei confronti dell’amministrazione. Le ferite di cui soffre la nostra Terra, possono essere guarite solo a partire da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali (messaggio CEI). Da persone che comincino da se stesse senza delegare ad altri la capacità di trasformare la realtà; che operino facendo proprio il metodo suggerito dalla Dottrina sociale della Chiesa, sintetizzato in tre verbi: osservare-giudicare-agire e – per  le buone pratiche domestiche – ridurre, riciclare, riusare; che affrontino e vincano le proprie resistenze interiori per guardare finalmente il mondo in un’ottica nuova: con spirito di gratitudine e nella prospettiva del mistero pasquale. Un grido di speranza si leva così dal basso e chiede di essere raccolto. Un grido che dice bisogno di fiducia reciproca e di comunione. Un sollievo dopo tanta pena.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

Osare la differenza e… ripartire insieme

Senza categoria | Posted by usmionline
giu 10 2013

Sapienza preziosa viene da vite comuni: camminare insieme avendo il senso della novità, il gusto della scoperta, la gioia di far esprimere l’altro… In sintesi: imparare a celebrare la magnifica diversità delle persone e correggere i vizi del proprio comunicare.  

Storia di un futuro in cui sentirsi a casa
volontariatoUna riflessione tutta rivolta al presente, quella del convegno che si è tenuto a Pieve di Soligo, ad un anno esatto dalla beatificazione di Giuseppe Toniolo, che è dono dell’amore di Dio all’Italia.

Obiettivo del convegno: ripartire insieme nella stagione della crisi, per muoversi “oltre la crisi che attanaglia e preoccupa le nostre comunità”, nella convinzione che oggi sia tempo “di ritrovare valori e fiducia, di riscoprire visione e progetto, di scommettere talenti, risorse e programmi per un nuovo modello economico e sociale che metta al centro il primato dell’uomo”.

La soluzione dei problemi è quasi sempre ‘sotto-casa’. Ma nei tempi della prova la malattia più grave delle persone è quella che annebbia gli occhi dell’anima e poi dell’intelletto. Il che rende più difficile vedere la via per uscire dalla crisi. È urgente allora reimparare a ‘vedere’ i veri capitali della vita, i veri beni. Solo se li si riconosce si può rigenerare la fiducia e la speranza assolutamente necessarie per il futuro di tutti. In questo senso “Testimonial” d’eccezione è il Beato Toniolo. La sua lezione – in un tempo della finanza debordante e di modelli economici asserviti alle logiche del profitto e dell’utile ad ogni costo – acquista ancora più forza e credibilità.

Fede e politica: utopia o impegno possibile?
“Non amo le furbizie dei politici e i loro calcoli elettorali; amo la verità che è come la luce; la giustizia, che è un aspetto essenziale dell’amore; mi piace di dire a tutti le cose come stanno: bene al bene e male al male; fare il bene perché è bene! Alle conseguenze del bene fatto, ci penserà Iddio!”. Si esprimeva così Giorgio La Pira, uomo libero che aveva scelto di amare e di servire e, perciò, non temeva di perdere il potere. E Benedetto XVI riassumeva “i tratti somatici” di chi vuole impegnarsi nella vera politica in cinque punti: – «Coerenti con la fede professata» e non servi dell’opinione pubblica prevalente per motivi elettorali. – «Rigore morale», perché non si può più minimizzare la gravità della «questione morale», anche tra i cattolici. – «Capacità di giudizio culturale», cioè di discernimento, frutto di studio, di meditazione, di capacità di distinguere un bene individuale dal bene comune. – «Competenza professionale», perché la politica è un’arte, una vocazione e non si improvvisa. – «Passione di servizio», non per l’onore e il prestigio personale o per la gratificazione del proprio gruppo.

Sì, non ci sono scorciatoie per chi in politica cerca davvero il bene comune. Le parole citate risuonano come appello prima di tutto alla classe dirigente italiana e a coloro che in qualunque modo maneggiano potere, perché trovino la forza per imprimere una svolta profonda nella direzione generale dell’economia. Svolta che le forze sociali e l’interesse generale del Paese da troppo tempo reclamano. L’appello nello stesso tempo raggiunge anche chiunque si trovi a vivere nello spazio ferito delle relazioni.

Dentro lo spazio ferito delle relazioni …
7438002534_5b1b090cc1Perché l’uomo contemporaneo continua a muoversi con molta difficoltà con gli altri?… corre, cerca rifugio, si nasconde, compete per il proprio tornaconto… E finisce per collocare la sua vita in una sola direzione, completamente orizzontale. Come può, in tale posizione, entrare nel mondo delle speranze dell’altro e delle sue paure?

Lo spazio lacerato, presente nei rapporti umani un po’ a tutti i livelli, in realtà esprime anche un intenso bisogno di relazioni profonde: un bisogno che nessuna agenzia assistenziale potrà mai coprire pienamente. L’essere umano è così fatto per un Oltre, che solo in tale direzione sperimenta di muoversi verso la pienezza. Il progetto d’amore che tutti portiamo scritto dentro da solo è un grido verso l’infinito.

Quando il cuore  si fa conchiglia di tutte le voci
Quando il cuore, ogni cuore, è innamorato della verità, allora la persona comincia a cercarla con passione nel suo quotidiano, come un Mistero più grande  a  cui perla_ostricaconsegnarsi. E giorno per giorno diventa consapevole che solo nel dialogo si può scoprire qualcosa sulla Verità della vita. Così si apre alle sorprese che il Mistero sempre riserva, anche quando si incarna in forme non conciliabili. Dio opera nella nostra vita anche se ci sembra che non stia accadendo nulla ed è l’autore vero della storia di ogni creatura che da Lui si lascia condurre. Con tale fiducia nel cuore, con la forza del Vangelo e le capacità di chi dal Vangelo si lascia formare, si può preparare un mondo totalmente nuovo. Si può costruire il bene comune attraverso l’impegno politico soprattutto quando vi si impegnano persone che sovrintendono al destino degli uomini e dei popoli. E lungo tale strada sarà possibile anche una nuova evangelizzazione. La fede ce lo assicura e ce ne dona la speranza e la forza.

 “Colui che ha fede non trema” (Is. 7,9;28,6)
Piu-diversi-degli-altri1_largeNon trema perché sa che l’amore del Padre ha cancellato per sempre ogni solitudine e allontanato il timore di guardare alla propria vita con occhi sfiduciati. “Poco importa che io sia ricco, povero, disprezzato o stimato dagli uomini: Dio mi conosce e mi chiama per nome” (J. H.  Newman).  È soprattutto la paura di ciò che gli altri diranno a trasformare ogni piccolo errore in fonte di sempre maggiore ansietà e insicurezza, le quali avvolgono la persona nel buio e in qualche modo la consumano. La fede invece rivela il buio come momento per ricominciare e obbliga a trovare un nuovo modo di stare al mondo. Comunità di persone con la stessa mentalità sono segni deboli del Regno, perché in verità siamo fatti per entrare in contatto con chi è ‘diverso’ da noi. Oltre la paura. Per questo non basta la tolleranza reciproca. Ci vuole anche il coraggio di manifestare il proprio dissenso all’interno della comunità. Condizione indispensabile, perciò, per camminare con coerenza verso la pienezza di sé, è coltivare la capacità di imparare a pensare in modo coerente. Poi è necessario entrare nel dialogo con tutta la forza e il rispetto della propria visione del mondo e di quella dei propri interlocutori. Infine occorre saper restare in un amorevole silenzio con l’altro quando il dialogo verbale diventa impossibile. È lungo tale percorso che si può sperimentare la fiducia e imparare a fidarsi.

