Turismo e ricerca del bello

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gen 11 2011

Quando la bellezza è sfida e invito al cammino

La verità è bellezza e la bellezza è verità. Solo questa bellezza, che nulla ha a che fare con l’estetismo, può dissetare l’uomo dalla sete che lo caratterizza e lo accompagna nei suoi giorni. I surrogati non possono che acuirla. In un tempo in cui la soppressione dell’interiorità rende ancora più ardente questa sete, il legame con l’Invisibile alimenta ogni arte degna di questo nome e la bellezza –  della natura e dell’arte – è più che mai una sfida. Una sfida all’imbarbarimento dei rapporti che contraddistingue il nostro tempo; all’indifferenza che ha sostituito la passione ideologica; al pensiero debole che svuota la realtà e la nostra vita di qualsiasi radicamento e fondamento.

La penisola del tesoro

C’è dentro di noi qualcosa che invita a uscire dalla routine. Anche per questo tanti cercano, con molte spese e in Paesi anche lontani, occasioni di stupore, immagini e sensazioni singolari da custodire poi  gelosamente per i giorni velati dalla noia. L’Italia – e Roma in particolare – è crocevia di civiltà che per millenni ne hanno plasmato il territorio. Il suo vero primato è nei beni culturali che possiede e che ne fanno quasi un museo a cielo aperto, diffuso e stratificato. Ma tutto il mondo è una foresta di simboli e chi è credente li contempla, li interroga e se ne lascia interrogare.

Eremiti e pellegrini del terzo millennio

La G.M.G. – che quest’anno si terrà a Madrid – è un momento di Chiesa che ormai caratterizza il cammino di tanti giovani, i quali cercano di vivere in Cristo la loro esistenza; la Compagnia di Gesù ancora oggi prescrive ai giovani Gesuiti una tappa obbligatoria nel cammino di noviziato: farsi “pellegrini in povertà” per due settimane. Ciò che importa è non camminare mai soli, ma con colui che è il Cammino. I pellegrinaggi dunque non sono oggi al capolinea. Anzi. I nuovi viandanti, pellegrini della verità e della felicità, alla ricerca del sacro o di prospettive soprannaturali da cui si sentono attratti, non sono tutti mossi dalla fede. Le statistiche recenti testimoniano che, mentre il turismo in generale manifesta qualche segnale di rallentamento, i viaggi ispirati a tale bisogno registrano un crescendo significativo. Un’opportunità per accompagnare l’uomo contemporaneo nella sua ricerca di senso; per camminare insieme sapendo di essere amati e sperando amore anche oltre i confini della nostra breve esistenza nel tempo. E scoprire così che è possibile danzare la vita, anche dentro la quotidianità monotona e ripetitiva.

Il tutto rivela l’attualità delle parole dell’allora cardinale Ratzinger:«Affinché oggi la fede possa crescere dobbiamo condurre noi stessi e gli uomini, in cui ci imbattiamo, a incontrare i santi e a entrare in contatto con il bello».

Recuperare il significato profondo del riposo

 «Il tempo libero è una cosa bella e necessaria», soprattutto se poggia su «un centro interiore» che permetta di evitare il rischio di farlo diventare «tempo perso», ci ricorda ancora Benedetto XVI. Si tratta allora di organizzare la vacanza, anche quella breve di un fine settimana, per apprendere e arricchirsi di un più corretto uso del tempo; di imparare a ‘perdere tempo’ perseguendo, in tutto ciò che si fa, l’obiettivo di riuscire a sciogliersi, parlare, fidarsi, confidarsi… Si tratta insomma di vivere il tempo libero come luogo dove ritrovare il gusto di approfondire, anche dedicandosi a quelle attività gratuite -come leggere, ascoltare musica, contemplare paesaggi…- che alimentano nel cuore il desiderio di un ‘oltre’ e introducono nel mistero.

Divino tempo libero

Ogni luogo di vacanza ha il suo linguaggio, i suoi simboli, le sue dinamiche, il suo incanto. Ha anche una sua modalità d’incidere sul nostro animo e sul nostro spirito.

Ma sempre e per tutti il tempo cosiddetto libero può diventare un’oasi dove bere il sapore del cammino nel deserto dei giorni. Chissà! Forse potrebbe insegnare a cogliere l’essenziale, a capire ciò che resta  mentre tutto passa, ciò che conta davvero. La parte migliore…

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Fede in cammino nel mondo di oggi

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gen 04 2011

Fede e vita: bisogno di senso assoluto

È esperienza di tutti ritrovarsi, ogni giorno, contingenti e fallibili. Cerchiamo ostinatamente il “tutto” e raccogliamo soltanto frammenti. Siamo mossi dal bisogno assoluto di felicità, ci illudiamo di costruire il paradiso in terra e molto spesso creiamo invece l’inferno: per noi e per gli altri. Allora ci diamo da fare per mascherare con il rumore il vuoto che rimane nel cuore. Ma i vuoti non si risolvono facendo cose ‘vuote’.

Il mondo in cui viviamo, intanto, viaggia all’insegna dei verbi apparire, produrre e capitalizzare; e offre con essi un panorama di riferimento a valori parziali assolutizzati, nel quale la fede si visualizza come evasione, come rifugio di comodo, o tutt’al più come emozione che concede un po’ di calore alle asprezze dell’esistenza. Ma l’uomo lucido e libero non può rinunciare a chiedersi -con rabbia e a volte anche con disperazione- il senso del faticare nei suoi giorni mortali, della sofferenza e di quella morte che, comunque, lo scavalca. In ogni uomo è inestinguibile il bisogno di un senso assoluto, ultimo e definitivo, che riguarda la propria vita, la storia intera di tutti gli uomini e l’intero universo. Ognuno rimane comunque libero di non credere.

Tutti viandanti dell’unico Dio

«Dio non è un soprammobile per arredare il mio salotto interiore», non mi vuole risparmiare la fatica di essere assalito dai dubbi. Chi vuole diventare credente in modo personale e sincero parte dal seguire l’amore, dal fidarsi e dall’accogliere le beatitudini, che oggi più che mai sono controcorrente e controcultura. In lui la fede allora diventa tutto. In verità il problema principale dell’uomo è quello di una fede totale: quella realtà che possiede la persona come fa un amore grande quando entra nella vita. Per sua natura infatti la fede, come l’amore, impegna, scuote da ogni quiete soporosa e oziosa, responsabilizza; soprattutto permette di ‘vedere’ come Dio vede la storia, la vita, la morte, il destino dell’uomo. Nella fede la persona non si riposa, ma si espone: come Abramo, che risponde «Eccomi» al Signore che lo chiama per metterlo alla prova (Gen 22,1); come Samuele, che dice «Eccomi» al Dio che lo chiama nella notte (Sam 3, 4). E, come Maria, seriamente si impegna ad amare come Cristo ha amato: fino a dare la vita.

