TERZA GIORNATA ASSEMBLEA USMI – ELEZIONE PRESIDENTE E VICE-PRESIDENTE

ASSEMBLEA NAZIONALE 2013 | Posted by usmionline
apr 05 2013

 

Venerdì 5 aprile 2013.

L’importante giorno delle elezioni inizia con la celebrazione eucaristica presieduta da S. Ecc. Mons. Adriano Bernardini, nunzio apostolico in Italia e alle 9,30 padre Aitor Jimenez, religioso claretiamo, teologo e canonista, introduce la fase delle elezioni con competenza e chiarezza.

Si passa poi alle votazioni il cui risultato è il seguente: viene eletta Presidente Nazionale USMI per il quinquennio 2013-2018 Madre Regina Cesarato (Pie Discepole del Divin Maestro) e Vice Presidente USMI Madre Marta Finotelli (Suore di Gesù Buon Pastore). I fiori offerti alle elette e alla Madre Viviana Ballarin, presidente uscente, sono il segno della festa e della gratitudine verso coloro che hanno dato la loro disponibilità per questo prezioso servizio alla vita religiosa che è in Italia. Il canto del Magnificat esprime la gioia dell’assemblea che esulta nel Signore!

Nel pomeriggio alle ore 15,00 inizia la tavola rotonda sul tema: “Vita religiosa tra memoria e profezia: nel cammino delle congregazioni, nel cammino della Chiesa, nel contesto storico sociale”. I tre temi vengono affrontati rispettivamente da p. Lorenzo Prezzi, suor Grazia Loparco e dal dott. Vito Mancuso. Moderatrice della tavola rotonda è suor Giuseppina Alberghina.

P. Lorenzo Prezzi partendo dalla domanda: “A cosa serve l’USMI?” parla di gratuità e dono come fondamento della vocazione religiosa e all’interrogativo: “cosa sarebbe la vita religiosa senza l’USMI?” risponde affermando che certamente sarebbe molto impoverita perché la collaborazione in questi cinquant’anni di Unione è stata preziosa per creare una mentalità di comunione e corresponsabilità. Sono migliaia le suore che hanno usufruito della formazione a vari livelli e delle competenze dei diversi Uffici dell’USMI.

Il relatore ha poi ricordato il lungo elenco di professionisti, di teologi, di persone chiamate a parlare nelle annuali assemblee rilevando come i temi trattati siano stati di grande interesse e anche “coraggiosi”. Inoltre l’USMI ha diffuso capillarmente la teologia della Vita consacrata.

P. Prezzi conclude con la testimonianza di Papa Benedetto XVI che ha deciso di dedicare il suo ultimo periodo di vita alla contemplazione nel silenzio di un monastero e di Papa Francesco, gesuita, esperto di vita religiosa apostolica: questo certamente non sarà indifferente per il nostro futuro!

Suor Grazia Loparco ha detto tra l’altro: “Consideriamo il tema nel vissuto documentabile delle congregazioni di cui possiamo chiederci quale sia l’incidenza nella Chiesa. Il primo livello di esplorazione è la vita quotidiana in cui le religiose esprimono la concreta e multiforme missione della Chiesa. Un altro è quello giuridico: a motivo delle esigenze della carità concreta la vita religiosa ha superato schemi e paradigmi assodati per aprirsi a nuovi orizzonti. Come istituzione ecclesiale, a livello di rapporto con le diverse società, culture e sistemi politici, si può constatare che la vita religiosa si è inserita bene mantenendo la propria identità con una grande adattabilità alle contingenze…”.

Il dott. Vito Mancuso trattando del “contesto storico-sociale” ha affermato che il mondo di oggi ha un enorme bisogno della vita religiosa e portando la frase di Saint-Exupéry: “Nulla manca tranne il nodo d’oro che tiene insieme tutte le cose” ha ricordato che questo “nodo d’oro” è proprio la religione. La vita religiosa è un’esistenza dedicata al primato del “nodo d’oro (certamente invisibile) che tiene insieme tutte le cose. Ha poi continuato la sua riflessione facendo notare come è venuta meno la tradizione perché il presente dei singoli è più forte del passato della tradizione. Fenomeno del tutto nuovo, mai avvenuto nei secoli precedenti. Il senso di vuoto nelle democrazie occidentali mostrano una grave mancanza di libertà e di solidarietà ed oggi l’incidenza della vita religiosa nella società si gioca sulla capacità di essere dalla parte di un nuovo ordine di rapporti umani. Occorre passare dal principio di autorità al principio di autenticità. Il nodo decisivo, ha detto tra l’altro il relatore, è tra obbedienza e libertà. La vita di fede in effetti è “obbedienza” (ascoltare), inoltre “resistenza e resa” sono ambedue necessarie.

Al termine della tavola rotonda, un breve intervallo e poi la magistrale conclusione di suor Nicla Spezzati, osservatrice attenta dei tre giorni di assemblea.

Riportiamo alcuni passaggi.

“Stanno nascendo cammini nuovi di speranza, adatti al momento storico che stiamo vivendo. Lo Spirito rinnova la sua Chiesa e fa nuove tutte le cose. È necessario però assecondare l’azione dello Spirito che chiede il coraggio della conversione ecclesiale e un cammino comunionale”.

Suor Nicla consegna poi all’assemblea tre parole che possono accompagnare il cammino della vita consacrata verso il futuro: “1. Ascoltare; 2. Custodire le tende della speranza; 3. Condividere la grazia dell’unità”. Occorre fare della Chiesa la casa della comunione, vivere la “spiritualità di comunione” come capacità di apprezzare il diverso, come collaborazione tra Istituti, per manifestare la bellezza del vangelo, per essere “sale e luce del mondo”.

Invochiamo quindi la grazia dell’unità perché questa porta la presenza del Signore risorto nelle nostre comunità. La comunione apre al futuro della vita consacrata.

Il saluto finale di madre Viviana Ballarin conclude l’assemblea con i tre sentimenti da lei espressi: gioia, gratitudine, speranza!

E così è stato davvero per tutte le partecipanti. A Dio il nostro GRAZIE.

Madre Orsola Bertolotto
Superiora generale Murialdine
Consigliera USMI nazionale

SECONDA GIORNATA ASSEMBLEA USMI

ASSEMBLEA NAZIONALE 2013 | Posted by usmionline
apr 04 2013

Giovedì 4 aprile 2013

La giornata della nostra assemblea inizia con la preghiera e alle ore 9,15 Fratel Enzo Biemmi, religioso della Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia, presenta magistralmente il tema: “Dalla conversione alla testimonianza. La vita religiosa come luogo di evangelizzazione nuova”.

Partendo dalla premessa che stiamo vivendo un tempo di grazia molto particolare, fratel Enzo ci ha ricordato che non si può parlare di evangelizzazione nuova se non dentro una Chiesa nuova ed ha fatto memoria delle “tre conversioni” che si possono percepire nell’ultimo Sinodo dei Vescovi: “il superamento di un approccio solo esterno o funzionale; il superamento di una prospettiva soggettiva individuale e il superamento di una prospettiva unidirezionale”.

Papa Benedetto XVI proprio nel Sinodo aveva detto che “non si tratta di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa, ma di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità portando la fede alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità è convenzione e abitudine”.

Fratel Enzo prosegue poi riportando il messaggio del Sinodo, n. 5 che afferma:  “per poter evangelizzare il mondo la Chiesa deve porsi anzitutto in ascolto della Parola, quindi l’invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione alla potenza di Cristo che solo è capace di fare nuove tutte le cose”. Occorre ritornare alle radici della Chiesa, al coraggio di annunciare Cristo in uno stile di vita che sia testimonianza. La conversione “soggettiva” deve anche coraggiosamente diventare “riforma strutturale”.

Continuando la riflessione il relatore fa notare che il Sinodo definisce la famiglia e la vita consacrata come “luoghi” della nuova evangelizzazione perché sono “spazi per l’esperienza del vangelo”. In particolare le nostre comunità sono chiamate a “custodire un’assenza (vegliare sui ritmi di vita perché quando prevalgono le attività si trascurano le relazioni), segnare una differenza (stile di vita sobrio che privilegia i mezzi poveri), mostrare una promessa (la fraternità di vita all’interno delle nostre comunità multietniche e multinazionali)”.

Infine presenta la nuova evangelizzazione come “stile di vita” che comprendere il saper “vedere Dio in tutte le cose, amare e fare dell’annuncio del vangelo il più grande dono”. Termina poi dando rilievo alla testimonianza di umiltà, semplicità e povertà di Papa Benedetto XVI e Papa Francesco.

La celebrazione eucaristica alle ore 12,00 è stata presieduta da padre Luigi Gaetani, ocd, presidente CISM.

Nel pomeriggio abbiamo ascoltato con attenzione madre Teresa Simionato, superiora generale delle suore Maestre di santa Dorotea, che ha trattato il tema: “Il servizio dell’autorità nella dinamica della vita cristiana. La pastorale del governo in una congregazione religiosa”.