Piccoli profeti fragili
Nascono così i ‘piccoli profeti’ di ogni giorno… Persone semplici, mosse da sete di autenticità e di vita, che considerano e vivono il proprio lavoro come luogo dove 388647_633906933291267_1189824432_nrecuperare e offrire relazioni che non siano solo strumentali, ma contengano gratuità. Piccoli profeti fragili, ma con un cuore tanto libero da non poter essere incatenato da niente  e da nessuno. Agiscono con lo stesso grido davanti all’ingiustizia e all’oppressione. Fanno sentire ognuno accolto, compreso e restituito alla dignità della sua umanità. Pur con le loro fragilità, regalano così a tutti la fiducia che è possibile contare su relazioni affidabili e trovare quel luogo dove ognuno è davvero unico, speciale e insostituibile.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

“Restate umani”

Senza categoria | Posted by usmionline
mag 31 2013

Molestie, maltrattamenti, ricatti sessuali, un forte dilagare della violenza nell’attuale contesto socio-culturale… Da quale punto di vista guardare a tutto ciò per mettersi in grado di ritrovare e far ritrovare speranze e ideali ?

Terrorismo fai-da-te
 20121124_violenza“È ora di estirpare il seme della violenza dalle nostre anime e dalla nostra vita sociale” (Agnese Moro). Fatti crudeli e apparentemente inspiegabili fanno crescere l’esigenza di comprendere quello che sta avvenendo in mezzo a noi… ‘Esce di casa con il piccone e uccide gente che sta passeggiando’. ‘Trascinato a terra, preso a colpi di machete e decapitato’. ‘Gli congelano il conto corrente. Va in banca e uccide quattro clienti’… Armi improvvisate. Vittime sconosciute, innocenti, e inconsapevoli che qualcuno ha deciso per la loro sorte. Sono solo le punte più evidenti di una condizione di disagio e di malessere diffusi. Si aggiungono alla violenza fisica – ostentata da sempre nel mondo del crimine – e a quella verbale e psicologica del cyber bullismo, dei minorenni indagati per istigazione al suicidio, del tifo ultrà, baby gang, prepotenze nel pubblico e nel privato: un quadro impressionante a cui si rischia di abituarsi. Ma se si continuerà ad accettare la violenza come un male inevitabile, o addirittura  – certo solo da qualcuno – come uno strumento necessario, essa non smetterà di essere all’ordine del giorno. Capirne le vere radici è di importanza fondamentale. Su quale terreno germogliano i suoi semi?

Violenza disperata…
chiuso_per_tristezza_1Quando si tende a mercificare i rapporti umani e perfino a volte i sentimenti; quando la fredda convenienza economica diventa la regola ispiratrice di tanti comportamenti umani, può facilmente succedere che chi non regge alla corsa tenti una rivalsa imboccando scorciatoie. Allora la via della delinquenza può sembrare più facile da percorrere a chi già si sente sconfitto. Il terrorista-fai da-te della porta accanto non ha bisogno di ideologie articolate, o di grandi Cause. Pesca in sé motivazioni per sentirsi l’eroe solitario, vendicatore di torti veri o immaginari. Nessun manuale e nessuna particolare preparazione. Solo rabbia, odio e fanatismo. Con tali sentimenti nel cuore, ognuno davvero sta solo sul cuore della Terra, pieno della propria angoscia e dei mezzi per tradurla in morte. Sembra impossibile estirpare questo seme della violenza ed è anche difficile curarlo, perché ‘se porgi l’altra guancia, sei un perdente’. Ma se rispondi occhio per occhio in realtà perderemo tutti.

Ad ogni notizia di gesti criminali efferati, raccapriccio e smarrimento istintivamente prendono il cuore di tutti. Ma una reazione altrettanto spontanea – e così grande da sorprendere – emerge e si fa solidarietà per le vittime. È il frutto prezioso della coscienza umana sempre vigile, la testimonianza che ogni persona, pur immersa in un ritmo frenetico di vita, può sempre ritrovare se stessa.

…ma non innata e non inevitabile
scimpanzeBisogna prendere atto che non c’è una informazione chiara e corretta sulle cause del dilagare della violenza. La ricerca scientifica ha ormai verificato e dimostrato che l’aggressività non è un istinto, e quindi non è affatto inevitabile. È la conferma che la violenza non è innata. Si produce infatti nella vita del bambino solo quando non vengono soddisfatti in pieno i suoi bisogni. Il piccolo normalmente ricorre alla rabbia solo quando tutti i mezzi da lui tentati per ‘comunicare’ non hanno avuto effetto e se l’ambiente circostante non riesce a farlo sentire pienamente accettato, compreso e valorizzato. Non trovando  risposta, in lui la rabbia si accumula, cresce, si cronicizza fino a diventare, poi, aggressività, tendenza alla distruttività e bullismo. Famiglia e violenza sono forse collegate più di quanto non si possa pensare.

Il cuore di chi vive senza speranza
I reati e le violenze più gravi sono dettati, nella società moderna, da mancanza di futuro, sia economico che affettivo e relazionale. E forse i sintomi più pesanti del malessere attuale sono proprio i problemi legati alla solitudine e all’immaturità affettiva. I nostri contemporanei, dominati da un senso di impotenza, sembrano rassegnati a vivere la vita in un orizzonte di solitudine. Su tale percorso, pur di procurarsi la cessazione di un dolore giudicato insopportabile, si può arrivare a gesti inconsulti fino a privare se stessi e altri della vita. Il problema di fondo è sempre l’assenza di legami affettivi e sociali capaci di attutire difficoltà e sofferenze e soprattutto di indicare speranza. Come evitare che personalità “infelici” cerchino un palliativo all’angoscia nella droga, nella sopraffazione, nella violenza, nell’impulso alla distruzione o nell’autodistruzione? Come mettere in atto un’opera di prevenzione capace di agire ampiamente e in modo concreto nella società? Un’opera in grado di far ritrovare a tanti speranze e ideali? Certamente la realtà – ci ricorda Papa Francesco – si capisce meglio a partire da queste ‘periferie umane’.

E se cercassimo di eliminare la violenza occupandoci di chi la perpetra?
Lavoratori-svantaggiatiSicuramente la vittima va aiutata e tutelata, ma se si vuole davvero eliminare la violenza non si può non prendere in considerazione chi ne è l’autore, occupandosi anche di lui. Ritenerlo un mostro e un criminale, in fondo è troppo facile. Soprattutto farebbe semplicemente diventare complici della insofferenza che l’ha condotto a quel punto. Ognuno ha la sua storia, le sue difficoltà, le sue incapacità. A volte, è lui stesso ad aver subito violenza. Allora è possibile aiutarlo a cambiare il suo comportamento. Forse egli si ritiene importante e padrone della vita, mentre è solo fragile e vulnerabile come la statua dai piedi di argilla. Forse è anche convinto di avere diritti, privilegi e arroganza, ma è un po’ come un bambino che non sa star solo; reagisce ricorrendo alla forza, forse perché anche lui non ha più strumenti e capacità di farsi amare e apprezzare.

Nel segreto della quotidianità nascosta
Importante è non perdere di vista l’essenziale: trovare mediazioni comuni per servire al meglio l’umanità delle nostre persone dentro la storia. Nulla di ciò che è veramente umano è straniero a qualcuno. Nemmeno quei limiti, che scatenano aggressività. Ognuno può scegliere se utilizzare l’energia che viene dalla propria rabbia per condannare il fenomeno, oppure per comprenderlo. Il primo mattone per costruire qualcosa di utile è, in ogni caso, il riconoscimento saggio, prima speranza-di-vita_0che umile, di non bastare a se stessi. Aver bisogno gli uni degli altri è offrirsi reciprocamente l’occasione di rivelare quanto stiamo diventando più umani. L’esperienza di tanti testimonia che è attraverso la comprensione che si possono aiutare gli uomini a interrompere i comportamenti violenti. Mai attraverso la sola condanna e la pur giusta repressione. Nell’ascolto vero – che si  prende cura dell’altro e affronta le sue condizioni di vita, sia materiali che spirituali – si può garantire al mondo moderno quella presenza gratuita e misericordiosa che è risposta al suo immenso bisogno di attenzione. Così, se anche solo per un attimo ognuno si fermasse per  ascoltare, sicuramente avremo anche il giusto tempo per poter riflettere. E, chissà, anche per cambiare! Ma siamo davvero capaci di ascoltare?