Che cosa opera la fede

La fede è crescita dell’uomo. E’ imparare ad ascoltare il rumore della vita per focalizzare le cose più preziose che ci accadono. Quando non fa crescere, allora bisogna verificare se è autentica. Il Signore per esempio nel cammino di fede chiede alla persona un cambiamento di relazioni. Attraverso circostanze esterne e anche desolazioni interiori mette in questione il  modo di concepire il rapporto con Lui e con gli altri. Così avviene che, qualunque percorso di fede io abbia già compiuto, non posso accontentarmi della mia relazione passata, per quanto buona o discreta essa possa essere stata. Ora deve progredire sapendo che l’intenzione del Signore non è di togliere qualcosa, ma di far passare a un livello di amore più puro e generoso e di inserire così in modo sempre più profondo e personale nel Suo mistero.

Su questa linea di coerenza al Dio fedele e al suo vangelo, il credente gusterà la gioia della fede: la più completa che si possa immaginare.

Dio nella carne dei martiri di oggi

Intimidazioni, soprusi e violenze contro i cristiani hanno concluso il 2010 e segnato pesantemente anche l’avvio di questo nuovo anno. È incredibile che in molti Paesi del mondo, ancora oggi, l’essere fedeli alle proprie convinzioni possa costare la vita. Ma così è nelle Filippine, in Nigeria, Pakistan, India, Cina, Egitto… Così è soprattutto in Iraq e in tutto il Medio Oriente, dove la presenza cristiana a causa della violenza di queste persecuzioni sta diminuendo vertiginosamente, tanto da preoccupare persino le autorità musulmane, che temono per quelle terre solo un futuro di sangue.

Nostalgia del vero incontro

Sul portale del duomo di Lubecca è espresso magistralmente il lamento del Signore che ci interroga tutti:

Mi chiamate la via e non mi seguite (fedeltà),

mi chiamate la luce e non mi vedete (fede),

mi chiamate il maestro e non mi ascoltate,

mi chiamate il Signore e non mi servite.

Un dì, se non vi riconoscerò, non vi meravigliate.

La fede autentica comincia nel tempio, dove chiediamo la grazia di capire la vita filiale che riceviamo, e finisce per le strade a raccontare Dio come si racconta una storia d’amore. Il mistero parte dal cuore di Dio, rispetta la libertà dell’uomo e gioisce di essere accolto. E se le Scritture sono il percorso privilegiato per incontrare il Verbo di Dio, è il dramma della libertà il terreno non sempre facile su cui si incontrano Dio e l’umanità. La fede non può perciò essere imposta con la forza, ma nemmeno confinata nella sfera privata. Ai potenti del mondo e a chi lavora con i mass media rimane il compito di aprire una nuova frontiera ai diritti umani. A tutti i cristiani l’impegno di contemplare il dono di Dio per accogliere nella vita e nella storia il disegno d’amore del Padre e non disperdere la grazia che è affidata alla nostra testimonianza. La fede, oggi più che in altri tempi, continua a viaggiare principalmente con l’ ‘accogliere’, il verbo principe della libertà e dell’amore.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il Tempo/bussola per la Pace

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dic 28 2010

Ci piace partire in qualche modo insieme verso il nuovo anno -anche dalle pagine di Fatti in controluce-  lungo il cammino della pace, verso una comprensione sempre più profonda della realtà, e in essa del nostro compito.

Abitare davvero il tempo… Come?

Parliamo di ieri, di oggi e domani, lo facciamo in modo vago illudendoci di capire, di afferrarne il senso. Comprendiamo che il tempo è certamente la risorsa più preziosa e non rinnovabile di cui disponiamo. Ci sappiamo anche chiamati a percorrere il presente come veri figli di Dio, che sanno di avere una patria altrove, e proprio per questo vivono nella patria terrena con la capacità di distinguere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo.

 «Se qualcuno perde dell’oro o dell’argento, potrà ritrovarlo, ma se perde un’occasione, non potrà ritrovarla». Così si esprimeva un monaco anonimo, facendo eco al Carpe diem dei latini. Ci hanno sempre insegnato a ‘correre’ per non perdere l’attimo fuggente. Ma ci chiediamo: stiamo sviluppando, intanto, la capacità di riconoscere l’occasione giusta? Siamo in grado di distinguere l’opportunità da cogliere al volo, rispetto all’illusione che è da smascherare e lasciar cadere? Il tempo è come un fiocco di neve, scompare mentre cerchiamo di decidere cosa farne (R. Battaglia).

Dalla speranza cristiana l’impegno per la pace

«Dove la vita umana non è protesa verso Dio, dove non è impegnata al Suo appello e invito, ci si sforza di superare la spossatezza, la vacuità e la tristezza che nascono da tale mancanza di speranza» (H. Schlier). Vedeva bene D. Bonhoeffer: Soltanto dove c’è Dio, c’è il nuovo e l’inizio… E in un altro passo: Cristo ti chiama a porre un nuovo inizio, abbi il coraggio di farlo confidando soltanto in lui. La speranza cristiana in realtà non si sviluppa dalla nostra vita, dai nostri calcoli e previsioni, ma viene da Dio, ci è donata da Lui. Il suo contenuto è quello di cui il Signore ci riempie e ci riempirà, se ci fidiamo totalmente di Lui.

Amici o prigionieri del tempo?

Ma la vita quotidiana è vissuta in genere da noi con un’inesorabile mancanza di tempo e quindi con profondo senso di frustrazione e di impotenza. Siamo presi da tante cose, corriamo e corriamo e qualche volta senza sapere dove… Poi succede anche solo un evento, e ti rendi conto che il tempo non è come l’aria, inafferrabile. Lo stai sprecando, perdendo… E intanto si affievolisce il senso della verità e della responsabilità, si scredita l’eroismo della fedeltà, mentre tutti i legami diventano più o meno solubili.

