L’Amazzonia ferita e l’utopia possibile

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nov 04 2010

Gli Indios plasmano e toccano continuamente la loro terra. Con saggezza la curano perché sanno che in essa è raccolto sicuramente non solo il loro presente e futuro, ma soprattutto quello del pianeta e dell’intera umanità. Noi abbiamo bisogno di loro per una reciprocità più o meno consapevole esistente fra noi: la foresta, elemento vitale ed essenziale alla sopravvivenza di tutti, non esiste senza gli indigeni.

Nella foresta le cose possono parlare

Abitano una natura selvaggia, rude e imponente, in cui è racchiusa la bellezza della diversità, il fascino dell’unità, la perfezione della stessa natura. Vivono in gruppi ridotti, di tipo tribale. Occupano aree molto vaste e attualmente diminuiscono continuamente di numero, perché si sta riducendo l’estensione degli ambienti primordiali che costituiscono la loro patria. All’epoca del caucciù -l’Ottocento- è seguita, infatti, nelle loro terre, l’epoca dei cercatori d’oro. Poi sono arrivati i trafficanti di terreni. E ancora i raccoglitori di noci, e poi i cercatori di legni pregiati, di minerali… Così fino ad oggi. L’uomo bianco cerca di usare l’indio solo per produrre, far produrre e far funzionare il suo sistema capitalistico. Se la sua ricerca di risorse implica inganno, inquinamento, malattie, morte, distruzione… tutto questo non sembra riguardarlo. Le vittime in fondo sono ‘solo’ gli Indios (che egli considera ‘minori, incapaci, pericolosi, superstiziosi…’) e la loro Terra.

Il Perù dei piccoli sfida i giganti del petrolio’, leggiamo su Avvenire del 28 ottobre 2010. I nativi affrontano come possono la sfida dell’uomo bianco per difendere i loro diritti ancestrali. Non cedono. Mantengono le loro feste, danze, celebrazioni come mezzi per ricreare il loro soggetto collettivo e continuare a essere i popoli che desiderano essere. Resistono ballando. Ma fino a quando?

Intanto nel nostro Occidente, insieme alla tecnologia che scandisce i tempi e ai progressi scientifici considerati ovvi e scontati, i valori spirituali e prima di tutti il valore della verità e dell’amore, cedono il passo all’ingordigia, all’avidità, all’ansia di possesso senza limiti. E i rapporti umani rischiano di impoverirsi sempre più.

Amazzonia: una diversa prospettiva

Il 6 ottobre 2010, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani in Senato, si è svolta la presentazione del volume ‘Amazzonia una diversa prospettiva: lasciamoci educare dagli Indios’, a cura della onlus Impegnarsi Serve. Nell’incontro – a cui hanno partecipato fra gli altri: l’on. Beppe Fioroni, mons. Roque Paloschi vescovo di Roraima, la professoressa Giuliana Martirani e padre Giordano Rigamonti – è stata sottolineata la necessità di «guardare con gli occhi degli Indios le cose che noi non riusciamo più a vedere». «Ci misuriamo infatti -ha detto l’on. Fioroni- su ciò che abbiamo e non per ciò che siamo. Ma un altro mondo è possibile per dare senso alla nostra vita. Bisogna però creare un nuovo modello di sviluppo». Ed ha concluso:«Qualcosa di diverso si può non solo predicare, ma anche realizzare».

Lasciamoci educare dagli Indios

L’Amazzonia in realtà è per noi come uno specchio, capace di riflettere debolezze, di smorzare presunzioni. Gli Indios sono un richiamo a quella umanità, forse sopita in noi, che ha bisogno di tornare a credere nella finitezza dell’uomo. «Siete troppo impegnati ad esistere e dimenticate l’essere» ha detto mons. Roque Paloschi. Gli Indios invece vivono semplicemente l’essere parte di un ecosistema, che conosce tempi e condizioni non imposte dall’uomo. La povertà e la sobrietà fanno sperimentare loro la bellezza delle cose, l’attenzione all’altro e all’Altro. Sanno che il Signore li ha posti in questo mondo perché ne avessero cura, non per distruggerlo. L’anziano tra loro è un valore aggiunto irrinunciabile, testimone nella staffetta generazionale: custode della memoria e della cultura e anello fondamentale tra passato e futuro, per cui non sarebbe mai emarginato. Tra loro non esiste la privacy, ma il loro modo di vivere la comunità a 360 gradi non è invadente, si basa su regole ben precise che comunque fanno sempre riferimento alla condivisione. Gli Indios hanno un concetto di ospitalità profondo e ben radicato.

I missionari, che condividono con le popolazioni indigene il rapporto fra cielo, terra e sottosuolo, sono amati e accolti. Per tutti questi motivi e per mille altri è importante riuscire a vedere e ascoltare la loro vita. Lasciare che la sapienza da cui essa è animata diventi un richiamo a comprendere dove sta veramente la persona e i suoi bisogni e a riscoprire la capacità relazionale che è dentro ogni uomo. Una bussola, insomma, che orienti a ritrovare lo spazio mentale per sognare per noi e per gli altri; ad investire capitali, talenti e speranze su un modello di sviluppo che nelle concrete circostanze della vita si ispiri al Vangelo.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

La Prima casa intercongregazionale per religiose anziane

Vita Consacrata | Posted by usmionline
ott 29 2010

Un gruppo di Congregazioni religiose femminili sta dando vita a una casa per l’accoglienza di suore anziane, a  Roma. La struttura, appartenente alle Ancelle della SS. Trinità di Rovigo, garantirà cure, ma anche la possibilità di vivere secondo la regola del proprio Istituto.

Un’esperienza «profondamente evangelica, perché di vera fratellanza. Le suore sono una presenza preziosa nelle nostre comunità, ma bisogna creare nuove occasioni di incontro e di collaborazione, come questa, abbandonando alcune paure per intraprendere nuove strade». Con queste parole Monsignor Gino Reali, vescovo della diocesi di Porto-Santa Rufina ha salutato la nascita della Casa Intercongregazionale dedicata alle suore anziane.