L’icona biblica che ci ha presentato all’inizio della sua relazione ha dato “il colore” a tutta l’interessante riflessione: “Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all’orecchio del Signore” (1 Sam 8,21). “È un testo, ha detto Madre Teresa, che rimanda alla Promessa e anticipa i segni della salvezza… Samuele nel suo servizio di guida del popolo rimane in ascolto del Signore e sollecita alla conversione”.

Riporta poi la testimonianza di Benedetto XVI e di Papa Francesco “due testimonianze che ci interpellano sul servizio dell’autorità nella Chiesa e ci trascinano sull’esempio che ci è posto dinanzi: la disponibilità autorevole e spoglia di Papa Francesco, l’umiltà e il coraggio della rinuncia al ministero petrino di Papa Benedetto: entrambi ancorati alla Pietra viva che è il Cristo Signore per continuare a servire la Chiesa nella semplicità e fedeltà al vangelo”.

Madre Teresa sviluppa poi il suo tema partendo dalla vita battesimale che “ci abilita al discepolato e al servizio in un cammino di adesione e maturità nella fede, nell’obbedienza e nella fraternità”. La vita consacrata infatti è “un battesimo di conversione se comprendiamo in essa la chiamata a vivere la radicalità della vita nuova, in dialogo con l’umanità di oggi, in una carità che riveli la qualità della nostra fede”. Esplicita poi come sia necessaria la testimonianza della vita fraterna in comunità, esperienza ecclesiale, esperienza di fede e di comunione.

Il governo di una congregazione è un ministero spirituale e pastorale. “Conosciamo come non sia facile perseverare in un cammino spirituale esigente, ma è proprio qui il luogo dove incontrare il Signore e il suo modo di servire i fratelli. La memoria di Dio nella nostra vita e nel nostro servizio è indispensabile come l’aria che respiriamo perché da questa memoria nasce la capacità di un superiore di portare e assorbire in sé  le resistenze, la sofferenza, la fatica e il male che appesantisce la vita dell’Istituto. È l’esperienza pasquale che mentre risana la propria vita suscita il desiderio della gratuità perché altri ritornino a vivere in pienezza”.

Le domande presentate dall’assemblea hanno rivelato il desiderio di collaborare in più fattiva comunione tra le varie congregazioni per affrontare insieme la complessità del momento presente.

In seguito ad un breve intervallo l’assemblea, guidata da suor Nicla Spezzati, ha svolto la prima votazione di sondaggio per l’elezione della Presidente USMI.

Intanto… preghiamo affinché la Madre che verrà eletta possa accettare dalle mani di Dio il servizio di Presidente e possa sentirsi incoraggiata e sostenuta da tutte noi!

M. Orsola Bertolotto
Superiora generale Murialdine
Consigliera USMI nazionale

Cristo origine e compimento della nostra fede – Conversione e testimonianza

ASSEMBLEA NAZIONALE 2013 | Posted by usmionline
apr 03 2013

3 aprile 2013

Ogni anno – e siamo ormai al sessantesimo compleanno! – le superiore maggiori provenienti da ogni parte d’Italia si incontrano per la loro assemblea: si respira aria di festa, comunione tra le diverse congregazioni nella varietà dei carismi donati dallo Spirito Santo alla Chiesa.

La prima giornata, mercoledì 3 aprile, inizia alle ore 9,00 con la preghiera e l’introduzione ai lavori. Madre Viviana Ballarin, presidente USMI, dà il benvenuto alle madri convenute poi presenta suor Nicla Spezzati, sottosegretario CIVCSVA che parteciperà ai tre giorni di assemblea come osservatrice e suor Giuseppina Alberghina in qualità di moderatrice.

La relazione quinquennale della Presidente occupa la prima parte della mattinata e ci mette subito in un clima di gratitudine al Signore per quanto è stato realizzato e per l’orizzonte che viene indicato verso il futuro.

Riportiamo alcuni passaggi della relazione.

“Il tempo che viviamo è straordinario e complesso; vi sono nodi e criticità nell’ambito della fede, ma anche dell’etica, della giustizia, dei valori fondamentali e fondanti il vivere umano, delle relazioni tra i popoli  ed i governi, dell’economia e della finanza, della politica. Ci troviamo a vivere, per grazia di Dio, nel bel mezzo di questi nodi e di questa crisi, perché non siamo un giardino protetto, non siamo esenti dalle tribolazioni della maggior parte della gente, non siamo esenti neppure dalle fragilità e ferite che fanno gemere le nostre membra…. Ci sono due aspetti particolari che possiamo evidenziare di questa crisi. Il primo: la diminuzione delle vocazioni. Il secondo: una certa irrilevanza di impatto della vita religiosa nella nostra società. Chi sta monitorando e studiando i fenomeni di questo tempo afferma che la crisi di significato della vita religiosa è solamente un aspetto della più profonda crisi di significato della religione in quanto tale, o meglio, della religione nella sua forma socio-culturale attuale”.

         Madre Viviana continua la sua relazione ripercorrendo, in una bellissima sintesi, il cammino del quinquennio scandito dai temi delle assemblee annuali riprese poi nei convegni per i consigli generali e provinciali.

“Abbiamo scelto il percorso della purificazione delle nostre concezioni della vita religiosa per ripartire nuovamente da Cristo, da una visione organica ed ecclesiale di essa, che ha il suo fondamento nel battesimo… La figura biblica di Abramo, nostro padre nella fede è stata posta come luce sul nostro cammino, come esperienza di fede a cui guardare e come guida ispiratrice di percorsi nuovi”.

Anno 2009: “Quale profezia della vita religiosa femminile, oggi, in ascolto della Parola”.

Anno 2010: “Affidate ad una promessa, in Cristo per umanizzare la vita”.

Anno 2011: “Persone nuove in Cristo, percorsi di vita comunitaria”. Anno 2012: “In Cristo, nella Chiesa, per il mondo, percorsi di vita comunitaria”.

Anno 2013: “Cristo, origine e compimento della nostra fede”.

Continua poi Madre Viviana spiegando che: “L’obiettivo è sempre stato quello di trasmettere e diffondere gli orientamenti per un cammino ecclesiale comune, un cammino che deve scaturire essenzialmente da una esperienza di comunione vissuta prima di tutto nelle nostre Assemblee”.

La relazione si sofferma infine sulla gioia del giubileo, il 50° dell’approvazione canonica dell’USMI, l’invito a divenire “locande di vita, spazio del mistero e della profezia, dimore dove tutti si sentono a casa, ponti di speranza” e termina con uno sguardo al futuro che – come indicato dalla Plenaria della UISG – è nella forza della sua mistica e della profezia. “Ma è urgente: individuare con audacia le “notti” delle rispettive Congregazioni e chiamarle per nome; scoprire le scintille di luce racchiuse nel cuore delle povertà del nostro tempo, delle violenze, del  non senso; aprire gli occhi per scoprire nuovi sentieri di luce nelle tenebre del nostro mondo; offrire, come donne consacrate, un ministero di compassione e di guarigione; lavorare in rete, a livello locale e globale, con le altre congregazioni e con i laici, per favorire la trasformazione delle strutture ingiuste; superare i confini dei nostri rispettivi carismi e unirci per offrire al mondo una parola mistica e profetica”.

         Un GRAZIE veramente sentito a Madre Viviana si eleva dall’assemblea con un applauso che racchiude la gratitudine per il suo servizio e la lode al Signore per il cammino del quinquennio.

         Nella seconda parte della mattinata e nel pomeriggio abbiamo ascoltato p. Marko Ivan Rupnik sul tema: “La via della nostra divinoumanità in Cristo”.

         Partendo da alcune immagine bibliche p. Rupnik ha messo in evidenza che l’uomo è stato creato a immagine di Dio per giungere alla sua somiglianza. L’immagine è “divenire” la somiglianza è “compimento”. Nella figura di Abramo vediamo poi che Dio si fa “ospite” dell’uomo. Nell’esodo notiamo la situazione nella quale si è trovato il popolo di Dio senza via di uscita e proprio lì il Signore apre una strada, un passaggio. Ed è tutto un cammino, un movimento. Si nota un dinamismo, un continuo passaggio da una situazione ad un’altra. Poi viene l’incarnazione del Verbo. L’immagine e la somiglianza coincidono. In Gesù tutto si compie.

         La lettera agli Ebrei spiega in modo mirabile il passaggio che Gesù compie squarciando il velo della morte per entrare “nella seconda tenda”, là dove il Padre ci attende. In tal modo è stato aperto il passaggio verso la vita, quella vita che non muore più. Anche noi “come vivi tornati dai morti” attraverso il battesimo, siamo innestati in Cristo e siamo chiamati a vivere la “vita nuova” in Lui. Il cielo non è più chiuso e questa “porta aperta sull’eternità” è la santa liturgia perché in essa noi passiamo il velo e andiamo al di là perché siamo già in Cristo, siamo nella sua umanità.