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Perdonaci Cielo!

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mag 20 2013

 

Leggere e interpretare la realtà con gli occhi di Dio e il cuore gonfio di passione per la vita mette in cammino verso Colui che ha fatto nuove tutte le cose. Ed è la pace nel cuore e nella storia.

La Pacem in terris vera come cinquant’anni fa
papa-g23Un testo di straordinaria qualità, capace di parlare a chi ha una fede e anche a chi quella fede non ce l’ha, eppure cerca realmente una via d’uscita alla crisi che stiamo vivendo. Un invito mai abbastanza accolto a operare per la pace. Quasi un ‘testamento’ di Giovanni XXIII, che di sé poteva dire in verità: Ovunque ho messo piede, ho messo anche il mio cuore, perché tutto il mondo è la mia famiglia! Con tale enciclica Papa Roncalli promosse un’azione capillare per sostenere contro l’istinto bellicoso la possibilità della pace, o addirittura l’ineluttabilità della pace (Loris Capovilla). Di fatto dalla sua pubblicazione ad oggi il testo è punto di riferimento per chi considera la pace bene primario e con tutte le proprie forze si impegna perché come tale essa sia perseguita a favore dell’intera umanità insieme alla lotta contro la fame. beatiglioperatoridipaceÈ più che mai attuale rivisitare oggi questa enciclica, che si rivolge alla famiglia umana. Ancora una volta essa ci fa misurare la distanza tra ciò che potrebbe essere e ciò che è la realtà, confermandoci nella consapevolezza che la libertà in ogni tempo è la prova più difficile per ogni persona. Per chi è discepolo di Cristo o si vuole mettere in cammino per diventarlo, vera sfida rimane la propria umile disponibilità all’azione dello Spirito per diventare libero. Allora il primato di Dio si tradurrà in una sostanziale pace interiore e in comportamenti sereni, umani e pacificanti all’interno di ogni relazione, a partire da quella familiare.

La pace è un’arte che si impara, a partire dalla famiglia
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Addolorati e umiliati da tante situazioni quotidiane, spesso ci portiamo dentro inquietudini e rancori che non riusciamo a superare. I sentimenti negativi – incompatibili con la pace – finiscono per costruire e rafforzare relazioni conflittuali o, al più, di equilibrio passivo. In esse le opinioni si dividono e si contrappongono, i pensieri si smarriscono, i cuori rimangono turbati, le coscienze lacerate. Come purificarsi dai fermenti di ostilità e di partito preso, da antipatie e pregiudizi, dal desiderio di primeggiare?
”La pace è un’arte che si impara”, rassicurava Don Tonino Bello. E si impara cominciando a piantare – ovunque si riesca ad arrivare – i pilastri giovannei della casa della pace: ricerca della verità, soffio della libertà, fame e sete di giustizia, potere della convivialità delle differenze. Su tali pilastri – testimonia Tonino Bello – si possono con sicurezza riannodare le relazioni spezzate e le ferite di ogni storia personale, familiare e comunitaria.

Umanizzare il valore della pace
La pace “è possibile, perché le persone, nonostante i limiti che le attanagliano, sono esseri capaci di bene e di dialogo” (mons. M. Toso). La stessa vita quotidiana ci richiama di continuo al fatto che si può costruire solo sulla vicendevole fiducia. Non sono infatti le difficoltà ad affondare le famiglie e le comunità. Sono piuttosto l’arroganza, la sufficienza e la falsità che fanno smarrire il senso della realtà e colorano gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone con la presunta sicurezza di essere il ‘Bene’ che combatte contro il ‘Male’. Sicurezza sempre sospetta e certamente non rispettosa della verità. Tutti, proprio tutti infatti siamo uguali, tutti differenti e tutti in relazione… Ognuno perciò può fare qualcosa per umanizzare la pace: in questo non c’è nessuna prima fila. Ma forse a noi – nel nostro tempo un po’ sbandato e, nel fermento per un cambiamento radicale, anche alla ricerca di grandi valori – manca proprio la fresca fiducia nella possibilità di cambiare costruttivamente. Come risvegliarla?

… e convertirlo in vita quotidiana
La maggioranza delle persone nel nostro Paese ha buon senso, ma rischia di essere scavalcata, come le vicende di piazza ogni tanto dimostrano. Certamente un modo di agire politico ha partecipazioneseparato l’autorità dalla effettiva autorevolezza dei comportamenti e la rappresentanza democratica dalla reale rappresentatività dei bisogni e degli interessi dei cittadini. Ma è altrettanto vero che noi stessi, ognuno per la sua parte, può farsi responsabile della distruzione di quell’edificio invisibile che è la pace. In fondo spesso si trova più ‘comodo’ nascondersi dietro mille alibi e rimanere inerti nelle situazioni concrete, che dovrebbero invece essere corrette. Si sta a guardare, ci si lamenta. Magari si assumono atteggiamenti tattici tanto per superare un’emergenza. Si protesta, si esprime disillusione e rabbia, si punta anche (e giustamente!) il dito contro chi ne è responsabile, si chiede agli altri di ‘cambiare’. Ma nel proprio piccolo spazio non ci si dispone davvero con volontà umile, forte e sincera a sanare situazioni malate che ci toccano da vicino. E il tessuto sociale in cui ci si muove si corrompe, con ricadute pesanti sui rapporti quotidiani. Si consuma insomma quella cultura democratica che richiede grande attenzione anche ai toni e alle parole; e non inneggia certo ad alcun tipo di violenza, nemmeno metaforica.

Cuori ‘pacifici’: profezia controcorrente
La storia in realtà è proiezione esterna delle decisioni dei cuori suscitate dallo Spirito. Lo spazio inesplorato della fede abbraccia e penetra nel profondo le vicende umane e dà al credente la “forza di osare di più e la gioia di prendere il largo”. Ma essere operatori di pace secondo il Vangelo è esigente: un dono che non si compra a poco prezzo! È la fede che nutre in luce-anima-okprofondità i cuori, perché siano manifestazione evangelica. E quando la sapienza del sorriso penetra nell’agire quotidiano, a sua volta alimenta la vita di fede. Certo non ci si può illudere di superare le proprie inquietudini interiori, i rancori che ci si porta dentro senza lasciare spazio allo Spirito di gioia e di pace, perché è lo Spirito che fa accogliere quella pace che sorpassa ogni nostra veduta e diventa decisione ferma e seria di amare tutti i fratelli, senza eccezione o esclusione. Utopia? “Beati gli operatori di pace”, dice il Vangelo… Beati non perché qualcuno pensa di essere arrivato, ma perché ogni giorno parte di nuovo e si rimette in cammino. Allora la pace è davvero ineluttabile. Forse ci vorranno anni perché possa diventare realtà, ma il tempo non è nostro! L’importante è che “noi non coltiviamo un’utopia, ma una sicurezza, una speranza; la speranza evangelica che un bel giorno gli uomini aboliranno la violenza e insieme collaboreranno” (mons. L. Capovilla). Certo se uno ha il passo troppo lungo, gli altri stenteranno a stargli dietro. Così soffre lui e soffrono anche gli altri. Ma – diceva Paolo VI riferendosi al percorso di vita di Primo Mazzolari – questo è il destino dei profeti. Profeti del valore assoluto delle cose ultime.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Corruzione: anoressia della fede

Senza categoria | Posted by usmionline
mag 09 2013

Mentre molte porte false e autoreferenziali invitano a mettersi in cammino, la sfida è attraversare la porta della fede per guarire il cuore corrotto.