Si tratta della prima esperienza in Italia, mentre in altri Paesi, ad esempio in Francia, esperienze simili sono state realizzate già da tempo. Al progetto, fortemente voluto dall’USMI e promosso dalla Fondazione Talenti, hanno collaborato una quindicina di Istituti religiosi femminili per affrontare un comune problema: la presenza di numerose sorelle anziane, bisognose di attenzioni e cure specifiche, spesso ancora con buone potenzialità da mettere in campo e soprattutto desiderose di mantenere relazioni vive e ricche continuando a vivere secondo il carisma e la regola dell’Istituto scelto da molti anni.

La Casa Intecongregazionale è a Casalotti, nella zona Nord di Roma, nella diocesi di Porto-Santa Rufina. Qui le Ancelle della Santissima Trinità di Rovigo hanno messo a disposizione per questa nuova realtà un’ala dell’edificio, che è costruito secondo un modello a raggi, e quindi è particolarmente adatto alla convivenza di servizi e progetti diversi.

Il progetto è stato seguito fin dall’inizio da Suor Anna Daniela Gavioli, economa delle Piccole Sorelle di Gesù fino al marzo scorso. «Poiché il nostro ordine è nato nel ’39 – racconta  – in questi anni ci troviamo ad affrontare l’invecchiamento della prima generazione: abbiamo più di 600 sorelle ultrasettantenni. Per loro è importante continuare a vivere da religiose, secondo lo stile e la spiritualità del proprio istituto, perché in vecchiaia dire addio alla propria congregazione, significa perdere identità, consegnarsi ad un tempo sempre più anonimo».

Le Piccole sorelle conoscevano le esperienze francesi e, in occasione di un incontro tra econome generali, Suor Anna Daniela ha posto il problema: era il 2007, e al momento non ha trovato molti risconti.  «Gli ordini religiosi più grandi, di più lunga tradizione,  hanno collaudato ormai, per le loro suore, strutture e personale», spiega. Ma qualcuno ha mostrato interesse, in particolare le Figlie della Carità, che hanno sposato immediatamente il progetto, nella convinzione che si trattasse della risposta all’esigenza non di un singolo ordine, ma della Chiesa di oggi. «Quasi in concomitanza», continua Suor Anna Daniela, «abbiamo conosciuto la Fondazione Talenti, che ha organizzato un tavolo di lavoro con altre congregazioni interessate, con esperti e persone che avevano gestito esperienze simili».

Così è cominciato un percorso che si è rivelato non facile: sono state necessarie molte visite a molte strutture, perché nessuna sembrava adatta e ci si è dovuti confrontare con molte resistenze da parte delle econome, perché ovviamente una casa ben affittata o venduta può significare la sicurezza economica per un Istituto, oltre che il finanziamento di altre opere, di conseguenza chi ha responsabilità amministrative o di governo deve muoversi con molta prudenza. Tanto più che si trattava di un progetto del tutto nuovo, di cui era difficile prevedere con esattezza gli esiti.

Per le Ancelle della Santissima Trinità di Rovigo la gestione di tutto il complesso era diventata pesante. Ma, come spiega la madre generale, Suor Francesca Ferliga, «non volevamo guadagnare: la nostra preoccupazione era di mantenere vivo il nostro servizio e il nostro carisma». Per questo le sorelle si sono rivolte alla Fondazione Talenti, che da una parte le ha accompagnate in un accordo con il consorzio di cooperative Charis, per la gestione sia della scuola che della struttura per le anziane, dall’altra le ha coinvolte nel progetto della Casa Intercongregazionale. La struttura, infatti, permette di mettere a disposizione delle suore anziane un’ala intera, con spazi organizzati in moduli, per certi versi una soluzione ideale.

In ogni modulo, indipendente e autonomo, le singole congregazioni potranno dare vita ad una propria comunità di consorelle anziane ma ancora autosufficienti, che potranno vivere coerentemente con elementi tipici della propria vita comunitaria: modalità di preghiera, organizzazione caratteristica di alcuni spazi, incontri con la famiglia religiosa di appartenenza. Nello stesso tempo, però, le comunità godranno di servizi comuni (pasti, pulizie, lavanderia, assistenza notturna, animazione religiosa e spirituale), avranno accesso ad eventuali servizi aggiuntivi (fisioterapia, assistenza medica, servizi di trasporto), e potranno fare affidamento sulla vicinanza di un’infermeria per  le consorelle non più autosufficienti.

«Ogni passo nuovo che si fa, crea preoccupazioni e difficoltà, ma dà anche gratificazioni», chiosa Suor Francesca, «se si raggiungono obiettivi che abbiano un  senso».

Anche secondo Madre Viviana Ballarin,  presidente dell’USMI, bisogna avere il coraggio di affrontare le difficoltà, perché «per creare prospettive sul futuro bisogna aprirsi alle esperienze innovative. E questa è particolarmente significativa, perché le comunità religiose per vocazione sono chiamate ad essere scuole di comunione».  È un segno per la Chiesa, ma anche per il mondo, «che è così pieno di frammentazione, divisioni, esclusioni, mentre noi dimostriamo che è possibile includere, unire, e lavorare per la solidarietà, non per il profitto».

Su questa base è stato possibile anche l’accordo con il consorzio Charis, che è entrato anche nel progetto per la casa.  Come dice Suor Francesca, «il consorzio ha a cuore il bene della persona, che è quello che interessa noi». Oltre a sollevare le religiose dagli oneri gestionali, Charis si occuperà anche della formazione del personale, per aprirlo ad un nuovo stile di accoglienza e sta già lavorando alla costruzione di una rete esterna, coinvolgendo le parrocchie e altri Istituti presenti nella zona, perché anche le suore anziane possano avere una vita attiva.