         P. Rupnik, con il linguaggio semplice e profondo che gli è tipico ripercorre poi a grandi linee il cammino della storia del cristianesimo, dai tempi apostolici ai nostri giorni facendo notare come usando il linguaggio della filosofia e separando il trascendente dall’immanente abbiamo perso la capacità di comunicare al mondo di oggi la verità della fede.

         Nel pomeriggio poi ha ripreso il tema sottolineando l’importanza di essere “vergini e madri”, “celibi e padri”, vivendo il dogma nel quotidiano della nostra vita.

         Attraverso la lettura e la spiegazione del brano di Efesini 3,14-21 p. Marko ha fatto emergere il significato dell’essere “nuova creatura” lasciando vivere in noi lo Spirito Santo che ci è stato donato nel battesimo.

         Il tempo dato alle domande dell’assemblea hanno ripreso alcuni temi, come quella della “bellezza”, della “maternità spirituale”, della “formazione”, concludendo con l’invito a “tessere relazioni tra coloro che vivono la fede” per creare comunità di vita spirituale che certamente attirerà a Cristo.

         La conclusione della giornata è stata affidata a suor Nicla Spezzati che ha riassunto con queste parole: “In quest’aula oggi è stata narrata ed esperita la salvezza. L’esperienza è come un maestro che insegna e fa emergere l’ontologia. Nel quinquennio voi avete lavorato per una riqualificazione spirituale, davvero un cammino importante! Ora riaccendiamo la vigilanza del momento storico che stiamo vivendo perché il Signore ci raggiunge nel concreto degli eventi. La nostra identità è la divinoumanità di Cristo perché noi siamo una cosa sola in Lui”.

M. Orsola Bertolotto
Superiora generale Murialdine
Consigliera USMI nazionale

La nostra Pasqua

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mar 27 2013

Il Vangelo di Giovanni che viene proclamato nel giorno di Pasqua di quest’anno esprime bene l’esperienza sfolgorante e inaspettata che sconvolge la vita dei discepoli ancora paurosi e increduli, rinchiusi nella casa, dopo i terribili fatti della passione e della morte in croce del loro Maestro.

La prima persona a rendersi conto che qualcosa di grande è accaduto è Maria di Magdala. Al mattino di buon’ora, recatasi quando era ancora buio al sepolcro, lo trova vuoto. Sbigottita e spaventata va da Pietro e Giovanni e comunica loro la notizia, ma in modo distorto, travisato dai suoi molti pregiudizi che non le permettono di vedere: “hanno portato via il corpo di Gesù!”.

Il fatto della risurrezione non può essere compreso e raccontato con le sole categorie umane. Eppure i discepoli avevano vissuto a lungo con Gesù, lo avevano seguito nelle sue predicazioni, avevano assistito ai miracoli da lui operati, lo avevano sentito pregare e soprattutto avevano osservato il suo stile di vita ed i criteri delle sue scelte. Nonostante tutto questo ancora non comprendono.  

C’è qualcosa in questo vangelo che colpisce: Maria di Magdala corre dai discepoli per  raccontare quello che ha visto; Pietro e Giovanni corrono al sepolcro per vedere che cosa è accaduto. Corrono, guardano, ma non vedono fino a quando Pietro non entra dentro il sepolcro, e ciò significa: dentro l’esperienza del Cristo, dentro il mistero della sua Pasqua. Anche di Giovanni si dice che credette solamente dopo essere entrato nel sepolcro vuoto. Neanche l’amore umano più sincero è sufficiente per entrare nella logica dell’amore infinito di Dio.

Possiamo allora concludere che il dono della fede che fa vedere e conoscere nella verità accade in noi nella misura in cui entriamo in comunione con Gesù e prendiamo parte alle sue sofferenze e alla sua morte in croce.

L’annuncio della Risurrezione non è possibile quando, da stolti direbbe il vangelo,  vogliamo evitare questa tappa della vita di Cristo, la tappa del dolore, della fragilità, dei limiti, della morte.

Viene spontaneo allora fare memoria di uno degli ultimi pensieri rivolti da Benedetto XVI ai consacrati e consacrate del mondo lo scorso 2 febbraio; pensiero che vogliamo fare nostro e soprattutto che vogliamo impegnarci a vivere in questa Pasqua del Signore Gesù:

“Carissimi, vi invito a una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. Proprio nel limite e nella debolezza umana siamo chiamati a vivere la conformazione a Cristo, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo, la perfezione escatologica (ibid., 16). Nelle società dell’efficienza e del successo, la vostra vita segnata dalla «minorità» e dalla debolezza dei piccoli, dall’empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione”.

Sr M. Viviana Ballarin, op
Presidente USMI nazionale
Vice presidente UCESM

Creati per essere felici

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mar 15 2013

Si può imparare (e insegnare!) la via della felicità? È possibile occuparsi, lavorare, vivere… per la felicità di tutti?

Il festival delle Scienze ne cerca la formula
Ogni giorno, un invito: a vederci dentro, a guardarci intorno, ad andare oltre… a fare insomma della vita il luogo della vera felicità (Tonino Bello)

Tema immenso quello della felicità, soprattutto in questo tempo di crisi feroce e di smarrimento culturale e sociale. Un sentimento talmente primordiale che è persino difficile definirlo. All’Auditorium Parco della Musica di Roma, durante l’ottava edizione del Festival delle Scienze, ci hanno provato. L’idea di felicità è stata indagata con convegni e ospiti di primo piano, compreso il premio Nobel per l’Economia Amartya Sen. Ne è risultato un viaggio misterioso e appassionante attraverso le neuroscienze, la psicologia, la religione, l’antropologia, la sociologia… La conclusione, provvisoria come solo può essere il cammino di una vita: l’essere umano è biologicamente strutturato per essere felice, il cervello è un vero e proprio calcolatore alla ricerca di ‘premi’… La domanda di fondo, che ha guidato nella ricerca: come arrivare alla felicità, ne esiste una formula? Su tutto una certezza: il viaggio di chi davvero la cerca finisce per portare al centro di se stessi.

Affaccendati e insoddisfatti, ma si può misurare la felicità?
Essere felici è cammino e ricerca di un divenire sempre più ricco – non di cose, ma di quella ricchezza che è sovrabbondanza di sé e sentimento del proprio accrescersi. A tratti è ricerca spasmodica e con scarsi risultati. Eppure nessuno se ne stanca mai del tutto, perché il desiderio costante di essa vive dentro ogni persona e ne cadenza la vita fin dal principio.

Il Festival delle Scienze ha riconosciuto questo anelito impresso nella stessa natura umana, nel suo Dna spirituale, che continuamente spinge ognuno a riprendere la ricerca verso la pienezza del proprio stato interiore.

I soldi sono importanti e chi è povero non può essere felice, è stato detto al Festival. Ma è stato anche dimostrato che, al di sopra di un determinato reddito, il denaro perde valore. Per il benessere della persona, invece, contano gli affetti, le esperienze, i rapporti umani. L’arte di apprezzare la vita è più una questione di mente che di circostanze, più una scelta che una possibilità. Già Epitteto diceva ai suoi contemporanei: “tutto sta nel modo in cui si guardano le cose”. Condizione naturale sì, quindi, ma anche sfida continua. Ogni tanto insomma è bene chiedersi: A che punto mi trovo? In quale direzione sto cercando?

Il Mappamondo della felicità…
Dall’analisi del grado di appagamento e soddisfazione della popolazione di oltre 150 paesi del mondo è venuto – durante lo svolgimento del Festival delle Scienze – il primo Rapporto Mondiale sulla Felicità. Risultato? Fra gli ingredienti della felicità, al primo posto è la rete sociale (avere qualcuno su cui contare nei momenti difficili è più importante del reddito!); al secondo posto l’occupazione (perdere il lavoro è percepito come perdere il proprio partner!). Danimarca, Finlandia e Norvegia – tra i Paesi più attenti nel mondo alla qualità della vita dei propri cittadini – conquistano i primi posti. L’Italia è ventottesima dopo Brasile e Arabia Saudita. Ma quelli del podio sono anche i Paesi con il più alto tasso di suicidi. Un controsenso? Certamente un grande motivo di riflessione.

… e il ruolo della politica!
Secondo una recente ricerca della Oxford University, chi ride ed è ottimista si ammala di meno. Anche questo dato suggerisce quanto sia vitale ripensare il ruolo della politica; che ogni governo si occupi di più del benessere collettivo e della salute – anche mentale – della popolazione. La questione nel mondo sta emergendo e si allarga sempre più. È vitale insomma recuperare politiche sociali con una progettualità che sappia di umanità.

Il colore del dolore…
Certamente non si può vivere in pienezza se non si interiorizza il fatto che la vita un giorno o l’altro finirà … Quando sai che i giorni della tua vita sono limitati, allora è più facile fermarsi ad annusare il profumo dei fiori e a sentire il calore dei raggi solari … È vero: siamo pellegrini in viaggio, ma prova a goderti il viaggio! suggerisce J. Powell.

