Potere e fragilità del comunicare

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gen 17 2013

È possibile oggi uscire dalla frammentazione dell’individualismo e tornare a guardare il prossimo come qualcuno a cui dare, prima di pretendere? La strada sembra essere l’uso fedele della ‘parola’ nella verità della propria vita.

Tra diversità e divisione
Comunicare è parola che inquieta e mette letteralmente in crisi, perché riguarda la comunità e l’essere in comunione, così insostituibili per la felicità dell’uomo. Troppe volte lasciamo che la nostra ‘comunicazione’ sia formale, vuota, debole, priva di un autentico coinvolgimento. Si parla per parlare, si gira attorno alle cose che stanno a cuore e si svicola… più o meno condizionati da preoccupazioni di opportunità. Così si evita di lasciarsi inquietare, ma si finisce poi per non comunicare.

“…È tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, Signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?” (Pirandello). Eppure la sfida più urgente della nostra civiltà – ce lo ricordava spesso il card. Martini – è imparare a comunicare e a convivere con i ‘diversi’: gli ‘altri’ della propria famiglia e della comunità di cui si fa parte e anche le persone che si incrociano per caso per strada o delle quali si conosce solo l’esistenza. La vera appartenenza di tutti infatti è al mondo globale e se si è pensanti l’incontro vero diventa possibile con tutti. Imparare a comunicare è la via necessaria per non imbarbarire nella chiusura e nella paura.

Quei diritti che restano negati
In un mondo globalizzato in cui le persone si muovono e si mischiano, l’incontro e il confronto diventano un’esigenza e una sfida che non possiamo più eludere… Circa un miliardo di esseri umani – un settimo della popolazione globale! – sperimenta oggi la sorte migratoria. Certo, fin dalla preistoria, i gruppi umani hanno abbandonato ambienti inospitali per cercarne di più propizi. Ma oggi l’emigrazione – con il continuo calvario di rifugiati e profughi che l’accompagna – è una galassia in agitazione. Dai due deserti affacciati sul ‘mare di mezzo’ arrivano urla disperate. Eppure nessuno sembra ascoltarle. I cristiani il più delle volte sanno dire solo: “poverini”. Trafficanti di uomini del ventunesimo secolo, più spietati dei negrieri del 1700, continuano ad agire più o meno indisturbati e a provocare la morte di migliaia di persone nel Mediterraneo. La dignità umana non è evidentemente compresa nel prezzo. L’allarme mediatico – che pure accompagna i nuovi sbarchi e le tragedie – finisce ogni volta con l’essere eco solo di se stesso, a cui subentra, indifferente e beffardo, il silenzio. Eppure ricordarsi dei dimenticati è mettersi accanto a Dio che non dimentica nessuno (Vladimir Ghika).

Intanto la mobilità cambia la vita, le relazioni, l’amministrazione… Ci chiediamo: sapranno i Paesi europei rispondere finalmente alla necessità di un maggior presidio umanitario nel Mediterraneo? Vorranno, insieme, impegnarsi a varare nuove misure normative affinché chi riesce a sbarcare non sia più costretto a vivere nell’illegalità? E noi, che non abbiamo direttamente in mano il potere, rimarremo solo a guardare, accettando supinamente tutto come se davvero non ci fosse niente da fare? Continueremo a vivere su due binari: quello ideale e quello reale?

In realtà ogni incontro, persino un semplice contatto, quando è vissuto da persona autentica, attenta agli altri, dimentica di sé e capace quasi di fiutare le situazioni difficili, può riempirsi di gusto e di ricchezza interiore. E lascia un segno nell’altro e nella storia.

Rendersi familiari gli uni agli altri
 “Il nostro futuro – ha scritto mons. Cesare Nosiglia nella sua coraggiosa lettera pastorale dedicata ai Rom e ai Sinti – è vivere insieme, come una grande famiglia”. In una famiglia si vive insieme, eppure nessuno è uguale ad un altro. Questo è il sogno di Dio. Di quel Dio che ascolta il grido del povero e che in Gesù ci ha mostrato il volto, le mani e il cuore di una persona umana aperta a tutti sempre e comunque; quel Dio che, a chi vuole seguirlo, ha comandato di amare anche i nemici e le persone che ci hanno fatto del male. Il cristianesimo ama le differenze e il cristiano non è e non può essere un uomo comodo, né per se stesso né per gli altri.

La consegna
È quella di rendersi reciprocamente familiari perché non siamo stranieri ma concittadini e familiari di Dio (Ef 2,20). Non si tratta di inventare gesti eccezionali; piuttosto di superare la tentazione dell’autosufficienza, evidente in ogni vita comunitaria e spirituale vuota e ripetitiva,  giocata prevalentemente in gesti esteriori. Imparare a vivere insieme richiede di coltivare la propria capacità di accoglienza nella vita quotidiana fino a creare rapporti in cui ciascuno ha qualcosa da ricevere e qualcosa da dare; fino a riconoscersi come diversi per guardarsi negli occhi e comunicare davvero. “Addomesticarsi”, insomma, reciprocamente e progressivamente, senza voler imporre a qualcuno quello che pensiamo sia buono per noi. Ma per riuscirvi è necessario incontrarsi nella verità e non in superficie.

La più grande impresa umana
L’esperienza dice che un confronto vero può verificarsi solo se ciascuno accetta di guardare le proprie fratture e lacerazioni. Nel quotidiano però è più facile scegliere di… non andare a fondo. Questo perché anche il dialogo interiore non è sempre facile. La diversità altrui istintivamente non ci piace dato che in qualche modo minaccia tutto quello che siamo riusciti a comprendere e a fare fino a quel momento.

Se la divergenza di opinioni può creare certamente una spaccatura nei rapporti umani, quando la si accoglie con disponibilità, dà più forza al pensiero, lo stimola e pone la base per un nuovo percorso. Sottrarsi al confronto invece rende ogni comunità meno… comunità. Chi siamo veramente infatti è in gran parte determinato dal rapporto che siamo disposti a costruire con le idee di chi ci sta vicino; quasi un combattimento quotidiano che sviluppa la personale capacità di pensare e di incontrare l’altro. Ma qualche volta, nonostante l’apertura sincera per un dialogo autentico, ci si ritrova respinti. Anche questo, però, insieme a tutte le difficoltà per una comunicazione degna di questo nome, può essere un bene e una benedizione perché obbliga ad andare ancora di più al cuore della comunicazione senza orpelli inutili.

Certo non è sufficiente la buona volontà per incontrare l’altro. Ci vuole anche umiltà. Quella umiltà che è capace di piegare in sé ogni pretesa di avere il metro di valutazione del mistero della vita. E la certezza di valere davanti al volto di Dio: il più potente antidoto contro il veleno della sfiducia. E poi… tempo! Ci vuole il tempo della vita!!!

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Pellegrinaggio di fiducia sulla terra

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gen 07 2013

Non hanno soluzioni facili da offrire. Si incontrano a Roma, dopo le tappe di Rwanda e Congo. Cercano di creare legami di comunione e di amicizia così necessari dappertutto sulla terra, impegnati come sono ad aprire nuovi percorsi di fiducia per una festa di vita insieme.

Semi per qualcosa di grande

Il pellegrinaggio di fiducia sulla terra, animato da Taizé per il 35° incontro internazionale ecumenico, dopo 25 anni è tornato a Roma. Dal 28 dicembre 2012 al 2 gennaio 2013, 42 mila giovani di tutta Europa – e non solo – hanno gioiosamente invaso la Caput Mundi, come un’ondata di preghiera. Rinunciando a qualche comodità per concentrarsi sull’essenziale, insieme essi hanno cercato nella fede la forza per costruire un mondo di pace, di giustizia e di fratellanza.