Delle quindici congregazioni femminili che hanno partecipato in questi anni al tavolo di lavoro promosso dalla Fondazione Talenti, quattro sono ora pronte ad entrare nella Casa: le prime due entro la fine del 2010, le altre entro la prima metà del 2011.

Conclude Madre Viviana: «Spero proprio che questo progetto apra una strada, perché sono convinta che il futuro ha bisogno di meno strutture e più collaborazione tra le congregazioni e con i laici. Oggi più delle parole contano i fatti, e questo lo è».

Paola Springhetti

Giornata Missionaria Mondiale 2010

Giornate Mondiali | Posted by usmionline
ott 22 2010

Giornata Missionaria Mondiale: quasi il raccolto di tutto l’Anno Liturgico. Chiave della missione è la costruzione della comunione ecclesiale, un oneroso e affascinante impegno, che appartiene alla natura stessa della Chiesa, ed è suo compito primario.

In apertura del messaggio per l’84ª Giornata Missionaria Mondiale 2010, Benedetto XVI esorta tutti i cristiani a «rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e a dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario». Inoltre, in una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza, chiede di offrire segni di speranza, impegnandosi a rendere il pianeta casa di tutti i popoli.

Noi: missionari o di – missionari?

Da sempre la Chiesa si considera in stato di missione. Ma questa consapevolezza sembra oggi assopita nelle comunità cristiane. E se in un recente passato la Giornata Missionaria era celebrata con molta solennità, negli ultimi tempi, rincresce dirlo, ha perso visibilità nella Chiesa e nella società italiana. Sembra addirittura quasi scomparsa dall’orizzonte del fedele.

Nella base ecclesiale infatti spesso l’impegno religioso di evangelizzare tende a ridursi a impegno sociale: l’importante – si dice – è amare il prossimo, fare del bene, dare testimonianza di servizio. Ma così la Chiesa dà un’immagine riduttiva di se stessa, come se fosse un’agenzia di aiuto e di pronto intervento per rimediare alle ingiustizie e alle piaghe della società.

Siamo immersi in una società e in una cultura dove sembrano venir meno le certezze basilari, i valori e le speranze che danno un senso alla vita. Una società, che scoraggia ogni scelta davvero impegnativa e definitiva, per privilegiare invece nei diversi ambiti, l’affermazione di se stessi e le soddisfazioni immediate. E a noi cristiani in questa situazione che cosa è chiesto davvero? Vivere in ambiente non cristiano certamente impone una scelta: missione o dimissione cristiana – come si esprimeva Madelaine Delbrel.

Chiave della missione

Occorre certamente un risveglio di missionarietà. È una necessità. L’uomo è un cercatore di senso e il suo cammino nel tempo sta tutto nel prendere sul serio la tragicità della morte senza stordirsi o fuggirla. Guardarla negli occhi fa capire di essere chiamati alla vita, rivela il senso e la bellezza di esistere. Permette di riconoscersi mendicanti del cielo.  

Non si tratta di fare cose eccezionali, ma di cominciare a trovare nelle esperienze ordinarie l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio. Mettersi in ascolto della realtà che cambia e che chiede in ogni tempo la radicalità e l’essenzialità del Vangelo. Oggi per esempio sembra risorgere nelle coscienze il bisogno di valori fondamentali come la libertà, la giustizia, la trasparenza, la fraternità. Tutto questo può scuotere quando la vita rischia di essere ovattata da un certo consumismo e di trastullarsi nella comodità.

Per una Chiesa missionaria

«Una chiesa autenticamente eucaristica è una chiesa missionaria», ci ricorda Benedetto XVI. Si diventa missionari autentici, capaci di testimoniare il Vangelo nella misura in cui si cresce nella vita interiore e si alimenta il proprio impegno alla Parola di Dio e all’Eucaristia. È l’autenticità dell’affidarsi al Signore che purifica da un servizio che a volte slitta in ricerca della propria autorealizzazione, o di visibilità, o di riconoscimento sociale e perfino ecclesiale.

La speranza in tutto questo è che, qualunque sia la strada riservata a ciascuno dalla misericordia di Dio, nelle nostre Chiese in Italia e nel mondo si continui sì a nascere cristiani, ma finalmente lo si diventi anche.

 Luciagnese Cedrone

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Quei “33″ come una parte di noi

Senza categoria | Posted by usmionline
ott 15 2010

Uno dopo l’altro vengono alla luce, e nascono di nuovo.

Arrivano sulla terra uno ad uno, i trentatrè uomini minatores imprigionati nelle viscere di San Josè in Cile dal giorno in cui le rocce che essi dovevano scavare sono crollate. Astronauti al contrario, dopo 68 giorni di prigionia a 700 metri dentro il cuore di Madre Terra. Sotto e sopra le dune dell’Atacama, il deserto più arido del mondo.

E nel loro passaggio dal buio alla luce, un senso di liberazione e di felicità finalmente prende tutti, da un capo all’altro del mondo. Lacrime di gioia spazzano via il reality show organizzato dai grandi mass media e dal governo di Sebastían Piñera, in prima fila a ricevere con un lungo abbraccio ciascuno dei protagonisti che tornavano alla luce.

Tutto dipende dalla prospettiva, dice un motto popolare in Cile. Da un lato, la stragrande maggioranza dei cileni versa lacrime per quegli uomini divenuti simbolo di un modello economico che li usa come risorsa, anziché considerarli persone. Dall’altro, il presidente Piñera, simbolo del potere pubblico e dello spazio politico, trasforma gli sconosciuti in celebrità, portandoli via dalla loro nuda vita. Egli, attraverso lo sforzo del governo per salvarli, offre la sensazione di qualcuno che si preoccupa per l’altro, mentre tenta di rappresentare la cinghia di trasmissione con una società abituata allo stress lavorativo e alle divisioni.