Per Action for Happines – movimento nato nel 2011 in Inghilterra e subito diffusosi nel mondo con l’obiettivo/missione di creare una società più felice – non serve né danaro, né potere. Assumono valore invece le azioni che possono portare beneficio agli altri, perché ‘il benessere è contagioso’. Il mondo oggi  è più ricco di mezzo secolo fa, ma non sembra più felice ( R. Layard). La felicità può essere raggiunta in tempi ragionevoli se ci si occupa di più degli altri e si restituisce centralità ai rapporti umani; se si riscopre generosità e responsabilità nella cura di se stessi e del mondo intorno. L’escludere, infatti, materialismo, egoismo e stress fa crescere la propria soddisfazione.

…e il rumore della felicità
Il figlio ‘prodigo’ del Vangelo se ne va, un giorno, in cerca di felicità. E fa naufragio!…Il libero ribelle diventa servo: semplice storia di una comune umanità decaduta, che si porta dentro la nostalgia del pane di casa, in realtà l’unica cosa che conta veramente. Non la ricerca di felicità fine a se stessa, che tra l’altro può facilmente tramutarsi nel bisogno egoistico di “stare bene”! Ma il bisogno di trovare la Fonte stessa di ogni bene, quella che dà origine a ogni cosa, compresa la felicità. Se è vero però che tutti vogliono vivere felici – come già scriveva l’antico poeta Seneca – “quando poi si tratta di riconoscere cos’è che rende felice la vita, ecco che ti

vanno a tentoni”. In realtà, anche se ognuno sente o intuisce dov’è la sua ‘casa’,  è tanto facile, in una esistenza ansiosa, nomade e divisa, lasciarsi trascinare in molte direzioni come si fosse ‘senza dimora’. Del desiderio – al centro di noi stessi – di una Vera Casa, parla Gesù quando esorta: Non affannatevi; o quando amorevolmente richiama all’unica cosa necessaria

Il Suo amore, se accolto, fa scoprire a ognuno di essere un meraviglioso pezzo unico, cancella per sempre ogni solitudine e allontana il timore di guardare alla vita con occhi sfiduciati. Chiamarsi per nome in modo autentico è necessario per amarsi sul serio. Dio mi chiama per nome e niente è più come prima. In ogni caso per essere felici conta che l’indirizzo del cuore sia al centro della persona e della sua vita di relazione.

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

‘Un po’ meno io, un po’ più noi’

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mar 04 2013

Ripensare, definire e salvare ciò che ci accomuna, si può: attraverso una silenziosa rivoluzione dei modi quotidiani di vita.

Mondo alla rovescia …
Le persone, in questa epoca dominata dal potere, si dividono tra i qualcuno e i nessuno; tra chi vive per farsi vedere e chi, quasi fosse trasparente, esiste ed è come se non ci fosse (V. Andreoli).
Il sistema politico in cui viviamo sembra essere centrato sul bene di parte – della propria parte. Ciascuno ha una sua visione del bene comune e la verità appare ai più come un campo di battaglia sul quale battersi per prevalere e affermarsi, magari su chi ci sta superando per meriti oggettivi.
L’enfasi posta sulle libertà soggettive ha portato infatti molti a fare dell’io individuale ed empirico il metro di giudizio primo e ultimo (per non dire unico) di ciò che è vero e buono. Si riconosce lo Stato solo quando deve riparare ai propri disastri… L’altro, il noi, l’umanità – presente e futura – sono messi fuori della visione personale, ridotti a “oggetto” o, comunque, a complemento dell’io. In sintesi: un’identità ‘contro’ gli altri. Così la demonizzazione dell’avversario, a tutti i livelli, frena e impedisce non solo l’attuazione del ‘bene comune’, ma persino il concepirlo, il ragionarci, discuterne…
Si ha la sensazione di vivere insomma in una specie di mondo alla rovescia… L’illecito in qualche modo è diventato normale; i politici fanno spettacolo, mentre comici, attori e cantanti si occupano della politica; il diritto è scambiato per il favore e chi dovrebbe dare il buon esempio si vanta delle sue malefatte; se poi ci si ostina a credere nella legalità si rischia di passare semplicemente per  ingenui o stupidi.

… e ‘bene comune’ alla prova dei fatti
Intanto oltre la metà degli italiani – secondo il rapporto Italia 2013 di Eurispes – non è in grado di mantenere la famiglia; lo stipendio non permette a quasi i due terzi dei lavoratori di sostenere spese importanti come un mutuo o l’acquisto di un’automobile; la famiglia d’origine resta fonte di sostentamento per quasi un lavoratore su tre, con l’aggravio dell’azzeramento del bene di coloro che ‘non contano’… L’esperienza di quello che chiamiamo ‘bene comune’ ne rimane stravolta e l’ambito in cui fino a ieri lo si poteva collocare, oggi appare come una “vecchia storia”; quasi una realtà spazzata via, o, nel migliore dei casi, un’astrazione con cui i politici (soprattutto!), ma anche gli intellettuali e qualche volta persino gli uomini di Chiesa si riempiono la bocca quando si trovano a parlare del sociale.
Difficile – anche a volerlo – in tale clima generale realizzare quello che già era stato l’invito di J.F. Kennedy agli americani: ‘un po’ meno io, un po’ più noi’. Per questo non serve certo ‘attaccare un cerotto etico sopra un sistema finanziario marcio, che pone il capitale al di sopra del lavoro’ (L. Alici).
Eppure è certo che Dio vuole essere amato da questi meschini, splendidi e liberi figli che noi siamo. Nel nostro difficile presente ciò non può significare che – prima di tutto – disponibilità costante a mettersi in gioco, a lavorare su di sé per diventare sempre più capaci di lavorare con gli altri e per gli altri.

La rivoluzione necessaria  
Una voce – che è anche luce – è presente nel cuore di ogni creatura umana, in qualsiasi tempo. Essa parla alla persona di un ‘oltre’ e di una rivoluzione necessaria a partire dal proprio comportamento. Sussurra di un sogno grande, contenuto nella realtà di tutti i giorni. Chiede di dare a se stessi spazio e tempo per poter essere riconosciuta e ascoltata. Orienta, così, e muove il comportamento verso la verità che è la più grande e costruttiva delle rivoluzioni. In tale percorso è necessario tener presente che “anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita” e che “la capacità di amare corrisponde alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme”, come ci ricorda Benedetto XVI. Abbiamo bisogno di sentire che l’Io è  anche Noi. Si tratta allora di ripartire con coraggio da tutti i fallimenti personali e sociali, con quel poco che ognuno ha e sa fare, per costruire un nuovo ‘io sociale’ a vantaggio di tutti. Su tale via la prima rivoluzione necessaria a tutti, oggi, è certamente l’onestà, anche e soprattutto quella intellettuale; via obbligata per quanti detengono il potere (a qualsiasi livello!) per diventare o ridiventare uomini. Rivoluzione poi sono la coerenza, il coraggio di ragionare con la propria testa, senza piegarla di fronte ai potenti, chiunque essi siano. E ancora: il rispetto di tutte le diversità, la ricerca sincera di una comunicazione solidale e non competitiva. Rivoluzionari sono il sorriso, l’umiltà…
Per tutti insomma si tratta di amare meno il potere, recuperando su tale via l’esperienza della grandezza dell’umano. Il che vuol dire: riservare, in sé e intorno a sé, spazio per il sapere, la compassione, la saggezzaTutto ciò che facevano i nostri nonni, prima che si scatenasse l’ubriacatura della ricchezza.

Le cose che contano davvero…
I beni più importanti per disegnare i tratti di una nuova società, restano la vita e l’amore. Per esperienza ognuno sa che, se sente il coraggio e il dovere di mantenere le sue promesse, è soprattutto perché un altro conta su di lui e si aspetta che egli mantenga la parola. Così sappiamo pure che la politica sana riposa su tale volontà di creare legami e di vivere insieme, fondendo la diversità in un progetto collettivo e condividendo il bene. Il nostro Paese ha bisogno di pensare e di riflettere su ciò che fa e su ciò che accade; di immaginarsi un futuro lavorando insieme per realizzarlo. Se tante illusioni in campo politico e sociale oggi sono cadute, un po’ ‘meno io’ da parte di tutti permetterebbe di cercare insieme piste concrete utili per rispondere ai bisogni autentici e alle attese delle persone.  

… per uno sguardo ‘altro’ sul nostro tempo
In ogni momento storico difficile sono i ‘piccoli’ – la cui vita è segnata appunto dalla ‘minorità’ e dalla debolezza – i più disposti a dare e a ricevere benevolenza e aiuto, a legarsi perciò all’altro perché sentono che da soli si è perduti. La formula della fragilità – segno evangelico di contraddizione – è la stessa che permette l’amore. Farla propria non è automatico per nessuno. Il credente nel cercare di viverla nel concreto quotidiano si sa preceduto da una Parola più forte che la sua, una Parola che rassicura e dà forza nel cammino, se ci si affida ad essa. La sola Parola che può sottrarre all’angoscia di non saper più sperare dopo aver dato fondo ad ogni speranza.

