Musiche sotterranee …

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ott 17 2013

musica-giovane (1)Nella ‘musica giovane’ passa e vive uno stile di vita e un orizzonte valoriale; tutto il bene e tutto il male della vita; domande che non trovano risposta… E un grido d’aiuto che è da raccogliere.

… e silenzi da interrogare


silenzioIl suono del silenzio e il silenzio di un abbraccio. La voce di un torrente e il cinguettio degli uccelli. Il canto negli occhi di un bambino e la saggezza malinconica nel sorriso di un vecchio… Tutto questo è musica. Musica vera, quella che è ascolto. Un ascolto che continua nell’intera natura, cattedrale vivente di musiche sotterranee e universo dove tutto prega: fiumi, foreste, prati e colline! Il grande messaggio che se ne raccoglie è fatto di silenzio, pazienza e attesa fiduciosa. Quasi un sacro che fa fiorire l’umano, allevia la pressione del dolore e dona la carezza della gioia.

Se non so ascoltare la musica della vita – confessa Giosy Cento – non posso “fare musica”. Forse è per questo che quella dei giovani oggi non si muove come discorso lineare e costruttivo. Canta infatti la vita sentita come il trovarsi sul ciglio di un abisso, come un evento gratuito e contradditorio nell’eterno passaggio alla morte e al silenzio.

Mille sono i suoni che accompagnano e riempiono la vita delle persone lungo le strade delle nostre città, nei negozi, al mercato. Solitudine, musica e rumori… sinfonie di emozioni e di vita! È possibile all’uomo contemporaneo saldare il fragore dei giorni e il silenzio delle stelle? Il peso del quotidiano e le ombre invecchiano il cuore, il male disidrata l’esistenza e la fa chiusa e sterile… Divorati dal vuoto e dal deserto degli affetti – rifletteva S. Weil – quando siamo troppo sfiniti, abbiamo bisogno di parole vere. Gridiamo per averne. E il grido ci lacera le viscere. Non otteniamo altro che silenzio.

Nell’universo del cuore: mistero e dolore
8859982-ascoltare-musica-giovane-donna-con-le-cuffie-studio-girato“La parte più grande e più vera di ogni uomo è invisibile. Per essere raggiunta ci vuole un mezzo invisibile: e la musica lo è” (Giosy Cento). La musica muove, commuove, fa decidere, permette di sentire la vita e perfino di toccare Dio. Nell’assenza di idee, tipica di un tempo dal pensiero debole, è la musica che richiama le masse con l’illusione di poter lenire la propria segreta sofferenza. In particolare appare come un’ossessione settimanale quella che ammassa i giovani nelle discoteche e poi nelle folle dei concerti, anche se in esse il proprio nome si perde nella folla e nell’anonimato. Ma – come afferma Romano Battaglia - in mezzo al rumore non si avvertono né i respiri, né i sospiri delle persone che vi vogliono bene.

I giovani e la musica…
Se un tema comunque accomuna i ragazzi dei nostri giorni è proprio la musica, sentita da loro come il linguaggio più comunicativo, coinvolgente e 03-660x330liberatorio; capace di offrire espressività altrimenti impossibili. Pop, rock, rap, hit-pop, dance, techno, punk… L’ascoltano su ipod, ipad, mp3, mp4, cellulari… E lo fanno mentre giocano, passeggiano, guidano; quando sono per strada, in macchina o in casa. Perfino mentre studiano o sono in classe. La società per loro è e resta terra straniera. Così nel mondo variegato della musica essi si sottraggono alle fatiche di ogni giorno, si sfogano, si rilassano, trovano un riparo forse solo immaginario e intoccabile in un mondo sognato, ma in fondo impossibile e irrealizzabile.

I giovani sono molto cambiati: dai gradini della chiesa sono passati al muretto e agli spinelli, finendo anche alla droga e all’alcool, sempre portandosi nel cuore il bisogno di essere cercati, accolti e amati; e di incontrare un Dio che sia in relazione, che entri in relazione. Cercano la musica semplicemente come ragione di conforto e di discussione, un mezzo per conoscersi e divertirsi all’interno del gruppo. Così non l’ascoltano. L’abitano. Ed è molto difficile incontrare fra loro gruppi stabili che non ascoltano la stessa musica. Succede anche che chi nel gruppo è più debole, per non perdere il consenso degli altri, si adegua e si convince di trovarvi lo stesso piacere. Ma tutti per istinto sanno riconoscere se dietro alle parole delle canzoni che scelgono di ascoltare, ci sono ricerca, vita vera, cuore. Perché hanno un bisogno immenso di parole vere e di presenze. Sentono che, se in un rapporto non arriva il “tu per tu”, è difficile costruire qualcosa di vero e vivono la musica come strumento per riuscirvi. Attraverso di essa costruiscono il loro mondo. Così, mentre si domandano se valga la pena di vivere in questo mondo senza più definirlo solo uno schifo, cercano persone credibili con cui poter costruire relazioni personali.

Nella musica giovane più senso per vivere?
musica-giovaneQuello di oggi nel suo insieme non è un mondo di uomini felici. Spiega Dostoevskij: «L’uomo è un  mistero che deve essere districato e se noi diamo la vita per questo fine, potremo dire di non averla sperperata; io mi voterò a questo mistero, perché voglio essere un uomo». Dalle sue parole emerge tutta l’inquietudine di chi, svegliandosi dall’ipnosi di un quotidiano trito e abitudinario, scopre la vita.

Se i nostri giovani per sentire che esistono devono ricorrere alle solitudini dei walkman sparati nelle orecchie e alla musica ‘grido’, è necessario per tutti riflettere su quanto la nostra comunità sia poco accogliente. E anche sulla solitudine tipica di un individualismo esasperato, che si aggira nelle nostre città. Di fronte ad una umanità così sofferente diventano sempre più necessarie parole giuste, capaci di fare sintesi, che dicano ciò che non è stato mai espresso e che solo lo Spirito può suggerire.

Il grande Direttore d’Orchestra Riccardo Muti richiama al fatto che forse noi italiani abbiamo  dimenticato che la musica non è solo intrattenimento, ma necessità dello
sentiero di Luce 603 liv col 184433_192704887551094_777956337_nspirito
. I giovani – assetati come sono di suoni primitivi e cadenzati, soprattutto se gelosamente custoditi nella musica rock – lo dicono con il linguaggio più originario e primitivo della musica: quello del corpo e del battito del cuore. Suoni che, nel contatto corpo-anima e fede-vita, muovono a gesti capaci di salvare dall’irrigidimento e dalle convenzioni a cui tutti andiamo incontro. I ragazzi sentono tali gesti come si ‘sentono’ i gesti d’amore, quelli che fanno tornare nel cuore lo stupore incantato nei confronti delle cose e della vita, che regalano il suono del silenzio e fanno emergere il divino che è sparso nella creazione. Ne scaturisce un’eternità che si nutre di tempo, una spiritualità che s’incarna nel dolore e nell’amore, l’autentica condizione insomma dell’uomo a cui non è dato l’eterno se non per rapidi e fugaci assaggi, e… non ‘elevandosi’ ma  ‘incarnandosi’.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

Lo straordinario in ogni tempo

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ott 07 2013

L’inaridirsi del cuore perde la persona nelle cose e poi le stravolge. Ma la tristezza senza fondo che ne deriva si rivela strada privilegiata per ritrovare se stessi. Permette di respirare il soffio che viene dall’Alto e nutre la solidarietà interiore che ridà vita.

Degrado cresce nella nostra storia.  
Sono passati 40 anni da quando Pasolini con assoluta sincerità e asciutta
fo_gallery_4be5b4d122a4a_DSC0015drammaticità denunciava gli oltraggi edilizi inflitti ad un selciato sconnesso e antico presso Orte. Egli vedeva in quel degrado apparentemente piccolo l’appiattimento culturale e l’imbarbarimento civile a cui ci avrebbe portato – secondo lui inevitabilmente – la società dei consumi nelle democrazie contemporanee. È stupefacente l’attualità che quel suo intervento profetico sprigiona ancora oggi. Il degrado è continuato. A partire dalle bottiglie vuote e rifiuti vari abbandonati nelle aiuole, o, peggio, ammonticchiati tra le foglie in mezzo alla strada; alle numerose città che dal tempo del boom economico nel nostro Occidente si sono sviluppate a suon di cemento e opere edilizie, spesso discutibili. Questo mentre nelle acque di tutto il globo ogni giorno sono riversati milioni di tonnellate di liquami e altri scarichi: una contaminazione senza precedenti nella storia. L’inciviltà di una minoranza sembra insomma essere protetta, consentita, mai davvero combattuta…

Chi può dire “io non c’entro”?
È proprio così difficile fare luce sui tanti, troppi comportamenti chiaramente illegali e sostenere quanti sono impegnati nella lotta contro il degrado, la corruzione e l’illegalità? Napolitano per l’Italia chiede una «più severa azione di repressione dell’abusivismo e dei reati ambientali» contro i gravi danni sempre più spesso provocati da frane e dissesto idrogeologico. E pensare che costa molto meno proteggere le risorse idriche che ripulirle dopo averle inquinate. Intanto “oltre metà dei letti d’ospedale nel mondo sono occupati da persone che hanno malattie derivanti da acque inquinate” (rapporto Unep). In tutto questo, qualcuno può forse dire io non c’entro? Quanti nel quotidiano investono tempo, energie e denaro per acquistare tante cose, il più delle volte inutili con le quali si riempiono le case e le proprie vite e di cui con tanta facilità si decide di liberarsi trasformandole in rifiuti? Intanto anche di questi la terra soffoca e si ammala.