«Non sono una star»

I minatori ringraziano tutti e chiedono: «Non trattateci come star dello spettacolo o come giornalisti. Siamo solo minatori». È  quello che, giustamente, chiedono anche milioni di cileni attraverso facebook e twitter. «Sono super contento di vivere questo momento» dice Mario Sepulveda, elettricista, 39 anni, diventato famoso in tutto il mondo come l’animatore dei filmini inviati in superficie. Abbraccia la sua famiglia gridando «Viva il Cile» e subito aggiunge: «Però questo Paese deve capire che il mondo del lavoro ha bisogno di  molti cambiamenti. Nessuno deve scordare che questa esperienza deve servire ai dirigenti del nostro paese per cambiare le condizioni lavorative» che hanno originato il dramma.

Ora il Paese inizia un periodo di riflessione sulla vicenda per non dimenticare le cause dell’incidente e affrontare seriamente il problema della scarsa sicurezza sul lavoro. In molti attendono il “Rapporto sulla sicurezza nel lavoro” che dovrebbe arrivare entro un paio di settimane.

Aggrappati alla mano di Dio

Le statistiche dicono che se di lavoro si vive, purtroppo di lavoro si muore, ancora oggi, ogni giorno. Anche nella nostra Italia. Ma il mondo sembra immerso nell’ottavo vizio capitale dell’indifferenza (come lo definisce don Gallo) e la cosa non fa molta audience. Intorno alla miniera cilena invece si è creata una grande partecipazione e anche una preghiera, che non si erano viste in disgrazie ben più grandi come quella del terremoto verificatosi nello stesso Cile!

Il fatto è che “I 33″ minatori, rimasti imprigionati sul fondo di un’umida e calda miniera alla temperatura di 36 gradi e già dati per morti, erano vivi e decisi a vivere, per la speranza che respirava in loro. E alla speranza – si sa – gli uomini sono radicalmente, originariamente legati.

Ad uno sguardo immediato infatti vivere appare come un inesorabile essere «gettati verso la morte», un lungo viaggio verso le tenebre che aspettano ognuno -prima o poi- come l’ultima sponda, l’assoluto silenzio. E per questo la vita è impastata di dolore. Con gli anni sentiamo crescere in noi la segreta indicibile ansia -di cui normalmente si tace- di potere in qualche modo rinascere ‘altri’, trasformati.

Devono farcela. Ha pregato il Papa, e Obama, e i minatori sardi. E prima ancora le famiglie e gli amici, i cileni. E tutti siamo stati a guardare. Con loro in attesa di nascere. «Stavo con Dio e con il diavolo. Hanno lottato per avermi, e ha vinto Dio: mi ha afferrato, in nessun momento ho dubitato che mi avrebbe tirato fuori di là», ha raccontato un minatore. E alla fine: «Io vorrei risalire per ultimo, per favore», ha detto uno. E allora un altro: «No, amico mio, ho detto io che sarei stato ultimo». «No, no, davvero, io voglio andare per ultimo, ha cominciato allora a dire un altro». E la loro storia di paura e di lacrime è diventata ancora storia di vita. L’attesa si scioglie in un abbraccio. E con ogni uomo che risale in superficie, rinasce una famiglia di gente umile che piange di gioia.

Storia di vita

 “I 33” sono realmente diventati un gruppo, uno per tutti, tutti per uno: «Abbiamo formato una meravigliosa famiglia con persone che fino a due mesi fa neanche conoscevamo».

E’ splendido anche ritrovarsi attesi e amati. Gli 800 parenti e i soccorritori rimasti per tanto tempo a Camp Hope, vicino alla miniera, tutti sono sicuri di una cosa. I legami e le amicizie nate nella disperazione e poi alimentate dalla speranza non finiranno qui.

La lezione è per tutti e per ogni persona: l’empatia dell’uno per l’altro, per ogni altro nessuno escluso, avvia a quella solidarietà che trascende qualsiasi discorso politico.

Bentornati alla luce e alla vita, cari minatori. Il vostro ritorno ci richiama alla via della fede e della speranza, del cameratismo e della solidarietà, di un amore concreto da costruire di nuovo ogni giorno.

E noi con voi ci rimettiamo in cammino.

  Luciagnese Cedrone

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Agenda di speranza per il futuro dell’Italia

Comunicazioni Sociali | Posted by usmionline
ott 11 2010

È ormai vicina la 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), che si prefigge di offrire al Paese, dove la distanza fra chi opera in ambito politico e la generalità dei cittadini si è fatta abissale, un’Agenda di speranza che apra ad un futuro possibile.

Cattolici nell’Italia di oggi

Il cammino verso questo appuntamento importante per la Chiesa e per l’Italia è durato due anni, favorendo la diffusione e l’approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, che è anche terreno di incontro e di dialogo con chi ha visioni ideologiche e culturali diverse. Anche la comunità cristiana in qualche modo è immersa in quell’individualismo lacerante dove ognuno tende a guardare principalmente al proprio interesse. Serve un impegno nuovo per una progettualità condivisa. Occorre una più profonda consapevolezza che formazione delle coscienze e trasformazione delle strutture camminano insieme. È questo infatti che permette una più vera lettura dei segni dei tempi, che a sua volta possa diventare un segno per il nostro tempo.

Fra i problemi individuati

Il Comitato scientifico e organizzatore della Settimana ha elaborato un’analisi severa e certamente non compiacente dei problemi della nostra società; una sintesi larga e specifica: 35 pagine di domande sul quadro complessivo e sulle situazioni del momento, volte a discernere la nozione concreta di ‘bene comune’, ad entrare nel merito delle soluzioni e delle alternative realistiche, e ad aprire alla necessità del confronto pubblico.

Fra i problemi prioritari individuati:

 - La lotta alla povertà, e alla esclusione sociale, creando le condizioni per tutti di una vita buona, degna di essere vissuta in tutte le condizioni e le stagioni.