Da parte loro le famiglie romane, le parrocchie, gli istituti religiosi e persino gli anziani soli hanno letteralmente aperto le porte delle proprie case ai ragazzi. Segni, questi, di una Chiesa che dà fiducia e spazio; prova che si può vivere da fratelli superando paure, egoismi e diffidenze; conferma che la fiducia in Dio quando è autentica porta a trovare la forza interiore che fa divenire più umani e a rifiutare consapevolmente tutto ciò che disumanizza noi stessi e gli altri.

I giovani al momento dell’arrivo a Roma hanno ricevuto da frère Alois, priore di Taizé, le “Proposte 2013″che li hanno ‘messi’ sulla strada: 1. Parlare insieme del nostro cammino nella fede. 2. Cercare dove incontrare Cristo. 3. Cercare come affidarsi a Dio. 4. Aprirci senza paura all’avvenire e agli altri. Obiettivo di tutto il‘cammino’: scoprire le sorgenti di fiducia in Dio.

Il programma è realizzato dai pellegrini nelle quattro tappe previste. Essi hanno potuto infatti vivere intensi momenti di preghiera comune e di scambio reciproco nelle parrocchie e nelle basiliche maggiori della città; insieme hanno scoperto nei diversi quartieri dove erano ospitati segni viventi di speranza; si sono incontrati a gruppetti per confrontarsi su temi spirituali, artistici e sociali; hanno visitato catacombe e altri luoghi significativi della fede; hanno pregato con il papa Benedetto XVI per la pace; infine con la “festa dei popoli” hanno inaugurato il nuovo anno, risvegliando in sé le energie creative necessarie per uscire dalla mediocrità.

Dall’inquietudine alla fiducia
Uno sguardo troppo cinico verso la vita impedisce a tanti oggi di cogliere la dimensione fondamentalmente buona dell’umanità. La fede/fiducia – così in crisi nel nostro tempo – permette invece di superare le insidie del tempo e la stanchezza della storia. Frère Alois ha spiegato ai giovani che la fiducia in Dio contiene una chiamata: “accogliere in grande semplicità l’amore che Dio ha per ciascuno, vivere di questo amore e prendere il rischio che questo implica”. Il fatto di rendersi umilmente conto che così si fa l’esperienza della verità divina – ognuno a partire dal livello in cui si trova – modifica sensibilmente la fiducia che si può avere nella società e in se stessi.

Tra diversità e divisione …
Tutti siamo in viaggio verso una comunione più personale con Dio e una comunione più profonda gli uni verso gli altri, specialmente verso i più poveri. Eppure a causa delle divisioni presenti anche nelle nostre comunità cristiane, il sale del messaggio evangelico sta perdendo il suo sapore. La divergenza di opinioni troppo spesso costituisce una spaccatura nei rapporti umani perché minaccia tutto quello che ognuno è riuscito a comprendere e a fare fino a quel momento. Non sempre però la diversità è preludio di divisione. Se è accolta con disponibilità rinvigorisce il pensiero, lo stimola. Può diventare la base per un nuovo percorso. Certo la capacità di pensare in modo diverso dagli altri rimanendo però aperti e disponibili con chi la pensa diversamente è la più grande e impegnativa impresa umana. Richiede cuore grande, forte passione, sensibilità e soprattutto consapevolezza critica come banco di prova per le idee capaci di custodire il domani.

… necessaria nuova consapevolezza critica
Dal Pellegrinaggio di fiducia ci viene dunque un forte invito a ripensare tutto ciò che avevamo dato per scontato riguardo alla vita; a lavorare e ben pensare in un mondo diviso e in crisi per ridefinire il proprio posto in questo mondo e vivere al meglio nel nome di Dio.

I ragazzi, che si sono fatti pellegrini di fiducia per creare legami di comunione e d’amicizia,ripartono da Roma con il mandato di essere annunciatori di fiducia presso ogni uomo e ogni donna che incontreranno sul loro cammino. Ma quello stesso mandato è per tutti, ovunque ci si trovi a vivere. Come pure per tutti è la chiamata a riconciliare ciò che appare incompatibile –resistendo alla tentazione della rassegnazione o della passività –perché Cristo, venuto per riconciliare ciò che sembrava per sempre perduto, sulla croce ha teso le sue braccia a tutti. È Lui la via che spiega l’uomo all’uomo. Lui la nostra pace.  E la riconciliazione comincia quando finalmente guardiamo tutti insieme verso di Lui.

… per la più grande impresa umana
 “Ravviva il dono di Dio, che è in te”, ripete anche oggi a ciascuno l’apostolo Paolo. Credere è accogliere lo sguardo di fiducia che Dio ripone su ciascuna e su ciascuno di noi, è osare affidarsi al Suo amore. Un messaggio per molti difficile da capire e che nessuno comunque può pretendere di comprendere fino in fondo. Possiamo solo prenderci con fedeltà del tempo per ascoltarlo attentamente. Allora ci sarà donato di fare l’inaudita esperienza di essere amati. E se la nostra esistenza non è un caso, se la vita è un dono, se non siamo mai soli, allora non c’è più bisogno di dimostrare il valore della propria esistenza, o di erigere mura di autodifesa. L’altro non è più una minaccia. E anche l’instabilità della vita non fa più paura! Per la loro fede, fantastici giovani cristiani in Africa (ma non solo!) rimangono in piedi pur vivendo nel caos, nella paura e anche nell’abbandono. A noi suggeriscono di rifiutarci di fare separatamente ciò che possiamo fare insieme. Il pellegrinaggio di fiducia sulla terra continua insomma anche nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri nella vita delle nostre comunità dal momento che tutti in un certo senso siamo dei poveri. Cercare insieme umilmente il Suo Volto fa crescere nella solidarietà. Ci accompagna nel nuovo cammino la domanda posta ai pellegrini da Frère Alois: È possibile continuare a casa ciò che abbiamo vissuto qui? Come fare riferimento a Dio nella propria vita quotidiana?

Rispondere con coerenza è mettersi sulla via per esserGli testimoni fino alle estremità della terra.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Il nostro natale

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dic 20 2012

La liturgia della terza domenica di avvento e primo giorno della novena del Natale è un prepotente invito alla gioia e alla speranza. Nelle nostre assemblee liturgiche risuonano le note del canto “siate sempre lieti nel Signore” mentre nel vangelo Giovanni Battista, a chi gli chiede che cosa deve fare, invita a comportamenti di pace, di onestà, di rispetto, di sobrietà e di condivisione. Nello stesso giorno, giungono da lontano notizie terribili: la strage di 20 bambini innocenti in una scuola elementare, il suicidio di un ragazzo della nostra parrocchia, l’uccisione con 34 pugnalate di un uomo in un paese vicino al nostro e così via. L’elenco sarebbe davvero lungo.
Avvertiamo nella nostra mente e dentro il nostro cuore un profondo senso di confusione e di contraddizione.

Come ‘essere lieti’ ?
Il respiro di questa nostra società, che pur ci appartiene, si fa sempre più corto, pare che qualcosa di veramente grave la stia soffocando e portando alla deriva.
Eppure, dopo alcuni istanti di sgomento per notizie di eventi dolorosi gli uomini e le donne del nostro tempo e in particolare del nostro mondo consumistico e indifferente nonostante la grave crisi che lo attraversa, continuano quasi impassibili la vita di sempre, forse volontariamente ignari del baratro in cui stiamo precipitando.

Anche se in proporzioni minori rispetto agli anni precedenti gli unici affanni di questi giorni sembrano essere gli acquisti per il regalo, per il pranzo di natale e di capodanno, per il cambio del look, per le settimane bianche magari più corte ed economiche, ma che non possono mancare e che, se non ci sono, non è natale.
Se poi ci fermiamo un attimo dinanzi allo schermo della Tv, davvero non è difficile provare un profondo senso di desolazione: Natale è il panettone o il pandoro, il profumo di marca, l’auto sportiva, il telefonino nuovo, il divano sofà e chi più ne ha più ne metta. Tutto venduto come la bacchetta magica della felicità, del sorriso, dello star bene.

E ci vuol davvero poco per cadere nella trappola.
Basta farsi un giretto in questi giorni per i grandi supermercati e osservare gli acquisti della gente.