Seduzione delle cose …
230032472-40e8a0e0-05cd-4103-8ecb-ff57a23f171bDavvero la cosiddetta civiltà dei consumi distrugge il paesaggio interiore degli uomini esattamente come quello esteriore? Certo il senso del quotidiano è la cosa più difficile da scoprire. E il rischio della fatica quotidiana, in tale nebbia, è investire tutto ciò che si è e si ha, sul prodotto sbagliato: la ricchezza cercata come unica sicurezza e l’illusione di trovarla… nell’ultimo modello cellulare o giù di lì! Una quotidiana – e più o meno consapevole – dipendenza da tale obiettivo conduce inevitabilmente ai tanti, troppi comportamenti illegali che caratterizzano l’attualità nel nostro Paese e non solo. Eppure nessuna sicurezza proveniente dalle ‘cose’ ha vera consistenza. E comunque nessun bene vale l’inaridirsi del cuore.

… e sapienza del vivere
L’esistere concreto e la vita reale sono la via per comprendere quale sia il “giusto public-fotografie_utenti-nadesh72relazionarsi” con l’esistenza, le persone e le cose. Ciò che si fa delle cose e di noi stessi ricade comunque sulla vita di ognuno e questa responsabilità non può essere delegata a nessuno.

Già la cultura moderna ebbe coscienza che questo mondo è stato posto, in modo grande e terribile, nelle mani dell’uomo. Lo straordinario in ogni tempo avviene nella stanza di una casa, nei luoghi della famiglia e delle persone, che con uno sguardo ‘micro’ e insieme ‘macro’ sulla realtà vedono e conoscono che la speranza non risiede nella cronaca quotidiana, ma oltre e in alto. E, vigilando sulla storia di ogni giorno e di ogni momento, agiscono di conseguenza dentro la società. Esperienza possibile sempre, necessaria anche per non soccombere alla paura di quello che siamo. E lasciare dietro di noi un mondo migliore.

Il mondo come Dio lo sogna…
Quella vita piena, che ognuno cerca con tutte le forze, non si trova al mercato delle peterpan309cose. E anzi, se si tiene il cuore fisso sulle cose, la vita un po’ per volta perde luce. Non sarà per questo che la notte sembra avvolgere questo tempo in cui tanti finiscono per cercare persino gli ‘amici’ in funzione delle cose, per interesse o per il proprio piacere? Ma se la vita non dipende da ciò che si possiede, allora da che cosa dipende? Certo rivedere il sole e il volto dei propri cari quando ci si sveglia al mattino, non è per niente ovvio. È vivere il tempo come dono di cui essere grati che mette sulla strada per imparare a gettare il cuore al di là delle cose. E fa circolare amicizia nella notte dell’attuale qualunquismo disgregante e conflittuale. Ogni vita reale infatti è incontro. I buoni e gli onesti ci sono e sono tanti. Tante sono le persone che hanno capacità di mettersi a disposizione con umiltà e realismo. Forse ognuno di essi ha solo bisogno di essere incoraggiato e sostenuto.

D’altra parte se un corpo sociale è ammalato, è forse normale ucciderlo o distruggerlo? Non è semplicemente necessario medicarlo e curarlo? Certo è facile il mestiere del riformatore, se si pensa che “le cose da cambiare siano sempre fuori – nella società, nelle leggi – e mai dentro l’uomo: a cominciare da se stesso!” (T.S. Eliot). Altrettanto facile per tutti è oscillare fra sapere e non sapere, vedere e non vedere, fra l’umile confessione che le notizie dei giornali superano la propria capacità di sopportazione e la consapevolezza che solo affrontando la realtà del mondo si può sviluppare il senso di esserne responsabili. Nella fuga certo non esiste speranza. Ma forse i più vogliono vedere solo ciò che si può tenere sotto controllo. Oppure  costa sapersi impotenti, fa male. E così si evita di andare oltre il livello della retorica.

La saggezza dal… deserto umano
Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio (Sl 89, 12). e_io_degradoRicchezza dell’uomo è il mistero di Dio. Ma i cristiani del nostro tempo sono davvero pronti ad accogliere senza indugi, con convinzione, entusiasmo e senza disquisizioni astratte la rivoluzione della tenerezza e della ‘vita buona’ a cui ripetutamente anche Papa Francesco richiama tutti? Dio squilibra il discepolo quando lo chiama a misurarsi con lo stile del servo senza essere mai servile. Lo porta fuori di se stesso chiedendogli di non accontentarsi di gestire gli equilibri quotidiani senza lasciarsi attrarre da Lui. Certo scoprire che la soluzione non dipende dalla propria persona e che si può fare molto poco può togliere le energie, o far ripiegare sul proprio io ferito. Ma muoversi con fedeltà verso la solidarietà interiore impedisce di sentirsi virtuosi e rende possibile quella “compassione” vera che avvia e apre a un futuro più umano.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Le donne, la scuola, i programmi

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set 25 2013

 

Lettera aperta alla Ministra CarrozzaFatti in controluce 1

Gentile Ministra Carrozza,
siamo un gruppo di donne che insieme ad altre hanno organizzato la giornata del 13 febbraio 2011, giornata che è rimasta nel cuore di tutte. Le confessiamo che il grande successo di quella manifestazione ci ha riempito di gioia, ma anche ci ha lasciate sgomente dal senso di profonda e drammatica necessità che tante donne portavano nelle piazze, necessità e urgenza di cambiamento, di ossigeno. Ricorderà che in quel periodo le nostre istituzioni, il Parlamento, si trovavano impantanati in storie ridicole trasformate in affari di Stato, si votava sulla nipote di Mubarak.

Cambiamento urge
Questa nostra presentazione non serve per farci grandi, ma per poter meglio far comprendere che da quel giorno la necessità e l’urgenza di cambiamento non ci hanno più abbandonate e sono diventate per noi interrogazione quotidiana.

Una lettera alle istituzioni di questi tempi è inusuale, troppo divaricata è infatti la forbice tra governanti e governati, troppa sfiducia, troppo sospetto, troppa estraneità. Ma questo non vale per Lei, signora Ministra. A parte la stima grande per la sua storia di scienziata, ci è molto piaciuto il suo discorso a Cernobbio. Anche noi pensiamo, come lei, che la politica ha fatto male alla scuola e che con questa classe dirigente omologata con poche donne  non riusciremo ad uscire dalla crisi. Ci piace quando parla di investimenti per la scuola e non di spese. Ci piace quando va a inaugurare l’anno scolastico a Casal di Principe, significando così che nessuno deve essere lasciato indietro.

Nessuno deve essere lasciato indietro. Per questo le scriviamo.

Donne male amate…
Come tutti di questi tempi avrà sentito parlare di femminicidio, di violenza contro le donne ne avrà letto, ne avrà sofferto, come ogni donna, di quel dolore speciale, dolore che un uomo, anche il più buono e pietoso, non può provare. C’è chi dice che è un fenomeno antico, che c’è sempre stato, che i numeri non sono aumentati. Fatto sta che oggi di donne ne muoiono troppe e troppe sono ancora maltrattate. E che bisogna mettere le mani urgentemente per arginare questo fenomeno antico o moderno che sia. Per lo più le donne che vivono questa disgraziata condizione, o che ne muoiono, sono stanche di essere male amate, stanche di obbedire, stanche di servire. La loro sofferenza, la loro morte svela un mondo terribilmente impreparato alla libertà delle donne.

La scuola: strada per uscire dalla ‘crisi dell’anima’
A questo punto Lei si chiederà perché le stiamo parlando di tutto questo. La risposta è semplice. Perché, come lei, pensiamo che sia la scuola la strada più importante per uscire da questa crisi. In questo caso non parliamo di crisi economica e politica, ma della crisi profonda dell’anima di questo paese. E’ questa una grande urgenza.

Vede, noi non crediamo che si possa vincere la violenza contro le donne con l’inasprimento delle pene. Poco, solo un poco, crediamo ai provvedimenti di allontanamento dei violenti, alla loro rieducazione. Noi pensiamo che l’unica cosa che salverà noi donne da tutto ciò sia la stima di sé, il rispetto di sé, la coscienza del proprio valore, il senso della propria dignità. E’ anche noi stesse che dobbiamo rieducare, quindi, per poter riconoscere la violenza prima che accada. Niente altro ci salverà.

Quello che non basta
Siamo state molto deluse dal Decreto Legge recentemente proposto, decreto per altro senza un euro di finanziamento, che affrontava la piaga della violenza contro le donne come problema di ordine pubblico, accomunandola  alla violenza negli stadi, a chi ruba i fili di rame, ai no Tav. Questo significa non capire nulla o meglio far finta di non capire che il problema della violenza contro le donne non è il problema dei violenti ma di un’intera società.

Non crediamo neanche alle “lezioni di buona educazione” che ogni tanto insegnanti di buona volontà impartiscono nelle scuole a ragazze e ragazzi. E tanto meno crediamo sia giusto e buona la pubblicità reiterata della violenza, anzi pensiamo che faccia male, male alle ragazze per la spontanea identificazione con la vittima, con la parte debole, e male ai ragazzi per i possibili sensi di colpa e l’identificazione con la parte comunque forte. Lottare, poi, contro gli stereotipi nei libri di testo è ottima cosa ma pensiamo non basti. Per quanto ci riguarda ci auguriamo un mondo dove nessuno sia servo di qualcun altro e dove ognuno pulisca ciò che ha sporcato.