Un male oscuro?
abstract, elongated, semi-obscured figure with arms raisedSignore! Dacci occhi deboli per le cose che non valgono, e occhi pieni di chiarezza per guardare tutta la tua verità (Kierkegaard).

Papa Francesco non ha dubbi. Corruzione è il salvar sempre le apparenze (i sepolcri imbiancati contro i quali si scagliava Gesù). Un male che conosciamo – e soffriamo da vicino – che lacera, scava e corrode. Un cammino su cui si scivola, quasi senza accorgersene, in un’abitudine di vita, sempre negata e dissimulata. Non si diviene corrotti di colpo… Si comincia con il passare per le scorciatoie dell’opportunismo anche a prezzo della dignità propria e altrui. Si reagisce poi alle critiche sminuendo chi le fa e attaccando con l’insulto chi la pensa diversamente. Presi dalla seduzione delle cose e dal fascino di possedere di più, si finisce per investire sul prodotto sbagliato – il denaro – e si dimentica l’amore. Su tale percorso, la propria capacità di amare un po’ per volta si deteriora e la persona finisce per dividere il mondo intorno a sé in complici e nemici. È come se i ‘buoni’ risultati conseguiti ubriacassero di un borioso ottimismo. “Così fan tutti”, si conclude frettolosamente quasi a giustificarsi.

In realtà se una catena di male, come un fiume fangoso, percorre la storia in ogni tempo, oggi la corruzione è diventata un cancro morale che avviluppa la politica, l’economia, la società. E anche la Chiesa. Tende ad espandersi dappertutto come se fosse parte accettabile della vita quotidiana, impone complicità e costi altissimi. L’Italia, nelle classifiche internazionali sulla corruzione, continua a scivolare verso il basso e vi diventa sempre più difficile estirparne il male anche a causa di leggi che hanno favorito la sostanziale impunità di importanti tipologie di reati. Alla base del problema non si può nemmeno negare l’esistenza di una italianità refrattaria al rispetto delle regole e dedita all’arrangiarsi per un tornaconto individuale, di clan, o di corrente, qualunque costo questo comporti per la collettività.

Complesso di ‘inquestionabilità’?
cuore1Nel motto di San Gregorio Magno, Corruptio optimi, pessima, Papa Bergoglio indica una  grande  verità: la corruzione del migliore – del  meglio – è la cosa peggiore. E l’applica ai “religiosi corrotti”. Poi chiarisce: “Non voglio riferirmi qui ai casi ovvi di corruzione, ma piuttosto a stati di corruzione quotidiana, che chiamerei veniale, ma che lentamente fanno arenare la vita religiosa”. Egli fa quindi una disamina molto lucida di questi “stati di corruzione quotidiana”. Si tratta di una specie di paralisi che si produce quando un’anima si adatta a vivere tranquillamente in pace. All’inizio, c’è “il timore che Dio ci imbarchi in viaggi che non possiamo controllare”. La paura perciò rimpicciolisce “gli orizzonti a misura della propria desolazione o quietismo”. Si arriva quindi alla mediocrità e alla tiepidezza: due forme di corruzione spirituale, segni di una fede anoressica e di facciata. E ci si immette su un piano inclinato che conduce allo scoraggiamento dell’anima, in una “lenta, ma definitiva, sclerosi del cuore”.

La persona tenderà allora a interpretare la “vita consacrata come realizzazione immanente della sua personalità”; oppure inseguirà la “soddisfazione professionale”; quando non si compiacerà della stima altrui, o si dedicherà principalmente a una intensa vita sociale … Il cuore rimane putrefatto a causa dell’adesione eccessiva a un ‘tesoro’ che lo ha conquistato.

logoannovocazionaleingpegpiccoloQuale forza profetica potrà sciogliere tale cuore corrotto? È talmente arroccato nella soddisfazione della sua autosufficienza da non permettere di farsi mettere in discussione. «Accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio» (Lc 12,21). Egli non ha rimorso interiore perché non si accorge del suo stato di corruzione. Sono gli altri che se ne accorgono, e se gli vogliono bene glielo faranno notare. Da ciò segue che la corruzione, più che perdonata, deve essere guarita. La vita consacrata assegna espressamente il primo e l’ultimo posto a Dio. Senza un’apertura sincera  e reale alla misericordia e alla grazia di Dio, la vita del religioso rischia di diventare una contraddizione in termini, una scatola vuota.

Ardua e possibile la via del risanamento
La via del risanamento parte dall’impegno personale e comunitario volto al riconoscimento nel proprio profondo del male oscuro, per affrontarlo e vincerlo con la luce e la forza della Parola. Papa Francesco costringe a interrogarsi senza concedere scappatoie. “Perché un cuore si corrompe?” è il perno delle sue riflessioni. “Non è un buon atteggiamento quello di truccare la vita, di fare il maquillage alla vita: no, no. La vita è come è, è la realtà. È come Dio vuole che sia o come Dio permette che sia, ma è come è, e dobbiamo prenderla come è. E lo Spirito del Signore ci darà la soluzione ai problemi”.

Come un vento nuovo, le sue parole entrano nelle nostre case di credenti e non credenti. Un graffio sulle coscienze e un balsamo alle ferite che ognuno si porta nel cuore. Una carezza, comunque, in ogni occasione. E una guida luminosa nel momento non facile, eppure stimolante e affascinante, che stiamo vivendo. Rendono il senso di un cammino. Non sconforto e pessimismo, quindi, per quello che ci circonda e che è anche dentro di noi, ma una lettura lucida sì. Nessuno può fuggire dal presente e la vera profezia di questo tempo, è abitarlo insieme, mettendosi realmente in gioco.

… per una sapienza quotidiana del vivere
Certo essere confrontati con la propria verità è sempre doloroso e non piace ai più! Si preferirebbe restare in un mondo fittizio, dove si possono ignorare gli aspetti negativi della propria personalità, chiudere gli occhi e fingere che non esistano. Lì è facile diventare specialisti nell’autoconvincersi di essere bravissimi, sopravvalutarsi o anche sottovalutarsi.

d85b55eacd81c064880d1d0672bc8b43-300x213Ma il cammino verso Dio in realtà può cominciare unicamente nella propria cella interiore, là dove si scende nella vera esistenza, ci si confronta con la propria reale natura e si portano allo scoperto tutte le personali manovre di evasione. Si può allora smettere di combattere da soli contro il male e confidare piuttosto nella misericordia del Padre; favorire lo sviluppo del bene, che pure è in noi, per essere graditi a Lui e non più orientati a se stessi.

C’è notte e notte. Quella del corrotto è la peggiore perché è ”notte definitiva, quando il cuore si chiude”. Diversa è la “notte del peccatore” perché è provvisoria! E se un sottile filo di speranza nell’amore indistruttibile di Dio si fa largo nel cuore, Dio lo riconduce alla Verità delle cose.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Persi nella nebbia

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apr 29 2013

nebbia_in_campaniaAlla nostra società non mancano solo adulti nella fede. Mancano adulti tout court. Che cosa produce un sentimento di vita che rifiuta, nei modi più impensati, l’invecchiamento e i segni che l’accompagnano? O che costringe al silenzio l’esperienza della morte?