Luciagnese Cedrone
 usmionline@usminazionale.it

PAPA BENEDETTO E LA VITA CONSACRATA

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feb 21 2013

Profonda emozione per la sua statura morale e grande tenerezza per il suo aspetto fisico segnato dalla fragilità dell’età avanzata, sono i sentimenti che più volte ho provato nell’avvicinarmi a Papa Benedetto quando, in alcune occasioni, ho avuto la gioia di incontrami con lui. Ed ora, presente alla solenne celebrazione eucaristica in San Pietro il 2 febbraio scorso – festa della vita consacrata – non avrei certo potuto immaginare che sarebbe stata l’ultima volta che il mio sguardo si sarebbe incontrato con il suo mentre, tra le centinaia di suore che mi circondavano, qualcuna esclamava a gran voce: “Grazie, Santità!”.
Davvero GRAZIE, Papa Benedetto, per il messaggio che hai voluto consegnarci in questo ultimo 2 febbraio. Lo portiamo nel nostro cuore come un dono prezioso, quasi un’eredità spirituale che proviene dal tuo amore per noi.

Lo riascoltiamo per coglierne la profondità e fissarlo nella memoria.

“Vi invito in primo luogo ad alimentare una fede in grado di illuminare la vostra vocazione. Vi esorto per questo a fare memoria, come in un pellegrinaggio interiore, del «primo amore» con cui il Signore Gesù Cristo ha riscaldato il vostro cuore, non per nostalgia, ma per alimentare quella fiamma. E per questo occorre stare con Lui, nel silenzio dell’adorazione; e così risvegliare la volontà e la gioia di condividerne la vita, le scelte, l’obbedienza di fede, la beatitudine dei poveri, la radicalità dell’amore. A partire sempre nuovamente da questo incontro d’amore voi lasciate ogni cosa per stare con Lui e mettervi come Lui al servizio di Dio e dei fratelli (cfr. Vita consecrata, 1).

In secondo luogo vi invito a una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. Proprio nel limite e nella debolezza umana siamo chiamati a vivere la conformazione a Cristo, in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo, la perfezione escatologica (ibid.,16). Nelle società dell’efficienza e del successo, la vostra vita segnata dalla «minorità» e dalla debolezza dei piccoli, dall’empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione. 

Infine, vi invito a rinnovare la fede che vi fa essere pellegrini verso il futuro. Per sua natura la vita consacrata è pellegrinaggio dello spirito, alla ricerca di un Volto che talora si manifesta e talora si vela: «Faciem tuam, Domine, requiram» (Sal 26,8). Questo sia l’anelito costante del vostro cuore, il criterio fondamentale che orienta il vostro cammino, sia nei piccoli passi quotidiani che nelle decisioni più importanti. Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti.

La vita consacrata nel pensiero del Papa
Ripercorrendo a grandi linee questi otto anni di pontificato, possiamo notare che la vita consacrata, nelle parole del Papa, viene ricondotta al suo nucleo originale che è la forma di vita assunta dal Cristo. L’approccio cristologico è costantemente richiamato.

Il primato di Dio
Nell’omelia del 2 febbraio 2006 Papa Benedetto afferma: “Come la vita di Gesù, nella sua obbedienza e dedizione al Padre, è parabola vivente del “Dio con noi”, così la concreta dedizione delle persone consacrate a Dio e ai fratelli diventa segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi. Il vostro modo di vivere e di operare è in grado di manifestare senza attenuazioni la piena appartenenza all’unico Signore; la vostra completa consegna nelle mani di Cristo e della Chiesa è un annuncio forte e chiaro della presenza di Dio in un linguaggio comprensibile ai nostri contemporanei. È questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All’interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia”.

          Il 22 maggio del medesimo anno parlando ai superiori e alle superiore generali, conferma: “Appartenere al Signore vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere trasformati dallo splendore della sua bellezza; la nostra piccolezza è offerta a Lui come sacrificio di soave odore, affinché diventi testimonianza della grandezza della sua presenza per il nostro tempo che tanto ha bisogno di essere inebriato dalla ricchezza della sua grazia”.

         Il 2 febbraio 2010, dopo aver ricordato il significato della celebrazione, aggiunge: “La vita consacrata, testimonia ed esprime in modo “forte” proprio il cercarsi reciproco di Dio e dell’uomo, l’amore che li attrae; la persona consacrata, per il fatto stesso di esserci, rappresenta come un “ponte” verso Dio per tutti coloro che la incontrano, un richiamo, un rinvio. E tutto questo in forza della mediazione di Gesù Cristo, il Consacrato del Padre. Il fondamento è Lui! Lui, che ha condiviso la nostra fragilità, perché noi potessimo partecipare della sua natura divina”.

Importanza della Parola di Dio
Grande importanza Papa Benedetto ha dato alla pratica della lectio divina poiché la vita consacrata nasce dall’ascolto della Parola. Nell’omelia del 2 febbraio 2008 afferma: “Lo Spirito Santo attira alcune persone a vivere il Vangelo in modo radicale e a tradurlo in uno stile di sequela più generosa. Ne nasce così un’opera, una famiglia religiosa che, con la sua stessa presenza, diventa a sua volta “esegesi” vivente della Parola di Dio. Cari fratelli e sorelle, nutrite la vostra giornata di preghiera, di meditazione e di ascolto della Parola di Dio. Voi, che avete familiarità con l’antica pratica della lectio divina, aiutate anche i fedeli a valorizzarla nella loro quotidiana esistenza. E sappiate tradurre in testimonianza quanto la Parola indica, lasciandovi plasmare da essa che, come seme accolto in terreno buono, porta frutti abbondanti. Sarete così sempre docili allo Spirito e crescerete nell’unione con Dio, coltiverete la comunione fraterna fra voi e sarete pronti a servire generosamente i fratelli, soprattutto quelli che si trovano nel bisogno. Che gli uomini possano vedere le vostre opere buone, frutto della Parola di Dio che vive in voi, e diano gloria al Padre vostro celeste (cfr Mt 5,16)!”

         Sempre sullo stesso tema nella celebrazione del 2 febbraio 2011 esordisce: “Cari fratelli e sorelle, siate ascoltatori assidui della Parola, perché ogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore! Siate scrutatori della Parola, attraverso la lectio divina, poiché la vita consacrata “nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbediente è in tal modo una «esegesi» vivente della Parola di Dio. Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione, dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica” (Verbum Domini, 83).

I consigli evangelici
  Nell’omelia del 2 febbraio 2009 Papa Benedetto esplicita il significato dei voti religiosi prendendo come paradigma la testimonianza di san Paolo (eravamo nell’anno paolino): “… Dalla sua stessa voce possiamo conoscere uno stile di vita che esprime la sostanza della vita consacrata ispirata ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Nella vita di povertà egli vede la garanzia di un annuncio del Vangelo realizzato in totale gratuità (cfr 1 Cor 9,1-23), mentre esprime, allo stesso tempo, la concreta solidarietà verso i fratelli nel bisogno. Al riguardo tutti conosciamo la decisione di Paolo di mantenersi con il lavoro delle sue mani e il suo impegno per la colletta a favore dei poveri di Gerusalemme (cfr 1 Ts 2,9; 2 Cor 8-9). Paolo è anche un apostolo che, accogliendo la chiamata di Dio alla castità, ha donato il cuore al Signore in maniera indivisa, per poter servire con ancor più grande libertà e dedizione i suoi fratelli (cfr 1 Cor 7,7; 2 Cor 11,1-2); inoltre, in un mondo nel quale i valori della castità cristiana avevano scarsa cittadinanza (cfr 1 Cor 6,12-20), egli offre un sicuro riferimento di condotta. Quanto poi all’obbedienza, basti notare che il compimento della volontà di Dio e l’«assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese» (2 Cor 11,28) ne hanno animato, plasmato e consumato l’esistenza, resa sacrificio gradito a Dio. Tutto questo lo porta a proclamare, come scrive ai Filippesi: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno » (Fil 1,21).

E nel 2012 Papa Benedetto aggiunge: “I consigli evangelici, accettati come autentica regola di vita, rafforzano la fede, la speranza e la carità, che uniscono a Dio. Questa profonda vicinanza al Signore, che deve essere l’elemento prioritario e caratterizzante della vostra esistenza, vi porterà ad una rinnovata adesione a Lui e avrà un positivo influsso sulla vostra particolare presenza e forma di apostolato all’interno del Popolo di Dio, mediante l’apporto dei vostri carismi, nella fedeltà al Magistero, al fine di essere testimoni della fede e della grazia, testimoni credibili per la Chiesa e per il mondo di oggi”.

La vita comunitaria
Riprendendo le affermazioni già scritte in altri documenti del magistero, fin dall’inizio del suo pontificato Papa Benedetto ricorda la particolare importanza della vita comunitaria: “Parte costitutiva della vostra missione è la vita comunitaria. Impegnandovi a realizzare comunità fraterne, voi mostrate che grazie al Vangelo anche i rapporti umani possono cambiare, che l’amore non è un’utopia, ma anzi il segreto per costruire un mondo più fraterno” (10 dicembre 2005).