 

Che fare, allora
Abbiamo parlato di autostima, unica soluzione possibile. Ma la stima di sé comincia sempre prima di noi. La stima di sé per essere ha bisogno di due cose, l’ammirazione per coloro che sono venuti prima di noi e le aspettative di chi ci sta intorno. Questi sono i due nutrimenti necessari. La nostra società di aspettative nei confronti delle donne ne ha ben poche, lo sanno tutte le donne che hanno voluto e vogliono mettere al servizio della società i loro talenti, le loro ambizioni. Tutte possono, infatti, raccontare strade faticosissime. E l’ammirazione per chi è venuta prima di noi è semplicemente impedita. Le donne della storia, le filosofe, le scrittrici, le artiste, le scienziate sono dimenticate. La scuola non le racconta.

Noi crediamo profondamente nella differenza tra uomini e donne. L’uguaglianza non è per noi un valore, se non nella dignità e nel diritto. Crediamo nella differenza come ispiratrice di una giustizia migliore, una società più accogliente, più equilibrata. Uomini e donne hanno corpi differenti, differente storia, differente cultura. Noi donne veniamo da una storia pesante e dolorosa, ma che ci ha insegnato molto, questo è il nostro tesoro. Pensiamo che sia il tempo di mettere al lavoro questa differenza per una nuova concezione del mondo, per una nuova visione della società. Uomini e donne insieme nel governo della cosa pubblica, nel pensare, nel fare delle scelte che riguardano la vita di tutti, nella scienza: a questo bisogna preparare ragazze e ragazzi.

 

Necessari testimoni e figure di riferimento
Noi pensiamo, l’abbiamo detto, che per dare forza, stima di sé, rispetto di sé alle ragazze come ai ragazzi siano necessarie delle figure da ammirare. Le ragazze hanno bisogno di figure di riferimento forti, donne forti, che hanno dato il meglio di sé, esempi da seguire. Questo è un nutrimento simbolico necessario. Ma la nostra scuola insegna solo ad ammirare gli uomini e le loro opere.

Le poche donne che restano nei programmi finiscono per rappresentare delle eccezioni, il loro potenziale simbolico è nullo, la loro forza resta intransitiva. Ai ragazzi si mostra un mondo di uomini, alle ragazze è riservato uno specchio vuoto. Questo è male per entrambi.

 

Il cammino ignorato delle donne
Questo non era grave in un mondo dove le donne vivevano sotto tutela, quando non potevano accedere alle professioni, non potevano amministrare i loro beni, non votavano. Ma oggi no, oggi una ragazza sceglie cosa vuole studiare, può viaggiare, vota, può scegliere con chi dividere la propria vita, può avere figli o no, se non li desidera, può vivere dove vuole.  Ma la scuola di oggi per lei è ancora quella Ottocentesca, nelle sue linee fondamentali. Le donne non ci sono, non si ricordano, non si studiano, non esistono.

Dove sono le Maria Montessori, le donne che hanno covato l’Illuminismo nei loro salotti, Madame Curie, Santa Teresa d’Avila, le donne che hanno fatto la loro parte nel Risorgimento, le tantissime poete, le grandi scrittrici, le matematiche, Simone Weil, Hannah Arendt? Non ci sono, se non per la buona volontà di alcuni insegnanti disposti a “fuori programma”. Perché non si celebra l’8 Marzo come giorno della memoria del percorso delle donne, e degli uomini loro alleati, verso la loro libertà? Perché non si racconta ai ragazzi e alle ragazze le tappe di questo cammino luminoso?

Degli psicologi, reduci da un’inchiesta in tre licei della Regione Umbria, ci raccontavano della grande difficoltà in cui si trovano oggi le ragazze, per il semplice fatto che l’assenza di figure forti di riferimento entra in contraddizione con la libertà che godono, creando spaesamento, confusione, senso di solitudine, debolezza.

Lei non era ancora Ministra, quando si è indetto l’ultimo concorso per i nuovi docenti. Nel programma di Letteratura Italiana, su cui dovevano rispondere i candidati, su 30 autori c’era una sola donna: Elsa Morante. Anche questo è femminicidio. Si dice che le donne debbano andare avanti solo con il merito, ma alla povera Grazia Deledda, evidentemente, non è valso nemmeno il premio Nobel.

 

Attese…
Gentile Ministra, ci rivolgiamo a lei, perché lei in questo momento è quella che può fare moltissimo contro la violenza alle donne, ma non solo, è quella che può rendere questo paese più civile, più equilibrato. La rivoluzione, non abbiamo altro termine, deve cominciare  dalla scuola, può essere solo nella formazione. Cambiare urgentemente i programmi, per dare forza alle ragazze, non farle sentire aggiunte in questa società, ma necessarie. Questo prima di tutto. Non c’è vero discorso sulla modernizzazione della scuola se non si parte da qui.

Ma non solo. Ridare dignità alla figura del docente, non farlo vivere sulla soglia della miseria, non farne un vinto. E rendere difficilissimo diventare insegnanti, che non sia una professione di rimedio ma di vera vocazione. Questo però è un altro discorso.

Se condivide quello che abbiamo detto, ci piacerebbe incontrarla per raccontarle il nostro lavoro.

Confidiamo molto in Lei. Grazie per la sua attenzione.

                    Se non ora quando FACTORY

(Pubblicato su settembre 19, 2013 da snoqfactory)

- Nota: La suddivisione con i rispettivi titoli sono della Redazione di questo sito.

Cercatori di pace un po’ smarriti

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set 13 2013

lavfamIn un mondo in subbuglio dove per troppi non c’è più sicurezza per il domani, il viaggio più lungo verso la verità – che è relazione dice Papa Francesco – è certamente quello interiore. Compiuto con l’orecchio attento al Dio della storia, è anche il cammino più sicuro.

In un mondo popolato da ‘estranei’…
“Abbiate fiducia, andate incontro al mondo contemporaneo, ha bisogno di voi e vi aspetta”, esortava il cardinale C. M. Martini. E Benedetto XVI: “Siate disponibili a costruire, insieme a tutti i cercatori della verità, percorsi di bene comune, senza soluzioni preconfezionate e senza paura delle domande che restano tali, ma pronti a mettere in gioco la vostra vita … Abbracciate con carità le ferite del mondo”.

Ma lo ‘spettacolo’ che nella quotidianità raggiunge tutti attraverso gli schermi della Tv e della rete, richiama ognuno al compito amaro di fare i conti con la realtà. Così un senso di smarrimento disorienta e confonde questo nostro mondo su cui – soprattutto oggi – tanto pesano le decisioni e gli egoismi dei ‘grandi’ della terra, come pure la ricerca del potere a tutti i costi e non per servire, ma per se stessi; spesso anzi per interessi tutt’altro che di giustizia!

È facile sentirsi stranieri erranti in questo oggi e – pur desiderando con tutte le proprie forze muoversi con passo libero e costruttivo verso il bene comune – altrettanto facile è rischiare di annegare nelle sue acque tempestose. La verità – ricorda il sociologo Bauman – è che non si possono difendere efficacemente le libertà a casa propria tagliandosi fuori dal mondo che è intorno e preoccupandosi unicamente dei propri problemi e affari. Sarà importante riflettere su cosa sia davvero accaduto all’Occidente negli ultimi decenni per cui intere generazioni sembrano condannate all’estraneità e alla superficialità… Solo storia di un ‘pezzetto’ di umanità decaduta? Forse, ma è comunque umanità che si porta dentro, come ogni persona, la nostalgia continua del ‘pane di casa’.

… la pace che ognuno ha non dipende dalle circostanze
Ognuno conosce per esperienza che dentro l’uomo vive ‘qualcosa’ che continuamente lo cerca e lo spinge a mettersi in cammino in
imageogni situazione. La sua Voce è di un silenzio simile a un soffio ed è facile soffocarla. Ma è certo che il Dio della storia in ogni tempo parla a chi ha il coraggio di muoversi ad occhi aperti in questa valle di lacrime senza perdere i contatti con la Voce interiore che chiama verso una nuova terra e la pienezza della gioia. E sulle azioni di ognuno “c’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia a cui non si può sfuggire”- ha gridato con forza Papa Francesco facendosi interprete del grido di pace che sale da ogni parte della terra e dal cuore di ognuno.

In fondo, a pensarci bene, l’ottimismo – nella sua essenza – non è un modo di vedere la situazione presente. È l’energia vitale che viene dalla speranza fondata sulla fede che rende la persona capace di reggere i colpi e di cercare strade nuove. Ogni evento in realtà è possibilità di maturazione. Tanti continuano a sperimentarlo ogni giorno, a condizione che nella solitudine e anche nel senso di fallimento del proprio cuore si lasci penetrare la miseria senza nome di tanti esseri umani, a cominciare dai più vicini. Ogni incontro autentico ha la forza di rompere l’isolamento in cui spesso oggi si vive e permette alle proprie parole di non rimanere pia emozione. Chissà che proprio quel cammino, che ogni giorno si fa per tanti sempre più faticoso, non sia finalmente un forte richiamo per ognuno a fare il primo passo. Quello decisivo che chiede di ripartire decisamente da se stessi!

L’unica cosa che conta …
Cominciare, quindi, a riprendersi la propria vita, forse sfilacciata in tante direzioni, accettando la fatica di portarla a unità; prestare nello stesso tempo attenzione a ciò che si muove nel cuore di chi ci vive accanto, alle inquietudini che gridano nel silenzio. Riflettere 4938a3839bfc5sul calore della propria comunità, sapendo che quando qualcuno si sente infelice, di null’altro al mondo ha bisogno se non di qualcuno che gli presti attenzione L’uomo è questo bisogno che va oltre la propria misura e, soprattutto nell’esperienza del fallimento, tende le mani verso Dio. In questo tendere le mani vuole coinvolgere tutti e qui pone la premessa per una cultura di pace, superando ogni cieca contrapposizione.