Giovani ‘sconnessi’…
In una sorta di nebbia che sembra dominare su tutto, ciò che fino a qualche anno fa significava maturità si sta disgregando. I contorni si confondono e si neutralizzano. I giovani “passeggiano per le strade con l’orecchio otturato dalla cuffia delle loro musiche” (card. Ravasi), che li segnala ‘sconnessi’ dall’insopportabile complessità sociale, politica e religiosa creata dagli adulti. In un certo senso i ragazzi calano una visiera per autoescludersi dalla corruzione e dall’incoerenza che li ha ridotti al precariato, alla disoccupazione e alla marginalità.

Nello stesso tempo una strana febbre ha colpito il mondo degli adulti che li rende incapaci di riconoscere lo specifico umano dell’essere al mondo. Immersi nella cultura dell’adesso e affidati all’esperienza del momento, essi sembrano amare più la giovinezza che i giovani, finendo spesso per spendere la vita aggrappandosi al … nulla!

…e adulti ‘scomparsi’
Secondo il sociologo della modernità liquida Zygmunt Bauman, la generazione nata tra il 1946 e il 1980 ha progressivamente riscritto il sentimento della vita compiendo una vera e propria rivoluzione tra le età nell’immaginario collettivo. È nato così – e si è subito diffuso – un modello di società a “responsabilità zero”. Entrati con la vita in questo modello, gli adulti si sono persi nella stessa nebbia dei più giovani, senza più distinzione generazionale. Non è eccessivo parlare – come fa Marcel Gauchet, famoso storico francese – “di una liquidazione dell’età adulta”. Certo è difficile per tutti crescere in un mondo che non ammette i segni della vecchiaia, che sembra apprezzare solo la giovinezza e ciò che farmaceuticamente e chirurgicamente le rassomiglia; che spende capitali per ricerche e scelte ‘anti-age’, interventi estetici, tinte per capelli, creme…; chiama ‘divertimento’ stili di vita “bunga bunga”; si fa guidare da manie dietetiche e vede crescere il numero dei forzati della palestra… Questa cosa certo non vale per tutti, ma l’andamento generale va proprio in tale direzione. “Gli adulti stanno male – spiega U. Galimberti – perché, anche se non se ne rendono conto, non vogliono diventare adulti”.

Pensare in tempi oscuri”
HackerGod-228x300Ci siamo abituati a rinnegare la fragilità, che perciò è stata censurata dal tempo e nel tempo. Il fenomeno ha avuto il massimo successo negli ultimi quarant’anni. Ma il tempo concesso ad ognuno per compiere il cerchio della propria esistenza è consapevolezza della fragilità che conduce alla fine. Consapevolezza che versa un meraviglioso significato dentro ogni momento che precede la fine, rendendo così grandiosi gli aspetti più banali dell’esistenza. La grande cultura ci ha sempre detto che l’uomo diventa autentico solo se accetta la morte. Zygmunt Bauman nel nostro tempo lo ribadisce: ciò che dà senso ai nostri giorni è proprio la consapevolezza della mortalità. Ma la morte oggi è stata zittita, negata, tanto che non siamo più in grado di pensarla e, tanto meno, di ascoltarla o di dirla. Così, non avendo più parola – come afferma Luciano Manicardi –  la morte ha cessato di insegnare e di indicare simboli e chiavi per interpretare la realtà. E dentro la nebbia che ne consegue, facilmente ci ritroviamo tutti nervosi, scontrosi, infelici e tristi!

Adulti ‘compiuti’
Capita sempre più spesso di assistere, soprattutto in politica, a una lotta tra vecchi e giovani e, comunque, sembra essere venuta a mancare nel nostro tempo quella salutare dialettica che porta a darsi regole condivise. Nelle famiglie occidentali si cerca di risparmiare ai piccoli ogni fatica e dolore, quando poi non ci si conforma ai criteri e ai comportamenti dei figli, per ottenere la loro approvazione. Ma pare che non ci sia nulla di più traumatico del non aver mai avuto dei traumi; e nulla di più pesante del legame con un genitore che pretende che tu gli voglia bene per il bene che lui ti vuole. Ad un adulto certo non si chiede di rappresentare l’ideale di una vita compiuta, né di incarnare nessun modello di perfezione, ma solo di assumersi responsabilmente il peso della propria parola e dei propri atti, di riconciliarsi con la verità della vita In_viaggio_Con_I_nonnie della vocazione umana. In fondo è questo che può salvare dalla solitudine e dall’abbandono e questo bisognerebbe poter ricostruire individualmente e collettivamente.

L’equilibrio tra egoismi non ha mai portato a una collettività forte, coesa e sicura di sé, poiché lo specifico umano dell’essere al mondo è altro. È volersi bene per quello che si è e riuscire a fare propri i sentimenti che l’altro vicino a noi vive; è lasciarsi toccare e segnare dal grido di chi ci è compagno di viaggio nel tempo; è amare la vita, nonostante la morte. Ma come è possibile accostarsi a questo limite, senza una promessa di Vita, senza una Luce che dia chiarore al fondo senza fondo che è il morire?

Spiragli di luce nella nebbia  
Affaticati dalla vita come singoli e come comunità per gli uomini del nostro tempo è urgente rimettere in cammino la propria fede cominciando a distogliere l’attenzione da se stessi. Il cristiano sa per esperienza che custodire con amore il vangelo del Signore Gesù è l’inizio dell’incontro con Lui. Parola conservata nel cuore come un seme. Seme non pianta. Seme da coltivare con la propria libertà perché germogli e orienti a vivere la verità di ciò che si è di fronte a Lui e a se stessi. Un’esperienza di grazia e di vita che traccia una adi6ggstoria. Un modello autorevole per le generazioni più giovani, i quali altro compito non hanno se non quello di diventare adulti.

Certo i giovani oggi sono diversi. Ma la loro ‘diversità’ contiene già semi sorprendenti di fecondità e autenticità che parlano a chi vuole vedere e ascoltare: tanti di loro fanno la scelta del volontariato, nutrono in sé (e la esprimono in gruppo!) la passione per la musica, lo sport, l’amicizia… Tutti modi per dirci che l’uomo non vive di solo pane. Possiedono una loro originale spiritualità, sincerità, libertà nascoste sotto la coltre di un’apparente indifferenza… Certo hanno bisogno di adulti che sanno crescere con loro in prospettiva di scomparire. Il mistero che è la vita di tutti è venato anche da ferite, da ombre, da lotte. Ma che cosa possiamo in verità comunicare agli altri e poi lasciare in preziosa eredità? Forse solo le nostre ferite, le sconfitte, i desideri. In una parola: ciò che ci manca e che ci tiene in movimento verso la Luce.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Impasti di ombra e di Luce

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apr 19 2013

 

Quando l’incontro con il male di vivere – e con le emozioni, i sentimenti e le idee che lo accompagnano – diventa esercizio di salute mentale ed esperienza di senso e di Gioia…

La persona folle, ‘diversa’ e disturbante…
a11La follia è una condizione umana. In noi essa esiste ed è presente come lo è la ragione…Il malato non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità. Lo affermava  Franco Basaglia, principale elaboratore della legge 180 del 1978, che chiuse in Italia i manicomi, tanto imparentati con degrado, violenza, abbandono, isolamento e spersonalizzazione. Una legge bellissima la sua, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale, eppure a tutt’oggi, inattuata e molto ignorata. L’utopia di Basaglia era che su tutto il territorio nazionale fossero creati servizi di salute mentale organizzati come residenze comunitarie, con la partecipazione di educatori, medici, accompagnatori. L’obiettivo: rendere “umane” le relazioni tra le persone, recuperare il rapporto dei malati con il mondo, alleggerire la fatica delle famiglie, dimostrare a tutti che l’indifferenza e la paura della ‘diversità’ – anche mentale – si può vincere.