La missione apostolica
Nel febbraio del 2007 il Papa invita a riflettere come la missione scaturisca dalla contemplazione: “Dedicandovi esclusivamente a Lui, voi testimoniate il fascino della verità di Cristo e la gioia che scaturisce dall’amore per Lui. Nella contemplazione e nell’attività, nella solitudine e nella fraternità, nel servizio ai poveri e agli ultimi, nell’accompagnamento personale e nei moderni areopaghi, siate pronti a proclamare e testimoniare che Dio è Amore, che dolce è amarlo”.

         Nel 2009, portando la testimonianza di san Paolo ai religiosi e religiose raccolte nella basilica di San Pietro, Papa Benedetto afferma: “Altro aspetto fondamentale della vita consacrata di Paolo è la missione. Egli è tutto di Gesù per essere, come Gesù, di tutti; anzi, per essere Gesù per tutti: «Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22). A lui, così strettamente unito alla persona di Cristo, riconosciamo una profonda capacità di coniugare vita spirituale e azione missionaria; in lui le due dimensioni si richiamano reciprocamente. E così, possiamo dire che egli appartiene a quella schiera di “mistici costruttori”, la cui esistenza è insieme contemplativa ed attiva, aperta su Dio e sui fratelli per svolgere un efficace servizio al Vangelo.

Necessità della testimonianza 
Papa Benedetto ha richiamato più volte la necessità della testimonianza autentica della vocazione religiosa. Il 18 febbraio 2008 ai membri della UISG e USG ricorda: “Gli uomini d’oggi avvertono un forte richiamo religioso e spirituale, ma sono pronti ad ascoltare e seguire solo chi testimonia con coerenza la propria adesione a Cristo. Ed è interessante notare che sono ricchi di vocazioni proprio quegli Istituti che hanno conservato o hanno scelto un tenore di vita, spesso molto austero, e comunque fedele al Vangelo vissuto “sine glossa”.

Il 2 febbraio 2010 continuando la riflessione sulla necessità della testimonianza dice: “Le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni della misericordia del Signore, nella quale l’uomo trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del cuore”, del riconoscimento umile della propria miseria, ma, parimenti, rimane una scuola della fiducia nella misericordia di Dio, nel suo amore che mai abbandona. In realtà, più ci si avvicina a Dio, più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri. Le persone consacrate sperimentano la grazia, la misericordia e il perdono di Dio non solo per sé, ma anche per i fratelli, essendo chiamate a portare nel cuore e nella preghiera le angosce e le attese degli uomini, specie di quelli che sono lontani da Dio.

         Segno di contraddizione
Il 2 febbraio 2007 il Papa, consapevole delle difficoltà che i consacrati incontrano nel mondo, asserisce: “Per natura sua la vita consacrata costituisce una risposta a Dio totale e definitiva, incondizionata e appassionata. E quando si rinuncia a tutto per seguire Cristo, quando gli si dà ciò che si ha di più caro affrontando ogni sacrificio, allora, come è avvenuto per il divin Maestro, anche la persona consacrata che ne segue le orme diventa necessariamente “segno di contraddizione”, perché il suo modo di pensare e di vivere è spesso in contrasto con la logica del mondo, come si presenta nei mezzi di comunicazione sociale, quasi sempre. Si sceglie Cristo, anzi ci si lascia “conquistare” da Lui senza riserve”.

         Il Papa non passa sotto silenzio le gravi difficoltà che la vita religiosa odierna si trova a dover affrontare al suo interno, sia per lo scarso numero di giovani vocazioni, sia per l’invecchiamento. Intervenendo su questo tema afferma: “Non lasciatevi scoraggiare, ma affrontate queste dolorose situazioni di crisi con serenità e la consapevolezza che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l’impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è il venir meno dell’adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione” (20 settembre 2008).

Il Papa dimostra sempre grande stima per le persone consacrate e il 2 febbraio 2010 asserisce: “La vita consacrata è importante proprio per il suo essere segno di gratuità e d’amore, e ciò tanto più in una società che rischia di essere soffocata nel vortice dell’effimero e dell’utile (cfr Vita consecrata, 105). La vita consacrata, invece, testimonia la sovrabbondanza d’amore che spinge a “perdere” la propria vita, come risposta alla sovrabbondanza di amore del Signore, che per primo ha “perduto” la sua vita per noi. In questo momento penso alle persone consacrate che sentono il peso della fatica quotidiana scarsa di gratificazioni umane, penso ai religiosi e alle religiose anziani, ammalati, a quanti si sentono in difficoltà nel loro apostolato… Nessuno di essi è inutile, perché il Signore li associa al “trono della grazia”. Sono invece un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, assetato di Dio e della sua Parola”. 

Necessità della pastorale vocazionale
Papa Benedetto all’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su Famiglia e comunità cristiana (6 giugno 2005) invita: Un ultimo messaggio che vorrei affidarvi riguarda la cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: sappiamo tutti quanto la Chiesa ne abbia bisogno! Perché queste vocazioni nascano e giungano a maturazione, perché le persone chiamate si mantengano sempre degne della loro vocazione, è decisiva anzitutto la preghiera, che non deve mai mancare in ciascuna famiglia e comunità cristiana. Ma è anche fondamentale la testimonianza di vita dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, la gioia che essi esprimono per essere stati chiamati dal Signore. Ed è ugualmente essenziale l’esempio che i figli ricevono all’interno della propria famiglia e la convinzione delle famiglie stesse che, anche per loro, la vocazione dei propri figli è un grande dono del Signore. La scelta della verginità per amore di Dio e dei fratelli, che è richiesta per il sacerdozio e la vita consacrata, sta infatti insieme con la valorizzazione del matrimonio cristiano: l’uno e l’altra, in due maniere differenti e complementari, rendono in qualche modo visibile il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo”.

Caro Papa Benedetto, al termine di questa sintesi delle parole che in questi anni hai rivolto a noi, ci sia permesso esprimerti la nostra gratitudine per averci tenute nel tuo cuore e per la stima che ci hai dimostrato. Più volte infatti, nella celebrazione del 2 febbraio, hai affermato che quella era “una preziosa occasione per lodare il Signore del dono inestimabile della vita consacrata alla Chiesa e al mondo”.

Sii certo che sarai sempre presente nella nostra preghiera perché ora la tua vita “nascosta al mondo” è più preziosa che mai per la fecondità spirituale della Chiesa.

A te la nostra eterna gratitudine.

                                               Madre Orsola Bertolotto
Superiora generale Murialdine di san Giuseppe
Consigliera USMI nazionale

Fra conflitti dimenticati e nuovi

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feb 18 2013

Emergenze umanitarie complesse accompagnano infinite situazioni di conflitto armato nel mondo. Ma cosa sappiamo davvero di queste “guerre lontane”? E soprattutto, cosa può fare ognuno di noi? Come?

Venti di guerra nel mondo                       
Spirano periodicamente nel mondo “venti di guerra” fra la pace da una parte e l’economia globalizzata dall’altra. L’una e l’altra insieme non possono essere risolte, perché a favore dell’economia gioca l’interesse dei poteri forti. Questi appoggiano le guerre per sfruttare risorse naturali ed energetiche (petrolio, acqua, terra..), o per esportare armi e continuare così a produrle. Le armi, in realtà, se prodotte e commercializzate in grandissime quantità, non possono che servire alle guerre.

Sul Pianeta Terra ci sono Paesi in condizioni di conflitto interno, aperto o latente, per instabilità politica e miseria. Ci sono conflittualità diffuse e continue per motivi etnici. Guerriglie – fatte di attentati e agguati terroristici – dimenticate quando il mondo ricco non ha interessi in quelle Terre. Nessuno le ferma. Non se ne parla nemmeno. Solo i reporter di guerra sono testimoni in esse dei diritti violati e delle violenze sui civili. E spesso subiscono per il loro lavoro ritorsioni e attentati.  

Rispetto a situazioni “vecchie” di conflitti armati degenerati in guerre vere e proprie, si registra, soprattutto a partire dal 2011, l’avvio di nuovi conflitti, in numero il più elevato dalla fine della II guerra mondiale. Cominciano tutti senza memoria critica dei precedenti. In Siria, per esempio, da quando sull’onda della ‘Primavera araba’ ebbero inizio le proteste, tutto il Paese e tutta la popolazione sono al fronte, senza tregua e senza speranza. Un massacro dopo l’altro fra il regime assolutista di Assad e i ribelli che rivendicano riforme per una maggiore democrazia. Da allora le stime parlano ormai di 60 mila morti – nella stragrande maggioranza civili presi tra i due fuochi – ed esodi di intere popolazioni. Le Potenze Occidentali si limitano a sostenere l’opposizione armata aspettando il crollo del regime di Assad per logoramento. Nella quasi indifferenza  del mondo.  