 “Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?” (Martin Buber). Interrogarsi e conoscersi è l’inizio della via che conduce all’armonia e alla pace. Perché se ci si nasconde a se stessi la vita non può diventare cammino. Se non si vede chiaro nell’esistenza, si rischia di perdere la gioia di vivere. E se si sfugge alla responsabilità della propria vita, si scivola nella falsità. Nel percorso, inoltre, nessuno è inossidabile e tutti quindi siamo un po’ uomini smarriti che cercano e ricercatori a rischio di smarrimento.

… per un modo nuovo di abitare la terra e la storia
Ognuno continua ad amare molto la parola ‘pace’, come anche ‘amore’ e ‘gioia’… E indubbiamente tutti vogliono un mondo di armonia e di pace: in se stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle e tra le nazioni… Anche i criminali lo vogliono! E nessuno è così spudoratamente perverso, da dichiararsi amante della guerra. Ma la pace senza giustizia è vera? La pace di una lobby di sfruttatori è la stessa cercata dagli oppressi? La pace delle multinazionali coincide con quella dei salariati sotto costo? E la pace voluta dai dittatori si identifica forse con quella sognata dai perseguitati politici?…

camminavaconloroIn realtà è solo ogni persona a decidere che cosa ‘deve controllare’ la sua vita. Per cambiare il corso violento della storia, c’è perciò una concreta catena d’impegno: quella formata da persone che vivono la pace come il proprio modo di essere. E c’è una pace – quella di Cristo – che trascende le circostanze e nei momenti difficili permette di dominare il proprio cuore. In ogni caso la pace vera non può essere solitaria; ha sempre a che fare con il dono, il dialogo e l’incontro, a qualsiasi livello. Perché vivere è dare, è donare gioia a qualcuno, senza aspettarsi in qualche modo il contraccambio. Dare per primi e in perdita. Questa è semplicemente la legge della vita, il Vangelo che è da Dio. In sé ha la forza giovane che mette a soqquadro la logica degli uomini e anche tutta la storia, perché fa risorgere il cuore. Così finisce fra le persone il gioco a competere e ad escludersi. E ripartono la vita e la speranza.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Solo strada, e ancora strada

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set 02 2013

La rivoluzione dell’ascolto – in quel viaggio della vita che è essenzialmente dentro se stessi – prende il via dal grido silenzioso dei ‘vuoti a perdere’ disseminati sulle strade di tutti. Obiettivo: trovare, per sé e per tutti, la luce che rende la speranza e la voglia di andare avanti.

Per un magnifico e irripetibile viaggio
Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è 8383292-eine-lange-strassela condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi presenza significa accettare il rischio dell’assenza (A. de Saint Exupéry).

Un immenso peso di lacrime è in tutto ciò che vive, mentre le strade e i luoghi delle nostre città sembrano diventare un teatro a cielo aperto, dove ciascuno finge di essere quello che non è nel disperato tentativo di trovare se stesso. Il frastuono urbano e mediatico confonde però e anestetizza le sensibilità più profonde dell’animo umano. Così – pur chiamati ogni giorno a ‘farci presenza’ per abitare la storia e non semplicemente subirla o evaderne – si finisce per non vivere. Si esiste appena, perché non si ama. In tale contesto di emergenza umanitaria che cresce proprio “sotto casa”, la strada può diventare il vero luogo dell’incontro e della conoscenza, del dialogo e della condivisione. Il luogo, insomma, da cui ripartire per essere presenti e imparare a guardare con amore chi ci sta intorno… E con l’impegno – secondo un detto francese – di: guarire qualche volta, curare spesso, consolare sempre.

AUTORITRATTOA chi, poi, lungo la sua strada è donato di incontrare Dio, come alle folle che seguivano Gesù, è  data anche la fiducia che, stando con Lui per rispondere al Suo Amore che è personale, qualcosa accadrà sempre nella vita. Il Cristo infatti parla nella verità agli uomini, dà loro di partecipare alla Sua compassione e di poter guardare gli altri come li guarda Lui. Nasce così la ‘casa’ dove si può guarire. Guarire se stessi prima di tutto: dal nervosismo e dalla fatica, dall’angoscia e dalla solitudine arida … E ricevere luce e forza per agire senza compromessi nella ferialità di una ‘vita normale’, senza protagonismi e senza vetrine mediatiche. Pur sapendo per esperienza e a proprie spese che nel cammino si incontrano ogni giorno “milioni di maschere e pochissimi volti…”.

Strada facendo, il  senso della migrazione
Un viaggio – men che meno quello della vita – non si fa mai da soli. Ma nei rapporti umani – come diceva R.M. Rilke – il problema è che si sbagliano sempre le distanze tra sé e l’altro… Troppo vicini… o troppo lontani. A volte, lungo la strada, si scelgono i propri compagni. Altre  volte ci si ritrova accanto a volti sconosciuti a vivere storie images3‘in bilico’, di cui non si riesce proprio a cogliere il senso. E allora è un po’ come camminare su fili sospesi nel vuoto, alla ricerca di nuovi orizzonti. Ci sono i “non luoghi” in cui si incontrano gruppi informali di giovani: i gradini di una  chiesa, il muretto, il marciapiede di fronte a un bar, la piazzetta… Luoghi tutti dove il più delle volte si realizza solo un tempo consumato, senza socializzazione. Il che spesso fa crescere il senso di profondo disagio e accentua l’isolamento, anche se di gruppo. Si può incontrare per strada anche qualche banda di ragazzini aggressivi, un po’ teppistelli, arroganti, ingestibili… Hanno lasciato la famiglia per maltrattamenti, povertà o per semplice avventura (solo per citare i motivi più frequenti). E si ritrovano in strada giorno e notte senza null’altro che la speranza di cavarsela e in grave stato di abbandono… C’è chi per cercare altre strade, si mette in cammino per la Giornata Mondiale della Gioventù (a Rio de Janeiro sono arrivati 3 milioni e mezzo di giovani italiani e una quarantina di vescovi!). E chi fa le valigie per motivi di studio, o per dare una svolta decisa al proprio futuro. Molti, dei tre milioni di disoccupati in Italia, sono costretti ad emigrare come ultima spiaggia di salvezza. L’impossibilità di costruire una vita indipendente fa nascere un’insoddisfazione troppo grande e il non vedere un futuro nel proprio Paese è una cosa che fa star male. Ma più forte è l’indifferenza – di cui il Papa nella sua giornata a Lampedusa ha chiesto perdono a Dio – verso fratelli e sorelle che “cercavano una via di speranza e invece hanno trovato la morte”.

… con il cuore del Papa: no alla globalizzazione dell’indifferenza
L’esperienza della finitudine, specialmente in questa stagione post-moderna, accomuna tutti gli abitatori del tempo. E la sofferenza del vuoto di senso, la mancanza di un orizzonte rispetto al quale orientare le scelte del vivere e del morire sono altrettanti volti dell’attuale condizione umana, qualunque strada ci si trovi a percorrere “Portate gioia nelle periferie della vita!” invita tutti ripetutamente e con forza Papa Francesco. E ai cristiani ricorda: ”Uscite fuori dalle nostre strutture caduche che servono solo per farci schiavi … Non possiamo restare tranquilli e diventare cristiani inamidati!…”. Il Papa a Lampedusa ha rotto il silenzio sul Mediterraneo-cimitero di emigranti, invitando tutti a “risvegliare le coscienze perché quello che è avvenuto non si ripeta”.

Farsi compagni di viaggio…
Senza titolo-1In realtà è solo una la forza che fa partire ogni giorno il cristiano, e ha nome Dio. Diceva ai  discepoli il Signore: “…non portate borsa, né sacca, né sandali…” (Lc 10, 4). Nulla di superfluo per essere discepoli. Solo un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico, uno almeno, a sorreggere il cuore per non perdersi a dubitare di se stessi. Senza cose. Semplicemente uomini. Guardando non alle difficoltà, ma all’orizzonte che si apre. Sono l’esperienza e il bisogno dell’Altro che aiutano ad uscire dalla prigionia della solitudine e dei frammenti. A volte però si riesce ad essere presenti solo nel silenzio e nell’impotenza. Eppure una stretta di mano, una carezza, un sorriso, se fatti a partire dal cuore, possono dire più di mille parole. Mentre difficilmente giovano a qualcuno parole astratte o facili consigli. Da qui in poi - scriveva Margherita Hack - speranza. La strada non c’è. Perciò la costruisco mentre procedo. Ecco la strada.