Meno chronos , più kairos

Gli eventi che attraversano i giorni della nostra vita possono restare Chronos, semplici fatti di un passato che non ritorna (l’occasione colta o persa) oppure diventare Kairos, “vissuto”, “storia”, e assumere un valore che va al di là dell’occasionalità. Si tratta di liberarsi dalla schiavitù del tiranno Chronos, per ritrovare la libertà di scegliere, di dar peso alle realtà che lo meritano. E imparare così ad afferrare  Kairos, il Tempo che permette di capire chi siamo realmente e dove vogliamo andare; accorgerci di chi ci sta intorno e individuare i  sogni e i valori che vogliamo difendere. Il Tempo che ha sapore e costruisce una realtà nuova; il Tempo opportuno che sta preferibilmente nel qui e adesso, perché solo nel presente ci sono le situazioni che chiamano dove Dio si manifesta. E si manifesta, come dice Pascal, attraverso gli avvenimenti e gli incontri. Purtroppo, spesso e volentieri siamo sordi a queste chiamate e tendiamo a mettere i si e i no al posto sbagliato.

Creature di relazione e di pace oggi?

È il Signore la pace che sorge dentro i nostri confusi conflitti. Lui la speranza vincente sul nostro pessimismo. Non possiamo infatti progredire nell’amore dei fratelli, se non amiamo Dio. E d’altra parte non possiamo amare Dio se non apriamo il nostro cuore all’amore verso i fratelli. Condotti dalla Sua Parola, passiamo dal vivere per qualcosa al vivere per qualcuno; dal fare le cose per mestiere o per buona abitudine alla passione di comunicare il proprio tesoro, che, anche se contenuto in vasi d’argilla (2Cor 4,7), è annuncio di salvezza e di gioia. Il discepolo non passa attraverso il Tempo – fatto appunto di avvenimenti e di incontri – come il turista, che fissa alcune immagini e alcuni suoni, prima di tornare a casa propria. Il discepolo resta all’interno della realtà, come il lievito che fa gonfiare la pasta, come il sale che si confonde con gli alimenti. E ogni tempo diventa così un Kairòs per dire il proprio eccomi. Un eccomi che ravviva la quotidianità ed è seme di pace che non muore.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

IL NOSTRO NATALE 2010

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dic 23 2010

Il Signore viene, Re di giustizia e di pace! (salmo 71)

Molti lo attendevano, ma ciascuno con una propria idea di regalità, di giustizia e di pace.

Il Signore viene, forse deludendo molti anche oggi; viene e prende carne, abita in mezzo a noi, assume il volto della “compassione”.

Maria, donna dell’ascolto impregnato di fede, lo riconosce fra molti e senza esitare, lo accoglie nel suo grembo, gli dona la sua maternità e finalmente lo porge a noi che, dalle tenebre fitte di una umanità smarrita, imploriamo “misericordia”.

Lui viene con il volto della compassione e assume il grido dell’umanità di tutti tempi.

I nostri fondatori, come Maria, lo hanno riconosciuto, lo hanno accolto e, nella molteplice varietà dei carismi continuano nel tempo il mistero dell’incarnazione del Verbo. Loro diventano prolungamento della “compassione” del Figlio di Dio; e in ogni tempo fiorisce la speranza sulla terra.

E noi oggi?  

Sicuramente la parola “compassione” emerge spesso dalle pagine delle nostre Regole di vita e noi, comprendiamo che la missione a cui siamo chiamate ogni giorno, è proprio quella di prolungare il natale di Gesù sulla terra, di generarlo nel cuore di chi incontriamo, di riconoscerlo nel povero, nel debole, nel senza tetto, nell’angosciato, nel disoccupato, nelle persone sfruttate e maltrattate dalla società, nel prenderci cura di Lui in questi fratelli e sorelle.

Ogni volta che fiorisce nella nostra mente e nella nostra azione un gesto di amore, lì Gesù è nato, è natale,  dunque, tempo di luce, di speranza, di giustizia e di pace.

Non occorre andare molto lontano per vivere questo. E’ la nostra chiamata e missione di ogni giorno.

Si tratta di avere un cuore sveglio, di saper vedere e di saper ascoltare. 

“Il Signore viene, Re di giustizia e di pace!”.

 Una testimonianza:

 “ Care sorelle,

questa sera il sonno non vuole arrivare, dopo una giornata fatta di corse, di pianti, di dolore implacabile della mia mamma.

Una giornata di lavoro e di fatica, di senso di vuoto e di mancanza.

Poi finalmente  a casa e trovo il tempo per pensare. Penso che mi piacerebbe poter pregare tutte le sere con l’intensità con cui pregate voi. Penso che vorrei riuscire a vivere nel profondo del Signore. Penso che le sensazioni che ho provato nella vostra cappella mi hanno lasciata piena di gioia e con una pace  straordinaria nel cuore.

Sono convinta che ogni cosa accade per una ragione e quindi il fatto che mio papà sia mancato lì da voi…avervi conosciute, aver ricominciato ad avvicinarmi alla preghiera…nulla è un caso…

Spero che un giorno la mia fede nel Signore sia talmente forte da potermi rendere suo strumento per aiutare altre persone….

Credo che sia la prima volta  in vita mia che trovo persone, al di fuori della mia famiglia, pronte ad accogliermi e guidarmi.

Non so cosa posso fare per ringraziarvi”.    Valentina 

Valentina si è appena laureata in giurisprudenza con il progetto di continuare i suoi studi, ma la morte immatura del suo papà, che gestiva e dirigeva un’azienda, le ha fatto cambiare programma. Ha interrotto gli studi per portare avanti con due suoi fratelli l’azienda del papà e questo, perché come famiglia hanno deciso di non mettere in difficoltà i dipendenti con il licenziamento.

Davvero, una piccola perla che, brillando, ci annuncia che Gesù è nato!

Buon Natale!

 Sr M. Viviana Ballarin o.p.

Presidente Nazionale USMI

Comunità cristiana e pedofilia

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dic 16 2010

Il buio e il cielo

Grande abbondanza di informazioni, ma anche profonda confusione. Due suicidi tragici (di un sacerdote e di un diacono) nell’Italia degli ultimi giorni. È ancora cronaca in margine ad abusi sessuali perpetrati su minori da parte del clero della Chiesa cattolica. E ancora è bufera mediatica, polemiche di ‘circostanza’, un fiume di parole. In un certo senso, «come da una profonda voragine», continua a riemergere dal passato «quella grossa nube di sporcizia che insudiciava e rabbuiava tutto cosicché soprattutto il sacerdozio improvvisamente appariva come un luogo della vergogna ed ogni sacerdote era sospettato di essere “uno di quelli”». Con queste parole Benedetto XVI introduce la sua risposta, molto ampia, a Peter Seewald sugli scandali degli abusi sessuali nel libro-intervista Luce del Mondo – Il Papa, la Chiesa, i segni dei tempi, appena pubblicato dall’Editrice Vaticana. E aggiunge con forza: «Quello però che non deve mai succedere è che si fugga e si faccia finta di non vedere…».