- La crescita del Paese a partire dal Mezzogiorno, uscendo dalla contrapposizione sterile che spesso vede da una parte i detrattori del nostro Sud e dall’altra coloro che preferiscono tacere o sottostimare i problemi che sono ancora irrisolti (lavoro, disoccupazione…).

- La priorità dell’educazione, il bisogno di riscoprirsi comunità educante e di prendere in carico la crescita delle nuove generazioni.

Impegno pubblico: condizione della speranza

Quella che stiamo vivendo non è una bella stagione per la politica. Di fronte alle grandi sfide che la società pone, l’attenzione sembra concentrarsi sui risultati per ottenere consensi e qualsiasi azione è ritenuta lecita pur di ottenerli. Il nostro Paese, attraversato da una grave crisi culturale e spirituale, sembra sempre più avviato al declino. A partire da questo contesto e su questo sfondo, il rilancio di un messaggio di speranza, che ci si aspetta da Reggio Calabria, appare particolarmente importante perché se -come ha sottolineato Luca Diotallevi- “la politica non ha il monopolio del bene comune”, certamente però la sfera pubblica non è irrilevante per la stessa sfera privata. Ai cittadini cattolici si chiede di avviare concreti meccanismi di partecipazione di base come condizione indispensabile perché si possa tornare a ‘sperare’; di individuare perciò le ‘cose da fare’: un’agenda condivisa appunto delle priorità, che eviti il rischio di fermarsi ad una semplice dichiarazione di intenti. Neppure i religiosi e le religiose sono avulsi dai problemi sociali. Molti nostri Istituti, sotto la spinta dello Spirito, sono nati per affrontare e, possibilmente, risolvere situazioni sociali di emergenza, per ‘farsi carico’ di realtà fragili, umanamente e cristianamente deboli. Anche questa ‘settimana’ potrebbe offrire stimoli concreti per una rinfrancata fede e un rinnovato coraggio.

Da più parti si rileva la necessità di una nuova generazione (non intesa per forza in senso anagrafico) che sappia misurarsi con i problemi reali del Paese, che abbia un quadro chiaro della Dottrina sociale della Chiesa e nello stesso tempo sia concretamente radicata sui territori. Questo permetterebbe ai valori di indirizzare davvero le azioni. Creerebbe certamente futuro e non solo consenso.

 Luciagnese Cedrone

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Verso il Sinodo per il Medio Oriente

Senza categoria | Posted by usmionline
ott 04 2010

Fra qualche giorno (il 10 di ottobre 2010), si aprirà a Roma l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza”. Ci sentiamo coinvolti in modo particolare in questo evento perché profondamente legati alle radici cristiane antiche di quelle terre (Iraq, Libano, Palestina, Turchia…), alla storia di fede e al cammino difficile e coraggioso delle minoranze cristiane che qui vivono oggi in un clima di grave discriminazione.

L’obiettivo di questa Assemblea speciale è duplice: confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità attraverso la Parola di Dio e i sacramenti, e far rivivere la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari in modo che possano offrire un’autentica testimonianza cristiana, a contatto  con le altre Chiese e comunità. «E’ sempre vero che il primo passo nel diventare cristiani si fonda nell’incontro con uomini che vivono da cristiani convinti», ricordava monsignor Luigi Padovese, vero uomo del dialogo che aveva saputo costruire ottimi rapporti con le chiese ortodosse, con gli ebrei e con i musulmani.

Chicco di grano per la speranza di una Chiesa

«Vero discepolo di Cristo, anch’egli ha dato il suo corpo e ha stretto un’alleanza nel suo sangue, offrendo tutto se stesso per l’annuncio del Vangelo e per la vita di coloro che gli erano stati affidati. Nell’esistenza di questo nostro fratello e padre si è realizzata la Parola di Gesù che ha paragonato la vittoria della sua Pasqua al mistero del seme che porta frutto nel suo morire», rifletteva il Card. Dionigi Tettamanzi il 14 giugno 2010 nell’omelia delle esequie del Vescovo ucciso in terra di Turchia.

Particolarmente oggi, in epoca di pluralismo, è necessario ravvivare la consapevolezza che la testimonianza fonda e precede l’annuncio e anzi è il primo annuncio. Mons. Padovese e don Andrea Santoro e tanti altri che hanno versato il proprio sangue a testimoniare l’ostinata fiducia nel dialogo paziente, ci indicano la strada del chicco di grano che silenziosamente porta frutto. Con la loro vita e il loro martirio questi fratelli sono realmente ponti tra islam e cristianesimo, e anche tra Oriente e Occidente. Invitano anche noi a scommettere sulla follia del Vangelo contro la logica della vendetta e della violenza. Il loro sangue ci dona la fiducia in un futuro di pace, di giustizia e di rispettosa collaborazione con gli appartenenti al Giudaismo e all’Islam, per il bene di tutti gli abitanti della regione.

Essere cristiani oggi in Medio Oriente

Vuol dire emarginazione, isolamento, scarsità di clero, impossibilità di formare nuove leve, scomparsa di molti luoghi di culto espropriati e modificati nella loro destinazione d’uso, povertà di mezzi… Tutto concorre oggi a portare il cristianesimo verso un vistoso ridimensionamento, lungo una strada che sembra essere senza ritorno. A partire soprattutto dalla guerra in Iraq e dalla presenza delle truppe occidentali in Afghanistan, un forte nazionalismo sta facendo crescere giorno per giorno le distanze fra mondo europeo/occidentale e mondo turco. La gente comune, in maggioranza musulmana, vive fianco a fianco dei cristiani e certamente non li osteggia. Ma diverse componenti degli apparati politici, insieme a frange estremiste, alla stampa e ai mezzi di comunicazione cooperano purtroppo a creare un clima di pesante diffidenza nei loro confronti, spingendoli così all’omologazione nei confronti dell’ambiente circostante.