… dare un futuro all’ascolto e alla speranza
E Papa Francesco ripete soprattutto ai giovani: Per favore non lasciatevi rubare la speranza. Ma il  rischio di cedere allo scoraggiamento oggi è forte per tutti. Occorrono per credenti e non credenti occhi nuovi per ‘vedere’ e riconoscere lungo il proprio cammino la presenza del dolore che invoca risposta dall’amore. E poi riflettere insieme sugli interrogativi sollevati dalla sofferenza. Esiste infatti nelle prove una misteriosa azione di Dio che è da scoprire se ci si vuole riappropriare di una nuova visione del mondo e delle cose. Ma è necessario aprirsi al mistero senza pretendere risposte nitide e logiche ai propri interrogativi; imparare in qualche modo a con-vivere con le domande, fiduciosi che, poco a poco, con il diradarsi delle nebbie si profili l’orizzonte. È proprio la presenza vestita di umanità, suggerisce Benedetto XVI, a far sì che il soffrire sia luogo di apprendimento della speranza. E allora, se nera y1ptkhosd2lgdmuaylg3349o8ah1qlltzv_07chkmho9fmpskvolwosx5dq7otcuyg8è la notte e lontana è la casa, guidami Tu dolce Luce… Amavo scegliere la mia strada, ma ora guidami Tu, sempre più avanti! (J. H. Newman). La preghiera è la luce che permette di sognare strade e piazze che non siano più luoghi da percorrere velocemente con diffidenza e disinteresse, ma veri e propri laboratori di dialogo e confronto: improvvisati centri di ascolto e incontro. Antonio Machado ci affida il suo richiamo: Tu che sei in viaggio, sono le tue orme la strada, nient’altro. Mentre vai si fa la strada e girandoti indietro vedrai il sentiero che mai più calpesterai.

E quando la nostra meta sarà visibile all’orizzonte, forse guarderemo con tenerezza e con indulgenza ogni tappa di questo magnifico e irripetibile viaggio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

«Porta a scuola i tuoi sogni»

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ago 16 2013

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In vacanza è forse anche più facile maturare in competenza educativa la simpatia che si nutre per i ragazzi e l’esplorazione del loro mondo … Quali regole per proteggere dalle paure eccessive e dal senso di onnipotenza?

La scuola luogo di vita
 “A scuola il bambino si adatta all’idea che la paura sia uno stato d’animo normale e che l’intera vita debba essere vissuta nel timore della disapprovazione, del castigo, dell’esclusione” (M. Bernardi). “Porta a scuola i tuoi sogni” invitava lo slogan della campagna del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca – Testimonial Roberto Vecchioni –  per l’inaugurazione dell’anno scolastico 2012 nel cortile del Palazzo del Quirinale. Ma nel corso dell’anno scolastico abbiamo visto crescere in Italia il numero delle scuole fatiscenti e dei ragazzi disagiati e ribelli. In molte classi, diversi bambini disabili sono rimasti senza sostegno. Non sono mancate nei media notizie funeste: episodi di
ragazze bullismobullismo violento, spavalderia, provocazione … – segnali tutti di una crescita scomposta. Per i docenti continuano e diventano più gravi i problemi del precariato, dei tagli agli organici, classi stracolme, stipendi da fame … E per molti è il rischio di lasciarsi paralizzare da un disfattismo che di fatto deresponsabilizza.

Sarà proprio vero allora che quando un sogno è troppo lontano dalla realtà, può succedere di non riuscire più nemmeno a sognarlo?  Certo non aiutano a sognare le notizie che qualche docente – a scuola e con i più piccoli e indifesi – sia arrivato a trasformarsi in aguzzino e prevaricatore come nelle peggiori favole!

Ripensare la quotidianità che invoca ascolto
Viviamo in una società complessa e frenetica, dove le tentazioni e le distrazioni dei nuovi media sono infinite. Quali, in tale situazione, i veri bisogni dei figli, quelli indispensabili per la crescita? Quali le loro paure, i desideri? I modelli familiari oggi sono diversi e lo stress quotidiano si ripercuote sull’educazione. Non esistono più regole e valori universali. Come allora porre dei
separazioneefiglilimiti/regole in modo costruttivo? La scuola appare spiazzata da questa realtà assolutamente nuova. E il disorientamento della famiglia, della comunità cristiana e delle altre agenzie educative non è molto diverso. Ci si ritrova ad agire seguendo le proprie emozioni – positive, malate o malevoli che siano – senza riuscire nemmeno a trasformarle in parola. Fra i più giovani si percepisce un disagio diffuso, espressione di insicurezza e difficoltà  a interagire, anche con i pari. Come se qualcosa li spingesse a farsi del male … Più che crisi di valori però, questo ‘qualcosa’ è, in loro, forte sete di autenticità. Hanno bisogno innanzi tutto di percepire i propri genitori e gli adulti in genere come affidabili e chiari.

Se l’educazione non è peggiorata, il mondo è però certamente cambiato
BullismoGli adulti si ritrovano incapaci di delineare per i ragazzi orizzonti gratificanti e significativi e finiscono per lasciarli troppo soli nel costruire il loro progetto di vita. Fra le tante cose da fare, infatti, in qualche modo essi hanno smarrito il senso del tempo e corrono continuamente il rischio di non vedere e non riconoscere quel quotidiano, che invece è chiave di lettura per poter dialogare ed entrare in relazione con i ragazzi, con tutti e anche con se stessi. Nella fretta, e cercando inconsapevolmente consensi e applausi, si presentano spesso come chi detiene l’unico metodo educativo efficace; come chi possiede la verità e l’anticipa agli altri alla maniera del primo della classe. C’è però anche da dire che  ascoltare i giovani, la cui sensibilità appare tanto lontana da quella degli adulti, ed essere nello stesso tempo troppo presi dalle proprie personali fatiche, è decisamente non facile. Ne consegue che la crescita dei ragazzi, che sempre costa fatica e sofferenza, di fatto rallenta.

Rapporto scuola-famiglia: una sfida
L’alleanza tra scuola e famiglia è sempre decisiva per l’educazione dei ragazzi. Un tempo essa era fondata sulla soggezione della famiglia all’autorità della scuola e nello stesso tempo su un corresponsabile impegno che di fatto produceva solidarietà reciproca e confronto tra le diverse culture educative. Oggi invece i genitori tendono a ritenere i propri figli sempre irreprensibili: bravi, diligenti, educati… Così lasciano prevalere in sé atteggiamenti di diffidenza e a volte di conflitto nei confronti dei docenti. Lamentano ingiustizie e confondono i ruoli. I docenti (senza però generalizzare!) a loro volta accusano: gioventù pigra, insolente, irresponsabile! L’educazione insomma oggi è diventata una vera e propria sfida. Necessario e urgente un nuovo patto tra le scuole e le famiglie.

Scuola delle persone/scuola delle relazioni
bambino maltrattato maestraSi educa solo dove esiste un rapporto vero tra persone. Perché la conoscenza vera (quella che orienta e prepara alla vita) è e rimane ascolto e incontro. Non basta perciò pensare a una scuola delle tre «i» (inglese, impresa, informatica) se la ‘vita’ cui si pensa è solo quella dell’azienda, della società tecnologica, del successo e dei soldi… Certo è importante prendere in considerazione ciò che serve per orientare al lavoro. Ma ciò che va necessariamente dato negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza è un orientamento che accompagni nella fatica di crescere in umanità e contribuisca a costruire il tessuto di una convivenza veramente civile. Farlo con la discrezione e la forza dell’educatore che non si nasconde dentro la rigidità del proprio ruolo, o in qualche tecnicismo arido che rende meno appassionante la didattica. Se è vero – come è vero – che l’adulto è chiamato a ‘tirar fuori’ dal ragazzo il meglio e a sostenerlo nel combattere contro le sue contraddizioni, è inevitabile che il giovane si specchi nell’educatore assumendolo a modello comportamentale. Così se troverà solidità, diventerà solido; se troverà solidarietà diventerà solidale. Se troverà amore, saprà amare. Ma se troverà superficialità, rigidità o contraddizione, rimarrà superficiale, rigido, contraddittorio …

La competenza più difficile
… è proprio essere persone-in-relazione, impegnate a coltivare la propria umanità e ad esplorare con simpatia e interesse il imagesmondo di quanti condividono o incrociano il nostro cammino. Soprattutto il mondo dei ragazzi alla ricerca di orizzonti di senso, con le novità che essi esprimono e i messaggi impliciti che mandano. È appassionante aprirsi al coraggio di guardare avanti. Scoprire e realizzare quell’essere unico che ciascuno è. Intravvedere la forza della libertà. Percepire la suggestione di una umanità impegnata e la bellezza di pensare la vita non come la pensano tutti … Tutto questo libera nella persona desideri, sogni, utopie e certamente…educa!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

“La terra non basta per l’uomo”

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lug 31 2013

9923La diversità – cercata e accolta – relativizza e arricchisce, rende più pensosi e più consapevoli, distoglie dalla concentrazione spasmodica sulla vita terrena con la lungimiranza di chi pensa al futuro.

Davvero la diversità divide?

Una verità molto semplice di cui ognuno può fare esperienza ogni giorno: non è la diversità che divide. Essa anzi è proprio ciò che rende possibile l’incontro con, quello che mette in comunicazione e in comunione, l’obiettivo verso il quale con tutte le forze cerchiamo di muoverci in ogni istante, anche quando camminiamo per strade che di fatto ce ne allontanano. In realtà ciò che dà senso e fondamento all’intera esistenza umana e alla vita di ogni uomo è l’esperienza di relazioni vere, quelle che si realizzano non malgrado, ma grazie alle diversità e rimanendo in esse. Se questo è vero (come è vero), allora è proprio chi si trova a dover lasciare la sua casa, o a non averne ancora una, che contribuisce oggi più che mai a portare alla luce tale verità, perché “la patria del senza patria è l’altro’ (Flusser). Quell’altro che si fa approdo e non barriera, inizio e non fine di ogni speranza.  