…e l’insano della persona sana
Tutti conosciamo per esperienza che le crisi e il disagio mentale non sono insoliti per nessuno, troppe-diagnosi-e-abuso-di-farmaci-siamo-tutti-malati-di-mente_1726anzi. Prima o poi ognuno si ritrova in qualche ‘crepaccio’ a gridare: “Salvami da quest’ora”. Una vita debole e turbata, che forse non vogliamo vedere e riconoscere, si esprime in ansia e depressione. Sempre più numerose sono le persone annodate in grovigli di rapporti sbagliati, perse in un nodo di solitudine e di pena.

Certo di fronte alle difficoltà della vita non tutti reagiamo allo stesso modo e, se tutti siamo esposti alla sofferenza, solo alcuni sviluppano un disturbo psichico grave. I più purtroppo non sanno o non vogliono reagire ai propri malesseri: si limitano a trascinare i loro giorni senza gioia e si perdono in qualche forma di disagio minore. Scritti scientifici e servizi giornalistici raccontano che oggi la parola ‘depressione’, usata nell’accezione sommaria e abusata di malattia mentale, sembra essere diventata contenitore e nello stesso tempo spiegazione di ogni condizione. Si riducono a depressione, infatti tristezze e affanni, stanchezze e rancori, frustrazioni e delusioni… in un percorso che puntualmente si conclude con la prescrizione di ansiolitici e antidepressivi. Abituati come si è a valutare tutto, tutti e anche se stessi in base all’apparenza e all’efficienza, facilmente si finisce per oscillare tra l’esaltazione di sé e la cupa depressione che cresce nel senso di vuoto dell’anima. Un numero sempre crescente di persone si rivolge allo psicoterapeuta per poter affrontare l’insufficiente senso della propria vita.

Risvolti dolorosi di vite “al limite”
Cresce a dismisura anche il numero di coloro che compiono atti di violenza contro se stessi o psicofarmaltri, che ricorrono a sostanze illecite pur di provare gratificazioni facili e forti emozioni. C’è chi arriva a compiacersi di insulse bravate e prevaricazioni… “Cose da pazzi”, reagisce la gente di fronte all’esplosione di gesti estremi di devianza. E qualcuno, spingendosi ad evocare un’epidemia di “follia” collettiva nel nostro oggi, quasi per salvare se stesso rimpiange persino il tempo in cui esistevano i ‘manicomi’ dove rinchiudere e isolare chi è ‘fuori di testa’. Intanto l’assistenza a chi è afflitto da gravi disturbi mentali, oggi è passata di fatto dallo Stato direttamente ai familiari. La quantità dei servizi erogati infatti è presente sul territorio a macchia di leopardo e comunque la qualità dell’assistenza spesso ripropone con altro nome la stessa logica manicomiale. Un elemento risulta assente da tutto questo: la elaborazione reale e concreta della sofferenza propria e altrui. Ma nessun male può essere dissolto solo chiudendo il discorso con una sbrigativa etichetta di ‘matto’ e la cura è vera se si orienta sullo sviluppo e valorizzazione della persona.

Dove abita il Sole
In realtà la follia fa parte delle possibilità e della “normalità” delle vicende umane per chi è alle prese con la fatica di vivere. Siamo un impasto di normalità e di follia e dove c’è più ombra c’è papavero_e_luceanche più luce. Ma lo si può scoprire solo se si lavora sui propri problemi, pazzie, limiti… Su questa via si diventa anche capaci di affrontare i problemi di altri; di conoscere che nella sofferenza si nasconde il mistero di Dio che sembra allontanarsi e che in realtà continua la sua presenza in ogni situazione.

Si tratta di fermarsi per scegliere la strada da prendere agli incroci che si incontrano lungo il percorso. La sofferenza può condurre al di là del proprio io piccolo e limitato e allenare a chiarirsi le idee; a domandarsi se davvero vale la pena usare il tempo in un certo modo, mentre la vita diventa sempre più breve. Ma non è facile ammettere il proprio turbamento, liberarsi di sé, ascoltare la coscienza e – per il credente – scegliere fra il proprio io e Dio, lasciando in definitiva a Lui l’ultima parola e il dono della gioia. Perché allora e soltanto allora, mettendosi sotto lo Sguardo che conta infinitamente più di ogni cosa, dal proprio turbamento può nascere l’abbandono nelle braccia del Padre e l’apertura alla vita e al prossimo.

Non di soli farmaci
La ‘depressione’ va accolta in una indispensabile autocoscienza, se realmente se ne vuole uscire. In genere essa rappresenta, infatti, solo il segnale doloroso che qualcosa nella propria vita, nel rapporto con se stessi e con gli altri non sta andando come dovrebbe e per questo ci si sta … spegnendo. Gli psicofarmaci si limitano a nascondere i sintomi del problema. Necessari e utilissimi perciò in alcune situazioni – soprattutto se associati alla psicoterapia – nella maggior parte dei casi gli psicofarmaci, per i loro effetti collaterali, sono discutibili. Qualificati ricercatori indipendenti dalle industrie farmaceutiche hanno acquisito che essi non agiscono solo sulla psiche, ma condizionano l’attività cardiaca e respiratoria, alterano in modo significativo il ciclo sonno/veglia, l’appetito … Costringono insomma nel patologico sentimenti ed emozioni. Da soli certamente non bastano a dare rispetto e significato alla persona.

La relazione: farmaco giusto e necessario
In realtà la cura che le singole persone cercano spontaneamente per i propri malesseri è un rapporto d’amore gratuito: quello di cui si può fare esperienza in un gruppo/comunità che non espelle chi soffre, ma si impegna a capire e riconoscere senso e dignità a ogni storia. Comincia così per ognuno un’avventura nella quale è necessario di volta in volta scegliere che cosa fare e che cosa dire, persona per persona. Questo attiva e permette di condividere contesti positivi e autorigeneranti. “Piccole” cose poi si richiedono ogni giorno: il coraggio di contenere le proprie ragioni (star bene, pensare normalmente e futilmente, evadere dalle situazioni …); uscire dal timthumbpregiudizio e, onestamente, riconoscere in sé la stessa umanità dell’altro; accogliere con umiltà l’occasione per vedersi e riconoscersi nella sua fragilità, paure e vulnerabilità. Serve insomma essere persone impegnate a gestire ed elaborare la sofferenza propria insieme a quella di chi ci vive accanto. Non per niente il volontariato per certi aspetti è oggi l’unica realtà forte, nel momento in cui offre se stesso all’incontro con i bisogni e i problemi sociali. Questa è anche la vera politica. L’incontro con il “male di vivere” dentro e fuori di noi può allora diventare realmente un esercizio quotidiano di salute mentale, in tutti i sensi e per tutti.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

La nostra Pasqua

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mar 27 2013

Il Vangelo di Giovanni che viene proclamato nel giorno di Pasqua di quest’anno esprime bene l’esperienza sfolgorante e inaspettata che sconvolge la vita dei discepoli ancora paurosi e increduli, rinchiusi nella casa, dopo i terribili fatti della passione e della morte in croce del loro Maestro.

La prima persona a rendersi conto che qualcosa di grande è accaduto è Maria di Magdala. Al mattino di buon’ora, recatasi quando era ancora buio al sepolcro, lo trova vuoto. Sbigottita e spaventata va da Pietro e Giovanni e comunica loro la notizia, ma in modo distorto, travisato dai suoi molti pregiudizi che non le permettono di vedere: “hanno portato via il corpo di Gesù!”.

Il fatto della risurrezione non può essere compreso e raccontato con le sole categorie umane. Eppure i discepoli avevano vissuto a lungo con Gesù, lo avevano seguito nelle sue predicazioni, avevano assistito ai miracoli da lui operati, lo avevano sentito pregare e soprattutto avevano osservato il suo stile di vita ed i criteri delle sue scelte. Nonostante tutto questo ancora non comprendono.  