“Interventi umanitari”, o guerre neo-coloniali?
 Fra le guerre più recenti è quella di Parigi nel Mali (Africa sub sahariana) con il consenso – ex post – degli alleati europei. Nelle intenzioni dichiarate del governo francese doveva essere una semplice operazione di polizia. Ma se pensiamo alla vicinanza con il Niger – regione ricca di oro, petrolio e uranio – non è difficile cogliere tra le radici dell’intervento il progetto di controllare le risorse naturali di quei territori. Di fatto in poco, pochissimo tempo, il conflitto si è esteso (Nigeria, Libia …), trasformandosi in un intervento massiccio che rischia ora di diventare internazionale. Così dall’Afghanistan si passa al Sahara-Sahel. E l’islam armato, anziché essere contenuto, è stato dilatato!

Si parla di interventi “umanitari” da parte delle potenze europee, fatti “a fin di bene”, per “esportare la democrazia”, per cacciare “odiosi tiranni”… Ma constatiamo che al posto dei precedenti subentrano altri tiranni, forse solo più servizievoli nei confronti delle potenze occidentali. La politica in realtà appare fissa sul militare, mentre l’interventismo sta diventando, sul modello americano, un habitus anche europeo. Mancano invece un pensare ampio e una veduta cosmopolita, un’apertura al diritto internazionale. E anche la gente comune fatica a riflettere su questi fatti. Constata supinamente.

Guarire le relazioni…
Come si può, insieme, contribuire a mettere fine alla notte dell’irresponsabilità che sembra avvolgerci? Benedetto XVI esorta i potenti della terra: “Si trovi finalmente il coraggio del dialogo e del negoziato”.

Per ognuno però esistono meravigliose risorse umane che attendono silenziosamente solo un’opportunità e una decisione personale per allenarsi a costruire la pace nel quotidiano …

… per concreti bilanci di pace
 - Ognuno è quello che respira, legge, studia, ciò di cui riempie le proprie giornate e i propri pensieri. Lo è nel bene e lo è nel male. In tutto ciò che si è e si fa, la pace è un cammino costante. Non un’utopia generica, ma un obiettivo da ricercare con il massimo impegno, attraverso gesti concreti e quotidiani nei quali ognuno si compromette realmente.
- Ogni persona può sempre scegliere se seguire da lontano il corso degli eventi o assumere con coraggio la responsabilità della propria esistenza; se affrontare la tentazione più grande – che in ogni tempo è forse quella di estraniarsi da tutto, rassegnandosi alla realtà dei fatti – o dare all’oggi che interpella risposte concrete, con quel coraggio che è virtù da coltivare quotidianamente. Non si può pensare di cambiare il mondo se non si parte e riparte ogni giorno da se stessi.
- I confronti di idee fra persone che tendono alla stessa verità (anche se la comprendono diversamente!) costituiscono la bellezza della vita. Mentre infatti consentono di scambiarsi i  pareri, rafforzano il desiderio di continuare a cercare la verità e guariscono le relazioni.

Certo può accadere (e accade spesso!) che in uno pseudo-confronto qualcuno si batta, più o meno consapevolmente, solo perché l’interlocutore abbia torto, sia sminuito, perda, ne abbia un danno… Una recita, insomma, una farsa più o meno riuscita, ma in tutti i casi sicuramente sterile per qualsiasi rapporto e per la pace interiore.

È necessario rileggere insieme i fatti mettendosi dalla parte degli sconfitti, delle vittime, della gente, della pace, “avendo in corpo l’occhio del povero” – direbbe don Tonino Bello. Dalla fede viene ai credenti un supplemento di coraggio per impegnarsi a fondo a trasformare il mondo. Affidati a un Altro, potremo muoverci senza paura nella realtà complessa del nostro tempo verso l’oltre possibile.  

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Notizie ‘ansiogene’ e realtà

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feb 07 2013

Le scene di aggressività e competizione selvaggia come influiscono sul nostro modo di porci in relazione con noi stessi, con gli altri, con la vita? Quali conseguenze può produrre un uso inappropriato dei media?

Che gli uccelli dell’ansia e della preoccupazione volino sulla vostra testa, non potete impedirlo; ma potete evitare che vi costruiscano un nido. (Proverbio cinese)

Iter dei media: realtà – mediazione – rappresentazione
I media oggi sono partner onnipresenti per tutti, tanto che l’epoca attuale è stata definita “società della comunicazione”. Nel bene e nel male fanno parte della nostra vita quotidiana e non possiamo e non vogliamo certo farne a meno. Usati bene, potrebbero essere strumenti formidabili per stimolare la consapevolezza delle persone verso rapporti umani più aperti e collaborativi; per tradurre in concreto i principi democratici della libertà, dell’autodeterminazione e della cooperazione; per costruire legami sociali e un ambiente in cui riconoscersi.

Violenza nei media, crimini sceneggiati …
Ma come parla oggi l’informazione pubblica? L’Italia e il mondo sembrano essere fatti di sola cronaca nera, scandali, scontri politici, gossip. Leggere un quotidiano o vedere un TG è esperienza paragonabile al sentire un bollettino di guerra. Titoli shoccanti, insistenza su particolari morbosi e immagini raccapriccianti sollecitano emozioni negative, spesso senza aggiungere nulla alla comprensione dei fatti. Perfino nei cartoni animati e in tre quarti delle fiction la pistola è il principale mezzo di comunicazione con l’altro, quasi l’ideologia di un mondo, la forza, l’osanna per chi vince.

La violenza sembra essere il simbolo incarnato del mondo che abbiamo di fronte. Una visione cupa e minacciosa, che giornali e TV, con la rappresentazione sbilanciata che danno della realtà, contribuiscono a creare e rafforzare. A chi giova?… In fondo sappiamo per esperienza che si reagisce al male se c’è qualche speranza di riuscire a cambiare le cose. Ma se viviamo in un mondo in cui la mafia vince sempre, il furbo prevale in tutti i casi, i politici sono tutti corrotti, gli ospedali funzionano male dappertutto … allora non resta che rassegnarsi e chiudersi in se stessi; oppure farsi furbi e disonesti, appunto, come ‘tutti’.

… e intossicazione emozionale
La gran parte dei media in realtà punta più agli indici di ascolto che a quelli di consenso, privilegiando il tornaconto economico, o politico, rispetto all’utilità sociale. L’offerta culturale che ne deriva è perciò spesso incentrata su ingredienti dai ‘sapori’ forti, ma di scarsa qualità e con gravi effetti collaterali.

- Ricerche scientifiche dicono che la visione di un film con scene di violenza provoca in genere nella persona un sonno agitato con sogni sgradevoli e introduce col piede sbagliato al nuovo giorno. La persona, inoltre, porta nel suo quotidiano i residui di ciò che aveva inquietato il suo animo. Così facilmente diventa più sospettosa, irritabile, chiusa verso gli altri; propensa più a vedere i rischi che non la bellezza di ciò che la circonda.

- Per tale via si ingenera nelle persone (in particolare nelle più sensibili) un atteggiamento ansioso del tipo ‘viviamo proprio in un brutto mondo’.

- Soprattutto sono i bambini che, nel loro comportamento a volte isterico e incontrollabile, risentono pesantemente della violenza, pur grottesca, dei cartoni animati di supereroi e simili.

- A volte nemmeno l’atteggiamento critico è sufficiente per proteggersi dai condizionamenti dei media. Può capitare infatti che, seguendo un certo programma, ci si ritrovi dentro commozione o ammirazione per un certo personaggio pur sapendo razionalmente che non le merita affatto.

Eppure facilmente si continua a lasciarsi guidare passivamente, per ingenuità o per pigrizia, da ciò che si vede, si sente e si legge e ognuno rimane così sostanzialmente indifeso di fronte agli effetti che ne derivano nella propria vita.

Come operare allora per restituirsi una visione del mondo più umana e più reale? Certo è necessario imparare ad utilizzare i media in modo sempre attivo e consapevole, rifiutando di abbandonarsi passivamente a menù prestabiliti da altri; scegliendo autonomamente una ‘dieta’ personalizzata dei programmi e decidendo le dosi con cui assumerli. È una opzione impegnativa e faticosa, ma il risultato vale la pena.

Collera da esprimere e… collera da reprimere
Come opera per la formazione della coscienza civile e politica dei cittadini una società che acquista, consuma, si lamenta, grida negli stadi, protesta nelle piazze … per scoprire che alla fine di tutto questo i suoi sentimenti e le sue azioni sono inconcludenti?