Sull’onda dell’allarmismo…

Eppure nell’epoca della più grande mobilità della storia, stiamo assistendo a una massiccia e  crescente violazione dei diritti umani nei confronti di chi non ha terraferma_1casa: rom, immigrati e ‘senza fissa dimora’ sono gli ‘incriminati di dovere’ quando viene compiuto un reato. La legge Bossi-Fini in Italia non riconosce gli immigrati come soggetti di diritto. Li ammette solo come forza-lavoro, pagata a basso prezzo e da rispedire al mittente, quando non serve più. Le economie ne richiedono l’assunzione definendoli irregolari e dando loro un’identità che li fissa in una posizione di inferiorità e di mancanza di diritti: un esercito di invisibili ricattabile e sfruttabile.E questo nella quasi indifferenza dei cittadini italiani, che - in nome di una fantomatica ‘sicurezza sociale’ – sembrano aver fatto propria la trilogia: ‘immigrazione – criminalità e terrorismo – insicurezza’. In ogni angolo della terra peròzizzania e buon grano sono profondamente intrecciati, nascosti nel cuore di ognuno e di ogni cultura. Ed è quella zizzania che fa crescere un po’ dappertutto quei ‘fazzoletti di  periferia’ dove si ritrovano a vivere persone alle quali5807-barboni più che un tetto, manca un ‘focolare’. Persone sulle quali si posa quotidianamente solo lo sguardo fugace di chi passa o che vive lì accanto, e non vede e non osserva, perché non vuole osservare. Eppure è guardando i margini e le periferie che si scopre il centro. E attraversando l’altrove si può scoprire il proprio dove … Questo però se si ha il coraggio di lasciarsi aprire da chi si incontra, e non con un’apertura programmata a partire dai propri gusti e dalle proprie misure!! L’unità fra le persone non è mai esistita, come ci piace fantasticare, solida e immutata nel tempo. Essa va invece costruita, verificata, ristrutturata…

… l’ospitalità in azione è la sfida!

schermata-05-2456061-alle-23-29-44Non si tratta di sopportare eroicamente la diversità, in nome di una pseudo-convivenza pacifica e con tutto il fastidio e la diffidenza che essa comporta, per superarla però appena possibile. Via per costruire l’unità è farsi umilmente capaci di ospitare in sé l’altro che è sempre ‘diverso’. Darsi da fare cioè per creare insieme un ‘posto’ sicuro dove ospite e ospitato possano fare esperienza di fiducia e di accettazione reciproca, in cui sia possibile un’intima conoscenza reciproca. Il che richiede un vero esodo da se stessi, dal proprio piccolo mondo e opinioni verso il mondo considerato dalla prospettiva dell’altro. Lasciarsi disturbare dal mistero che l’altro è e spogliarsi della pretesa di possederlo e di manipolarlo richiede un passaggio che è rottura con l’essere concentrati su se stessi e non risulterà certo indolore.

Raul Follerau a questo proposito invita a riflettere: “Pensate a voi stessi, e poi pensate a voi stessi e infine ancora a voi stessi. E’ il vostro universo. Va bene. Ma allora non dite più che siete cristiani”. Non sarà che la verità di Dio uni-trino non ha ancora rivoluzionato realmente la mentalità dei cristiani, la loro coscienza, il modo di pensare e di vivere le relazioni? Non viviamo tempi facili, ma cristiani si è proprio nelle bufere storiche – grandi o piccole che siano – tenendo davanti agli occhi il criterio della croce, che permette l’unica esperienza davvero indicibile e affascinante della vita.

E muoversi verso l’unità nella vita comune

L’unità, parola  chiave del Vangelo, non è certo un elemento naturale nella vita insieme. È invece impegno interiore e sfida continua ad ascoltarsi a vicenda. Nel multicolored crowd #2percorso per imparare a farlo, il compito più delicato è quello delle persone che nel gruppo sono rivestite d’autorità. A loro infatti spetta di trovare la via per coinvolgere, attraverso il dialogo, nelle decisioni da prendere; di condividere le responsabilità interpellando chi forma il gruppo e accettando discussioni e consigli. È loro il compito di saper decidere e poi far sì che le decisioni prese siano eseguite. Nel momento in cui il sentire comune riesce a toccare il cuore di tutti i componenti di un gruppo, allora, dal magma delle differenze, si può arrivare alla costruzione di una decisione che ne esprima in qualche modo la passione. Certo non si può costringere nessuno all’unità, ma si può operare per promuoverla.

Purtroppo nel nostro quotidiano così limitato è più facile muoversi insieme verso una falsa unità. Questo succede quando l’autorità chiede un parere ad altri e non ai membri del proprio gruppo. Sollecita, magari con sincerità, la saggezza del proprio gruppo, ma si aspetta solo la replica di ciò che è già deciso. Impone insomma l’uniformità, che in genere il gruppo accetta: per tradizione, per interesse sociale, o semplicemente per abitudine. Così avviene che, preoccupato di dare risposte orientate a fare un unico punto di vista, chi riveste l’autorità non è in grado di cogliere le domande vere del gruppo. Il consenso in realtà non è mai condiscendenza. E soprattutto ci si può donare realmente solo a un gruppo che non si limita a tollerare le differenze, ma le cerca. Allora il consenso dei suoi componenti non perde vigore nel momento della prova.

I costruttori autentici e segreti della storia
santi 3Il progresso vero dentro la storia è nelle mani di tanti comuni santi anonimi, che non si lasciano fermare da ciò che ai più appare impossibile. La loro è una presenza leggera, che non dà giudizi. Sempre disponibili ad agire sulla propria coscienza, apprendono le differenze e le rispettano. Sono persone che abitano nel Vangelo e sono abitate dal Vangelo, dal quale attingono la certezza che ancora, sempre, una porta si può spalancare e niente è irrimediabilmente perduto se scaturisce dall’amore. Chi di noi non conosce o non ha conosciuto una di queste persone? Capaci di dedizione infinita, mantengono intatta la loro amabilità nonostante la durezza della vita. Sanno fare tutto questo, apparentemente in modo inspiegabile, nella gioia. E dopo di loro è più facile e più bello essere umani.   

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

Altruismo 2.0

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lug 19 2013

‘Volontari ad ore’ volano alto! Partono da presupposti culturali diversi, e sono accompagnati da un sentire positivo e inarrestabile dell’esistenza. Orientati verso un Oltre, agiscono per il bene comune e un mondo migliore. E sperimentano una gioia più matura e più forte della fatica e del dolore.

Nuovo orizzonte cercasi

The_cleaning“È grande vanto dell’umanità essere giunta a intuire l’esistenza di comportamenti che sono al  di sopra del piacere, del guadagno e dell’interesse; comportamenti che non hanno prezzo perché sono al di là di ogni apprezzamento terreno” (C. M. Martini)

In un mondo che va sempre di fretta e dentro una crisi fatta di troppe parole, zero fatti (o quasi!) e tanto interesse personale, il volontariato si evolve e anche in Italia diventa a ore. Sono i “volontari liquidi”, che cercano di bruciare in alcuni gesti il proprio patrimonio di calcolo e tristezze. Veloci, elastici e… migliori! Danno una mano, ma non accettano legami, perché non sopportano (o non possono  permettersi) un impegno fisso. In genere si limitano a un servizio mordi e fuggi. ‘Liquido’ si sta rivelando la formula giusta per questo nostro tempo. Di fatto risveglia bontà tra gli animi più insospettabili, in persone che non avrebbero mai pensato d’impegnarsi nel sociale. È il via al boom dei network della solidarietà flessibile! Altruismo 2.0, dunque: si consulta in rete il calendario di chi ha bisogno e chi vuole si prenota in base alle proprie possibilità e competenze: un nuovo modo per passare il tempo libero, un vaccino di gratuità che ridà alla società servizio vero e credibilità… In sintesi: un nuovo orizzonte!  

‘Chi posso aiutare oggi?’   

SOCIALE in giudicarie - officina del sogno“Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano  davvero”(Mahatma Gandhi). In realtà, radicati come siamo tutti nella società attuale particolarmente individualista, è facile pensare che dietro a ciò che il volontariato offre debba esserci necessariamente un guadagno. Si dà un estremo valore al guadagno immediato e si è restii perciò di fronte alla possibilità di fare esperienze che generano affetto, riconoscenza e possono aprire nuovi orizzonti sociali. D’altra parte quante sono le storie di truffe che arrivano alla cronaca e rendono difficile credere alla buona fede di chi opera onestamente! Così molti restano chiusi all’esperienza del volontariato. Per quello che li riguarda pensano di non avere il tempo, né le capacità necessarie.

Migrare dentro gli spazi di gesti liberi e totali

Volontariato2Si sta davvero come le foglie sugli alberi. Le stagioni passano e cambiano per tutti: così anche  la vita, la forza fisica, la mente … In ogni tappa e in tutti è la fame almeno di un sorriso, di una voce che in qualche momento cruciale domandi con il cuore: come stai? La fame di un semplice gesto, che pur muto e senza eco, risulta più utile di tante azioni clamorose. Perché ogni esistenza umana è abitata da una solitudine in-finita, mai finita, non solo nei luoghi di coppie separate, figli contesi, anziani soli… Anche nello spazio del vicino della porta accanto o in quello della persona che lavora nello stesso ambiente. Ovunque è possibile creare e vivere luoghi dove non si applica la legge del conto e dimenticare se stessi dietro il mistero del ‘tu’. Tali ‘luoghi’ quando ci sono, sono regno di Dio. E quando si mettono insieme costituiscono una rete di realizzazioni che realmente può cambiare qualcosa di importante sulla faccia della terra. Certo siamo perennemente in condizione di lotta, tuttavia abbiamo la certezza che la forza dello Spirito non ci mancherà mai ad orientarci.

Perché lo fai?’   