Perché il silenzio?

Invece reticenza e uno strano silenzio sembrano emergere nel mondo dell’educazione e della cultura, che avrebbe al contrario tutta la competenza per parlare. Così, mentre in tutti lo sgomento cresce ogni volta che emergono nuovi casi di persone usate e violate, anche noi siamo presi da sentimenti di rabbia e sconforto con il rischio di rimanerne paralizzati. È come se un panico morale impedisse ad ognuno di fare chiarezza sul problema. Il che certamente non aiuta a proteggere i bambini, né a delineare i contorni dello spinoso problema. La pedofilia tocca ogni categoria di persone: stimati professionisti, amici, familiari, politici, sacerdoti, docenti, allenatori sportivi, educatori… Fra i pedofili condannati risultano esserci persone celibi e anche persone sposate con figli. Il che smentisce il luogo comune, certamente diffuso, di una equivalenza fra pedofilia e celibato; mentre ricorda a tutti che i giudizi sommari rischiano solo di contribuire a creare quel clima di sospetto che fa scivolare in una forma di abuso di altro tipo.

Aprire spazi di dibattito e di confronto

Il problema è complesso e in ogni caso mai veramente chiarito soprattutto sotto il profilo delle possibili responsabilità. Una sfida per chiunque e un appello rivolto alla coscienza dei credenti e dei religiosi.

In un clima di fiducia tradita e di sospetto, come aiutarci a ritrovare i fondamenti del vivere insieme facendo tesoro del dono della comune fede? Come comunicarci reciprocamente il messaggio di liberazione del Vangelo e conoscere in che modo la Chiesa può essere nel mondo di oggi annuncio della vera Notizia che reca gioia?

È giusto e importante prima di tutto che la comunità ecclesiale sappia guardare in faccia con coraggio e attenzione a quanto capita. Prendere esempio dal Papa, che nel libro citato, con semplicità di linguaggio, senza reticenze e con grande sofferenza e sincerità, concede l’intervista sì per rendere partecipe il grande pubblico del suo pensiero, del suo modo di essere e di concepire la stessa missione che gli è stata affidata; ma anche per aprire discussioni su temi e problemi di grande attualità, non certo per chiuderle.

Il problema vero: la formazione

Una cosa è certa: per introdurre cambiamenti necessari e duraturi in ogni campo della vita e della storia, occorre partire dal riconsiderare la formazione che la comunità, anche attraverso i suoi formatori, di fatto offre ai giovani. Verificare se è formazione unitaria e integrata; se possiede le caratteristiche di una formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nello stesso tempo; se davvero cioè l’accompagnamento dell’adulto è qualificato e in grado di fare chiarezza sulle reali motivazioni dei giovani, sulla loro storia di vita e il concreto cammino di fede. Perché nelle relazioni, negli affetti e nel vissuto possono nascondersi ferite profonde che ad un certo punto esplodono. La formazione risulterà adeguata e non vuota quando la vita spirituale non sia sganciata dall’esistenza, ma radicata nella profondità della persona. Allora questa persona potrà dirsi realmente impegnata a vivere una relazione profonda e affettiva con il Signore Gesù, con una disciplinata vita di preghiera.

Il ruolo della comunità, ovvero: il problema della formazione permanente

Anche alla luce di quanto detto finora è evidente quanto sia indispensabile che non solo l’educatore, ma ugualmente ogni adulto della comunità, in prima persona, si alimenti quotidianamente e con freschezza immutata dell’ascolto affettivo della parola di Dio; sia realmente impegnato a trovare e rafforzare la propria identità in questa nostra società liquida; a conoscere e riconoscere perciò i propri limiti per vigilare su di essi e, guidato dalla grazia, diventare evangelicamente libero; capace di conoscere e di compiere la volontà di Dio; di dire con la vita la bontà dei valori in cui crede e riuscire così a trasmetterli.

Se quel che conta nell’affrontare ogni situazione è la vita interiore che si riesce a coltivare, essa si gioca, tutta e interamente, nel presente eterno della propria coscienza e nella capacità di amare.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Ansia di pubblica moralità

Società | Posted by usmionline
dic 09 2010

«È ormai tempo di svegliarvi dal sonno» (Rm 13,11): riecheggia questa Parola nel cuore del cristiano, che, orientandosi sulla bussola del Vangelo, cerca di tenere in mano il timone della sua imbarcazione nell’oggi del tempo in cui è chiamato a vivere, e che tanto plasma ognuno senza che se ne renda conto.

La tv come unica fonte di notizie

La crisi della politica tradizionale in Italia si è intrecciata negli ultimi anni con l’affermarsi dei suoi tratti più deleteri. Ogni giorno una storia, uno scandalo, una polemica, un caso. Ovunque si vive di malaffare, di illegalità, di soprusi. Da molte parti si incita all’odio per il fisco e per la ‘diversità’ fino a vere e proprie forme xenofobe ai limiti del razzismo. Cresce intanto il numero di chi stenta a mettere insieme quanto serve per le necessità quotidiane. La TV invece presenta la faccia dell’Italia che non vuole pensieri, lo schermo che distrae dalle preoccupazioni, il luogo dove la realtà è rappresentata e spettacolarizzata, anche nei suoi aspetti minimali, invece che descritta. I media, nei quali si insinua e diffonde la logica che pubblicità e programmi siano la stessa cosa, sono diventati formidabile strumento di creazione di consenso.

Una parte dei ceti medi del lavoro autonomo viene appoggiato con agevolazioni fiscali e condoni, a spese del lavoro dipendente e del mondo della cultura. Ne derivano: crescita della conflittualità sociale, mortificazione economica del lavoro dipendente e una politica giocata sempre più al ribasso. L’humus insomma dal quale questa nostra Italia rischia di essere plasmata sono l’edonismo, il disimpegno e un individualismo spinti agli eccessi.

E´ venuto davvero per tutti il momento di fermarsi e pensare e studiare in maniera sistematica e complessiva la situazione.  