Siate lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti.
Ma allora qual è la vera gioia, quella che ci viene annunciata oggi? E qual è il suo fondamento?
Il profeta Sofonia ce lo annuncia con categorica chiarezza:
“Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” (Sof 3,17).
E’ l’annuncio dell’evento che fa scaturire e fonda la gioia del cristiano nonostante tutto, anche quando cammina in mezzo alle contraddizioni.

Il nostro Dio viene e rimane in mezzo a noi; sta in mezzo a noi come il Salvatore potente.
Nelle sue mani sono gli abissi della terra, sue sono le vette dei monti!
La salvezza non è una conquista, ma il dono di un Dio che manifesta in questo modo il suo amore, non volubile come il nostro, ma immutabile, eterno.
Come non gridare di gioia, come non rallegrarci in lui, oggi ed ogni giorno della nostra vita?
Ma ci rendiamo conto di questa straordinaria realtà che ci è data di vivere e che ogni anno nella liturgia del natale si rinnova?

Le nostre comunità fraterne sono testimoni di questa certezza o ancora si dimenano tra gli affanni di una vita piatta e intenta nelle cose da fare come se tutto dipendesse da noi?
I nostri volti trasmettono allegria e speranza e sono un invito per chi incontriamo a “non lasciar cadere le braccia stanche” ma a gioire nel Signore che è qui in mezzo a noi come Salvatore potente?
In questo tempo di crisi e di impoverimento anche per la vita religiosa sappiamo ancora stupirci e rallegrarci per i moltissimi germi di vita che nascono in noi e attorno a noi?

Mentre sto scrivendo queste brevi riflessioni, mi giunge questa notizia: “un gruppo di undici suore anglicane della Community of Saint Mary the Virgin sarà accolto a partire dal prossimo gennaio nell’Ordinariato personale di nostra Signora di Walsingham, eretto in conformità con la costituzione apostolica Anglicanorum coethus con la quale Benedetto XVI ha deliberato l’istituzione di Ordinariati, giuridicamente equivalenti a una diocesi, attraverso i quali i fedeli già anglicani, di ogni categoria e condizione di vita, possono entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica, pur conservando alcuni elementi della propria tradizione liturgica e spirituale”. (cfr. Osservatore Romano, 14 dicembre 2012, pag. 6).

Mi viene spontaneo ripetere con la liturgia: “rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora: rallegratevi” per questa rinascita nella comunione e per il dono di queste undici suore, dono che vogliamo custodire accompagnandolo con la preghiera e l’affetto fraterno.
Il nostro Dio non finisce mai di sorprenderci!
Che Egli ci trovi sempre più vulnerabili! Allora il nostro Natale sarà la venuta di un Dio che gioirà per noi, ci rinnoverà con il suo amore, esulterà per noi con grida di gioia (cfr. Sofonia 3,18).

Sr M. Viviana Ballarin, op
Presidente USMI
Vice-presidente UCESM

I giovani hanno qualcosa da dirci

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dic 14 2012

Mentre il presente non basta a nessuno…
Proteste indignate di giovani attraversano l’Italia e l’Europa. Il futuro davanti a loro continua ad apparire bloccato, incerto, triste. Di fronte a politici che sembrano voler rimanere asserragliati in fortini dorati, più o meno indifferenti alla quotidianità delle famiglie, i giovani rivendicano il diritto ad avere un futuro e un’altra Europa, che li comprenda e non li respinga con le politiche di austerity e di rigore.

A partire dalla scuola – dove il malcontento di studenti e docenti si è fatto totale – le mobilitazioni hanno coinvolto i tanti che cercano politiche concrete di welfare, lavoratori precari, disoccupati e insegnanti.

‘Firmare, controfirmare, vidimare, certificare, verbalizzare, sbarrare, registrareBasta!’ Gli insegnanti si oppongono allo stress burocratico assurdo richiesto per certificare la scuola con il ‘bollino di qualità’! E insieme ai giovani fanno lo ‘sciopero bianco’. Tra mobilitazioni di piazza, lezioni in strada, cortei ed occupazioni, studenti e docenti non mostrano alcuna intenzione di voler bloccare l’ondata di protesta dopo il 17 novembre – giornata internazionale degli studenti nell’anniversario degli eccidi nazisti di studenti e professori cecoslovacchi che si opponevano alla guerra nazista. I protagonisti delle proteste di oggi sembrano chiedere scusa non per ciò che fanno in questi giorni, ma per non avere avuto il coraggio e la forza di farlo prima. I raduni vengono in genere organizzati attraverso comunicazioni via internet o telefoni cellulari; le regole dell’azione illustrate ai partecipanti pochi minuti prima che l’azione abbia luogo.  

E mentre tutti – anche nella Chiesa e nella vita comunitaria – incorriamo facilmente oggi nel pericolo di lasciarci condizionare dalla «mentalità ristretta» dell’individualismo imperante, esigenze positive – che quasi sorprendono e che esprimono la bellezza e i valori della natura umana – emergono dall’animo dei giovani. Istintivamente essi rifiutano la mentalità tipica di questo secolo: guadagnare, godere, farla franca, imbrogliare gli altri. A questa nostra società rimproverano l’indifferenza per i bisogni dell’altro e la paura del ‘diverso’, la preoccupazione insomma di guardare soltanto a sé, fino a fare di se stessi un assoluto.

…crescono i germi di una unità di fatto
Nello sviluppo telematico attuale, l’uso dei digital media, di twitter e facebook in particolare, porta i nostri ragazzi ad essere più vicini fra loro. Insieme partecipano a manifestazioni per  cause che condividono e si aprono ai problemi sociali. Insieme si divertono e provano interesse per gli emarginati di cui in qualche modo sperimentano il disagio. Sentono fortemente il rispetto dei diritti umani che essi considerano inalienabili, pilastro sicuro per la costruzione di una pace vera. Uno stesso modo di pensare e anche di scegliere e di agire, si crea facilmente fra loro, anche se non sempre sanno servirsi criticamente delle reti informative.

Nel bene li amalgama una più forte coscienza della libertà personale, il gusto del progresso scientifico e tecnologico, il rispetto della natura per la quale svolgono una loro battaglia, il superamento di barriere culturali e nazionali, una consapevolezza diversa da ieri dell’essere donna nella società, una semplicità di rapporti fra ragazzi e ragazze.  

Non si tratta qui, evidentemente, di ignorare la parte negativa che è presente nel cuore dei giovani, come d’altra parte in tutti, persino nei bambini. E nemmeno si tratta di abbandonarsi alla paura per i gravissimi fatti di cyber-bullismo e simili riportati dai media di cui alcuni teenagers sono protagonisti. L’ideale sbagliato in qualsiasi persona è certamente pericoloso, perché conduce fuori strada; ma in tutti, e soprattutto nei giovani, si può correggere. Importante è non lasciarsi travolgere dagli eventi e imparare invece a pensare con le nuove generazioni, utilizzando pienamente – insieme a loro appunto – le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Ci è richiesto insomma lo sforzo di capire e condividere le esigenze vere dei ragazzi prima di voler insegnare loro qualcosa.  

Indebito orgoglio di sé
Il metodo giusto “non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l’intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee” (Card. Martini). In realtà l’approccio positivo verso i giovani sta sostanzialmente nella capacità di ascoltarli lasciando che ci parlino i loro comportamenti, il loro stile di vita, il loro modo di fare.

Ma l’adulto che è in noi, in genere e forse anche inconsapevolmente, ama esibire il suo sapere. Così sentenzia, esterna, impone i propri rimedi in ogni ambito, soprattutto lo fa con i giovani. Ma umiltà in fondo non è per tutti solo saper osservare negli altri ciò che possiedono, e in se stessi ciò che manca? Non è l’attitudine a lasciare che ci sia insegnato?