“Quello che ricevo è più di quello che do”, dice chi ne fa esperienza. Qualcosa di ‘mitico’ quindi,  che si riceve dalle persone cosiddette ‘senza’, delle quali ci si fa compagni: senza tetto, senza cibo, senza salute, senza amore, senza voglia di vivere…! Persone delle quali non ci si pre-occupa, ma semplicemente ci si occupa, come e quando si può! Se ad un volontario ad ore infatti si chiede di essere o di diventare esperto di qualcosa, è di fraternità. La sua grandezza è riuscire a riconoscere le ferite di qualcuno, farsi vicino e curarle per quello che gli è possibile. In questo modo ognuno immette nella società i valori in cui crede. Succede allora che anche la propria esistenza viene investita da quell’autenticità del vivere che il volontariato – ricevuto o donato – porta con sé.

Sabato altruista nell’ItaliaAltruista

registerCosì la rete americana HandsOn, già attiva in 12 Paesi (dall’Olanda alla California) e 250 città solo nel 2012 ha messo in moto 2,6 milioni di persone e prodotto un impatto economico di 600 milioni di dollari. La prima organizzazione nata in Italia è stata MilanoAltruista, dove in 24 mesi i suoi volontari sono cresciuti di sei volte. Poi è stata la volta della capitale con RomAltruista. Qui tutti i progetti si possono fare in gruppo e se l’esperienza piace si può continuarla. La maggior parte delle attività infatti si ripete con cadenza fissa. C’è chi al sabato sera non ha impegni e cucina per quelli che vivono sotto il cielo della stazione. Chi nel suo pomeriggio libero aiuta i rifugiati a studiare l’italiano e chi trova ai piedi di una persona anziana la migliore aula del mondo per imparare. In tutti i casi un’avventura straordinaria dello spirito, che consente di essere più autenticamente se stessi, più liberi e più responsabili.

Il cuore oltre il servizio…   

“Dovessi scrivere io un trattato di morale avrebbe cento pagine, novantanove delle quali assolutamente bianche. Sull’ultima poi scriverei: Conosco un solo dovere ed è quello di amare. A tutto il resto dico no”. È un’affermazione di A. Camus, cercatore – nella sua vita e in tutti i suoi scritti – di una salvezza sì ‘intrastorica’, ma che in sé conserva i brividi della trascendenza, nella convinzione che ogni persona reclama il volto di un essere e il cuore meravigliato della tenerezza. È anche una testimonianza che chi ha fede – fosse pure soltanto nel mistero dell’uomo – avverte che la sola strada possibile per 1255604ruc39w07u4una umanità che ha un destino più alto, è sperare in una società non necessariamente perfetta, che forse non ci sarà mai sulla terra. Ma in una società più giusta, più buona di quella attuale, che si costruirà con l’impegno di tutte le persone oneste e di buona volontà. Certamente ognuno può fare di più e meglio perché ognuno è chiamato a qualcosa di “più” bello nella vita. Altrettanto certo è che tutto ciò che viene costruito solo per amore rimane per sempre e nulla potrà distruggerlo. Può cambiare davvero una società difficile e complessa come la nostra. Attraverso un andare più in là che non corrisponde esclusivamente al bisogno, ma piuttosto a una chiamata più alta. È la speranza che vogliamo reciprocamente affidarci.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

 

Lettera Enciclica Lumen Fidei

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lug 09 2013

 

Lumen fidei Piccola

All’uscita della prima Lettera Enciclica di Papa Francesco (29 giugno 2013), qualcuno si è chiesto: ha senso indire un Anno della Fede (Benedetto XVI) e un documento ufficiale sulla Fede quando tutto il tempo del cristiano è un percorso di fede?

Perché, allora, i due Papi – in notevole sincronìa – proseguono in tale impegno dottrinario e pastorale?

Per comprendere, allora, la scelta del Magistero Pontificio occorre rivedere alcune situazioni che nel recente periodo sembrano essere divenute sempre più problematiche.

Una prima questione riguarda il significato della Fede in sé.

Se sul piano teorico nessuno ha osato confrontarsi con i Papi Ratzinger e Bergoglio, sul versante delle prassi, dei comportamenti, delle scelte contingenti, si è strutturato un indirizzo di pensiero che, nei fatti, non segue l’orientamento cattolico.

In alcuni fedeli, ad esempio, si è ritenuto utile accentuare un fideismo che, nel tempo,  non ha reso più bella la Chiesa, Sposa di Cristo.

Nel fideismo l’idea centrale è che fa tutto Dio. Il credente  rimane fermo. Attende. Non è chiamato a partecipare alla costruzione del Regno. Fa tutto la Grazia. L’essere umano deve solo aver fiducia in azioni improvvise e liberanti del Signore. Il fideismo, dunque, per evidenziare al massimo la Presenza di Dio pone in ombra l’impegno umano, la risposta a una vocazione.

In altre situazioni, il comportamento è caratterizzato da una linea opposta. Quella dell’indifferenza. L’indifferente non manifesta negazioni. Non fa polemica. Non si pone in contraddittorio con coloro che operano nelle comunità ecclesiali.

L’indifferente non è neanche spettatore. Valuta la Chiesa come una delle tante associazioni che nascono e muoiono nel modo. Punto.

Esiste, poi, una linea di comportamento che confonde la fede con la filosofia. La filosofia privilegia il ragionamento. E in più casi è stato dimostrato, nei secoli,  come la dottrina cattolica ha profondamente valorizzato il contributo della ragione.

Ma i passi di taluni filosofi non  condividono una fede ragionata, ma sospettosa. Per tale motivo si preferisce piuttosto esaltare il libero arbitrio, il metodo dubitativo, le tecniche di iniziazione  all’armonia del sé e alla sintonìa cosmica.

Alcuni filosofi, quindi, affermano di essere in cammino verso la verità, ma non riescono a superare un orizzonte immanente. Tutto è concentrato in schemi umani. In logiche umane. In conclusioni verificabili nell’immediato.

La fede, però, è stata anche letta come desiderio di eternità. E in questo senso, molti autori si sono agganciati ai riti naturali, ai culti ancestrali che privilegiavano ciò che vedevano (o che temevano).

In tal senso tutta la dottrina cattolica è stata messa in discussione: da Cristo che muore e che  risorge come altre divinità pagane, allo stesso significato del pane e del vino, alla verginità della Madonna.

Nei luoghi di sepoltura di diverse popolazioni si è arrivati  a scolpire l’entrata in pietra di aree sepolcrali con il disegno di una porta.

Anche l’acqua è divenuto sia un segno di separazione tra la città dei vivi e quella dei morti, sia un rito cultuale di purificazione, sia un immagine di vita.

A questo punto  la riflessione sulla Fede si è inserita in credenze ferme oggi davanti a sepolcreti che non comunicano nulla.

Una seconda questione riguarda la Fede cattolica.

Essa non è un trattato di auto-controllo. Non indica le fasi di tecniche liberanti in un oggi problematico. Non si pone come dottrina politica che svela finalmente il segreto di una liberazione totale.

La Fede, nel Magistero pontificio, basato sulla Parola di Dio e sulla Tradizione,  non spinge verso un’auto-salvezza. E non pone al centro lo sforzo umano.

La Fede è un incontro. Con una Persona viva. Che ha parlato. Che è entrata nelle case. Che ha mangiato con l’umanità presente in Palestina nell’Ora dell’Incarnazione.

Però, la Persona di Cristo non si è limitata “a fare amicizia”, ad essere “un semplice fratello”, a ideare forme nuove di comunità religiose capaci, ad esempio, di proseguire l’esperienza degli Esseni.

La Persona di Cristo è segno. Orientamento. Fonte di liberazione dal peccato e dalla morte.

Il segno non rimanda a consigli di semplice applicazione di norme di comportamento.

Il segno non è neanche un suggerire miglioramenti a vite comunitarie costruite intorno alla sinagoga, all’elencazione di precetti, al rispetto di formalismi.

Cristo è il Segno per eccellenza perché nella Sua unica Persona si trova vera umanità e autentica divinità.

Il Signore della Storia entra nelle storie umane ma le pone davanti all’annuncio della Buona Novella. Del Vangelo.

Il Signore Gesù è orientamento perché non addita solo dei traguardi, delle nuove prospettive, e  una novità in Lui, ma perché si presenta come il Figlio talmente amato dal Padre che addirittura diventa sacramento del Padre. Parola del Padre. Manifestazione del Padre. E, contemporaneamente, perché promette l’invio dello Spirito Santo. Il Paraclito.

Gesù di Nazaret, poi, è colui che libera dal peccato e dalla morte.

Tale aspetto, ancora oggi, non è sempre compreso dai fedeli. Perché?

Forse, perché – in assenza di una visione della Storia della Salvezza -  si arriva a ritenere che Cristo è un mero “protettore”. Qualcuno da invocare solo quando l’esperienza terrena diventa “valle di lacrime”.

Ciò ha in sé qualche elemento  di verità. Ma tale dinamica ha senso se il fedele si fa accompagnare in un itinerario di fede, di speranza, e di carità. Altrimenti, l’emotività prende il sopravvento.

Davanti a un mondo moderno, specie nella ricca area occidentale, che non ha scrupoli a investire su santoni, fattucchiere, portafortuna, analisi di segni zodiacali, carte, fondi di caffè, voci dall’oltre-tomba, e che non esita a consegnare capitali per una liberazione da fatture e malocchi, i due Pontefici del nostro tempo hanno chiesto a tutti i fedeli di invertire la rotta.

È questa la terza questione da affrontare. Che significa invertire la rotta?