C’è qualcosa in questo vangelo che colpisce: Maria di Magdala corre dai discepoli per  raccontare quello che ha visto; Pietro e Giovanni corrono al sepolcro per vedere che cosa è accaduto. Corrono, guardano, ma non vedono fino a quando Pietro non entra dentro il sepolcro, e ciò significa: dentro l’esperienza del Cristo, dentro il mistero della sua Pasqua. Anche di Giovanni si dice che credette solamente dopo essere entrato nel sepolcro vuoto. Neanche l’amore umano più sincero è sufficiente per entrare nella logica dell’amore infinito di Dio.

Possiamo allora concludere che il dono della fede che fa vedere e conoscere nella verità accade in noi nella misura in cui entriamo in comunione con Gesù e prendiamo parte alle sue sofferenze e alla sua morte in croce.

L’annuncio della Risurrezione non è possibile quando, da stolti direbbe il vangelo,  vogliamo evitare questa tappa della vita di Cristo, la tappa del dolore, della fragilità, dei limiti, della morte.

Viene spontaneo allora fare memoria di uno degli ultimi pensieri rivolti da Benedetto XVI ai consacrati e consacrate del mondo lo scorso 2 febbraio; pensiero che vogliamo fare nostro e soprattutto che vogliamo impegnarci a vivere in questa Pasqua del Signore Gesù:

“Carissimi, vi invito a una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. Proprio nel limite e nella debolezza umana siamo chiamati a vivere la conformazione a Cristo, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo, la perfezione escatologica (ibid., 16). Nelle società dell’efficienza e del successo, la vostra vita segnata dalla «minorità» e dalla debolezza dei piccoli, dall’empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione”.

Sr M. Viviana Ballarin, op
Presidente USMI nazionale
Vice presidente UCESM

Creati per essere felici

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mar 15 2013

Si può imparare (e insegnare!) la via della felicità? È possibile occuparsi, lavorare, vivere… per la felicità di tutti?

Il festival delle Scienze ne cerca la formula
Ogni giorno, un invito: a vederci dentro, a guardarci intorno, ad andare oltre… a fare insomma della vita il luogo della vera felicità (Tonino Bello)

Tema immenso quello della felicità, soprattutto in questo tempo di crisi feroce e di smarrimento culturale e sociale. Un sentimento talmente primordiale che è persino difficile definirlo. All’Auditorium Parco della Musica di Roma, durante l’ottava edizione del Festival delle Scienze, ci hanno provato. L’idea di felicità è stata indagata con convegni e ospiti di primo piano, compreso il premio Nobel per l’Economia Amartya Sen. Ne è risultato un viaggio misterioso e appassionante attraverso le neuroscienze, la psicologia, la religione, l’antropologia, la sociologia… La conclusione, provvisoria come solo può essere il cammino di una vita: l’essere umano è biologicamente strutturato per essere felice, il cervello è un vero e proprio calcolatore alla ricerca di ‘premi’… La domanda di fondo, che ha guidato nella ricerca: come arrivare alla felicità, ne esiste una formula? Su tutto una certezza: il viaggio di chi davvero la cerca finisce per portare al centro di se stessi.

Affaccendati e insoddisfatti, ma si può misurare la felicità?
Essere felici è cammino e ricerca di un divenire sempre più ricco – non di cose, ma di quella ricchezza che è sovrabbondanza di sé e sentimento del proprio accrescersi. A tratti è ricerca spasmodica e con scarsi risultati. Eppure nessuno se ne stanca mai del tutto, perché il desiderio costante di essa vive dentro ogni persona e ne cadenza la vita fin dal principio.

Il Festival delle Scienze ha riconosciuto questo anelito impresso nella stessa natura umana, nel suo Dna spirituale, che continuamente spinge ognuno a riprendere la ricerca verso la pienezza del proprio stato interiore.

I soldi sono importanti e chi è povero non può essere felice, è stato detto al Festival. Ma è stato anche dimostrato che, al di sopra di un determinato reddito, il denaro perde valore. Per il benessere della persona, invece, contano gli affetti, le esperienze, i rapporti umani. L’arte di apprezzare la vita è più una questione di mente che di circostanze, più una scelta che una possibilità. Già Epitteto diceva ai suoi contemporanei: “tutto sta nel modo in cui si guardano le cose”. Condizione naturale sì, quindi, ma anche sfida continua. Ogni tanto insomma è bene chiedersi: A che punto mi trovo? In quale direzione sto cercando?

Il Mappamondo della felicità…
Dall’analisi del grado di appagamento e soddisfazione della popolazione di oltre 150 paesi del mondo è venuto – durante lo svolgimento del Festival delle Scienze – il primo Rapporto Mondiale sulla Felicità. Risultato? Fra gli ingredienti della felicità, al primo posto è la rete sociale (avere qualcuno su cui contare nei momenti difficili è più importante del reddito!); al secondo posto l’occupazione (perdere il lavoro è percepito come perdere il proprio partner!). Danimarca, Finlandia e Norvegia – tra i Paesi più attenti nel mondo alla qualità della vita dei propri cittadini – conquistano i primi posti. L’Italia è ventottesima dopo Brasile e Arabia Saudita. Ma quelli del podio sono anche i Paesi con il più alto tasso di suicidi. Un controsenso? Certamente un grande motivo di riflessione.

… e il ruolo della politica!
Secondo una recente ricerca della Oxford University, chi ride ed è ottimista si ammala di meno. Anche questo dato suggerisce quanto sia vitale ripensare il ruolo della politica; che ogni governo si occupi di più del benessere collettivo e della salute – anche mentale – della popolazione. La questione nel mondo sta emergendo e si allarga sempre più. È vitale insomma recuperare politiche sociali con una progettualità che sappia di umanità.

Il colore del dolore…
Certamente non si può vivere in pienezza se non si interiorizza il fatto che la vita un giorno o l’altro finirà … Quando sai che i giorni della tua vita sono limitati, allora è più facile fermarsi ad annusare il profumo dei fiori e a sentire il calore dei raggi solari … È vero: siamo pellegrini in viaggio, ma prova a goderti il viaggio! suggerisce J. Powell.

Per Action for Happines – movimento nato nel 2011 in Inghilterra e subito diffusosi nel mondo con l’obiettivo/missione di creare una società più felice – non serve né danaro, né potere. Assumono valore invece le azioni che possono portare beneficio agli altri, perché ‘il benessere è contagioso’. Il mondo oggi  è più ricco di mezzo secolo fa, ma non sembra più felice ( R. Layard). La felicità può essere raggiunta in tempi ragionevoli se ci si occupa di più degli altri e si restituisce centralità ai rapporti umani; se si riscopre generosità e responsabilità nella cura di se stessi e del mondo intorno. L’escludere, infatti, materialismo, egoismo e stress fa crescere la propria soddisfazione.