L’invito che ci viene dai nostri giovani è a riprendere con loro il cammino quotidiano con più consapevolezza e umiltà; e anche con la disponibilità a lasciarci toccare dai segni e dagli appelli che ci vengono, alla luce della Parola, dalla loro vita. Il richiamo è ad essere più coraggiosi e aperti; a considerarli sul serio collaboratori responsabili della loro stessa crescita umana e spirituale. Un dialogo alla pari, insomma, e non da superiore a inferiore o viceversa. Si tratta quindi di riscoprire insieme l’umano. Il che significa, oggi più che in altri tempi, riscoprire la bellezza di ogni relazione autentica.

Trovare la comune voce umana
I giovani hanno bisogno di fare l’esperienza che i legami non possono essere sostituiti dalle ‘connessioni’. Disconnettersi infatti è solo un gioco, mentre farsi amici offline – lo sappiamo bene – richiede un impegno concreto, fedele e anche faticoso. Internet però – ha ricordato a tutti recentemente Papa Ratzinger – non è solo un mezzo. È un ambiente di vita, di relazioni, di responsabilità. Un ambiente da abitare, quindi, per costruire insieme la cultura della relazione. E il Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione chiede ai credenti di intercettare e raccogliere la “perenne domanda umana di senso e di fede, che anche dalla rete emerge e nella rete si fa strada”, insieme allo stile dialogico e interattivo – nella comunicazione e nella relazione – che i social network hanno accentuato. A noi ora assimilare e far crescere questo contributo.

In tale impegno comune, autostima è una delle parole magiche che meritano la fama di cui godono, un bagaglio dal quale è possibile tirar fuori il necessario nelle situazioni difficili.

Certo Dio solo sa come va davvero il mondo. Nel nostro cuore è la certezza che la Sua Provvidenza è sempre misteriosamente all’opera.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Quando la realtà disturba

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dic 06 2012

Con la coscienza che rende ognuno insostituibile e solo, farsi compagni di viaggio di tutti, per cercare insieme la verità delle cose e degli uomini, prima e più della propria sicurezza.

Immersi nella bufera della storia…
“Noi ignoriamo questo mondo che ci circonda, che cammina a fianco, ma contro la nostra fede e la nostra concezione della vita. Noi lo ignoriamo perché non lo amiamo come si deve. E non lo amiamo perché semplicemente non amiamo”.
Così scriveva Giovanni Battista Montini in una lettera circolare per la giornata fucina del 1927. Eppure il suo monito risuona attualissimo per noi, immersi oggi insieme a tanta gente in una inedita complessità di situazioni e dentro una temperie culturale in cui ciò che ognuno vuole sembra essere la definitiva e unica legge.
Anche in questo nostro oggi il problema è tutto nel conoscere e nell‘amare come si deve o più semplicemente nell’amare il mondo reale che ci circonda. L’amore certo non si comanda, eppure, quando c’è, comanda tutta la vita fino a trasformarla.

…per entrare nella realtà che ci circonda
Ma come cercare con intelligenza le attese delle persone, i problemi del proprio territorio e del mondo globalizzato? C’è una via per sentirli propri? E come coltivare quella riconoscenza in cui poter cercare e riconoscere i beni che non hanno bisogno di essere divisi per appartenere a ciascuno?

Certamente è nel quotidiano e nel cordiale incontro delle persone che può crescere la coscienza di essere cittadini e l’opportunità di occuparsi insieme della cosa comune. Il reciproco riconoscimento fraterno e l’amicizia -vere radici di ogni possibilità di convivenza- possono essere sperimentate solo nella quotidianità sofferta e partecipata.

Il peso e le possibilità del quotidiano
Il reale che ci circonda però ha un suo peso specifico non sempre tollerabile. Tante volte sentiamo ripetere (o diciamo noi stessi): Una volta ci si comportava diversamente … Ai miei tempi questo non accadeva! Indubbiamente c’è stato negli ultimi anni un accelerato cambio di costume e di coscienze. Certamente è sempre più facile cogliere la decadenza dei livelli di moralità negli altri e nella società che in se stessi; se non si ha, comunque, una soluzione per risolvere un problema, la realtà diviene ‘pesante’. Allora è facile fermarsi a guardare alle proprie forze, avere la sensazione di non farcela e sentirsi finiti. È facile anche perdersi in sogni di fuga e di evasione e dimenticare che la vita si gioca nel fidarsi. Sì, il raggomitolarsi in se stessi e la paura tagliano alla radice il movimento di fiducia nella vita. Comprendere invece che Dio è presente con noi in tutti i momenti misteriosi, nascosti e difficili della nostra esistenza fa sentire rinati.

La luce può venire dal groviglio del cuore
L’oggettiva difficoltà di sapere cosa sia più giusto fare per il bene comune quindi non dipende solo dal groviglio di legami esistenti all’interno dell’ambiente nel quale la persona vive e da cui ogni giorno cerca di districarsi, ma dipende anche dal groviglio che è dentro il suo stesso cuore. Siamo portati spesso a chiamare verità ciò che ci fa più comodo ed errore quanto ostacola i nostri desideri, perché accettare la verità morale può comportare di cambiare le proprie abitudini e questo forse non è facile per nessuno. Può anche accadere che atti i quali esteriormente appaiono scorretti, per la persona che li compie sono conformi alla sua coscienza. Ci sono quindi resistenze soggettive ad arrendersi alla verità. Dà fiducia però il fatto che in questo cammino non si parte mai da zero. Ognuno può trovare risorse positive nella propria personalità morale e anche aiuti di natura oggettiva dentro la propria comunità di appartenenza per potersi orientare e trovare una verità ‘pratica’.

Che fare allora?
La verità esiste e va cercata, disposti ad accoglierla sinceramente in sé, va cercata insieme. Nel dialogo – con gli altri e con le loro esperienze – è possibile procurarsi informazioni più veritiere sulle situazioni. Rimane difficile comunque uscire del tutto da sé per lasciarsi coinvolgere nelle realtà che ci circondano (famiglia, comunità in cui si vive…). Riconoscersi appartenenti e farsi partecipi di un destino comune aiuta ad effettuare quella conversione che comporta poi un totale rivolgimento nella propria visione della realtà.
Un proverbio indiano definisce l’età adulta come un ritirarsi nel bosco. Il che significa imparare a riconoscere i propri limiti e saper fare anche un passo indietro se necessario, nella convinzione che la verità va sempre servita e mai asservita al proprio interesse. Il top sarebbe riuscire a non togliere a nessuno la possibilità di ricredersi. E soprattutto non togliere a se stessi il dubbio di aver commesso degli errori, ricordando anche che la divisione a volte può nascere addirittura dalla pretesa di essere i primi ad amare e ad amare di più, mentre l’altro dice il contrario.
Farsi compagni di viaggio nella ricerca della verità permette di apprezzare davvero il valore delle cose più semplici e insieme di fare la propria parte per migliorare la vita. Rimane vero -secondo l’insegnamento del futuro Paolo VI- che la strada maestra per conoscere il bene è amare: più si ama il bene, più lo si conosce, perché nella conoscenza del bene esiste una priorità del cuore sull’intelligenza.

La Verità assoluta esiste e ci sovrasta. E a ognuno è chiesto semplicemente di:
- Volgere tutti i propri sforzi a cercarla con tutte le forze, nella giustizia, nell’uguaglianza, nella pace. Allora forse si potrà comprendere che il limite è la grazia che mette la persona al riparo dalla pretesa di essere quello che non è.
- Conquistare il coraggio di restare, senza fughe e senza soluzioni immediate, anche nel cuore del disagio.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Dal “paese” della lontananza…

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nov 26 2012

Con una mente inquieta, spesso stracarica di passato o ansiosa per il futuro, l’uomo di oggi è facilmente ”altrove” rispetto al suo presente. Febbre di correre… ma verso dove?