Studenti in rivolta

Sono i giovani a mettere in moto per primi un processo di contrasto a qualsiasi tipo di compromesso nella vita pubblica. Invadono le strade d’Italia; arrabbiati e creativi, occupano monumenti simbolici delle città, rifiutano metodi non trasparenti e clientelari. Apparentemente mossi da un’ansia di pubblica moralità, si muovono per primi contro il culto della personalità e ogni attacco alla giustizia. Se consideriamo che la loro è un’età slegata da calcoli politici e lontana da opportunismi, la scelta dei giovani ci sembra naturale. Gli studenti in rivolta si dimostrano pronti a battersi contro la programmata riforma della scuola e perché la concezione utilitaristica e opportunistica della politica siano respinte. Essi sono espressione di quella porzione di società che da sempre è in cerca di democrazia e giustizia, di informazione e uguaglianza.

Una piazza pubblica di cittadini critici e vigili 

È l’ora di uscire dall’indifferenza e dall’apatia di fronte al degrado della vita pubblica, l’ora di svegliare l’opinione pubblica di cittadini critici, vigili sulle regole della democrazia e disposti a impegnarsi in prima persona. Abbiamo dormito troppo, chiusi forse nel semplice pensiero degli interessi personali o nella sterile difesa dei diritti della Chiesa. Discernere sulla propria vita e su quanto accade dentro e fuori di noi è condizione primaria per essere o diventare discepoli. E i diritti della Chiesa in realtà sono i diritti dei poveri, degli emarginati e degli esclusi.

È tempo perciò che i cattolici agiscano, non mirando a una fetta di potere, ma operando in tutti i settori della vita pubblica con una coraggiosa testimonianza di onestà e di competenza; pronti a situarsi dentro le ferite di questo nostro mondo e ad aiutare i giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro, creando le occasioni per non lasciare inoperose migliaia di braccia e di menti; per loro e con loro guardare coraggiosamente al futuro.

Da pensieri onesti e da analisi senza pregiudizi, da un “sapere” veritiero anche se probabilmente scomodo, potrà nascere l´Italia migliore che tutti vogliamo: «più giusta, più libera, più attenta ai diritti di tutti, alla cultura della memoria e al fascino del futuro».

 ‘Il cammino è tracciato’

Il tempo di Avvento che stiamo vivendo possa renderci più attenti, vigilanti e recettivi; capaci di rileggere situazioni e cronaca quotidiana alla luce del Vangelo; impegnati a testimoniare alle persone con le quali ci troviamo a vivere che dentro ciascuno di noi abita l’esperienza di un incontro che ha cambiato la nostra vita. Buon cammino!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Mercato o persona: chi al centro?

Società | Posted by usmionline
dic 01 2010

Nuovi stili di vita

«E’ urgente cambiare stili di vita e fare una revisione profonda del modello di sviluppo globale», ha detto il Papa all’Angelus dell’altra domenica con l’occhio e la mente evidentemente rivolti ai risultati deludenti del recente G20 di Seul. Sullo sfondo la crisi economica. Dalla crisi non si può prescindere. Quello di Benedetto XVI è un appello imperioso destinato a tutti gli uomini di buona volontà e in modo particolare ai credenti, perché si impegnino a:

-         disegnare i tratti di una nuova società, a partire da alcuni ambiti irrinunciabili: il problema angoscioso del lavoro, la cura dell’ambiente, le nuove forme di impresa e la tutela della salute;

-         riprendere efficacemente alcune grandi direttrici presenti nella Caritas in veritate;

-         lasciarsene ancora ispirare per costruire concretamente nuovi cammini a servizio dell’uomo, della sua vicenda, del suo futuro;

-         destinare maggiori risorse per la ricerca di base in agricoltura tropicale e la cura delle malattie;

-         operare perché a nessuno manchino il pane e il lavoro;

-         fare scelte che preservino l’aria, l’acqua e le altre risorse primarie come beni universali.

La priorità del lavoro tra crisi e risorse

Ma come riuscire a modificare stili di vita e abitudini, a partire dal punto di vista ambientale energetico? Come ridimensionare apparenza, esibizionismo, superficialità per valorizzare invece l’esistenza di ogni persona? Come rivitalizzare e riorganizzare le relazioni individuali e sociali? Si tratta di imparare ad accogliere e custodire la creazione come bene collettivo e dono che non ci appartiene, ma di cui abbiamo necessità per vivere; di abitarlo come si abita la propria casa, salvaguardandolo da attacchi violenti e distruttori.

Tutti conosciamo i dati della disoccupazione giovanile e della generale precarietà del lavoro in questo tempo di economia globalizzata, il cui rimedio più efficace paradossalmente sembra essere la famiglia, usata come ammortizzatore sociale. Sappiamo che dal consumo con facilità si passa al consumismo con il suo stile di vita individualista e superficiale. Ma nessuno in realtà è ciò che consuma. Se al posto della produzione di ricchezza viene posto il benessere complessivo della persona, tutto cambia. E allora possono cambiare anche gli stili di vita. Per mirare a questo, in partenza è necessario radicare la propria vita in una prospettiva trascendente, che vada al di là della storia (Notari); coltivare perciò uno sguardo capace di andare oltre, molto lontano, per poter meglio guardare anche ciò che è molto vicino.

Crisi, il “Sud” indifeso

La globalizzazione c’è e con essa facciamo i conti tutti, senza eccezioni. Ma è importante conoscere come funzioni il sistema economico mondiale; scoprire a scapito di chi e di che cosa si fondi la prosperità dell’Occidente, mentre i Paesi più poveri e marginali non escono dai loro problemi. Come gravati da una zavorra che li trattiene al suolo, infatti, non decollano, non si sviluppano. Sono invece le disuguaglianze a crescere, mentre si indeboliscono le aree già deboli.

Strade obbligate per la ripresa

Una nuova società può essere soltanto opera di tutti e di tutti insieme. Dalla crisi non si esce, se non insieme. E al di fuori dei valori forti della fraternità, del bene comune e della giustizia -che orientano le persone a realizzare nel concreto quotidiano il sogno di Dio sul tempo e sulla storia- non c’è sviluppo autentico. Anzi: alla lunga non c’è sviluppo tout court!

In questo scenario, il principale dilemma che i governi si trovano a fronteggiare consiste nel bilanciare i tagli con appropriate misure per rilanciare l’economia. Riforme basate su tagli a senso unico, al contrario, renderebbero l’uscita dalla crisi ancora più incerta e difficile, esasperando ulteriormente le tensioni sociali. Chi dice che la ripresa è iniziata mente, oppure fa riferimento al comparto bancario che incomincia momentaneamente a respirare dopo gli aiuti ricevuti dai governi e dalle istituzioni internazionali.