Le emozioni sociali suscitate dai mass media sono prevalentemente di tipo negativo: paura, invidia, vergogna. Soprattutto vi è presente la rabbia – che si esprime nei titoli e nelle immagini – insieme all’ira con cui vengono descritti i fatti! E l’ira suscita ira. Ci sono anche sentimenti positivi (mitezza, autocontrollo, giovialità, pace…), ai quali viene però dedicato molto meno spazio. La mitezza sembra essere anzi del tutto estranea non solo ai mass media, ma anche alla realtà attuale. Ci è necessario e urgente riscoprire la forza della mitezza che resiste e domina l’ira trasformandola, eventualmente, in una eccitazione giusta per sconfiggere ciò che non va. Ma la cultura di oggi confonde la mitezza con l’apatia indifferente, con la debolezza indulgente di chi dice ‘sì’ a tutto perché vuole essere d’accordo con tutti e con tutte le opinioni; di chi teme di affermarsi solo per paura di essere frainteso, giudicato, di non essere amato e accettato…

…per essere cittadini della civiltà dell’amore
Mitezza in realtà è l’atteggiamento che permette di superare la frustrazione, l’irritazione e lo scoraggiamento di fronte all’apparente sterilità della propria azione e della paura. Viverla è una meta da raggiungere, ardua, difficile, ma non impossibile e comunque è imprescindibile per il cristiano, perché la politica – come gestione della terra umana e cura del bene comune che si riassume nella pace – secondo la beatitudine evangelica sarà affidata ai ‘mansueti’, ai nonviolenti attivi, che oggi sono diseredati ed emarginati.

Il giornalista, che nella sua professione non vede solo il lavoro che gli dà da mangiare ma anche il piccolo quotidiano contributo alla costruzione di una società migliore, può molto. ‘Essere miti’, secondo la beatitudine evangelica, è domanda di quella radicalità che fa sentire acutamente anormali rispetto all’ordine violento e selvaggio in cui domina la supremazia onnivora del profitto. È la buona novella che attraverso il cuore, la mente e la mano di ogni uomo di buona volontà, ogni giorno si rinnova sulla terra..

Luciagnese Cedrone
usmionline@usminazionale.it

Memoria comune che si fa profezia

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gen 28 2013

L’egoismo non può funzionare come bussola di una civiltà. Nella nostra Penisola i primi segni di un popolo – altruista per costituzione – che comincia a svegliarsi dal ‘Grande Individualismo’ e riscopre che siamo ‘programmati’ per aiutare ed essere utili, anche senza contropartite.

Smarriti in un labirinto di lacrime…
Per decenni, rimuovendo il desiderio vitale di stare insieme e facendo ruotare scelte, pensieri e sentimenti intorno al proprio ‘io-io-io’, nel nostro Occidente ci si è illusi di costruire il benessere personale e una nuova civiltà. Ma nella realtà abbiamo finito solo per dare alimento all’egoismo. La politica, ricondotta dai più ad un uso strettamente personale del potere e del denaro pubblico, ci ha cacciati in un tunnel. La speculazione finanziaria e la gestione dissennata delle nostre città – pensate e costruite, dal Rinascimento in poi, come villaggi/spazio condiviso, dove circolare e vivere insieme – hanno via via evidenziato la progressiva esclusione del ‘noi’ e la crescita dell’egoismo metropolitano. Il ‘Grande Individualismo’ ci ha fatto perdere il senso e il piacere dello ‘stare insieme’ e anche l’energia, le idee, la solidarietà, che arrivano alle persone dal vivere ‘la comunità’. Quella comunità, di cui si fa esperienza nel quotidiano, che si chiama famiglia, parrocchia; o fabbrica, dove i lavoratori sono stati i portatori di una cultura collettiva; e anche piazza, bar, partito, sindacato… tutti luoghi, profondamente italiani dello stare insieme.

… fra ‘io’ e ‘noi’
Ma proprio oggi, nel pieno della crisi planetaria che stiamo vivendo, un ‘nuovo’ nasce sotto i nostri occhi, nel silenzio, senza troppa pubblicità. Un ‘nuovo’ piccolo come il seme di senape, ma che promette fioriture e frutti. Una luce infatti scava sotterraneamente nelle coscienze di un numero sempre maggiore di persone e, facendole capaci di superare il timore di perdere le proprie sicurezze, chiama lentamente tutti fuori dal tunnel, verso una nuova civiltà. Segnali quotidiani di un cambiamento in atto – per quanto incompleto e non ancora ben organizzato – sono già visibili. I giovani ne sono l’avamposto perché per essi la strada della felicità è fatta di cose semplici come stare con gli amici, praticare sport, trascorrere i pomeriggi in chiacchiere e risate: la possibilità, insomma, di avere molte relazioni sociali. Ce lo fa sapere un’indagine dell’Università di Essex sulla stampa inglese e ce lo conferma l’esperienza quotidiana. La cosa non sorprende più di tanto il credente il quale sa che la storia ha una direzione e non si può smarrire perciò in un labirinto di lacrime. In filigrana in ogni tempo e situazione c’è infatti il progetto buono di Qualcuno che continua ad amare ogni creatura e a guidarla quando essa realmente e consapevolmente si affida alla forza della Sua luce.

Un richiamo per tutti a vivere con attenzione il presente, perché, se “la più grave epidemia moderna è la superficialità” (Raimon Panikkar), il vero credente non evade, ma intercede (cammina in mezzo) prendendosi cura dei germogli che nascono.  

Nell’orizzonte segnato dalla luce…
Parola d’ordine di tale incipiente rivoluzione, sembrano essere alcuni verbi che parlano di comportamenti impensabili fino a poco tempo fa. Condividere spazi, alimenti e idee attraverso le tecnologie della Rete. Sperimentare una nuova concezione del lavoro e dei luoghi in cui svolgerlo. Scambiare oggetti e servizi. Recuperare materiali riciclabili. Tagliare gli sprechi. Riscoprire gli orti urbani e lanciare quelli verticali: gli avveniristici ‘grattaverdi’ di New York. Provare il fascino efficace del baratto, contro il piacere individuale del possesso. E creare reti per distribuire i pesi dell’assistenza a malati e anziani, là dove lo Stato non può o non vuole arrivare. Il tutto in nome della tutela dell’ambiente comune; dei prodotti sani che arrivano sul mercato a chilometri zero; del piacere di costruire qualcosa a più mani…   Così, davanti a molti verbi, quelli che in passato segnavano il trionfo dell’«io», oggi c’è il prefisso “co”: co-abitare, co-ltivare insieme…

… nuovi modi di stare insieme
“INSIEME”: un’avventura unica che fa nascere relazioni, costruisce comunità, realizza sogni che da soli sono impossibili; e mentre spinge a trovare risposte nelle scelte collettive, permette di scoprire che non abbiamo sempre bisogno di strisciare una carta di credito.

Così è in atto, per esempio, il ripensamento dello spazio urbano, dove sono cresciute separatezza e solitudine; a Ferrara una mobilità tutta a pedali, nelle strade di Zurigo, si viaggia senza cartelli segnaletici. Automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni nella loro mobilità urbana, cominciano a riconoscere reciprocamente di avere uguali diritti e di poter con-vivere, senza un conflitto permanente e senza prevaricazioni reciproche. La multinazionale Nestlé in Italia (ma anche questo è solo un esempio!) ha varato il progetto “Novanta giorni”, grazie al quale quando la scuola è chiusa i dipendenti possono portare in azienda i loro bambini, affidandoli a qualche educatore e ritrovandoli poi alla mensa. Solo Roma conta già almeno un centinaio di orti comunitari. Attraverso molti siti internet è possibile scambiare di tutto: dagli elettrodomestici ai vestiti, alla musica … Il benessere passa per scelte condivise! La civiltà dell’io comincia a cedere il passo a quella del noi. Ed è una luce buona in fondo al tunnel. In essa l’Italia potrà giocare un ruolo da protagonista se non dimenticherà la sua storia, un “made in Italy” degno di essere esportato in tutto il mondo.

Società senza più egoismi?
Persino la scienza oggi sta sfatando il mito che recitava ‘egoisti si nasce altruisti si diventa’. No, egoisti non si nasce, l’homo sapiens è cooperativo. Alcuni scienziati hanno individuato il gene dell’altruismo: AVPR1A, che regola un ormone del nostro cervello. È un gene attivo, funzionante e molto diffuso. Ad ogni suo gesto corrisponde una vera e propria sensazione di benessere fisico e persino di gioia. I bambini – gli esperti lo hanno dimostrato – sono portati per natura alla condivisione, alla generosità, all’altruismo. Simpatizzano, tendono ad allearsi più che a scontrarsi, a stare insieme più che a dividersi.  Ed è solo crescendo che l’istinto altruistico si fa più selettivo e rischia anche di scomparire quando l’io con i suoi colpi prende il sopravvento.  

Il cielo interiore dell’adulto perciò è popolato di paure, ma anche di attese. Se egli cerca con cuore sincero il senso dei suoi giorni, saprà aprirsi a un ascolto così vero da produrre nel suo cuore un cambiamento profondo (… il credente lo chiama ‘conversione’!). Attento alla qualità dei giorni e dei rapporti, alle domande mute degli altri e alla loro ricchezza, egli sarà generoso di giustizia, di pace, di onestà: un terreno sempre più fecondo di umanità, portatore di una profezia a misura d’uomo là dove ognuno è chiamato a vivere.

Luciagnese Cedrone
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