Come “fanciulli in balia delle onde” (Ef 4,14)
Qualcuno ha definito l’uomo occidentale “uomo in viaggio”, “uomo al volante”, sempre più lontano da se stesso e dal ‘mistero’ della vita in cui è immerso. Il movimento (sia esso fisico, o lavorativo, o comunque umano) in realtà scandisce un po’ tutto, come se fossimo investiti dal diritto-dovere di correre. I viaggi in cui siamo impegnati, per piacere o per lavoro, rappresentano un po’ il sintomo di una frenesia che sembra proprio difficile riuscire a contenere, ma che ci porta lontano da noi stessi e dal presente.

Con calcoli di riuscita
Abbiamo iperorganizzato ogni ambito dell’esistenza. Il che richiede attenzioni crescenti e competenze sempre più specifiche. Mille impegni riempiono la nostra agenda quotidiana: le tasse da pagare e le bollette da controllare; le riunioni alla scuola dei figli e i loro problemi; le attività sportive dei piccoli, quelle di catechesi e la necessità di accompagnarli e tornare a riprenderli. E poi il lavoro, la spesa e la rete sempre più fitta di comunicazioni: telefonate, e-mail, SMS, segreteria telefonica… Così, mentre la vita con il tempo che ci è dato sembra sfuggirci di mano, le parole – sempre più parole – ci immergono in un’accelerazione convulsa.

…in ricerca del Mistero
L’attivismo sembra essere dunque la parola d’ordine del nostro tempo, quasi un’ossessione… Poco importa che esso sia finalizzato a fare soldi o a cambiare il mondo; a fare semplicemente quello che fanno gli altri schizzando a destra e a sinistra per sbarcare il lunario, o nell’illusione di valere di più, quasi ci fosse una coincidenza fra il fare e l’essere.

-Una ricerca della Federazione di Asl e Ospedali (Fiaso) ha messo in luce che un dipendente su quattro riporta sintomi conclamati di stress da lavoro. L’assenteismo per stress in Europa fa perdere ogni anno 20 miliardi di euro. Pare che i fattori di rischio possano essere ridotti soltanto dalle aziende capaci di ascoltare i propri dipendenti e di trattarli con rispetto.

-Anche i nostri bambini appaiono stressati, ansiosi e stanchi, tanto che in molti casi hanno perduto persino l’abitudine al gioco. Abbiamo organizzato le loro giornate fin nei minimi dettagli, eliminando praticamente i momenti liberi tra scuola e attività extra scolastiche. Così sempre più spesso capita che i più piccoli manifestano il loro malessere con l’iperattività, oppure con il suo esatto contrario, l’apatia e la noia… Campanelli d’allarme che chiedono di provare a rallentare i ritmi.

-La cosa buffa è che anche coloro che potrebbero risparmiare energie, come i pensionati, si lamentano per troppi impegni.

-Se proviamo poi a interrogare le nostre vite per capire come in esse stanno realmente le cose, forse troveremo la conferma di ciò che andiamo annotando: anche in noi non sono sempre ben chiare le priorità…

Chissà, forse è vero che persone di maggiore qualità sono quelle tentate di disperazione, perché molto si aspettavano e nulla è venuto!

La vera posta in gioco
In realtà la grandezza di uno spirito si misura dal grado di verità che è capace di sopportare e la vera posta in gioco è l’apertura all’invisibile, l’esperienza del Trascendente. C’è “una leggerezza, una grazia tutta speciale nel puro e semplice fatto di esistere, al di là di tutti gli impegni professionali, dei sentimenti intensi, delle lotte politiche e sociali” (Françoise Héritier). Per sperimentare la verità di tali parole, è necessario imparare a riappropriarsi di se stessi e ad apprezzare l’attimo; ripensare, a tutti i livelli, la gerarchia dei nostri impegni per stabilire un corretto e giusto ordine delle priorità.

Cammini silenziosi
In un’era critica come la nostra, la gente – credente e non credente – vuole riassaporare in tutto ciò che fa e che è, il gusto della vita, nei suoi attimi più semplici. È come se sentisse il desiderio di distrarsi dai suoi problemi quotidiani, che oggi in gran parte sono di ordine finanziario; avverte il bisogno di dimenticare quel certo vento amaro e rabbioso che tutti sentiamo soffiare sul nostro Paese.

Ma nella realtà nessuno degli istanti di cui sono fatti i nostri giorni può essere mai definitivamente posseduto e tanto meno comperato con il nostro ‘correre’ e darci da fare. Continuano a vivere in noi infatti quelle ragionevolissime paure (che si possono riassumere tutte nella paura della morte: quell’ultimo atto che inesorabilmente ci separerà da chi amiamo!), che ci tentano alla corsa e alla fuga. Ma se nella febbre di correre per andare sempre più in là, si perdono le vere motivazioni del ‘viaggio’, allora si rischia grosso. La tentazione più grande è quella di spegnere il desiderio e di fermare il cammino, di sentirsi arrivati, dominatori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del viaggio. Ogni essere umano infatti è un cercatore di senso, bisognoso di un orizzonte che vinca il silenzio della morte e dia valore alle opere e ai giorni. 

Nelle istantanee del quotidiano: grandi resistenze…   
Se penso di valere qualcosa solo perché “quello che ho me lo sono guadagnato”, allora la fede non è cosa per me. È possibile invece – ci ricorda Benedetto XVI – vivere senza ansia o paura, facendo della nostra vita come «una scommessa, un esodo, un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze e schemi mentali», per affidarsi a Dio; e imparando ad ascoltare la voce profonda dei desideri che lo Spirito mette nel cuore di ogni sua creatura.

…e tracce di felicità
Se “la gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali” – come si esprime Paolo VI – rimane però vero per tutti (non solo per i cristiani) il fatto che l’abitudine a cogliere con occhi nuovi e con gratitudine le piccole cose felici che formano la quotidianità, fa sentire vivi. Così le piccole e spesso banali esperienze di vita, i suoi attimi d’intensità, guardati da un’altra prospettiva, svelano il loro significato più intimo e diventano di grande spessore.

Importante è avere l’abitudine a cercare e ri-cercare sempre, la pazienza di farsi prossimo a qualcuno gratuitamente e senza guardare l’orologio che corre, la fiducia nell’onnipotenza dell’amore che è onnipotenza inerme. Siamo mistero a noi stessi e la vita è un attimo. Resta solo l’eterno amore che sopravvive a noi perché Dio è amore e il ‘sale’ della vita può essere trovato davvero dappertutto, anche nell’accarezzare la pelle dolce e rugosa della vecchia signora, che abita accanto a noi.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Voglia di buona Europa

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nov 15 2012

 

L’economia si muove verso un respiro umanistico
Quest’anno il Nobel per l’economia è stato assegnato agli americani Alvin Roth e Lloyd Shapley, due docenti esperti di scienza economica. Hanno insegnato una cosa semplice e grande: il mercato – che è interazione tra persone – non è per forza più efficiente se affidato al metro del denaro. I due esperti lo dimostrano insegnando strade diverse, molto più furbe, per ottimizzare la vita economica di una comunità. Arrivano a tale conclusione dopo aver dedicato gran parte del loro tempo ad osservare e studiare il comportamento delle persone. In particolare: Roth ha collaborato a ridisegnare meccanismi per la selezione di medici al primo incarico, per le scuole superiori di New York e le scuole elementari di Boston. E Shapley ha dimostrato come la creazione di un metodo per far incontrare domanda e offerta può beneficiare sistematicamente una o l’altra parte di un mercato.

Con il loro contributo, il pensiero umano si avvicina, lentamente e inesorabilmente, ad una faticosa conquista: il denaro non è la misura di tutto! Se, per esempio, l’accesso a una risorsa limitata come l’istruzione universitaria viene riservato a chi porta più denaro; se nei  concorsi le raccomandazioni continuano a vincere sui meriti; se il progetto Erasmus – nato con lo scopo di cementare l’unione tra i giovani della Comunità europea – è diventato più elitario perché sono diminuiti i fondi e così i giovani avranno meno esperienza di vita … Tutto questo oggi non è più solo ingiusto! Shapley e Roth lo hanno dimostrato e insegnato: è semplicemente stupido, perché il mercato è da gestire e non da subire.