Guardare al futuro, radicati nella speranza

E’ urgente che la consapevolezza di questa situazione generi in ogni persona un consumatore critico, con il suo diritto ad essere informato sulle condizioni ambientali e sociali di produzione del bene acquistato e formato alla cittadinanza attiva  e alla responsabilità per un nuovo stile di vita.

Bisogna umilmente ammettere che la liberalizzazione economica e le privatizzazioni, invece di creare benessere per l’intera umanità hanno generato l’opposto: la concentrazione del valore prodotto dall’intera collettività nelle mani di pochi, circa il 10%, e la riduzione in assoluta povertà del 20% della popolazione. Dare in mano ai Grandi Privati e alle Multinazionali le risorse da cui dipende la sussistenza dell’intera società è un crimine contro l’intero creato. Per uscire dalla crisi le soluzioni ci sono ma è prioritario mettere in atto un’“ecologia dell’educazione e delle relazioni” e che le riforme abbiano un unico obiettivo: la ridistribuzione della ricchezza!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

IL NOSTRO AVVENTO

Avvento | Posted by usmionline
nov 25 2010

Vegliate dunque! (Mt. 24,42)

Quante volte nella liturgia ed in modo particolare in quella di Avvento ritorna l’invito di Gesù a  svegliarci e a vegliare!

Quante volte Gesù stesso lo ha ripetuto ai suoi discepoli appesantiti come noi, non solo nel fisico per gli anni che passano, ma soprattutto nella mente, nel cuore e nell’azione.

Guardiamoci attorno.

Non vi sembra più che attuale anche l’esortazione accalorata di Paolo ai Romani, in questa prima domenica di Avvento?: “..consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno..la notte è avanzata, il giorno è vicino” (Rm.13,11-12).

Il nostro è un tempo affollato di contraddizioni al punto che ci percepiamo e ci definiamo ormai come gente disorientata.

La tentazione che ci assale è proprio quella di sonnecchiare. Meccanismo di fuga? Sì, perché sono troppi i fronti che chiederebbero azione. Un profondo senso di inadeguatezza rallenta le nostre decisioni e lo scoraggiamento è più vicino a noi di quanto non lo pensiamo.

Per scoraggiamento intendo quell’atteggiamento interiore che induce al ripiegamento su noi stesse, fino a non vedere più e a lasciar perdere ciò che invece rimane la cosa più importante per noi: donarci.

La Parola ci sussurra in questo inizio di Avvento che il giorno è vicino!

Solo la speranza di una luce, di un giorno che certamente viene, ci può mantenere deste, ci può mantenere in vita, può risvegliare in noi la vita.

Celebrare l’Avvento cristiano allora non si può ridurre ad  una ritualità bella e che si ripete ogni anno, magari con segni e canti nuovi. Sarebbe troppo poco e la celebrazione liturgica stessa sarebbe svuotata del suo significato più vero. Non possiamo e non dobbiamo accontentarci delle nostre belle liturgie quando tutto rischia di finire lì.

L’Avvento ci richiama in modo prepotente e meraviglioso all’Incarnazione del Verbo; orienta definitivamente il nostro sguardo a Colui che viene, viene sempre, e si fa presente assumendo su di sé ogni realtà della vita dell’uomo.

Pochi giorni fa ho avuto la gioia di partecipare al Convegno, promosso dall’USMI-Ufficio Tratta nel ricordo dei 10 anni della sua attività.

Abbiamo celebrato, ma abbiamo anche riflettuto molto.

Di fronte al fenomeno che oggi, in maniera tragicamente dilagante, coinvolge migliaia di donne nel nostro Paese e nel mondo rendendole schiave di un potere perverso, non possiamo permetterci di rimanere addormentate. Sono nostre sorelle a cui viene tolta ogni dignità umana e ridotte a larve che si contorcono nel dolore di ferite che forse non guariranno mai più. Come può un grido così acuto non svegliarci dal sonno?

E questo non è l’unico fenomeno, oggi, dalle cui viscere sale il pianto che fa dire a Dio: “Chi manderò? Chi andrà per me?”

Il nostro Avvento?

Sarà davvero tempo di attesa, di grazia e di speranza nella misura in cui, la liturgia, l’ascolto della Parola e il nostro canto del Maranathà si trasformeranno in vigilante discernimento/decisione per una azione/presenza personale, comunitaria ed anche di Congregazione accanto a coloro che Gesù ha preferito venendo, Figlio dell’Uomo, ad abitare in mezzo agli uomini.

Poter presentare a Gesù per il Natale 2010  una decisione presa in questa direzione sarà per Lui il regalo più bello.

Buon Avvento!

Non abbiamo nè  la forza dell’esercito israeliano nè il potere delle tradizioni che ci tengono confinate in certi ruoli. Comunque sia, noi sappiamo che una donna in piedi di fianco ad un’altra donna, in una linea di solidarietà, è  una forza più potente di entrambi.” Kifah Addara, At-Tuwani Women’s Coperative

Sr M. Viviana Ballarin o.p.

Presidente Nazionale USMI

Verbum Domini – Esortazione post-sinodale sulla Parola di Dio

Senza categoria | Posted by usmionline
nov 19 2010

Il più importante documento della Chiesa sulle Sacre Scritture, dopo la Dei Verbum del Concilio Vaticano II.

Pubblicato l’11 novembre 2010, a due anni dal Sinodo dei vescovi dedicato a La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, quando «forse c’era un po’ di polvere intorno alla Parola e bisognava rimetterla al centro» (G. Ravasi).

 Obiettivi dell’esortazione

Sono:

  • comunicare i risultati dell’Assemblea sinodale del 2008;
  • riscoprire la centralità della Parola nella vita personale e della Chiesa; e, nello stesso tempo, sentire l’urgenza e la bellezza di annunciarla;
  • promuovere l’animazione biblica della pastorale;
  • essere testimoni della Parola e intraprendere una nuova evangelizzazione.

Nelle sue quasi 200 pagine si percepisce la mano ferma, semplice e profonda del teologo Ratzinger, definito da qualcuno Papa della Parola di Dio. Egli vi sintetizza gli interventi dei Padri sinodali e li illumina con aspetti chiave del suo magistero. Ne viene un trattato che è come una cattedrale della Parola di Dio, con meravigliose vetrate aperte sul mondo. Un trattato complesso, ma fruibile da tutti; capace di rinnovare la vita dei cristiani a partire da una maggiore familiarità, conoscenza, lettura e preghiera della Parola.