Saranno coinvolti anche ebrei e musulmani

La storia, quindi, ha fatto sì che i cristiani diventassero un piccolo resto in questa regione.

Da quel piccolo gregge che cerca di resistere a tale clima di intimidazione, un grido e un lamento arrivano fino a noi, che troppo spesso invece dimentichiamo il ‘martirio’ quotidiano della loro fede e della loro vita.

Il Sinodo non è ‘contro’ qualcuno: è uno spazio di dialogo aperto che punta alla comunione e alla pace nella giustizia e nella verità. Troverà sicuramente il modo di ascoltare voci del mondo ebraico e di quello musulmano. Il dialogo e il confronto con le altre religioni e le altre culture sarà uno dei temi centrali del Sinodo. 

Seminari di approfondimento a margine del sinodo

In occasione e per tutta la durata del Sinodo molte sono le iniziative programmate e in atto; fitto è ancora il calendario di incontri culturali, organizzati per riflettere con vescovi, religiosi, scrittori, giornalisti ed altri esperti sulle sfide e sulle speranze che toccano quelle Chiese e le comunità cristiane che in esse vivono. Il Sinodo stesso ci offrirà la possibilità di entrare in contatto con l’esperienza della pluralità sconosciuta e della ricchezza della tradizione orientale in larga parte ignorata in occidente.

Per portare pace nel Medio Oriente

Insieme a tutti coloro che hanno promosso queste iniziative e alle tante realtà che lì operano, vogliamo fare nostro il motto del Sinodo: impegnarci per i cristiani di Terra santa e del Medio Oriente con un cuor solo e un’anima sola.

Mossi, inoltre, dal bisogno e sete di pace che tutti viviamo, cercheremo di capire dal di dentro la realtà complessa che sta al cuore di quella Terra e di tutto il mondo e di sperimentare nella nostra vita quotidiana la fecondità del perdono di fronte alla sterile alternativa dell’odio e della vendetta per portare pace al Medio Oriente e intorno a noi.

         Ad approfondire ulteriormente il tema e a conoscere cosa sarà stato veramente il   Sinodo nel suo procedere e nelle conclusioni-proposizioni ci aiuterà l’intervista che verrà     pubblicata su questo stesso sito a Sinodo avvenuto.

         Luciagnese Cedrone

         usmionline@usminazionale.it

USMI: in comunione per la comunione

Senza categoria | Posted by usmionline
set 28 2010

La velocità del tempo che scorre mi sorprende sempre di più.

In questi giorni nei quali, dopo la pausa estiva, si stanno avviando le molteplici attività e iniziative dell’USMI, riprendono i contatti, le comunicazioni, le condivisioni, i consigli a vari livelli, i convegni e gli incontri programmati già nell’anno precedente.

Sono davvero tanti!

Mi domando spesso: serviranno?

Ma, al di là della domanda, che a mio avviso è bene tenere sempre aperta, un fremito di commozione mi prende perché penso alla vita e alla vitalità che sottendono tutte le nostre iniziative. Comprendo che il fondamento e il senso profondo della realtà dell’USMI è un Dono prezioso ricevuto gratuitamente.

La comunione dei carismi e tra i carismi è la dinamica che muove tutto tra noi.

Infatti la vita dell’USMI si fonda e si alimenta al Dono che Dio fa costantemente alla sua Chiesa: suscitare molteplici carismi perché esprimano nel tempo la vita della Trinità, Amore che sostanzia la relazione tra le divine Persone, Amore di misericordia che per natura dilaga senza risparmi ovunque un uomo o una donna hanno fame e sete di amore e di verità.

Lo statuto della nostra Unione cita infatti al n.1:

“L’Unione favorisce ed esprime le esigenze di comunione tra gli Istituti femminili – nel rispetto e nella valorizzazione delle specificità dei vari carismi – per promuovere un dinamico inserimento della Vita Consacrata nella Chiesa in Italia”.

Come conseguenza logica, la passione della carità reciproca ci spinge ad amare il carisma e la missione le une delle altre, passione che si trasforma in un gioioso metterci a servizio reciproco perché ogni Famiglia religiosa nella Chiesa e nel mondo sia davvero bella, e manifesti la bellezza dell’amore di Dio per ogni creatura che Egli ama e che vuole salva.

Anche per questo secondo aspetto incontriamo le seguenti affermazioni al n. 4 dello stesso Statuto

 “  L’Unione nell’ambito della sua identità ecclesiale: Promuove l’approfondimento dell’identità carismatica della Vita consacrata secondo l’insegnamento del Magistero della Chiesa, gli orientamenti della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

Favorisce, mediante opportune iniziative, la comunione e la collaborazione tra gli Istituti religiosi e le Società di Vita Apostolica;

coordina i rapporti di comunione e collaborazione con la Conferenza Episcopale e con i singoli Vescovi;

individua le sfide socio-culturali del nostro tempo per cercare insieme risposte profetiche, in coerenza con l’identità di donne consacrate e presta attenzione alle nuove forme di vita consacrata”.

Sono due linee fondamentali molto importanti che dovremmo meditare a lungo per ri-comprenderle e per viverle in maniera sempre più visibile, gioiosa, appassionata.

L’identità e la ragion d’essere dell’USMI non si limitano dunque e non coincidono con le molteplici attività che svolge seppur interessanti e di qualità, l’identità dell’USMI è essere  volto femminile e amante della Chiesa comunione, sempre in missione.

Ecco che cosa sottendono tanto impegno e tante iniziative!!

L’amore di Cristo ci spinge e ci rende feconde, l’amore dei fratelli ci rende attive e infaticabili nella gratuità del dono.