Il messaggio che ci viene da questo Nobel rende meno triste la ‘scienza triste dell’economia’. Ci rivela che la cultura globale si muove nella direzione del respiro umanistico, la via lungo la quale il Vangelo potrà penetrare anche nella cultura oggi emergente. Tutto questo apre certamente il cuore alla fiducia. In tal senso ci sono già segnali positivi nel mondo: imprese che hanno scelto di mettere la persona al centro del proprio processo economico; banche che non fanno speculazione, ma più semplicemente finanza per il mercato. Il modello di società in cui viviamo, insomma, non è l’unico possibile, ma è solo il frutto delle nostre decisioni.

La speranza e gli scartati 
D’altra parte il segnale da Facebook è chiaro: la voglia di buona Europa cresce e si fa sempre più forte su tutti i fronti … E l’altro Nobel, quello assegnato all’Unione Europea - che è stato letto soprattutto come un riconoscimento ai Padri che seppero intravvedere il percorso della pace e dell’Unione – mentre riconosce all’Europa il merito della pace più lunga mai vissuta dal Continente, incita tutti a sognare e a muoversi nella direzione di una speranza più fondata.

Ma è necessario svegliarsi dal sonno della logica ancora dominante e da quello delle coscienze. Conosciamo bene infatti i guai economici dell’Europa (… per riferirci al nostro continente), i discordi interessi tra le nazioni e le classi sociali; conosciamo il lavoro precario, le diseguaglianze crescenti e la disperazione; ci giungono quasi ogni giorno notizie intorno alla corruzione che ha inquinato le nostre istituzioni, mentre nelle cronache giudiziarie italiane si susseguono notizie di arresti clamorosi e condanne per reati commessi da personaggi ufficialmente impegnati a servire l’economia nazionale.

Richiami e drammi della storia
In tale situazione sembra che nessuno abbia voglia di ricordare che:
- è in fermento anche un’altra realtà: quella globale
- si rischia la guerra tra Israele e Iran
- la Palestina è disperata
- la popolazione siriana è all’estremo delle sue forze
- l’Africa è sempre percossa da flagelli e da conflitti tribali
- Con l’elezione del Presidente negli Stati Uniti si gioca in qualche modo il destino del mondo …

Economia non è solo profitto …  
La diffusa convinzione della nostra società è che il potere (a partire da quello che si concretizza nel denaro) è un bene, e che chi lo possiede non può fare altro che desiderarne di più. Così circondati da tanto potere è facile cedere alla tentazione di ricercarlo come fanno tutti gli altri. Occorre invece non rassegnarsi alla supremazia del mercato, dove la produzione a tutti i costi cancella ogni valore. È necessario cioè saper leggere e interpretare i fenomeni sociali determinati dalla globalizzazione “con intelligenza e amore della verità”. Un bisogno crescente di giustizia vive in ogni angolo della terra. Lo spazio dunque è quello globale.

… è umanizzare la globalizzazione
Il punto è trovare nuove regole, nuovi vincoli e garanzie, nuovi incentivi e nuovi orizzonti per un’economia di liberazione e una democrazia realizzata. E la via è tornare al centro, al cuore, per non perdere le motivazioni che orientano al bene comune; raccogliere le speranze e le angosce dei poveri, anche quando questo significa rischiare la persecuzione. Perché l’autentica e grande speranza (quella trascendente) può essere mantenuta in tutti solo con i segni della speranza storica. Il mondo dei poveri ci insegna come deve essere l’amore cristiano, che cerca sicuramente la pace, ma smaschera il falso pacifismo, la rassegnazione e l’inattività.
Centinaia di migliaia di persone rischiano ogni anno la vita per arrivare in Italia e in Europa, trovarvi un lavoro e mettere su casa. Lasciano dietro di sé una tragica scia di morti pur di fuggire dall’inferno in cui vivono. Per loro l’Europa è la ‘speranza’ anche se a molti europei d’oggi sembra piuttosto una terra di desolazione.

Il Nobel all’Unione europea allora significa – insieme al riconoscimento per la pace realizzata in 60 anni – un augurio, un’esortazione e la fiducia che i giovani, con l’intelligenza e la passione che li caratterizza, sappiano raccogliere il meglio di questa nostra Europa, lo facciano crescere e diventare storia quotidiana.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

In cerca di cielo

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nov 05 2012

Nel mondo occidentale l’odore dei soldi toglie lucidità a troppi e chiude il cielo. Nei pochi che con la bellezza di una fede radicale lo tengono aperto, è tutta l’umanità che trova la sua via per uscire vincitrice da tempi tanto insicuri.

Figli di polvere corrotti dal potere…
Troppi gli scandali in questo nostro tempo, tanto che la vera notizia è qualcuno ‘in alto’ che non ruba. Così anche sulle pagine dei nostri quotidiani il denaro, realtà o sogno che sia, occupa tutti gli spazi. La vita è uno schifo, comincia cinicamente a pensare qualcuno! Comanda solo chi ha le tasche piene e il più delle volte lo fa per riempirsele meglio. Anche il Papa, ricordando l’invettiva di san Giacomo contro “i ricchi disonesti”, ha richiamato con forza alla equità e moralità, a tutti i livelli.

…e realtà viventi
Eppure esistono in mezzo a noi realtà di cui si parla troppo poco. Nel nostro Paese c’è chi vuole e sa vedere; chi ha il coraggio civile di porsi e porre domande e si dà da fare in prima persona per cambiare le cose anche quando sembra che non ci siano intorno orecchie per ascoltare. Gran parte del Paese reagisce agli scandali della politica e alla corruzione. Dalla gente comune viene un grido di opposizione contro lo strapotere del denaro che detta le regole e crea una società ingiusta scrivendo sulla filigrana delle banconote il futuro dei padri e dei figli. Le nuove generazioni, che hanno gli occhi più puliti e riescono a vedere più chiaro, percepiscono l’angoscia del momento – anche attraverso lo sbandamento dei genitori di fronte all’urto della crisi – e scendono in piazza. Dunque non siamo ‘morti’. Dunque se si vuole si può fare resistenza a ciò che è disonesto, perché nella vita c’è altro. E lo sbocco ad ‘altro’ si può trovare con intelligenza, con forza e senza violenza.
In tutto questo non si tratta di costruire un mondo a misura della propria pretesa o attesa. Nemmeno di smussare e bacchettare continuamente il mondo in cui viviamo perché diventi di nostro gradimento. Il senso alla propria vita, infatti, nel ‘mondo’ di ogni tempo, non lo danno gli amici o i nemici,  il buio o la luce degli avvenimenti, ma il come vengono vissuti.  
Anche quello in cui viviamo è semplicemente e sempre il mondo concreto e insostituibile che ‘Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito’ (Gv 3,16): il luogo del nostro incontro con Lui.

Responsabilità individuale e ordine sociale
Il cambiamento della società è di secondaria importanza; esso avverrà naturalmente, inevitabilmente, quando voi, come esseri umani produrrete questo cambiamento (…) Voi siete il mondo.” Sono parole che Jiddu Krishnamurti -filosofo apolide di origine indiana – amava ripetere. Ma è possibile davvero diventare capaci di cogliere e di agire questo rapporto vitale fra noi e il ‘mondo’, fra ciò che siamo ‘dentro’ (e che interiormente condiziona i nostri rapporti umani) e la struttura sociale esteriore? Comunque sia ci vuole un grande coraggio per avviare in sé una rivoluzione interiore seria e coerente, da cui possa prendere forma una rivoluzione sociale.

Nel nostro Occidente oggi non è certo il messaggio cristiano a fare problema, ma il fatto che esso venga associato a una comunità di credenti, che non si rivela all’altezza della situazione. C’è un deficit di testimonianza nei comportamenti quotidiani. La visione della fede in tanti è ‘mercantile’ e la pratica religiosa spesso è vissuta come un parafulmine contro le disgrazie che a volte la vita riserva. Ma una fede esibita come ‘uniforme’ o solo come gesto esteriore vacuo e contraddittorio certo non cambia né la propria vita, né il contesto sociale.   