…e il rumore della felicità
Il figlio ‘prodigo’ del Vangelo se ne va, un giorno, in cerca di felicità. E fa naufragio!…Il libero ribelle diventa servo: semplice storia di una comune umanità decaduta, che si porta dentro la nostalgia del pane di casa, in realtà l’unica cosa che conta veramente. Non la ricerca di felicità fine a se stessa, che tra l’altro può facilmente tramutarsi nel bisogno egoistico di “stare bene”! Ma il bisogno di trovare la Fonte stessa di ogni bene, quella che dà origine a ogni cosa, compresa la felicità. Se è vero però che tutti vogliono vivere felici – come già scriveva l’antico poeta Seneca – “quando poi si tratta di riconoscere cos’è che rende felice la vita, ecco che ti

vanno a tentoni”. In realtà, anche se ognuno sente o intuisce dov’è la sua ‘casa’,  è tanto facile, in una esistenza ansiosa, nomade e divisa, lasciarsi trascinare in molte direzioni come si fosse ‘senza dimora’. Del desiderio – al centro di noi stessi – di una Vera Casa, parla Gesù quando esorta: Non affannatevi; o quando amorevolmente richiama all’unica cosa necessaria

Il Suo amore, se accolto, fa scoprire a ognuno di essere un meraviglioso pezzo unico, cancella per sempre ogni solitudine e allontana il timore di guardare alla vita con occhi sfiduciati. Chiamarsi per nome in modo autentico è necessario per amarsi sul serio. Dio mi chiama per nome e niente è più come prima. In ogni caso per essere felici conta che l’indirizzo del cuore sia al centro della persona e della sua vita di relazione.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

‘Un po’ meno io, un po’ più noi’

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mar 04 2013

Ripensare, definire e salvare ciò che ci accomuna, si può: attraverso una silenziosa rivoluzione dei modi quotidiani di vita.

Mondo alla rovescia …
Le persone, in questa epoca dominata dal potere, si dividono tra i qualcuno e i nessuno; tra chi vive per farsi vedere e chi, quasi fosse trasparente, esiste ed è come se non ci fosse (V. Andreoli).
Il sistema politico in cui viviamo sembra essere centrato sul bene di parte – della propria parte. Ciascuno ha una sua visione del bene comune e la verità appare ai più come un campo di battaglia sul quale battersi per prevalere e affermarsi, magari su chi ci sta superando per meriti oggettivi.
L’enfasi posta sulle libertà soggettive ha portato infatti molti a fare dell’io individuale ed empirico il metro di giudizio primo e ultimo (per non dire unico) di ciò che è vero e buono. Si riconosce lo Stato solo quando deve riparare ai propri disastri… L’altro, il noi, l’umanità – presente e futura – sono messi fuori della visione personale, ridotti a “oggetto” o, comunque, a complemento dell’io. In sintesi: un’identità ‘contro’ gli altri. Così la demonizzazione dell’avversario, a tutti i livelli, frena e impedisce non solo l’attuazione del ‘bene comune’, ma persino il concepirlo, il ragionarci, discuterne…
Si ha la sensazione di vivere insomma in una specie di mondo alla rovescia… L’illecito in qualche modo è diventato normale; i politici fanno spettacolo, mentre comici, attori e cantanti si occupano della politica; il diritto è scambiato per il favore e chi dovrebbe dare il buon esempio si vanta delle sue malefatte; se poi ci si ostina a credere nella legalità si rischia di passare semplicemente per  ingenui o stupidi.

… e ‘bene comune’ alla prova dei fatti
Intanto oltre la metà degli italiani – secondo il rapporto Italia 2013 di Eurispes – non è in grado di mantenere la famiglia; lo stipendio non permette a quasi i due terzi dei lavoratori di sostenere spese importanti come un mutuo o l’acquisto di un’automobile; la famiglia d’origine resta fonte di sostentamento per quasi un lavoratore su tre, con l’aggravio dell’azzeramento del bene di coloro che ‘non contano’… L’esperienza di quello che chiamiamo ‘bene comune’ ne rimane stravolta e l’ambito in cui fino a ieri lo si poteva collocare, oggi appare come una “vecchia storia”; quasi una realtà spazzata via, o, nel migliore dei casi, un’astrazione con cui i politici (soprattutto!), ma anche gli intellettuali e qualche volta persino gli uomini di Chiesa si riempiono la bocca quando si trovano a parlare del sociale.
Difficile – anche a volerlo – in tale clima generale realizzare quello che già era stato l’invito di J.F. Kennedy agli americani: ‘un po’ meno io, un po’ più noi’. Per questo non serve certo ‘attaccare un cerotto etico sopra un sistema finanziario marcio, che pone il capitale al di sopra del lavoro’ (L. Alici).
Eppure è certo che Dio vuole essere amato da questi meschini, splendidi e liberi figli che noi siamo. Nel nostro difficile presente ciò non può significare che – prima di tutto – disponibilità costante a mettersi in gioco, a lavorare su di sé per diventare sempre più capaci di lavorare con gli altri e per gli altri.

La rivoluzione necessaria  
Una voce – che è anche luce – è presente nel cuore di ogni creatura umana, in qualsiasi tempo. Essa parla alla persona di un ‘oltre’ e di una rivoluzione necessaria a partire dal proprio comportamento. Sussurra di un sogno grande, contenuto nella realtà di tutti i giorni. Chiede di dare a se stessi spazio e tempo per poter essere riconosciuta e ascoltata. Orienta, così, e muove il comportamento verso la verità che è la più grande e costruttiva delle rivoluzioni. In tale percorso è necessario tener presente che “anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita” e che “la capacità di amare corrisponde alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme”, come ci ricorda Benedetto XVI. Abbiamo bisogno di sentire che l’Io è  anche Noi. Si tratta allora di ripartire con coraggio da tutti i fallimenti personali e sociali, con quel poco che ognuno ha e sa fare, per costruire un nuovo ‘io sociale’ a vantaggio di tutti. Su tale via la prima rivoluzione necessaria a tutti, oggi, è certamente l’onestà, anche e soprattutto quella intellettuale; via obbligata per quanti detengono il potere (a qualsiasi livello!) per diventare o ridiventare uomini. Rivoluzione poi sono la coerenza, il coraggio di ragionare con la propria testa, senza piegarla di fronte ai potenti, chiunque essi siano. E ancora: il rispetto di tutte le diversità, la ricerca sincera di una comunicazione solidale e non competitiva. Rivoluzionari sono il sorriso, l’umiltà…
Per tutti insomma si tratta di amare meno il potere, recuperando su tale via l’esperienza della grandezza dell’umano. Il che vuol dire: riservare, in sé e intorno a sé, spazio per il sapere, la compassione, la saggezzaTutto ciò che facevano i nostri nonni, prima che si scatenasse l’ubriacatura della ricchezza.

Le cose che contano davvero…
I beni più importanti per disegnare i tratti di una nuova società, restano la vita e l’amore. Per esperienza ognuno sa che, se sente il coraggio e il dovere di mantenere le sue promesse, è soprattutto perché un altro conta su di lui e si aspetta che egli mantenga la parola. Così sappiamo pure che la politica sana riposa su tale volontà di creare legami e di vivere insieme, fondendo la diversità in un progetto collettivo e condividendo il bene. Il nostro Paese ha bisogno di pensare e di riflettere su ciò che fa e su ciò che accade; di immaginarsi un futuro lavorando insieme per realizzarlo. Se tante illusioni in campo politico e sociale oggi sono cadute, un po’ ‘meno io’ da parte di tutti permetterebbe di cercare insieme piste concrete utili per rispondere ai bisogni autentici e alle attese delle persone.  

… per uno sguardo ‘altro’ sul nostro tempo
In ogni momento storico difficile sono i ‘piccoli’ – la cui vita è segnata appunto dalla ‘minorità’ e dalla debolezza – i più disposti a dare e a ricevere benevolenza e aiuto, a legarsi perciò all’altro perché sentono che da soli si è perduti. La formula della fragilità – segno evangelico di contraddizione – è la stessa che permette l’amore. Farla propria non è automatico per nessuno. Il credente nel cercare di viverla nel concreto quotidiano si sa preceduto da una Parola più forte che la sua, una Parola che rassicura e dà forza nel cammino, se ci si affida ad essa. La sola Parola che può sottrarre all’angoscia di non saper più sperare dopo aver dato fondo ad ogni speranza.

Luciagnese Cedrone
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