Significa prima di tutto non cercare né sapienza umana né episodi “straordinari”. L’incontro con la Persona di Gesù avviene nel silenzio.

Nel raccoglimento. Nella partecipazione alla vita sacramentale. Nell’ascolto della Parola. Nelle opere di carità.

Forse, alcuni fedeli non si rendono conto che ogni giorno, quando il sacerdote celebra l’Eucaristia, avviene un miracolo straordinario.

Se “quello” è un miracolo che getta luce, grazia e che ribalta la stessa storia umana, che serve andare alla ricerca di altri fatti prodigiosi?

Ricordo ancora la figura affaticata di san Pio da Pietrelcina. Usciva dalla sacrestia. Si era già incurvato e in un’ora molto mattiniera iniziava a celebrare la messa.

Andava avanti rispettando i tempi previsti per quella celebrazione nella chiesetta di Santa Maria delle Grazie.

Poi si arrivava al momento della Consacrazione. Lui iniziava a recitare la formula. Tutto proteso in avanti. E si fermava.

Con i suoi occhi intensissimi fissava la particola che stava consacrando.

Che avveniva in quel momento?

Egli vedeva Gesù. Era consapevole della Sua Presenza.

Con l’andar del tempo il superiore, per obbedienza, gli ordinò di proseguire. E lui ubbidì.

Perché tale episodio mi torna continuamente in mente?

Perché in padre Pio c’era una continua testimonianza sacerdotale che richiamava al primato di Dio.

Forse, ma lo dico sottovoce perché non voglio criticare nessuno, le nostre moderne chiese parlano poco di una fede vissuta anche nel progetto di alcuni ambienti.

Forse, e lo affermo ancor più sottovoce, gli abiti indossati da alcuni sacerdoti e da taluni religiosi sembrano testimoniare il desiderio di entrare nel mondo con abiti laicali ove si fatica a individuare il prete (manca talvolta anche un piccolo Crocifisso).

Forse, e qui parlo proprio a fatica, è difficile pensare che i fedeli possano comprendere la centralità di Cristo nella Chiesa se, entrando in un luogo di culto, trovano al centro del presbiterio una sedia elegante riservata al celebrante e, spostato a destra, un tabernacolo disadorno.

Su questo punto sarebbe utile rileggere la lettera che proprio san Francesco di Assisi indirizzò ai sacerdoti.

Nel contesto sommariamente accennato si potrebbe far riferimento anche a degli stili che non aiutano a vivere la Fede.

Ha senso insistere su vesti liturgiche “all’ultima moda”?

Quale significato possono avere le croci ove il design evita di presentare il Crocifisso per accentuare i due assi della croce con curve eleganti?

E che valore di insegnamento può essere attribuito a Crocifissi di tipo gianseniano ( mani legate in alto a significare che la Salvezza è per pochi)?

In molti casi, alcuni richiami a un ritorno più rispettoso delle immagini religiose (di ogni tipo) sono stati accolti come una resistenza alla modernità. Come un non capire i “nuovi linguaggi”, le nuove “forme di comunicazione”.

Penso che non sia così.

E l’Enciclica Lumen Fidei lo conferma.

Pier Luigi Guiducci
Università Pontificia Salesiana

 

Finestre o muri?

Senza categoria | Posted by usmionline
giu 27 2013

libri7Il peso di ciò che diciamo – a noi stessi o agli altri, a voce alta o solo nella testa – imprigiona o dà libertà. Apre l’umano che è in noi a domande nuove o lo chiude alla fatica di trovare risposte.

Se sembra che io ti abbia sminuito, se ti è parso che non mi importasse prova ad ascoltare oltre le mie parole, i sentimenti che condividiamo (Ruth Bebermeyer)

Le parole traducono…
ParoleDANoi siamo le nostre parole. E nulla ci traduce (o ci tradisce!) quanto le parole. Il fatto è che esiste una parte oscura in ogni creatura umana: come un abisso sconosciuto dentro la propria anima. Un mondo di emozioni, dove pensieri e sentimenti vanno in direzione opposta e non permettono alla persona di orientarsi. Così capita molto spesso – e a tanti – di voler dire parole che siano finestre di speranza dentro una visione più serena delle cose. Poi, nella battaglia fra pensieri ed emozioni, come cavalli selvaggi e imbizzarriti che non si lasciano domare, dai meandri della propria anima vengono fuori indomabili parole di rabbia e di accusa. Con effetti devastanti. Per tutti.

… quello che siamo!
Ogni incontro in realtà mette a nudo il rapporto che abbiamo con le parole, quelle giuste e quelle sbagliate, quelle che uniscono e quelle che dividono. Le parole possono “creare distanza o aiutare la comprensione dei problemi. Usate in contesti diversi, le stesse possono risultare appropriate, confondere o addirittura offendere la dignità dell’altro” (S. Trasatti). Quando si comunica perciò occorre consapevolezza del peso delle parole che si usano e che sempre interpellano alla responsabilità, sincerità e correttezza. È necessario insomma che ognuno si adoperi per guarire le proprie parole. E che lo faccia non per interessi personali, ma per cercare il bene degli altri curandosi di loro.

Spesso usurate e rovesciate
ponte_haringUna battuta val bene una massa. Ma non tutti sono massa, e anche quelli che elettoralmente lo diventano per un po’, non lo rimangono (M. Tarquinio).
Soprattutto in tempi fibrillanti di campagna elettorale, le parole dei politici sono quelle che più di tutte appaiono senza contenuti. Indubbiamente le parole per ‘dire’, essi le trovano. E il messaggio che mandano è sempre lo stesso: votami! Certo ci sono politici e politicanti; c’è il parlare politichese quasi inaccessibile e il turpiloquio dal forte impatto emotivo. C’è anche l’uso sapiente della metafora e la forza dello slogan riuscito. È necessario imparare a distinguere. Ma se ‘antipolitica’ oggi è parola malata che ha contribuito certamente ad arrugginire il prestigio delle nostre istituzioni e ad allontanare molti dalle urne, il vizio che essa denuncia è imparentato alla stessa politica, che, negli ultimi anni ha prodotto una propria lingua separata e rovesciata rispetto alla realtà; tanto scissa dalla vita da apparire soprattutto auto-referenziale.
Quello della speranza a danno della gente comune e soprattutto dei giovani è stato il furto principale compiuto nella nostra civiltà. Intorno si grida chiedendo: “Fatti, non parole!”. ‘Fatti’… ma a cominciare da chi? L’espressione è tanto inflazionata che più qualcuno si appella ad essa, meno le sue parole produrranno i fatti a cui si riferiscono le parole. Sembra così che l’unico destino delle persone sia oggi quello di omologarsi acriticamente all’opinione e ai comportamenti più diffusi. Il parlare di tutti si fa perciò semplice ‘chiacchiera’ e non oltrepassa la superficie delle cose, mentre la sete di rapporti veri continua ad affliggere l’umanità e ogni persona.

Necessario guarirne l’uso in se stessi…
ponteCerto non c’è bisogno di inventare nuove parole per uscire dalla crisi di fiducia che ci blocca nel nostro agire. Basterà che per tutti libertà significhi realmente libertà, e privilegio – privilegio. Che la realtà torni ad irrompere nel Palazzo della politica, insieme a parole antiche, oggi tanto trascurate e negate: lavoro, scuola, sanità, famiglia, beni comuni, dignità riconosciuta ad ogni creatura… Che la realtà della vita contenuta in esse ritrovi lì spazio autentico e su questa via si evocherà nuova speranza! Ma anche nel quotidiano di ognuno la parola mette in luce la portata morale dell’agire. Che cosa può ridare profondità alle parole? Dove e come orientarsi? Certamente è necessario ripartire ogni giorno da se stessi e impegnarsi prima di tutto a non usare più le parole come pietre per colpire e uccidere. Fare spazio a quella solitudine che tanto ci fa paura aiuta a ricucire il rapporto con se stessi. Tornare ad ascoltarsi gli uni gli altri, senza avere risposte pronte e prefabbricate, lasciando l’altro libero di non dire e di essere come è, diverso da come potevo aspettarmelo…Allora, come un dono grande, ci si ritrova nel cuore parole guarite, così nuove che fanno brillare gli occhi perché lasciano intravvedere mete più alte e cammini più lontani. Tutto questo dà luce per prendere coscienza delle situazioni difficili intorno a noi e l’energia necessaria per non restare alla finestra a guardare.

…per un cammino di maturità affascinante!
1336727676265Kracov_The_book_of_Life“Chi ha imparato ad avere fiducia non trema, ha il coraggio di darsi da fare, di protestare quando viene detto qualcosa di spregevole, di cattivo, di distruttivo. E soprattutto ha il coraggio di dire ‘sì’ quando si ha bisogno di lui”(C. M. Martini).

Là dove è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, proprio il male tira fuori tante forze positive, il meglio32326_493122470761593_193461048_n dalle persone. Così chi è credente esprime la sua opinione. Interviene. Agisce. Sa che è chiamato ad aiutare il mondo a trovare una soluzione. Sa anche che è possibile spegnere fino in fondo la sete in-finita del cuore solo quando dal proprio ‘sentire più interiore’ si scopre in che misura si è conosciuti e amati personalmente da Dio. Allora si diventa liberi, davvero liberi. Non di fare quello che si vuole, ma liberi di amare. Di amare anche chi riconosciamo libero di voltarci le spalle. Proprio come Dio fa con noi. E il gioco della vita riprende e continua nell’intima relazione con Lui.

Luciagnese Cedrone
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