Il contenuto

Il documento è suddiviso in tre parti secondo la struttura del tema dell’assise sinodale: Verbum DeiVerbum in EcclesiaVerbum mundo, racchiuse da una Introduzione che ne indica gli scopi e una Conclusione che ne sintetizza le idee portanti. Il testo si apre e si conclude con la parola ‘gioia’, particolarmente allusiva al bisogno fondamentale dell’uomo nei giorni cupi in cui viviamo.

Verbum Dei

In questa sezione viene sottolineata la dimensione trinitaria della rivelazione. La Parola di Dio non è parola scritta e muta, ma si comunica nell’universo creato, fonda la bellezza e dignità di tutto ciò che esiste e la grande sete di assoluto che è nel cuore degli uomini. E’ -novità inaudita e umanamente inconcepibile- una Persona -Gesù Cristo- che comunica con la sua vita la stessa vita di Dio, fino al silenzio della croce e alla resurrezione.

Verbum in Ecclesia

L’esortazione spiega la vitalità della Parola nella vita della Chiesa. Ne rileva la fecondità nella liturgia della Parola, nell’Eucaristia, nella preghiera dei Salmi, nella meditazione, nel silenzio come modalità di incontro fra ciò che Dio dice all’uomo e ciò che questi dice a Dio. Chiede una maggior cura della proclamazione della Parola ad opera di lettori idonei e preparati con impegno. Parla del lettorato alle donne, richiama a migliorare la qualità delle omelie e a scegliere canti di chiara ispirazione biblica. Benedetto XVI ricorda l’importanza del canto gregoriano; dà suggerimenti sull’architettura delle Chiese, sulla struttura dell’altare e dell’ambone. Evidenzia il contributo del ‘genio femminile’ negli studi biblici e il ruolo indispensabile delle donne nella famiglia, nell’educazione, nella catechesi e nella trasmissione dei valori.

Verbum mundo

I cristiani sono destinatari, ma anche annunciatori della Parola. Non possiamo «tenere per noi le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Cristo». Esse «sono per tutti, per ogni uomo. Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio». «In un mondo che spesso sente Dio come superfluo o estraneo -afferma Benedetto XVI- non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, che parla e interviene nella storia a favore dell’uomo».

Questo significa cogliere il legame che c’è fra l’ascolto della Parola e la salvaguardia del Creato, la denuncia senza ambiguità delle ingiustizie, la promozione della solidarietà e dell’uguaglianza. Significa, in sintesi, impegnarsi a  rinnovare in sé e nel nostro tempo l’incontro tra la Bibbia e le culture. A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto; di «continuare a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a rischio della persecuzione», senza cessare di «alzare la nostra voce perché i governi delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di coscienza e di religione» e anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente. I pastori in particolare sono chiamati ad un annuncio chiaro ai giovani, ai migranti, ai sofferenti e ai poveri, che la Chiesa non può deludere. Sono chiamati ad ascoltarli, ad imparare da essi, a guidarli nella loro fede e a motivarli ad essere artefici della propria storia.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

CARISMI IN COMUNIONE

Vita Consacrata | Posted by usmionline
nov 11 2010

Testimonianza nella vita dell’USMI

Nel 1950, quando  cominciavano ad imporsi le prime sollecitazioni per un rinnovamento degli Istituti religiosi femminili, fu organizzato, per incoraggiamento di Pio XII, il Primo Congresso Generale sugli Stati di perfezione. Infatti fu quel Pontefice che, con intuizione profetica a lui congeniale, emanò la Costituzione Apostolica Sponsa Christi, un documento importante per la riflessione e il cammino delle Congregazioni femminili tutte.

In questo contesto di rinnovamento è nata nel 1950, l’attuale Unione delle Superiore Maggiori d’Italia – USMI.

Gli anni che decorrono dal 1950 al 1964 furono fondamentali per l’Organismo appena nato.

Nel 1963 nasce ufficialmente l’USMI con propri statuti (Decreto della Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari (N. AG 2347/63 del luglio 1963) e nel 1964, all’Unione fu riconosciuta anche Personalità Giuridica Civile.

Ma, oggi, l’USMI, cosa è, cosa fa? Qual è la sua missione?

Dall’attuale Statuto si legge: “L’Unione esprime e sviluppa la comunione che unisce gli Istituti religiosi femminili operanti in Italia, tra loro e con le diverse componenti della realtà ecclesiale, in vista di una risposta più piena alla vocazione e alla missione di ciascuno(Statuto, art. 1).

Perciò intende porsi come sereno e fraterno punto di riferimento per le oltre 600 Congregazioni femminili presenti in Italia, che, a loro volta, sono suddivise in oltre 10.000 comunità; e diventa un camminare insieme nella complementarietà, nella condivisione di scienza e di esperienza, nella collaborazione costruttiva, nella condivisione di problematiche e nella proposta di soluzioni.

L’ USMI vuole esprimere soprattutto il volto bello della Chiesa: essere chiesa comunione, chiesa sposa e madre che comprende e non esclude, che accoglie e non emargina, chiesa che fa di tutti gli uomini la grande famiglia di figli di Dio.

L’Unione si pone al servizio della comunione tra i carismi, perché questa è la sua natura e la sua missione e in questo servizio è infaticabile nell’essere attenta ai segni anche dei più piccoli perché si realizzi ogni giorno nella vita religiosa femminile italiana la preghiera di Gesù: “Padre che siano una cosa sola come io e te siamo una cosa sola”.

L’Unione si fa costantemente ponte e strumento di comunione nello spirito di Lumen Gentium e di Mutuae relationes e coltiva costanti collegamenti con:

.   la Conferenza dei Superiori Maggiori (C.I.S.M.),

  • la Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.),
  • la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica       (CIVCSVA),
  • le Commissioni miste Vescovi-Religiosi (C.M.V.R.),
  • le Conferenze Europee dei Religiosi (U.C.E.S.M.),
  • l’Unione Internazionale Superiore Generali (U.I.S.G.),
  • la Caritas Nazionale e Diocesana,
  • il Segretariato delle Claustrali,
  • organismi civili d’indole socio – assistenziale.

In ognuna di queste realtà ecclesiali l’USMI è rappresentata da un suo membro.

Animatrice di tali collegamenti, naturalmente, è la Presidente Nazionale dell’Unione con la fattiva collaborazione del suo Consiglio.