Desidero perciò raggiungere con il pensiero e l’affetto le tantissime sorelle che nella gratuità più piena offrono tempo, lavoro, genialità e creatività per programmare, animare, guidare, sollecitare , incontrare a livello nazionale, regionale e diocesano, in una rete di rapporti davvero capillari, le realtà in cui le religiose sono presenti e per coinvolgere tutte nell’unica missione che il Signore ha affidato alla vita religiosa femminile nella chiesa italiana e nel mondo. A tutte il mio grazie ed il mio incoraggiamento a perseverare nel compiere il bene, nel credere che nella costruzione della casa “ si dura molta più fatica a porre le fondamenta, ma se queste sono ben fatte e solide la casa vien su più velocemente” (cfr S. Caterina da Siena ), nell’amare il progetto di Dio che ci ha poste in mezzo ai fratelli come seminatrici di speranza consapevoli che chi fa crescere e maturare i frutti del nostro lavoro è soltanto Lui.

A tutte auguro un anno ricco di pace e di benedizione.

sr M. Viviana Ballarin o.p.

(Presidente Nazionale USMI)

Una visione sulla vita consacrata – Attualità e prospettive

Senza categoria | Posted by usmionline
set 23 2010

 Don Pascual Chávez V., SDB -Presidente della Unione dei Superiori Generali- ha accettato di condividere con noi alcune sue riflessioni sulla vita consacrata. Lo fa in nome della nostra comune vocazione di persone consacrate, chiamate a rendere testimonianza che Gesù continua ad essere vivo in mezzo agli uomini e alle donne di questo tempo. E anche perché oggi, paradossalmente, la vita consacrata si trova a fare i conti con una profonda crisi d’identità, di credibilità e di visibilità, che si traduce nel calo vocazionale e in una perdita di stima non soltanto da parte della società, ma anche da importanti settori ecclesiali e degli stessi religiosi. 

Nella rubrica NEWS pubblichiamo il testo completo che Don Chavez ci ha fatto pervenire, certi che titolo e contenuti ci aiuteranno a vedere ed apprezzare meglio il momento presente e il futuro della Vita Consacrata.  (L.C.)

UNA CASA DELLE ASSOCIAZIONI

Società | Posted by usmionline
set 20 2010

A Roma la solidarietà non basta mai, e sempre nuove esigenze richiedono nuove risposte per far crescere le potenzialità di tutti coloro che hanno scelto di vivere la carità, associazioni comprese.

Prendiamo ad esempio, il problema del caro affitti. La capitale è la città più cara d’Italia per quanto riguarda gli affitti, seguita a ruota da Milano. Nella classifica mondiale è al 29esimo posto, in quella europea è all’ottavo, grazie al costo medio di 2.300 euro al mese per un appartamento in centro. La cosa strana è che i prezzi sono saliti anche durante gli ultimi due anni, segnati dalla crisi economica. Del resto, il trend di crescita dura da oltre dieci anni: Il Sunia ha infatti calcolato che tra il 1999 e il 2008 i canoni delle abitazioni sono aumentati del 145%.

Il perché non è facile da spiegare. Si può dire che, nonostante la crisi, la capitale attira molte persone che hanno bisogno di soluzioni abitative in affitto, basti pensare agli studenti, a chi lavora negli organismi governativi o internazionali o nelle ambasciate. Si può dire anche che probabilmente proprio la crisi finanziaria ha risvegliato l’interesse per il mattone in chi aveva fondi da investire, e questo ha contribuito a tenere alti i prezzi.

Fatto che sta che questo è un problema per molti: le famiglie, e soprattutto le giovani coppie, spesso costrette a cercare soluzioni nelle città-satellite o nelle campagne attorno alla città; gli studenti, che devono affrontare una spesa media per una stanza di 440 euro; gli stranieri, costretti a coabitazioni forzate in costruzioni spesso fatiscenti; gli artigiani e i titolari di negozi, che chiudono a uno a uno lasciando il campo ai supermercati.

Ma questo è un problema enorme anche per i gruppi di volontariato, per le associazioni, per tutte le realtà di terzo settore di dimensioni medio-piccole. Proprio queste realtà, però, costituiscono una risorsa preziosa che sul territorio costruisce tessuto sociale, oltre a rispondere a bisogni, povertà e solitudini cui nessun altro saprebbe dare ascolto. In Italia esistono 20mila piccole organizzazioni di volontariato, i cui membri si impegnano gratuitamente, l’80% delle quali ha bilanci di meno di 10mila euro l’anno: basano tutto sulla gratuità dell’impegno e sulle risorse che i volontari stessi possono mettere in campo. Per loro, pagare un affitto a prezzi di mercato è impossibile. Ma, senza di essi, il nostro Paese sarebbe sicuramente peggiore di quello che è.

Servirebbe, allora, una “Casa delle Associazioni”. Esperienze di questo tipo esistono già, in varie città di Italia, in genere al Nord. Spesso sono le amministrazioni locali, più raramente qualche fondazione o ente non profit, che mettono a disposizione una struttura. Ad ogni associazione viene assegnata una o due stanze, mentre altri spazi (ad esempio per le riunioni) e servizi (telefono, internet, fotocopiatrici, eccetera) sono comuni. Si può chiedere un affitto contenuto, o un contributo alle spese.

La richiesta di una sede può sembrare un lusso, ed in effetti ci sono molti gruppi che fissano come sede legale la casa del presidente e si riuniscono dove possono, magari in parrocchia. Ma avere un punto di riferimento stabile è importante sia dal punto di vista dell’organizzazione, sia da quello dell’identità del gruppo. La carità, purtroppo, non si realizza solo con la buona volontà: servono anche strumenti di gestione, computer, telefoni, luoghi di riunione, lavoro di segreteria. E anche un minimo di privacy, visto che nei computer delle associazioni ci sono, in genere, dati sensibili degli utenti, oltre che dei volontari stessi.

A questo progetto sta lavorando, a Roma, la fondazione Talenti, che cerca quindi un ordine religioso disposto a mettere a disposizione spazi adeguati. La “Casa delle Associazioni”, opportunamente regolamentata, potrebbe poi essere gestita dall’ordine stesso, oppure da una cooperativa che si assuma gli oneri organizzativi e gestionali.