E quando in pieno giorno è buio nel cuore?…
A volte nel segreto del nostro cuore cerchiamo e quasi accarezziamo il potere, piccolo o grande che sia, per evitare il confronto alla pari con gli altri, o forse con l’illusione di trovare una specie di rifugio intoccabile che dia la sensazione di essere più al sicuro. Ma i beni materiali e il potere come anche il successo, cercati e usati unicamente per se stessi e non nella prospettiva della solidarietà e del bene comune, non possono che far deviare nel viaggio della vita, senza per altro condurre a una visione chiara di sé. Aveva visto giusto Marcel Proust quando affermava che “le opere, come nei pozzi artesiani, salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore”, perché è la sofferenza ad esigere che il vero io venga alla luce.  E a ben vedere si scopre che i più clamorosi successi degli ultimi anni (personali, nazionali, economici, artistici…) sono germinati proprio nell’incubatrice del più doloroso ‘flop’. Ma è necessario disporsi ad accogliere che la vita sgorghi dal paradosso della sua stessa negazione, senza pretendere di trattenere ciò che ci piace ed evitare ciò che non ci piace.

Ben vengano allora i tempi in cui ci si ritrova ad affrontare faccia a faccia il nulla di sé, mentre tutto ciò che aveva dato significato alla propria vita viene strappato via; quando sembra venire a mancare l’energia per vivere e lavorare; quando dentro di sé un urlo prolungato impedisce di sentire e all’orizzonte non si riesce a vedere altro che un abisso senza fondo…  

Ma come passare da questa angoscia alla libertà, dalla depressione alla pace, dalla disperazione alla speranza? Come recuperare interesse per i problemi degli altri, affrontare la storia, misurarsi con la vita? Soprattutto come sviluppare una più coerente capacità di dare amore senza aspettarsi sempre in cambio altro amore?

Lo star bene, con se stessi e con gli altri – l’arte del vivere insomma – è qualcosa che si impara in un intenso rapporto con Cristo, ci ricorda Benedetto XVI. Il Signore non ci lascia soli nei combattimenti, nei compiti e nei cammini della vita, anche quando non lo sentiamo. L’incontro con Lui rifà nuova ogni giorno l’innocenza interiore della sua creatura e la mette in grado di attraversare il tempo dell’angoscia senza perdere la fiducia nella Vita. Un cuore ‘piccolo’ infatti sperimenta sempre che Dio, se non preserva nessuno dalla sofferenza, non lascia però che qualcuno la viva da solo. E l’energia che viene dal credere fino in fondo diventa contagiosa, si propaga, abbatte i muri, apre gli orizzonti… Così il mondo cambia.

Il compito che viene dalla fede…
In sintesi il compito che viene dalla fede è quello di permettere alla barca della propria vita che il vento dello Spirito ne gonfi le vele. Con la Sua spinta ognuno potrà lasciarsi alle spalle il porto ‘sicuro’ di se stesso con i pensieri, i sentimenti, gli atteggiamenti, le decisioni da prendere, le azioni da compiere…; potrà mettere i suoi passi su quelli del Figlio di Dio fatto uomo; e andare verso i fratelli in umanità con la capacità di riconoscere in essi tutto ciò che di buono e di bello li abita. Per questa traversata ogni barca va bene, nessuna esclusa, perché per Colui che ci ha creato nessuno è creta inutile. Egli vuole semplicemente  impadronirsi della debolezza profonda di ognuno e lì vuole incarnarsi come lievito e come sole nel fango.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

“La Chiesa non deve tacere…E non può più tacere”

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ott 25 2012

Il governo del Ciad, paese dell’Africa centrale, ha espulso monsignor Michele Russo che, durante un’omelia, aveva criticato la gestione dei proventi del petrolio denunciandone la distribuzione iniqua a svantaggio della popolazione.

L’accusa?
Un’omelia – trasmessa in diretta il 30 settembre dalla radio diocesana “La voce del contadino”, in occasione della festa patronale, ripresa da un gran numero di radio comunitarie e largamente diffusa – ha dato fastidio al Governo del Ciad. Parole scomode, dall’amaro sapore della verità, che al vescovo di Toba, Monsignor Michele Russo, sono costate un decreto di espulsione. Gli è stata data una settimana di tempo per lasciare il Paese africano. L’Alto consiglio per la comunicazione ciadiano ha reso nota la decisone dell’espulsione spiegando che monsignor Russo “si è dedicato ad attività incompatibili con il suo ruolo” ed ha aggiunto che la radio diocesana sarà chiusa per “avere chiaramente attentato all’ordine pubblico prestabilito”.  

 Testimone di una verità scomoda, dal sapore amaro
Il vescovo Michele Russo è italiano, originario di San Giovanni Rotondo in provincia di Foggia; ha 66 anni ed è missionario comboniano; da 36 anni è in Ciad e da 22 è responsabile della diocesi di Doba, al servizio quindi delle popolazioni povere di quel pezzo d’Africa. Non meraviglia perciò che egli conosca molto bene la realtà in cui opera, in tutte le sue dinamiche: sociali, economiche e politiche. Conosciuto da tutti come un uomo di pace e di dialogo, non ha lesinato critiche verso il Governo del Ciad sulla gestione dei proventi del petrolio denunciandone l’iniqua distribuzione che non permette alla popolazione locale di goderne e di uscire finalmente dalla povertà.   

Le parti essenziali dell’omelia incriminata
 ”…per sfruttare il suo petrolio, il governo ha convinto tutti, anche la Banca Mondiale, dicendo che è un progetto modello che rispetterà l’ambiente, i diritti umani; che l’informazione sarà trasparente e le risorse dovranno contribuire alla riduzione della povertà. La Banca mondiale ha dato il suo consenso e la popolazione ha creduto a questo progetto. Dal 10 ottobre del 2003, il Ciad è entrato nel cerchio dei paesi produttori dell’oro nero. Ma cosa si costata? Dei 300 pozzi, noi siamo oggi a più di 1.500 pozzi forati illegalmente, o con la connivenza del governo. Le condizioni di vita della popolazione sono diventate peggiori di prima dell’era petrolifera. In più, alcuni contadini hanno perso le loro terre. Il conflitto fondiario e sociale è sempre più frequente e trascina con sé regolarmente perdite di vite umane. La vita sociale è stata distrutta, i giovani si rifugiano nella prostituzione e nell’alcool a causa della disoccupazione (…) I proventi del petrolio sono serviti all’acquisto di armi e ad alimentare così gli interminabili conflitti… Una volta in più il petrolio invece di essere una benedizione è diventato una maledizione per l’insieme della popolazione del Ciad. (…) A chi appartiene questo petrolio? …al governo di Deby e alle compagnie petrolifere? No! Il petrolio appartiene all’insieme della popolazione del Ciad. Per questo la Chiesa deve intervenire e i poveri e gli abbandonati saranno alla base di questo intervento. Sì, la Chiesa non deve più tacere, perché le ricchezze di un paese sono destinate all’insieme della popolazione e non a una casta. Voi, popolazione della zona petrolifera, avete vissuto nella povertà prima dello sfruttamento petrolifero, oggi vivete nella miseria (…). Gli interessi personali e di parte hanno prevalso sul Bene comune e non si vede l’uscita da questo tunnel nel quale il Paese è stato messo. La Chiesa non tacerà più… Amen!”.

S.E. Mons. Michele Russo, domenica 14 ottobre è arrivato alla Casa Generalizia dei Missionari Comboniani. Pur provato dagli avvenimenti, continua a sperare che il governo del Ciad possa ritornare sulle sue decisioni, permettendogli di riprendere il suo servizio apostolico al popolo di Dio che gli è stato affidato dal Santo Padre. Chiede a tutti quanti lo conoscono e sostengono, di pregare perché questo desiderio si possa realizzare.