Sue espressioni concrete, a livello decisionale-operativo, sono:

  • l’Assemblea Nazionale, costituita dalle Superiore Maggiori con il compito di offrire l’ispirazione e gli orientamenti di cammino e di animazione.
  • il Consiglio Nazionale, composto dai membri del Consiglio di Presidenza, dalle Presidenti delle U.S.M.I. Regionali e dalle Responsabili degli Uffici Nazionali con il compito di animare e di eseguire gli orientamenti a livello di vita religiosa regionale e diocesana.
  • il Consiglio di Presidenza, organo permanente, composto dalla Presidente, dalla Vice-Presidente, da tre Consigliere, dalla Segretaria e dall’Economa, con il compito di accompagnare, coordinare le attività degli Uffici e le finalità dell’Unione.

In sintesi l’USMI si mette costantemente a servizio della vita religiosa apostolica femminile nel suo essere dono alla Chiesa, nella Chiesa, per la Chiesa  e nel suo operare, con attenzione particolare all’evolversi dei tempi, della società e pertanto delle variegate situazioni che possono richiedere riflessione, studio, approfondimento, nonché coraggio e competenza; e così camminare insieme guidate dallo Spirito, nella Chiesa, sempre in piena fedeltà e rispetto del carisma originario di ogni Congregazione.

Oggi, a quasi 50 anni di vita, è facile per tutte le sorelle che partecipano alla vita dell’USMI, sentirsi e viversi come parte di una grande famiglia che affonda le radici della sua identità nel battesimo, famiglia dunque al cuore della famiglia più grande che è la Chiesa, con una missione profetica che è quella di dire al mondo, vivendo e testimoniando la comunione tra di noi, che Dio è Padre di tutti e che la fraternità universale è possibile.

Affermo questo perché oggi l’USMI ha un volto variopinto non solo per la molteplice diversità di carismi, ma anche perché è divenuta al suo interno come un giardino complesso e stupendo, reso tale dalla diversità di razze, popoli, culture. Pertanto in un mondo che si fa sempre più globalizzato, selezionatore ed escludente, l’USMI sta percependo che ha una grande missione da compiere: fare di Cristo il cuore del mondo.

Sono tantissime le testimonianze di cammini e di esperienze di comunione. Ne condivido una sola nella quale anche la mia famiglia religiosa è coinvolta.

 A KABUL HO UDITO IL SILENZIO GRIDARE

Quando nel 2001 ricevetti la lettera con l’invito di partecipare ad un incontro USMI-CISM nel quale si sarebbe proposto un progetto di comunità internazionale per una presenza a Kabul, senza esitazioni la cestinai.

Poco tempo dopo, proprio nella sede dell’USMI incontrai una sorella che mi fece di nuovo l’invito e, questa volta, partecipai.

Quell’incontro si è rivelato un appuntamento importante, una chiamata a non aver paura, ad andare oltre e ad avere il coraggio di accogliere un cammino di missione nella comunione e condivisione con altri carismi, il coraggio dunque di andare al di là delle piccole vedute personali per lasciarmi guidare dalle vedute molto più ampie di Chi ha amato il mondo fino a dare la vita.

E così, oggi nel cuore dell’Afganistan, a Kabul, terra tormentata da una guerra interminabile e dove si sperimenta un’insicurezza palpabile, c’è un tabernacolo, cuore di un Dio amore che batte attraverso la sua presenza reale nel sacramento e attraverso il segno vivente di una comunità di sorelle di tre congregazioni che, in una essenzialità che fa venire freddo, vivono la comunione dei carismi  realizzando il cuor solo e l’anima sola nell’amore scambievole a causa di Gesù che diviene testimonianza silenziosa ma potente forza di azione e di presenza amorosa e costante accanto ai più piccoli e ai più deboli in un paese che, dopo aver prodotto ferite incancellabili nelle vite di tanti bambini si vergogna di loro, bimbi  rimasti vittime degli orrori della guerra e che ne portano i segni visibili nella loro disabilità fisica e mentale.

Il grido di Giovanni Paolo II, attraverso un cammino che lo Spirito santo ha fatto nel cuore di un gruppo di istituti religiosi maschili e femminili italiani, ha raggiunto coloro che sono i prediletti del Padre attraverso questo piccolo e fragile grappolo di vita religiosa la cui forza è il totale abbandono nelle mani di Dio e l’amore reciproco che spinge le nostre sorelle a vivere in una terra dove ufficialmente non ci sarebbe posto per chi è cristiano.

Ho visitato la piccola comunità nell’agosto del 2007. Là ho visto la vita religiosa del futuro e là ho compreso il significato della parola “profezia”.

Le  nostre sorelle non hanno niente, neanche la libertà di spostarsi da sole da un posto all’altro, ma tengono un tabernacolo in una stanza che testimonia che Gesù è il centro della loro vita, l’unico motivo del loro andare e del loro stare, Colui che le fa “uno” e le rende felici.

A Kabul ho visto la Chiesa delle origini: “Tutti vivevano insieme ed erano un cuor solo ed un’anima sola”.

Non ci sono chiese in Afganistan, ma la Chiesa vive! E’ un germoglio piccolissimo, ma già robusto.

Da più di 50 anni è presente in Kabul una piccola comunità di piccole sorelle di Charl de Foucauld e la nostra gioia è stata immensa nello scoprire che la Chiesa già era a Kabul prima di noi e ci aspettava insieme al sacerdote che viveva in ambasciata, territorio neutro.

Dopo un anno dal  nostro arrivo anche le suore di madre Teresa entrarono in Kabul e finalmente un gruppo di religiosi gesuiti provenienti dall’India. Una straordinaria amicizia e solidarietà si va formando e consolidando! La fraternità di questa chiesa delle origini ha anche il colore ecumenico poiché una piccola comunità di religiosi anglicani vivono una stupenda comunione con i fratelli e sorelle cattolici.  Forte è il dialogo interreligioso molto pratico e vissuto nella quotidianità perché ormai la nostra istituzione è entrata in relazione con varie realtà musulmane e lo scambio e l’arricchimento reciproco soprattutto in campo educativo è notevole. 

Tutto sa di miracolo e penso spesso: è bastato un piccolo sì ad una proposta di comunione per la missione lanciata da CISM e USMI per seminare la speranza, su orizzonti davvero impensabili rimanendo da soli o isolati. Grazie!

SR M. VIVIANA BALLARIN O.P.