Roma ha bisogno di solidarietà, ma per offrirla servono mezzi: questo è uno dei più importanti, proprio perché farebbe crescere le potenzialità delle associazioni.

Paola Springhetti

Fondazione Talenti – Roma

Hawking e il nulla dell’autocreazione

Senza categoria | Posted by usmionline
set 14 2010

 «Dio non esiste, l’universo nasce dal nulla»: lo afferma il famoso astrofisico mondiale, Stephen Hawking, scienziato inglese di 68 anni condannato all’immobilità su una sedia a rotelle e privo della parola per un’astrofia muscolare progressiva. Lo scrive nel suo ultimo libro, “The Grand Design”, che sarà in libreria in concomitanza con la visita di papa Ratzinger (prevista per il 16 settembre 2010) nel Regno Unito. Hawking, in un suo precedente libro, Una breve storia del tempo, una decina di anni fa aveva sostenuto che non c’è incompatibilità tra un Dio creatore e la comprensione scientifica dell’universo. Ora, dunque, ci ripensa e afferma che il Big Bang, la grande esplosione che ha creato il mondo, fu una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica. Per usare le sue parole:«Poiché esiste una legge come la gravità, l’universo può essersi e si è creato da solo, dal niente. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece del nulla, il motivo per cui esiste l’universo e per cui esistiamo noi».

Solo una rispettabile opinione

Hawking comunica grazie alla tecnologia, ha tutte le spiegazioni della sua malattia, fornitegli dalla scienza. Eppure la medicina non gli dirà mai perché proprio lui è stato colpito dal male e qual è il significato della sua sofferenza. Allo stesso modo egli ci dice com’è nato l’universo, ma non ne affronta il perché. Nella realtà però l’uomo non ha bisogno solo di una teoria che spieghi come è nato il mondo: ne cerca anche il significato. «Quello che Hawking afferma non è provabile. E non essendo provabile, misurabile e negabile non appartiene alla fisica. È solo un’opinione» (Massimo Robberto). Non c’è scienza che possa negare l’esistenza di Dio. Così il fisico Antonino Zichichi, presidente della Federazione mondiale degli scienziati con forza dichiara: «Se c’è una logica nell’universo c’è anche un creatore. Hawking riesca a dimostrare il teorema della negazione di Dio oppure stia zitto».

Scienza e Mistero

«La fisica di per sé -sostiene l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams- non risolve la questione del perché c’è qualcosa piuttosto che niente. Per lo stesso motivo potremmo affermare che siccome gli aeroplani volano grazie alle leggi della fisica, sono stati creati dal nulla senza il bisogno di un inventore». In realtà finché esisterà, l’uomo che ha lume di ragione non rinuncerà a domandarsi il significato della vita e della morte, del male e della bellezza.

Domanda di senso (soprattutto di fronte alla natura)

L’astrofisico dello Space Telescope Science Institute di Baltimora Massimo Robberto riflette:«Dio ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché gli uomini Lo cercassero, se mai arrivino a trovarLo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. Tutta la realtà ci è data come se il Mistero continuamente ci dicesse: Guardami. Sono qui. E tu ti guardi attorno, e non lo vedi. Ma senti questo richiamo. Non si svela. Perché si sveli occorre l’incontro con un Uomo». Per il cristiano quest’Uomo è Cristo nella cui persona l’uomo e Dio si sono perfettamente uniti. In Lui l’abisso è superato. Egli è il centro dove convergono tutti i raggi dell’universo. «Io non so -continua Massimo Robberto- se la fisica possa dimostrare o meno l’esistenza del Mistero. Ma la realtà ha dentro un richiamo oggettivo per chiunque. Noi lo cerchiamo, non è lontano, ma non è dato scoprirlo: occorre che Qualcuno lo annunci, deve passare da un’altra parte».  

Quello che dobbiamo fare anche se costa sacrificio e fatica è cercare di recuperare la complessità della realtà. Hawking in fondo decide di fermarsi, di smettere di cercare questo Mistero. Mentre la realtà, come avviene nel rapporto amoroso, rimane fonte inesauribile di provocazione e bellezza. Così più scopriamo, più siamo incuriositi. Stabilire la fine di questa dinamica porterebbe alla malinconia e alla disperazione.

Tra evoluzione e fede

Evoluzionismo e cosmologia sono i temi sui quali è intervenuto più volte Nicola Cabibbo, fisico italiano di sicuro tra i primi in campo mondiale e da poco purtroppo scomparso. Profondamente credente egli ha affrontato con grande equilibrio il rapporto fra conoscenza scientifica e testo biblico, fra scienza e persona umana. Sul rapporto tra scienza e fede sottolinea che la teoria dell’evoluzione non è in contrasto con l’opera della Creazione e che le due non si contraddicono affatto. Sono gli ‘-ismi’, cioè il creazionismo che pretende di negare l’evoluzione e l’evoluzionismo che pretende di negare la Creazione, che entrano in contrapposizione proprio perché si fa confusione tra i due piani.

Alle parole di Stephen Hawking due altri grandi intellettuali italiani rispondono:«La scienza non può porre difficoltà alla fede, perché quello che scopre è vero e non può essere in contrasto con la creazione» (Giuseppe Tanzella-Nitti). E Giulio Giorello: «Oggi tra gli scienziati cattolici è chiarissimo che si può benissimo credere nell’evoluzionismo e nella Creazione (non nel creazionismo). Dire il contrario è come sostenere che la Terra è piatta o che il Sole si muove perché così dice la Bibbia».

Ma il perché davvero “ultimo” per cui l’universo esiste (e nell’universo esisto io, ciascuno di noi) è una domanda alla quale le leggi della fisica non intendono né possono rispondere. È però una domanda che l’essere umano in quanto tale non può non continuare a porsi.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it