Unanimi le reazioni di solidarietà: ‘Ha detto solo la verità!’
La vicenda lascia sconcertati tutti.
- Mons. Joachim Kouraleyo Tarounga, vescovo di Moundou, rappresentante al sinodo per il Ciad, ha detto all’agenzia di stampa Misna: “Non si capisce questa espulsione, sia nei termini che nelle modalità. Sono anni che noi vescovi del Ciad denunciamo le stesse cose a tutti i livelli”.
 - “E’ assurdo – dice il sindaco di S. Giovanni Rotondo – che una persona del suo carisma debba subire un trattamento del genere per il solo fatto di aver raccontato la verità sugli interessi che gravano attorno all’estrazione del petrolio in Ciad. Siamo vicini al nostro concittadino e auspichiamo che si giunga rapidamente ad un epilogo positivo della vicenda”.
- Nella lettera di protesta dell’Unione degli Organi Cristiani del Ciad (UCCT) contro l’espulsione si legge: “…Mons. Michele Russo ha passato gli anni della sua vita al servizio esclusivo del Ciad e dei suoi figli, senza alcun interesse personale, nel solo seguito di Gesù. Numerosi cittadini del Ciad (…) possono testimoniare dell’investimento economico e sociale che Michele Russo ha potuto realizzare per l’insieme dei cittadini del Ciad. Su richiesta del Governo del Ciad, egli ha anche molte volte rischiato la sua vita per riportare i “Codos” (ribelli del Sud) alla riconciliazione nazionale. (…) Non ha un pastore il diritto di gridare che il suo popolo sta male, che il suo popolo soffre, quando ci sarebbe largamente da mangiare per tutti quanti? (…). Egli non ha fatto che annunciare la Parola di Dio”.
- In un comunicato stampa la Conferenza Episcopale del Ciad (CET) si rammarica per la situazione che è venuta a crearsi, senza precedenti nella storia della Chiesa Cattolica nel Ciad: prende nota “con grande tristezza” della decisione e invita i fedeli cristiani ad “accogliere questa prova nella fede e nella calma”.

Intanto si portano avanti i negoziati per trovare una soluzione alla decisione del governo. La Congregazione missionaria, per voce del suo Superiore Generale padre Enrique Sánchez González, con il suo Consiglio, “esprime, a nome di tutto l’Istituto, solidarietà a monsignor Michele Russo e alla popolazione della diocesi di Doba, augurandosi che si creino i necessari spazi di dialogo con le autorità del Paese al fine di evitare che l’espulsione di monsignor Russo dal Ciad privi la Chiesa di Doba del suo Pastore”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Fiaccolata di fede, memoria e profezia

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ott 18 2012

Il «popolo di Dio in cammino attraverso la storia» in fiaccolata. Chiamato a ripensare in modo nuovo il rapporto tra fede e storia e tra Chiesa e mondo; a coltivare una fede adulta che non oscuri la ‘profezia’ nel mondo contemporaneo; a non interrompere il cammino avviato cinquant’anni fa con il Concilio…

Si apre l’Anno della Fede
Non è semplice commemorazione dei cinquant’anni dal Concilio Vaticano II la fiaccolata realizzata da quaranta mila persone la sera dell’11 ottobre 2012 in Piazza S. Pietro, a Roma. È invece memoria viva di un evento importante; memoria necessaria per il cammino che i cristiani si trovano a fare oggi nei “deserti del mondo contemporaneo”.
Come cinquant’anni fa, la Piazza sembra incendiata in un mare di luci. Sono comitive di giovani e gruppi di religiose, famiglie e sacerdoti, persone anziane e bambini…Tutti guardano avanti verso il futuro che questo Anno della fede vuole contribuire a rischiarare come le fiammelle della loro fiaccolata e aspettano. Tutti con gli occhi a quella finestra illuminata del Palazzo apostolico dalla quale l’indimenticabile Giovanni XXIII improvvisò lo storico discorso “della luna”.

Il saluto di Benedetto XVI
E Benedetto XVI non li delude. Nel suo saluto a braccio, da quella stessa finestra ricorda ai presenti: “Quella sera eravamo felici e pieni di entusiasmo: il grande Concilio ecumenico si era inaugurato ed eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa, una nuova Pentecoste, una nuova presenza liberatrice del Vangelo (…) Anche oggi portiamo la gioia nel nostro cuore, ma una gioia più sobria, una gioia umile: in questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali, che possono divenire strutture di peccato, visto che nel campo del Signore c’è anche la zizzania, che nella rete di Pietro ci sono anche pesci cattivi, che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando con vento contrario, con minacce contrarie. E qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato”.

Poi il Papa aggiunge:
 “…ma abbiamo fatto esperienza anche della presenza del Signore, della sua bontà: il fuoco di Cristo non è divoratore né distruttivo, è un fuoco silenzioso, una piccola fiamma di bontà: il Signore non ci dimentica, il suo modo è umile. Il Signore è presente, dà calore ai cuori, crea carismi di bontà e carità, che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio”. Sì, Cristo vive con noi e possiamo essere felici anche oggi.

«Abitiamo i deserti del mondo»
La folla certamente non fatica a riconoscersi nella “desertificazione spirituale” (immagine suggestiva usata da Benedetto XVI, nella omelia della Messa di apertura dell’Anno della fede); si riconosce nel deserto quotidiano che cresce dentro la banale abitudine delle piccole cose, da cui scaturisce un vuoto insieme a un senso di smarrimento, che spesso non riusciamo nemmeno a definire chiaramente. Il più grave pericolo oggi è una fede tiepida e assopita. Attraverso di essa il vuoto si diffonde e la realtà della vita vera si oscura e deforma.

È necessario – è il richiamo del Papa ai cristiani – ritrovare la «tensione commovente» che ebbe il Concilio per il «compito comune» di far «risplendere la verità e la bellezza della fede nel nostro tempo». Perciò è necessario guardare molto bene il ‘deserto’ – specchio del nostro torpore – perché nel suo ‘nulla’ può germinare di nuovo come un seme ostinato la domanda di Dio.

Ascoltiamo ancora le parole del Papa:

“…a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita”. Nel deserto, ha evidenziato ancora il Papa, “c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza”. È la fede vissuta infatti che “apre il cuore alla grazia di Dio la quale soltanto libera dal pessimismo. Oggi più che mai, evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada”.  

Ripartire dalla ‘Cattedra del Concilio’
Il Concilio invita a una conversione dell’agire. Benedetto XVI insiste sulla necessità di ‘tornare’ alla ‘lettera’del Concilio per riscoprire, nel suo spirito autentico, l’essenziale per vivere e per intenderlo come inizio della nuova evangelizzazione. I vescovi nel Sinodo si sono messi ancora in ascolto,in queste settimane, della Parola e della condizione umana. A tutti noi è chiesto di ristabilire un contatto con ciò che è avvenuto cinquant’anni fa, cominciando dal mettere – il credente e il non credente che sono in ognuno di noi -in condizione di interpellarsi, di confrontarsi e di misurarsi anche con le parole della fede perché essa diventi più matura.

Con il passare del tempo, infatti polvere e sporcizia si depositano su tutto: anche sulle nostre comunità e su noi, che camminiamo con il mondo, e -secondo le parole del Concilio e, oggi, del Papa – ne condividiamo anche le debolezze.

Il contesto socioculturale attuale è divenuto, con la globalizzazione, irreversibilmente pluriculturale, plurietnico e plurireligioso. Come dialogare con questo mondo, condividendone le speranze e i problemi? Come porsi in esso oggi in modo nuovo per agire da fermento spirituale, culturale e sociale?

Certamente ci si impone uno sforzo formativo straordinario soprattutto sul piano della maturazione della fede, che sola può farci capaci di una vera ripresa spirituale… perché “non vogliamo essere fedeli tiepidi, ma pellegrini sulle vie della storia e dentro la storia, per assumerci le nostre responsabilità e trasmettere la fede alle giovani generazioni”.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it